lunedì 30 dicembre 2024

I Giganti della Fede – Fra' Galdino

Come ci sono tante strade per portare a Roma (un proverbio dice che sono addirittura 'tutte'), così ci sono tanti modi diversi di accostarsi alla fede religiosa e diventarne devoti.
Nella piccola galleria di questo blog ho parlato di tanti diversi personaggi (reali o letterari), tutti con le loro particolari caratteristiche, ma mi mancava il credente magico.
Uso questa definizione per indicare le persone che invece di ricercare il divino per le vie spiriturali, restano affascinati, molto più prosaicamente, dagli aspetti magici del soprannaturale, cioè dalla meraviglia e dalla stranezza dei cosiddetti miracoli, anche se ridicoli e banali.
I Vangeli, anche se inframezzati da insegnamenti più spirituali, ne raccontano alcuni (ad esempio quello del fico disseccato, riportato da Marco e Matteo), ma è nella letteratura religiosa popolare che si trovano gli esempi più diffusi.
A questa categoria di religiosi appartiene senza dubbio il Fra' Galdino dei Promessi Sposi, al quale è dedicato questo post.
LUMEN


<< Nel mentre (…) si sentì un picchietto all’uscio, e, nello stesso momento, un sommesso ma distinto “Deo gratias.”
Lucia, immaginandosi chi poteva essere, corse ad aprire; e subito, fatto un piccolo inchino famigliare, venne avanti un laico cercatore cappuccino, con la sua bisaccia pendente alla spalla sinistra, e tenendone l’imboccatura attortigliata e stretta nelle due mani sul petto.
“Oh fra Galdino!” dissero le due donne.
“Il Signore sia con voi,” disse il frate. “Vengo alla cerca delle noci.”
“Va’ a prender le noci per i padri,” disse Agnese. Lucia s’alzò, e s’avviò all’altra stanza, ma, prima d’entrarvi, si trattenne dietro le spalle di fra Galdino, che rimaneva diritto nella medesima positura; e, mettendo il dito alla bocca, diede alla madre un’occhiata che chiedeva il segreto, con tenerezza, con supplicazione, e anche con una certa autorità.
Il cercatore, sbirciando Agnese così da lontano, disse: “e questo matrimonio! Si doveva pur fare oggi: ho veduto nel paese una certa confusione, come se ci fosse una novità. Cos’è stato?”
“Il signor curato è ammalato, e bisogna differire,” rispose in fretta la donna. Se Lucia non faceva quel segno, la risposta sarebbe probabilmente stata diversa. “E come va la cerca?” soggiunse poi, per mutar discorso.
“Poco bene, buona donna, poco bene. Le son tutte qui.” E, così dicendo, si levò la bisaccia d’addosso, e la fece saltar tra le due mani. “Son tutte qui; e, per mettere insieme questa bella abbondanza, ho dovuto picchiare a dieci porte.”
“Ma! le annate vanno scarse, fra Galdino; e, quando s’ha a misurar il pane, non si può allargar la mano nel resto.”
“E per far tornare il buon tempo, che rimedio c’è, la mia donna? L’elemosina. Sapete di quel miracolo delle noci, che avvenne, molt’anni sono, in quel nostro convento di Romagna?”
“No, in verità; raccontatemelo un poco.”
“Oh! dovete dunque sapere che, in quel convento, c’era un nostro padre, il quale era un santo, e si chiamava il padre Macario.
Un giorno d’inverno, passando per una viottola, in un campo d’un nostro benefattore, uomo dabbene anche lui, il padre Macario vide questo benefattore vicino a un suo gran noce; e quattro contadini, con le zappe in aria, che principiavano a scalzar la pianta, per metterle le radici al sole. — Che fate voi a quella povera pianta? domandò il padre Macario. — Eh! padre, son anni e anni che la non mi vuol far noci; e io ne faccio legna. — Lasciatela stare, disse il padre: sappiate che, quest’anno, la farà più noci che foglie.
Il benefattore, che sapeva chi era colui che aveva detta quella parola, ordinò subito ai lavoratori, che gettasser di nuovo la terra sulle radici; e, chiamato il padre, che continuava la sua strada, — padre Macario, gli disse, la metà della raccolta sarà per il convento.
Si sparse la voce della predizione; e tutti correvano a guardare il noce. In fatti, a primavera, fiori a bizzeffe, e, a suo tempo, noci a bizzeffe. Il buon benefattore non ebbe la consolazione di bacchiarle; perché andò, prima della raccolta, a ricevere il premio della sua carità.
Ma il miracolo fu tanto più grande, come sentirete. Quel brav’uomo aveva lasciato un figliuolo di stampa ben diversa. Or dunque, alla raccolta, il cercatore andò per riscotere la metà ch’era dovuta al convento; ma colui se ne fece nuovo affatto, ed ebbe la temerità di rispondere che non aveva mai sentito dire che i cappuccini sapessero far noci.
Sapete ora cosa avvenne? Un giorno, (sentite questa) lo scapestrato aveva invitato alcuni suoi amici dello stesso pelo, e, gozzovigliando, raccontava la storia del noce, e rideva de’ frati.
Que’ giovinastri ebber voglia d’andar a vedere quello sterminato mucchio di noci; e lui li mena su in granaio. Ma sentite: apre l’uscio, va verso il cantuccio dov’era stato riposto il gran mucchio, e mentre dice: guardate, guarda egli stesso e vede... che cosa? Un bel mucchio di foglie secche di noce. Fu un esempio questo?
E il convento, in vece di scapitare, ci guadagnò; perché, dopo un così gran fatto, la cerca delle noci rendeva tanto, tanto, che un benefattore, mosso a compassione del povero cercatore, fece al convento la carità d’un asino, che aiutasse a portar le noci a casa.
E si faceva tant’olio, che ogni povero veniva a prenderne, secondo il suo bisogno; perché noi siam come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi.” >>

ALESSANDRO MANZONI

giovedì 26 dicembre 2024

Pensierini – LXXXI

POLITICI DI MESTIERE
Per valutare i politici di mestiere, quelli destinati a governare formalmente le nostre nazioni, si possono utilizzare due parametri fondamentali: l'onestà e la capacità.
E dal loro incrocio si vengono a determinare 4 diverse categorie:
= I politici onesti e capaci
= I politici onesti, ma incapaci
= I politici disonesti, ma capaci
= Ed infine, i politici che sono ad un tempo disonesti ed incapaci.
I migliori, ovviamente, sono i primi, ma esistono solo nei nostri desideri, mentre i peggiori, altrettanto ovviamente, sono gli ultimi, che sono da evitare per quanto possibile.
Restano le due categorie intermedie, tra le quali, tutto sommato, preferisco i disonesti capaci, perchè fanno meno danni.
Tanto è vero che sono proprio costoro, in genere, quelli che passano alla storia come benefattori della propria Nazione. Anche se poi, nei libri di storia, si ricordano (giustamente) solo le capacità e si dimenticano (pietosamente) le nefandezze.
Questa distinzione potrebbe tornare utile a noi cittadini quando andiamo a votare, ma – purtroppo - le diverse categorie sono molto difficili da individuare, se non con il senno di poi.
Pertanto, come spesso accade nelle nostre vita, domina la fortuna.
LUMEN


PULIZIA ETNICA
Commentando le guerre in corso, si sentono spesso i termini 'genocidio' e 'pulizia etnica' come se fossero sinonimi, ma si tratta di due cose storicamente molto diverse.
Nel primo caso lo scopo dell'aggressore è quello di sterminare un popolo, nel secondo caso è quello di conquistare un territorio per uso esclusivo, estromettendo i suoi abitanti precedenti.
Così, per esempio, gli israeliani (almeno nei primi tempi, ora non saprei) facevano 'pulizia etnica', ma non 'genocidio', perchè prima di iniziare un'offensiva a Gaza o in Cisgiordania, intimavano sempre agli abitanti palestinesi di spostarsi.
Similmente, non credo che Putin voglia genocidare gli Ucraini. Gli basta conquistare i territori ucraini che sono già russofoni, buttando fuori la minoranza ucraina.
Hitler invece voleva proprio sterminare l'etnia ebraica, in quanto il controllo del territorio lo aveva già.
Sono entrambe cose detestabili, ma sono cose diverse (e, senza voler giustificare nessuno, mi sembra che la pulizia etnica sia anche un po' meno detestabile del genocidio).
LUMEN


L'ASTEROIDE
Ho scoperto sul web che esiste un 'partito dell'asteroide', composto di persone che si augurano la scomparsa repentina e totale dell'umanità, con tutte le sue nefandezze, mediante disastro cosmico.
Diciamo, una sorta di nuovo Diluvio Universale, ma senza l'Arca.
Ora, io non discuto sui millemila difetti dell'umanità, ma quello che si augurano queste persone è, in buona sostanza, un grande suicidio collettivo, visto che nell'umanità da sterminare sono compresi, inevitabilmente, anche loro.
Allora mi chiedo: perchè non provvedono direttamente in proprio, lasciando al loro destino gli altri disgraziati esseri umani (quorum ego) ?
LUMEN


MATRIMONI FALLITI
La riuscita o il fallimento delle unioni matrimoniali può dipendere da così tanti diversi fattori, che appare impossibile, oltre che inutile, elencarli tutti.
Vi è però una situazione che, a mio modesto avviso, porta sempre, inevitabilmente, al fallimento di un matrimonio.
Ed è il fatto che la moglie sia più intelligente del marito.
Perchè, col passare del tempo, nessuna donna può accettare un uomo meno intelligente di lei; ne andrebbe della propria autostima.
LUMEN


ILLUSIONI CULTURALI
Ho letto che alcuni intellettuali si augurano il sorgere di un 'nuovo pensiero' che possa far ripartire il progresso culturale dell'umanità.
Io però sono molto scettico su questo punto.
Forse, se in tremila anni non abbiamo trovato la soluzione dei problemi sociali ed esistenziali che ci affliggono, è perchè una soluzione, a livello culturale, non esiste.
E quindi non ci resta che ascoltare la scienza (l'unica che davvero progredisce) ed accettare le leggi biologiche che ci governano.
Leggi che noi, oggi, conosciamo quasi interamente, ma non abbiamo il coraggio di accettare, perchè non ci piacciono. E così continuiamo ad illuderci.
LUMEN

sabato 21 dicembre 2024

Zone di Crisi

Il punto della situazione di Jacopo Simonetta sulle principali zone di crisi, o comunque di tensione, presenti nel mondo, viste alla luce del prossimo ritorno di Trump alla guida degli USA.
Ho lasciato fuori il Medio Oriente, perchè la zona sta attraversando un periodo particolarmente caotico, e questo rende impossibile fare delle previsioni affidabili.
Il testo è tratto dal sito Apocalottimismo.
LUMEN



<< RUSSIA E UCRAINA
[Trump] è stato chiaro: tagliare i già insufficienti rifornimenti all’Ucraina (ad oggi circa il 20% di quanto annunciato negli anni scorsi è arrivato al fronte) per costringerla a cedere alla Russia le regioni che già occupa, magari con qualcosa di più perché Putin è simpatico e difende la Russia dalla lobby gay internazionale.
Un piano certamente realizzabile a meno che gli europei non si assumano l’onere di sostenere sul serio questo “alleato” assai più di nome che di fatto. Molto improbabile e, del resto, tutto lascia pensare che questo sia stato dall’inizio il piano euroamericano.
Quel che né Trump, né i nostri baldi governanti sembrano considerare sono le conseguenze di seppellire ufficialmente quel che resta degli equilibri geopolitici e perfino la forma (non parliamo della sostanza) di quella roba chiamata “diritto internazionale”. (...)
Putin non è un pazzo sanguinario come Hitler, ma il suo scopo di riconquistare l’Impero è chiaro ed esplicito. Ogni vittoria parziale gli darà quindi la possibilità di prepararsi meglio per la prossima guerra; su questa intenzione non ci possono essere ragionevoli dubbi.
Inoltre, i precedenti sono importanti e se ad un paese sarà permesso di annetterne in tutto o in parte un altro scoperchieremo un vero Vaso di Pandora poiché praticamente tutti gli stati del mondo hanno rivendicazioni territoriali sui vicini.
Tornando al prossimo presidente USA, forse non ha capito che il principale collante dell’Impero a stelle e strisce è sempre stato l’ombrello militare su cui si poteva contare.
Già con Biden l’abisso fra le dichiarazioni ed i fatti ha aperto ampi squarci in questa fiducia, ma un tradimento completo dell’Ucraina renderebbe chiaro a tutti che gli USA non sono più un alleato affidabile. Chi ed a quali patti sarebbe allora disposto a combattere a suo fianco, specie contro nemici temibili come la Cina od anche l’Iran?

CINA E TAIWAN
Nei confronti della Cina, Trump ostenta una politica muscolare, ma nel frattempo promette di imporre dazi e regole che danneggerebbero considerevolmente l’economia di Taiwan.
Le ultime esercitazioni cinesi hanno avuto tutta l’aria di una prova generale. Se così fosse, il piano di Xi non sarebbe quello di una gigantesca operazione anfibia che avrebbe buone probabilità di volgere in un disastro. Al contrario, pare che Pechino stia aspettando che Trump indebolisca sufficientemente la sua rete di alleanze, mentre Xi consoliderà la sua.
Quando riterranno che sia arrivato il momento opportuno, con ogni probabilità, i cinesi imporranno all’Isola un blocco navale, usando solo unità della guardia costiera. Così lasceranno ai taiwanesi la scelta fra accettare dei patti che non saranno rispettati, oppure sparare la prima cannonata, sperando che gli americani non gli facciano lo scherzo che Trump pensa di fare agli ucraini.
E che Giapponesi, vietnamiti, sudcoreani, australiani, filippini e quant’altri abbiano ancora abbastanza fiducia negli USA da impegnarsi in una guerra che, se anche fosse vinta, sarebbe disastrosa per tutti.

COREA DEL NORD
Kim sta approfittando della politica euroamericana in Ucraina per sbarazzarsi delle sanzioni (cui avevano aderito anche Russia e Cina) ed entrare nel club degli alleati di una Cina sulla via dell’egemonia mondiale (sperano loro).
Il fatto che, secondo fonti russe, il materiale che stanno fornendo a Putin faccia schifo al punto di essere pericoloso per chi lo usa non ha importanza: la Corea del Nord non è più uno stato paria e può quindi attingere a sempre maggiori fonti di componenti e tecnologie per migliorare le proprie smisurate forze armate in vista della resa dei conti con Seul.
La corolla di stati satelliti intorno alla Cina si rafforza man mano che quella intorno agli USA si indebolisce. Un processo già in corso da qualche anno che Trump promette di accelerare.

INDIA
Fin dalla sua indipendenza nel 1947 l’India si è tenuta accuratamente neutrale. Agli stretti rapporti con Mosca hanno infatti sempre fatto da contraltare i cordiali rapporti con Londra e Washington. Persa definitivamente la gara per il ruolo di “gigante asiatico”, l’India si barcamena ora fra Cina e USA.
Con la prima l’accomuna il desiderio di affrancarsi almeno in parte dell’egemonia del dollaro, ma la separano la storica conflittualità sul confine himalaiano (in parte recentissimamente risolto), la protezione finora accordata al governo tibetano in esilio e la stretta alleanza fra Cina e Pakistan, arcinemico dell’India. Ancor più ora che Modi ha adottato una politica apertamente anti-islamica e nazionalista hindu.
Così, mentre l’India partecipa alle riunioni dei “BRICS” (sempre più un club filocinese), contemporaneamente partecipa ad esercitazioni congiunte con la flotta americana in funzione apertamente anti-cinese. Se, come è probabile, la tensione fra i due giganti crescerà, l’India potrebbe diventare l’ago della bilancia. Resterà neutrale oppure sceglierà una parte? E se sì, quale? Vedremo.

AFRICA
Da buon bancarottiere, Trump si illude di poter rilanciare la tradizionale politica neocoloniale americana di scalzare gli europei dalle loro ex-colonie per subentrare con contratti ed accordi a loro vantaggiosi.
Una politica che ha funzionato per decenni, culminata nel 1956 con la “crisi di Suez”, quando gli americani consegnarono il canale di Suez ai russi, pur di sottrarlo agli anglo-francesi.
Ma il contesto è cambiato. Adesso gli americani non hanno più a che fare con paesi piccoli e sfiniti, dipendenti da loro per la propria sopravvivenza, bensì con una superpotenza che, sia pure in seria difficoltà, dispone dei mezzi per sedurre e corrompere le élite africane ben più degli USA, chiaramente in declino. >>

JACOPO SIMONETTA

lunedì 16 dicembre 2024

Abbasso la Squola – (5)

Quinto post dedicato ai problemi della scuola italiana (ma non solo), con brevi digressioni su altri argomenti strettamente correlati, come l'apprendimento e l'educazione.
Le prospettive future appaiono sconfortanti, anche perchè non si vede traccia di un'inversione di tendenza.
LUMEN


INFORMAZIONI INUTILI
<< La scuola inonda i ragazzi di informazioni che NON SERVONO a prendere decisioni utili per loro stessi, omettendo sistematicamente tutte quelle utili.
Il risultato e’ un cittadino confuso, che non sa distinguere un dato utile da un dato inutile. (…)
Lo scopo non e’ solo quello di costruirsi un filtro anti-bufale: anche avute le informazioni rilevanti e veritiere, occorre metterle insieme con un metodo affidabile per costruire una decisione.
Ma anche in questo caso, la scuola avra’ riempito la testa degli studenti di nichilismo, idealismo, lullismo, platonismo, aristotelismo, marxismo, che a volte contengono regole logiche, ma non metodi sistematici per prendere decisioni.
Cosi’ si ottiene un cittadino che non sa quali informazioni scegliere nel fiume che gli viene vomitato addosso, e quando si trova con un problema si ferma perche’: non e’ sicuro di avere le informazioni giuste e non e’ sicuro che il metodo che usa funzioni.
Un cittadino che non si ritiene in grado di prendere una decisione e’ il cittadino perfetto di qualsiasi governo voglia prendere le decisioni AL POSTO SUO. (…)
Che e’, appunto, il motivo per il quale il governo impartisce loro questa educazione.
Insegnare confusione e inutilita’ e’ il modo attraverso il quale il governo tiene il cittadino in modalita’ imitativa , cosa che consente al governo di prendere decisioni prive di resistenza.
URIEL FANELLI


SOCIAL MEDIA
L’antropologo Walter Ong, nella sua celebre opera “Oralità e scrittura”, sostiene che i media elettronici comportino una modalità conoscitiva di tipo percettivo, analogico e olistico, tipica della tradizione orale, mentre la lettura alfabetica avanza invece analiticamente, secondo la linea stabilita dal testo, con possibilità di soffermarsi e di ritornare indietro, necessitando quindi un impegno di rielaborazione simbolica più complesso.
Cambia quindi il grado di focus mentale richiesto, poiché la lettura implica attenzione alta unitamente a un pensiero più razionale, analitico e penetrante, mentre il focus basso, che caratterizzerebbe l’oralità ‘di ritorno’ o ‘secondaria’ del digitale, si accompagna ad una maggiore rilassatezza e a un tipo di pensiero più diffuso e orientato all’associatività.
‘Focus basso’, di per sé, non è sinonimo di ‘rincretinimento’.
Lo diventa nel momento in cui l’oralità secondaria viene egemonizzata da coloro interessati a diffondere solo determinati contenuti e comportamenti sociali, grazie a una posizione dominante all’interno delle piattaforme, ma anche perché gli esponenti della cultura ‘libresca’ la rifiutano sdegnosi.
IGOR GIUSSANI


INTELLIGENZA E LINGUAGGIO
Il Quoziente Intellettivo medio della popolazione mondiale sta diminuendo e una delle cause è l'impoverimento del linguaggio.
Diversi studi dimostrano infatti la correlazione tra la diminuzione della conoscenza lessicale (e l'impoverimento della lingua) e la capacità di elaborare e formulare un pensiero complesso.
La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento: incapace di proiezioni nel tempo.
Meno parole e meno verbi coniugati implicano meno capacità di esprimere le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero, perché più povero è il linguaggio, più il pensiero è scarno.
CHRISTOPHE CLAVE'


LA CRISI DELL'EDUCAZIONE
Il problema principale è che viviamo in una società ineducata. Si, anche maleducata, ma soprattutto ineducata; ossia nessuno avverte il dovere, il diritto, l’obbligo di educare e di essere educato.
Ciascuno ritiene di essere autonomo, autosufficiente, sin da piccolo; ogni tentativo di educare è visto come un plagio, una sottomissione, una coercizione; comunque una limitazione alla libertà, una mancanza di rispetto della personalità, anche quella in fieri di un ragazzino; insomma non un prendersi cura, ma un abuso sui sacrosanti diritti di essere quel che vogliamo essere.
Non si può nemmeno provare a dirla, quella parola – educazione – e ti sfilano davanti le immagini di regimi autoritari se non totalitari, dispotismi del passato o sistemi patriarcali, paternalistici ormai sepolti nel passato.
Ma come “non si nasce imparati”, così non si nasce educati; e non può bastare una forma di auto-educazione; contano i saperi, le esperienze, i ruoli, i confronti e le responsabilità.
Tutto questo dà autorevolezza e anche, non spaventatevi, autorità, di cui abbiamo bisogno almeno quanto il suo contrario, l’autonomia.
MARCELLO VENEZIANI

mercoledì 11 dicembre 2024

Alle radici del Populismo

Vi sono dei movimenti politici particolari, definiti 'populisti', che sorgono soprattutto nei momenti di crisi ed hanno caratteristiche peculiari, perchè non seguono la tradizionale distinzione tra destra e sinistra.
La storia ce ne ha fornito numerosi esempi ed anche oggi movimenti di questo tipo compaiono in varie zone del mondo.
A questo argomento è dedicato il post che segue, scritto a sei mani da R. Rojas, S. Mazzolini e J. Custodi, e tratto dal sito di Sollevazione,
LUMEN



<< Ernesto Laclau definisce il populismo come la costruzione di una frontiera che polarizza la società attorno a un unico antagonismo: il popolo contro un nemico, accusato di frustrare sistematicamente le sue richieste.

Un’operazione politica populista cerca quindi di unificare queste lamentele popolari, che possono essere molto diverse tra loro e che hanno poco a che fare l’una con l’altra. Come? Facendo leva sulla loro caratteristica comune: il confronto faccia a faccia con l’élite.

Quando questi gruppi così diversi hanno un nemico comune, smettono di vedersi come diversi e questo genera una nuova identità popolare: una nuova soggettività politica che prima sembrava impossibile a causa delle loro differenze interne. Le crisi politiche, economiche o sociali aiutano naturalmente in questo processo. Favoriscono il malcontento popolare, fornendo un terreno fertile per la creazione di un’opposizione frontale all’establishment.

Ciò implica due cose. In primo luogo, le caratteristiche specifiche di ciascun gruppo devono essere messe da parte, almeno in una certa misura, per consentire l’emergere di questa nuova identità condivisa. In secondo luogo, chiunque aspiri a guidare il popolo deve essere identificabile come suo rappresentante.

Anche per questo motivo, chi aspira a tale leadership deve minimizzare i propri tratti specifici, mantenere un certo grado di ambiguità e scegliere con cura le caratteristiche che adotta se vuole diventare il simbolo di una comunità così ampia e diversificata, quindi non ben definita — il cosiddetto “significante vuoto” nella terminologia di Laclau.

Karl Marx sapeva già che non basta difendere gli “interessi” di qualcuno affinché si identifichi con l’opzione politica che si vuole rappresentare. (...)

Quando parliamo di “establishment”, immaginiamo un mondo fatto di pavimenti in moquette, abiti ben stirati, linguaggio educato e maniere impeccabili che si addicono a un presidente. Questo è ciò che il politologo Pierre Ostiguy chiama la dimensione “alta” della politica.

Nei periodi di stabilità, quando i governi soddisfano sufficientemente le richieste popolari per essere considerati legittimi, queste forme e questa etichetta sono ciò che ci si aspetta da un leader politico. Ma, come sostiene Ostiguy, quando lo status quo perde legittimità, i nuovi leader tendono ad allontanarsi da questa immagine e a incarnare la dimensione popolare. Al suo posto, optano per un’orgogliosa esibizione del “basso”, della plebe (che, ovviamente, varia da Paese a Paese).

Di conseguenza, una strategia populista comporta non solo un livello descrittivo (cioè l’articolazione di richieste non soddisfatte in una nuova identità e l’identificazione di un nemico comune), ma anche un livello performativo: il “popolo” deve sentirsi rappresentato nei modi, nei modi di parlare e di agire del presunto leader, non solo nel contenuto letterale del suo discorso.

Lo vediamo in leader attuali come Donald Trump, Jair Bolsonaro, Javier Milei, Andrés Manuel López Obrador o il defunto Hugo Chávez, famosi per il loro modo di parlare rude e diretto, senza ammorbidire o trattenere le dichiarazioni controverse.

Questa identificazione con un leader o un progetto politico richiama le riflessioni freudiane sul super-io. Il soggetto con cui ci identifichiamo politicamente ha una doppia natura: deve essere irraggiungibile e imitabile allo stesso tempo. Irraggiungibile perché è sempre fuori dalla nostra portata: proprio per questo può funzionare come ideale morale.

Tuttavia, deve anche essere abbastanza vicino a noi per essere imitabile e soddisfare così il nostro bisogno di sentirci bene con noi stessi, con la nostra immagine, attraverso l’identificazione con quel leader (ciò che Freud chiamava “soddisfazione narcisistica”).

Cosa succede quando questo non accade, quando un modello diventa irraggiungibile? Inizia a diventare un mero elemento repressivo: genera sentimenti di inferiorità e frustrazione. Rispetto a lui sono carente, cattivo, stupido, pigro, irresponsabile... (a seconda dei valori incarnati da quell’ideale). Così, a lungo andare, il desiderio di imitare questo modello svanisce perché non porta benefici psicologici e la superiorità di chi “sta sopra” non viene riconosciuta come giusta. Emerge quindi lo spazio politico per nuovi leader.

Questo, secondo Freud, è ciò che spiega la psicologia di massa: la collettività trova nel suo leader carismatico una sorta di super-io comune esteriorizzato e incarnato. È qualcuno da imitare e nel cui riflesso ci si sente meglio che in qualche precedente specchio morale.

Ad esempio, la crisi del 2008 e la successiva recessione hanno condannato milioni di persone a vedersi come dei falliti, che avevano vissuto al di sopra delle proprie possibilità e che erano responsabili della propria improvvisa rovina.

Era solo questione di tempo prima che emergessero leader di entrambi gli schieramenti politici per offrire nuovi quadri di riferimento che permettessero alle persone di reinterpretare il proprio destino in modo da placare il senso di colpa e la frustrazione.

Come sostiene Thomas Piketty in 'Capitale e ideologia', la composizione socio-demografica della sinistra occidentale è cambiata molto dagli anni Settanta. Fino ad allora, essa si rivolgeva principalmente alla classe operaia, da cui riceveva il principale sostegno elettorale, mentre la destra si rivolgeva e faceva leva sulle élite economiche e culturali.

Negli ultimi anni, però, la tendenza è cambiata. La destra ha continuato a fare appello alle élite economiche, la sinistra si è rivolta sempre più alle élite culturali e la classe operaia manuale è caduta nell’astensione, almeno fino agli ultimi anni, quando il populismo di destra ha iniziato a raccogliere quel voto abbandonato. (...)

Come hanno sostenuto Pierre Bourdieu e Jean-Claude Passeron, le élite mantengono il loro status accumulando “beni di distinzione” che permettono loro di essere visti come esclusivi, diversi e speciali (non volgari).

Nel caso dei beni materiali, questa esclusività è garantita da prezzi molto elevati. Nel caso dei beni culturali è assicurata rendendoli difficili da capire, anche se questo non significa che le élite culturali limitino deliberatamente e premeditatamente l’accesso alla cultura.

Perché? Perché questa ritualizzazione della cultura, che la rende inaccessibile (incomprensibile) alla maggioranza, viene appresa insieme all’acquisizione della cultura stessa. Tutte le élite acquisiscono, di solito fin dall’infanzia, modi di agire che le differenziano dal resto della popolazione, come i modi educati di parlare, di mangiare a tavola, persino di camminare o di sedersi in una sala d’attesa. Questo è ciò che Bourdieu chiama habitus.

Così, quando si acquisisce una cultura, ad esempio all’università, la si acquisisce insieme al modo in cui viene formulata, in modo che venga naturalmente (non premeditatamente) riformulata nello stesso modo in seguito. E questa è una modalità (soprattutto nelle scienze umane e sociali) che spesso è oscura.

Ovviamente, l'elitarismo culturale non equivale all'elitarismo economico e l’appartenenza all’élite culturale non è affatto una garanzia di ricchezza economica, soprattutto nel mondo di oggi. Ma gioca un ruolo importante nella non identificazione tra persone che possono avere bassi mezzi economici ma un diverso capitale culturale. >>

ROJAS, MAZZOLINI, CUSTODI

giovedì 5 dicembre 2024

Pensierini – LXXX

DISCRIMINARE
Uno dei messaggi sociali più ripetuti e martellanti di questi ultimi anni è che non bisogna mai discriminare nessuno.
Il precetto è sicuramente improntato alle migliori intenzioni ed appare condivisibile, ma solleva un problema importante.
Perchè 'discriminare' vuol dire 'scegliere', e la nostra vita è fatta continuamente di scelte, ripetute ed inevitabili, sulle persone e sulle cose.
Posso acquistare il prodotto X o il prodotto Y, e quando scelgo X sto discriminando il fabbricante del prodotto Y.
Posso decidere di avere un rapporto di amicizia (o di lavoro, o sentimentale, o quel che volete voi) con la persona X o con la persona Y, e quando decido di scegliere la persona X sto discriminando la persona Y. E così via.
Come se ne esce ?
Una soluzione ottimale, con le persone, forse non esiste, ma è possibile usare una prudente 'via di mezzo'.
Una via che ci invita ad evitare le discriminazioni a priori, cioè per categorie, ma ci consente di continuare a scegliere (e quindi inevitabilmente a discriminare) tra le singole persone, dopo averle conosciute.
E questo, senza dover dare nessuna spiegazione né giustificazione, perchè ogni scelta è una semplice manifestazione della nostra autonomia.
LUMEN


LA GUERRA IN SINTESI
I potenti fanno fare la guerra, perchè ne hanno un tornaconto.
I violenti fanno la guerra, perchè gli piace.
Gli ingenui vanno in guerra (da volontari) per esaltazione ideologica.
Tutti gli altri, invece, la guerra la subiscono soltanto, perchè non possono fare diversamente.
LUMEN


LA SCOMMESSA DI PASCAL
A proposito della famosa scommessa di Pascal circa l'esistenza di Dio, c'è una considerazione importante da fare, che non riguarda soltanto gli atei.
Ed è questa: anche se Dio esistesse, non potrebbe essere quello che ci raccontano le varie religioni, perchè, essendo tutte irrimediabilmente contraddittorie, sono anche inevitabilmente false.
Ne consegue che, se volessimo onorare Dio, non sapremmo in base a quel regole farlo, salvo che non decida lui stesso di comunicare direttamente con noi.
Ma se questo non succede, Lui non potrà mai condannarci per l'eternità (alla pena dell'inferno o altre simili), perchè non avremmo nessuna colpa nei suoi confronti.
Con buona pace di Pascal.
LUMEN


RINUNCIARE
Una delle battute più famose dell'Amleto di Shakespeare è quella in cui il principe dice al suo più caro amico: “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia”.
La frase è diventa (giustamente) famosa e viene citata spesso per indicare i limiti della conoscenza umana.
A me però non piace, perchè trasmette un senso di impotenza, di resa, di rinuncia ad investigare la natura ed il mondo in cui viviamo.
Ora, io posso accettare senza problemi la rinuncia ad 'agire', perchè vi sono molte situazioni in cui questo è difficile, inutile o controproducente, ma non posso accettare a priori la rinuncia al sapere ed alla conoscenza.
Forse la frase aveva un senso nel '600, quando la scienza era ancora agli albori, ma oggi non ce l'ha più.
LUMEN


MONDO VARIO
Si dice comunemente che 'il mondo è bello perchè è vario', ed è vero (che sia vario; che sia anche bello se ne può discutere).
Ma se le manifestazioni sono molto diverse, tutte sono legate allo stesso meccanismo: la gente vuole essere appagata e felice, e per essere felice deve fare qualcosa per sentirsi superiore.
Però i modi e le forme in cui questo può realizzarsi sono incredibilmente varie e questo spiega le mille differenze tra le persone.
Qui si vede, tra l'altro, la differenza, socialmente importantissima, tra chi cerca la superiorità con la bontà e chi con la cattiveria, chi con l'intelligenza e chi con la stupidità, chi con la conoscenza e chi con l'ignoranza.
Ma alla base c'è sempre lo stesso meccanismo antropologico.
LUMEN

venerdì 29 novembre 2024

Le origini della Guerra

Il post di oggi è dedicato ad un recente saggio di antropologia, scritto da Harald Meller, Kai Michel e Carel van Schaik, intitolato “L'evoluzione della violenza. Perché vogliamo la pace, ma facciamo le guerre”.
Il testo, tratto dal quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung (NZZ), mi è stato mandato dall'amico Sergio Pastore, che ringrazio.
Si tratta di un argomento di grande interesse, non solo a livello storico, ma anche sociale, che può aiutarci a capire meglio il nostro presente ed il nostro futuro.
LUMEN


<< La guerra non è geneticamente determinata, è un fenomeno tardivo ed eccezionale nella storia umana”, dicono un biologo evoluzionista – Carel van Schaik - e uno storico – Kai Michel. Fino a quando gli esseri umani non divennero stanziali nel Neolitico erano pacifici e cooperativi. Da quel momento è esplosa la violenza collettiva, anche a causa del patriarcato. Ma in una prospettiva evolutiva siamo sulla strada giusta per ridiventare pacifici.

In un libro recentemente pubblicato [con Harald Meller], i due autori espongono questa tesi in modo accattivante e convincente. Naturalmente non pochi troveranno l’associazione di guerra e cultura paradossale come pure poco credibile la fine di tutte le guerre. Ma andiamo con ordine.

Che la guerra sia un fenomeno culturale può suonare strano. Per Hobbes la storia dell’umanità è caratterizzata da guerre continue che hanno o avrebbero una causa precisa nella genetica. Secondo Hobbes l’uomo (ominidi, H. erectus, Habilis, Neanderthalensis, Sapiens) sono esseri aggressivi che sono stati costantemente in guerra.

Questa tesi non è però suffragata da evidenti prove. Hobbes partiva dalla sua esperienza e dalle fonti a cui attingeva (per es. a Tucidide): la guerra era per lui una costante nella storia dell’uomo, la triste realtà era: homo homini lupus. Il Sapiens popola la Terra da 250'000 anni, ma notizie attendibili e anche certe sul suo sviluppo si hanno solo a partire dagli ultimi 5000 anni.

Per le epoche precedenti possiamo però avanzare alcune ipotesi basandoci sui ritrovamenti, sull’archeologia e recentemente anche sull’etnografia. Se si eccettuano i casi di violenza individuale, sempre esistiti, il quadro che si può delineare non è proprio quello di una guerra continua tra gli esseri umani.

Il primo omicidio accertato avvenne 430'000 anni fa, ma casi come questo furono sicuramente rari: non vi è alcuna prova di violenza collettiva, cioè di guerre tra gruppi, per il periodo più lungo dell’evoluzione. Il più antico massacro identificato con certezza ebbe luogo 13.400 anni fa sul Nilo a Jebel Sahaba, nell'attuale Sudan, il secondo 10.000 anni fa a Nataruk in Kenya.

Dopo la fine dell’era glaciale cacciatori e raccoglitori cominciano a sfruttare le ricche risorse in riva a laghi e fiumi. Lavoravano la terra, ma ne negavano l’accesso ad altri gruppi. 

Si tratta di una innovazione nella storia umana: per la prima volta dei gruppi monopolizzano la terra e la dichiarano di loro proprietà, cosa che irrita gli esclusi che provano invidia e desiderio dei beni accumulati da altri. Il nuovo stile di vita si affermò solo nel Neolitico, iniziato nell’Europa centrale 7.500 anni fa. E con esso arriva la guerra.

Con gli stanziamenti nascono l’agricoltura, l’allevamento del bestiame, la ricchezza e la disuguaglianza. All'improvviso gli umani hanno qualcosa da perdere che devono proteggere. Si formano dei clan e oggi gli archeologi come Harald Meller si imbattono regolarmente in fosse comuni. Il nuovo stile di vita fece aumentare enormemente la popolazione e poiché la terra fertile era scarsa, sorsero rapidamente conflitti.

​“La particolarità del nostro approccio – dicono gli studiosi - è che noi tre combiniamo biologia evoluzionistica, archeologia e studi culturali e includiamo anche l'etnografia. Per molto tempo nella storia umana non abbiamo trovato fortificazioni, né armi progettate specificatamente per uccidere altri individui e le pitture rupestri non mostrano scene di violenza. Tutto ciò appare dal Neolitico in poi e diventa normale nei primi stati dispotici che nascono.”

Nel Neolitico appare anche il patriarcato: dominio maschile e guerra si manifestano contemporaneamente e una volta che la guerra si è instaurata come metodo di soluzione dei conflitti non c’è più scampo.

Ma nonostante le guerre attuali, possiamo dire che siamo già sulla strada giusta. Almeno socialmente ed eticamente stiamo diventando di nuovo cacciatori e raccoglitori, cioè più pacifici e cooperativi. Almeno in Occidente c’è più uguaglianza e democrazia.

Fino al XIX secolo inoltrato la schiavitù era considerata del tutto naturale. Ma poi ci si rese conto che era assolutamente disumana. La schiavitù era vantaggiosa solo per i proprietari di schiavi, così come le guerre lo sono per i regnanti e i potenti. Così come il fenomeno culturale della schiavitù è stato cancellato, lo sarà anche il fenomeno culturale della guerra se scacceremo i despoti, gli autocrati e i signori della guerra.

L’enorme sviluppo demografico – siamo passati dai tre miliardi degli Anni Settanta agli otto miliardi attuali, in appena cinquant’anni – potrebbe facilitare paradossalmente uno sviluppo pacifico. Se da un lato l’esplosione demografica ha risvolti preoccupanti per l’ambiente l’interdipendenza di tutti gli Stati può favorire il passaggio a un’era pacifica. Si avvererebbe il detto secondo il quale dove passano le merci non passano gli eserciti. Salvo imprevisti. >>

NEUE ZURCHER ZEITUNG (NZZ)

domenica 24 novembre 2024

Punti di Vista – 38

MUSSOLINI E GLI ITALIANI
Giordano Bruno Guerri, nel suo [libro] “Benito”, riprende una tesi a lungo rimossa: gli italiani furono mussoliniani, non fascisti; in lui si identificavano come in un superuomo che chiamavano familiarmente Benito.
Insomma non l’ideologia, la fede politica, il regime permeò gli italiani ma il mito del duce, che era la gigantografia delle loro aspirazioni. (...)
Perché gli italiani furono più mussoliniani che fascisti? Ce lo aveva spiegato alcuni anni prima un grande psicologo delle folle, Gustave Le Bon, che Mussolini leggeva e ammirava, considerando quel suo saggio “un’opera capitale”.
Per Le Bon le folle, soprattutto latine, sono femmine, hanno bisogno di un Capo, di un Gallo nel pollaio, insomma di un dittatore che li seduca e sconfigga i nemici di dentro e di fuori. Erano affascinati dalla sua figura, il suo corpo, il suo volto, la sua voce, i suoi comandi.
A quest’indole delle folle va aggiunta la mitologia del Monarca, del Principe, del Sovrano decisore, stratificata nei secoli. Ma come voleva ormai l’epoca delle masse, un Re non più per ragioni ereditarie e dinastiche ma selezionato sul campo e in trincea, venuto dal popolo, che conquista con la sua forza e la sua volontà, il dominio e lo esercita da vero Capo.
Una specie di monarchia popolare, se non socialista, in cui il capo è un arcitaliano, per dirla con Curzio Malaparte, ovvero è il potenziamento, la versione in grande, dell’italiano comune. Identificazione e proiezione, al tempo stesso, di un popolo nel suo Capo.
MARCELLO VENEZIANI


GUERRA E COSTITUZIONE
[Vorrei] ricordare che la Costituzione della Repubblica Italiana ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
E che è in corso una controversia internazionale tra l'Ucraina e la Russia.
Ne consegue che qualunque politico italiano dica che questa controversia internazionale debba essere risolta inviando dei materiali bellici a Kiev sta violando la Costituzione Italiana. Tutto qui.
Se poi i nostri politici ritengono di dover fare ciò che dice Biden e non quello che detta la nostra Costituzione, beh, facciano pure. Non ho problemi con questi traditori della Cosituzione Italiana. Rispetto tutti.
ALESSANDRO ORSINI


I LAMENTI DELLA SINISTRA
Oggi come oggi, morto il comunismo, e morto perfino Karl Marx, un programma di sinistra non esiste più, né c’è spazio finanziario per i sogni.
Ma molte parti di quell’antico programma sono penetrate così profondamente nell’animo di tutti, da sembrare dogmi indiscutibili.
È obbligatorio il pacifismo irenico. I lavoratori hanno sempre ragione. Se i giovani sbagliano è colpa degli adulti. Se i ragazzi sono analfabeti non è colpa loro, è colpa della scuola (che li promuove per giunta). Bisogna fare ciò che è giusto e il costo non importa: qualcuno pagherà.
Gli emarginati più sono infingardi, ignoranti e poveri, e più bisogna aiutarli. Vale anche per i giovani delinquenti. E, all’occasione, assassini, per vedere di nascosto l'effetto che fa.
GIANNI PARDO


DIFFERENZE DI POTENZIALE
Il nostro universo funziona sulla base della differenza di potenziale.
Quindi la vita, che le cose accadano, che si trasformino una nell’altra, che percepiamo lo scorrere del tempo, dipendono proprio dalla differenza tra un punto e un altro e in queste differenze c’è anche il ricco e il povero, il satollo e l’affamato, chi affoga e chi muore di sete.
All’inverso, l’idea di “equalizzare” cose e persone, rendere tutto “uguale”, non solo è priva di senso perché nessuno mai ha saputo come fare, a parte raccontare un sacco di balle come la “collettivizzazione dei mezzi di produzione”, è priva di senso perché è meccanicamente impossibile, stante la ragione di cui sopra.
Le cose “uguali” sono morte e quando “ugualizzi” uccidi, annienti, cancelli.(...)
La vita cerca di espandersi il più possibile, fino a che non incontra un limite invalicabile e la nostra specie ha avuto più successo di altre, diventando endemica, perché tramite la tecnologia è stata capace di valicare qualsiasi limite che si è trovata davanti.
Valicare i limiti significa essere sempre in movimento e avere sempre “fame”. Fame di grano come fame di ferro e di carbone. Fame di acqua come fame di legno e di pietra, di terra coltivabile, di climi temperati.(...)
Quindi, la “fame” non si può eliminare. Non solo non si può eliminare, ma provarci significa seminare morte e distruzione, cancellare la vita invece di crearla.
Quello che possiamo fare è applicare l’intelligenza al discorso di cui sopra della continua espansione, perché fatti non fummo a viver come bruti. Quindi avremmo sempre fame, però possiamo scegliere cosa mangiare e quanto mangiarne. Il “cosa” e il “quanto” sono la chiave di tutto il discorso.(...)
Comunque, ci sarà sempre il povero e il ricco, il sano e il malato, il vivo e il morto.
NOVE (dal sito ERETICAMENTE)
 

domenica 17 novembre 2024

Il Sapiens di Neanderthal

Tra l'antico Homo Sapiens, progenitore dell'odierna umanità, e l'uomo di Neanderthal ci furono sicuramente molti contatti e rapporti, ma sulla loro natura gli antropologi non sono del tutto concordi.
Il post di oggi tratta appunto di questo argomento, con due brani di Pietro Melis tratti dal suo blog.
Lo stile è quello polemico e provocatorio tipico del personaggio, ma l'argomento è senza dubbio interessante.
LUMEN


<< In una trasmissione di Alberto Angela (Ulisse) è stato (,,,) opposto l'uomo di Neanderthal al succesivo Sapiens, come se il Neanderthal non fosse stato anch'esso un Homo sapiens. La contrapposizione di fatto non esiste, perché quello che Angela ha sempre definito Sapiens è in realtà il 'Sapiens Sapiens' e non il Sapiens.

Il Sapiens di Neanderthal aveva un volume del cervello di circa 1400 cm cubici, mentre il Sapiens sapiens, da cui derivò tutta l'umanità successiva, aveva un volume di circa 1200 cm cubici. Angela avrebbe dovuto spiegare che non è tanto il volume del cervello che fa l'intelligenza del cervello (altrimenti l'elefante avrebbe un'intelligenza superiore a quella umana) ma il numero dei neuroni e delle sinapsi (collegamenti tra i neuroni).

Angela ha riproposto la vecchia domanda: perché è avvenuta l'estinzione del Neanderthal? Su questo punto la sua esposizione è stata del tutto contraddittoria.

Egli ha affacciato la tesi secondo cui il sapiens sapiens, comparso circa 100 mila anni fa, e poi diffusosi prima nel Medioriente e poi in Asia, sino ad arrivare nelle Americhe quando lo stretto di Bering era unito alle Americhe, avrebbe costretto il Neanderthal in spazi molto ristretti in un 'Europa glaciale, venendo in contrasto con il Neanderthal per motivi di sopravvivenza, sino a forme di cannibalismo da parte del sapiens sapiens ai danni del Neanderthal.

La tesi più scientificamente accreditata è invece quella che induce a pensare che il Neanderthal si sia estinto circa 40.000 anni fa a causa della glaciazione che avvenne in Europa nell'arco di 10.000 anni e che nel frattempo si sia incrociato con il sapiens sapiens, e che dunque l'estinzione del Neanderthal sia stata solo apparente o parziale.

D'altra parte lo stesso Angela, alla fine dell'esposizione (...), ha detto che ancor oggi il 3% dei geni della popolazione attuale è costituita da geni del Neanderthal.

Inoltre come poteva esserci stata una guerra tra sapiens sapiens e sapiens Neanderthal se la popolazione terrestre di allora (non citata da Angela) è stata calcolata non superiore al milione? In rapporto a questa popolazione è difficile affermare che vi potesse essere stata una rivalità tra le due specie di sapiens. Le guerre sono sempre esistite come guerre di conquista di territori. Ma con una popolazione di appena un milione di abitanti umani come potevano esistere guerre tra le due specie di sapiens?

Tanto più che resti fossili del sapiens di Neanderthal sono stati trovati non soltanto a Neanderthal (una regione occidentale dell'attuale Germania) ma anche nel Medioriente, da cui il Neanderthal si sarebbe spostato in Europa. Anche per questo è da escludere che il sapiens sapiens sia stato la causa dell'apparente estinzione del Neanderthal.

L'unica cosa di nuovo che ho imparato (ammesso che la cosa sia scientificamente provata) è che il sapiens sapiens abbia sviluppato una maggiore intelligenza sulla base di una dieta, non basata sulla carne, come spesso è stato detto, ma su una dieta basata su molluschi di mare da quando il sapiens sapiens, prima di emigrare dall'Africa, si affacciò alle coste del Sudafrica. (…)

Per sostenere la tesi che il sapiens sapiens sia stato la causa dell'estinzione del Neanderthal Angela è giunto a dire che dai resti degli scheletri dei Neanderthal apparivano chiari segni di armi da taglio, che comproverebbero la morte violenta dei Neanderthal, ma poi, aggiungendo confusione, ha detto che non era da escludere che gli stessi Neanderthal si combattesero tra loro. E allora che c'entra il sapiens sapiens come causa dell'estinzione del Neanderthal? >>


<< Nonostante abbia dedicato molti anni allo studio dell'evoluzione biologica non ho potuto trarre da tali studi la spiegazione della causa della differenziazione delle razze.

Se è vero che la specie Homo deriva dall'Austrolophitecus e passò successivamente attraverso le fasi dell'Homo abilis, dell'Homo erectus, dell'Homo sapiens, dell'homo sapiens sapiens quando avvennero le diversità delle etnie che popolarono l'Europa e l'Asia? Non ho mai trovato la spiegazione del fatto che la specie Homo lasciando l'Africa cessò di appartenere al tipo negroide. Quando avvenne l'acquisizione degli occhi a mandorla in Cina e in altre parti dell'Asia?

Non mi soddisfa la spiegazione che fa riferimento all'ambiente. Dall'Africa l'Homo arrivò in Europa con il sapiens di Neanderthal e con il sapiens sapiens. Il sapiens di Neanderthal aveva un cranio di 1400 centimetri cubici mentre il cranio del sapiens sapiens dell'Europa, contemporaneo del sapiens di Neanderthal, aveva già allora un cranio di 1200 centimetri cubici.

Come mai è sparito il sapiens di Neanderthal? Non ho mai accettato la spiegazione che fa riferimento ad una lotta tra i due tipi di sapiens. Essendo le terre quasi disabitate gli spazi a disposizione dei due tipi di sapiens erano così grandi da consentire un insediamento pacifico.

Più verosimile è che il sapiens di Neanderthal si sia incrociato con il sapiens sapiens. E' stato infatti scoperto che nel DNA del sapiens sapiens è presente circa il 5% del DNA del sapiens di Neanderthal. Ma stupefacente è il fatto che questa piccola percentuale del DNA del sapiens di Neanderthal non sia presente nel DNA della popolazione negra dell'Africa. >>

PIETRO MELIS

lunedì 11 novembre 2024

Pensierini – LXXIX

ATEI RESIDUALI
A proposito della distinzione sociologica, considerata giustamente importante, tra 'atei' e 'credenti', qualcuno ha fatto notare che, a ben vedere, tutti i credenti religiosi sono atei: sono atei, infatti, con riferimento a tutti gli altri Dei, escluso il proprio.
La battuta peraltro è più divertente che centrata.
Perchè un conto è escludere alcuni Dei solo per credere in altri, ed un altro conto è escluderli tutti.
Passare da 99 'Divinità' a 1 sola è molto più facile che passare da 1 a 0.
Perchè nel primo caso si rimane comunque nell'ambito del pensiero magico, nel secondo, invece, se ne esce.
LUMEN


GIORNALISTI
Quali sono le caratteristiche fondamentali che fanno di un giornalista un 'grande giornalista' ?
Anzitutto deve essere capace di scrivere in modo non solo corretto, ma anche piacevole ed interessante. E' un talento alla portata di molti giornalisti, ma non di tutti.
Poi deve essere capace di cercare le informazioni che gli servono, ovunque si trovino, in modo da non commettere errori involontari. Oggi, con il web, è tutto più facile, ma occorre comunque una certa abilità.
Ma la dote più importante, quella decisiva che fa la differenza, è la capacità di sostenere in modo convincente qualsiasi tesi gli venga richiesta. Perchè nel giornalismo non è il lettore che ha sempre ragione, ma il committente, quello che mette i soldi.
Tutto il resto (compresa la famosa indipendenza di giudizio) è una cosa marginale.
LUMEN


GIUSTIZIA DISEGUALE
Molti ironizzano sulla frase che campeggia nei Tribunali, “La legge è uguale per tutti”, facendo notare i tanti errori, anche voluti, del nostro sistema giudiziario.
E' vero, i difetti della nostra giustizia sono parecchi, ma restiamo uno stato di diritto ed i meccanismi di base, bene o male, funzionano.
Nel mondo occidentale, gli unici privilegiati (quelli che riescono sempre a farla franca) sono soltanto gli appartenenti alle elites, ma questo è inevitabile ed accade in qualsiasi società.
Nei paesi a corruzione diffusa, invece, chiunque, a qualsiasi livello sociale, può essere portatore di qualche privilegio e quindi nessuno può essere sicuro di nulla.
Per fare un esempio: io so benissimo che se faccio causa ad un grande imprenditore o a un big della politica, perderò sempre; ma se faccio causa ad una persona comune come me, ed ho ragione, la vinco.
Nei paesi fortemente corrotti, invece, non posso mai essere sicuro di niente.
Questa mi sembra una differenza notevolissima.
LUMEN


EGOISMI
E' opinione comune che le persone di destra siano più egoiste, mentre quelle di sinistra sarebbero più altruiste.
In realtà l'egoismo è equamente distribuito da entrambe le parti, perchè tutti gli uomini sono egoisti (per legge di natura).
La differenza è solo di natura psicologica: le persone di destra sanno di essere egoiste e non gliene importa nulla; quelle di sinistra invece, se ne vergognano e quindi si inventano le motivazioni più fantasiose (purchè teoriche) per convincersi di essere buoni ed altruisti.
Ma quando si passa dalla teoria alla realtà, le differenze spariscono e tutti si comportano quasi allo stesso modo.
LUMEN


ORDINE PUBBLICO
Alcuni sociologi dicono che dobbiamo aspettarci un incremento della violenza sociale in Europa, per motivi collegati, direttamente o indirettamente, con l'aumento crescente degli immigrati.
Il problema mi sembra particolarmente grave in Italia, non solo perchè non ci siamo più abituati (siamo da decenni un paese pacifico), ma anche perchè non siamo preparati a contrastarlo, avendo deciso - per motivi ideologici - che il mantenimento dell'ordine pubblico è una manifestazione di pseudo-fascismo.
Quindi sono piuttosto pessimista al riguardo.
Certo, mantenere l'ordine pubblico presuppone inevitabilmente delle ingiustizie, perchè tutti gli agenti sono esseri umani con i loro difetti.
Ma questa è l'attività di gran lunga più importante che uno Stato deve garantire ai suoi cittadini.
A volte ce ne dimentichiamo, perchè vorremmo un mondo perfetto. Ma i mondi perfetti non esistono.
LUMEN

martedì 5 novembre 2024

Il paradosso della Verità

Da tempo sono giunto alla conclusione che la verità non è sempre un valore assoluto, in quanto ci sono verità utili e verità dannose.
Così, per esempio, poiché le strutture sociali sono fondate sull'inganno, non solo sarebbe dannoso far scoprire alla gente che il Re è nudo, ma sarebbe anche inutile, perchè verrebbe subito sostituito da un altro Re, con un altro vestito (anche se apparente).
In fondo la tragedia umana è proprio questa: si sente il bisogno di ricercare la verità, ma, quando la si è trovata, in molti casi ci si trova costretti a tenerla per sè.
A questo sconsolante paradosso è dedicato il post di oggi, scritto da Marco Pierfranceschi per il suo blog (Mammifero Bipede).
LUMEN


<< [Io] ho iniziato molto presto ad interrogarmi sulla verosimiglianza delle cose che mi venivano insegnate. Nella mia ansia di trovare un sistema possibilmente infallibile di discriminare il vero dal falso mi sono imbattuto nel Metodo Scientifico, e ne sono divenuto un convinto assertore.

La sua formulazione, in estrema sintesi, è che tutti sperimentiamo una realtà oggettiva, i cui dettagli possono essere definiti per mezzo di esperienze (esperimenti) replicabili da chiunque. La realtà non è quindi un’esperienza individuale, solipsistica, bensì una dimensione comune, condivisa, che evolve per mezzo di relazioni causa/effetto.

Ne discende la prospettiva di un Universo totalmente indifferente alle passioni umane, dominato dal caso e dalla necessità, all’interno del quale le esistenze individuali sono solo un evento incidentale ed estemporaneo.

Non esattamente quello che a persone variamente sofferenti piace sentirsi raccontare. Il tutto può essere sintetizzato in una battuta (non mia) a cui ricorro spesso per evitare di dare risposte sgradite a domande spiacevoli: “preferisci una pietosa bugia o la cruda verità?”

Sta di fatto che la ‘cruda verità’ finisce con l’essere un’esigenza puramente intellettuale. Un lusso ben distante dalla domanda di ‘utilità’ che contraddistingue la condizione umana. Le nostre necessità individuali rappresentano la priorità: nutrirci, star bene, sopravvivere, riprodurci. Se una verità è in linea con queste esigenze, se ci è utile, allora rappresenta un valore, in caso contrario diventa un peso dal quale è preferibile disfarsi.

Lo sviluppo cognitivo all’interno dei meccanismi evolutivi ha portato con sé l’emergere di una condizione indesiderata, la sofferenza psichica. È una dinamica emotiva che condividiamo con le altre specie sociali: il nostro benessere dipende dalla presenza e vicinanza dei nostri simili, con i quali stabiliamo legami affettivi.

È il ‘rovescio della medaglia’ del vantaggio significativo consistente nel far parte di un organismo sociale. Il gruppo è più forte ed efficace rispetto ai singoli individui, offrendo maggiori possibilità di sopravvivenza.

Per contro, la perdita di un membro del gruppo genera nell’individuo una sofferenza psichica, che necessita di un sollievo. In questo contesto la semplice ‘verità’ può fare ben poco.

Nella nostra specie è poi presente una ulteriore aggravante: la consapevolezza dei processi biologici. Sappiamo che la nostra parabola vitale consiste di giovinezza, età matura, vecchiaia e morte, e questa prospettiva non ci è gradita (il fatto che non ci piaccia l’idea di morire, o di veder morire gli altri, discende da tutta una serie di processi mentali irrazionali che raccogliamo nella definizione di ‘istinto di sopravvivenza’).

In diversi momenti della nostra esistenza, sia la sofferenza per la perdita di persone care che la prospettiva di non poter guarire da una malattia, o in assoluto l’idea di smettere di esistere, possono indurre livelli soverchianti di sofferenza psichica, tali da sfociare in una condizione patologica detta ‘depressione’.

A differenza di altre patologie mentali, generate da una errata percezione della realtà, la depressione è legata alla perdita di quelle ‘stampelle psichiche’ irrazionali che utilizziamo per renderci sopportabile una realtà per molti versi spiacevole. Chiaramente, l’aggiunta di ulteriori ‘verità’, in questo tipo di situazioni, serve a poco se non a nulla. (...)

La conclusione cui sono pervenuto dopo lunghe analisi è che le società umane sono fondate su ‘Processi di Inganno’, sistemi di menzogne globalmente condivise che svolgono la funzione di facilitare i rapporti sociali, consolidare l’efficacia dell’azione collettiva e disinnescare le conflittualità tra individui e tra gruppi.

Accade poi che nella competizione su larga scala risultino premiate le collettività più aggressive, che potremmo definire come quelle capaci di realizzare il massimo sfruttamento degli individui. Siccome lo sfruttamento induce stress, affaticamento psichico, insoddisfazione e spinte disgreganti, queste pulsioni vengono equilibrate attraverso la diffusione, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, di visioni strumentali e spesso edulcorate della realtà.

Spingere fino ai limiti una collettività organizzata impiegando visioni ideologizzate, scollate dalla realtà, rappresenta una scommessa rischiosa. Nondimeno è quello che vediamo accadere nelle società più aggressive. Più aumenta lo sfruttamento, più risultano radicate ed invasive le sovrastrutture ideologiche, siano esse di natura teologica (evidenti nelle diverse teocrazie del Medio Oriente), edonistica (tipiche dei sistemi capitalistico/consumisti) o politica (specifiche dei paesi strutturati su modelli comunisti). (...)

Scegliere collettivamente un ‘basso profilo’, privilegiare il benessere reale delle persone rispetto a quello ‘percepito’, ridurre i livelli di stress della popolazione, comporta una perdita di aggressività, che può rendere la collettività stessa facile preda di vicini più disagiati, ideologizzati e bellicosi.

Cosa avviene quando un individuo viene messo di fronte ad una menzogna sulla quale ha basato molte delle proprie scelte di vita e di realizzazione personale? Ovviamente, niente di buono.

La reazione più diffusa consiste in un meccanismo psicologico di rifiuto. Nel difendere il proprio benessere psichico si finisce quindi col difendere, e giustificare, l’intero sistema di inganno attraverso il quale si viene sfruttati, in un perfetto esempio di ‘Sindrome di Stoccolma’. (...)

[Inoltre] le realtà fondate su sistemi organizzati di menzogne investono quantità enormi di risorse per propagare, capillarmente, le proprie visioni distorte della realtà, affinché vengano metabolizzate ed introiettate dalla popolazione. Le singole voci in controtendenza sono condannate all’irrilevanza. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

venerdì 1 novembre 2024

Appunti di Geo-Politica – 5

FILIERE INTERNAZIONALI
Il settore dell’energia, così come l’informatica, la microelettronica e tanti altri, prospera grazie a collaborazioni e joint venture internazionali le quali rischiano di rimanere vittime delle crescenti tensioni politiche tra stati che stanno creando una frattura profonda tra l’Occidente e i paesi afferenti ai BRICS.
Ad esempio, la Cina ha consolidato la leadership nel settore dei pannelli fotovoltaici monocristallini, mentre la UE ha da poco confermato l’intenzione di non sanzionare l’azienda russa ROSATOM a causa della forte dipendenza del comparto atomico europeo nei suoi confronti.
Se davvero Putin sta 'uccidendo' il sistema economico integrato a livello globale, potrebbe risultare molto complesso, se non impossibile, rilocalizzare efficacemente filiere produttive articolate in tutto il mondo, con pesanti ripercussioni per il mantenimento di tecnologie ritenute oramai ampiamente acquisite.
E mentre all’umanità urge approntare risorse utili prima di schiantarsi definitivamente contro gli scogli dei limiti dello sviluppo, è davvero triste che la priorità venga accordata ad armamenti e altri strumenti utili solo per aggravare il disastro.
IGOR GIUSSANI


RUSSIA E ARMAMENTI
[La Russia] – per ragioni inerenti anche al suo suolo e al suo clima – è povero e moderatamente industrializzato. I russi sono poco oltre 140 milioni, ma il PIL del Paese è inferiore a quello dell’Italia (60 milioni). (...)
E tuttavia questo Paese ha una monocultura di (relativo) successo: l’industria delle armi.
Per questo fatto le spiegazioni potrebbero essere molteplici, ma la più semplice è che si tratti di una scelta strategica, inerente ai principi fondamentali legati alla sopravvivenza della Federazione.
Da sempre la Russia teme di essere invasa e dominata (le è del resto avvenuto ripetutamente, data la sua mancanza di confini naturali); dunque avere molte armi e, se possibile di ultimo modello, è una garanzia di sopravvivenza. 
Riuscendo poi a venderle anche all’estero, si possono prendere due piccioni con una fava. (...)
[Inoltre] i russi credono solo alla forza e questa è una sfida alla storia. In particolare al detto francese secondo cui on peut tout faire avec des baïonnettes, sauf s’asseoir dessus: si può fare di tutto con le baionette, salvo sedercisi sopra.
Il senso è che vanno bene per una battaglia, ma non per la normalità. Se Roma è durata tredici secoli è perché, malgrado i suoi enormi difetti, godeva del consenso dei governati.
Se invece la Russia è stata odiata dovunque abbia posato gli stivali (nell’Est europeo per 40 anni e più) è chiaro che era sprovvista della saggezza di Roma. O di Londra, nell’Ottocento.
GIANNI PARDO


SALVARE L'EUROPA
Dopo aver “salvato l’Europa” con il suo famoso 'Whatver it takes' (era il 2012), ecco Mario Draghi che ri-salva l’Europa con il suo piano presentato all’Unione Europea, secondo cui per riprendere in mano le sorti di un continente in declino bisognerebbe spendere (a debito) 800 miliardi all’anno, migliorando investimenti, produttività, concorrenza, armamenti, transizione ecologica. (...)
Ma il convitato di pietra che siede dietro il discorso di Draghi è un colosso gigantesco, minaccioso e vampiresco, che succhia il sangue dell’Europa da decenni, e si chiama Stati Uniti.
Per elencare soltanto qualche elemento innegabile eccone tre.
Il dominio sulle tecnologie, ottenuto grazie alla creazione di immensi e invincibili monopoli, capaci di cancellare le imprese tecnologiche europee e persino di bloccare la ricerca pubblica degli Stati europei, uno.
La gestione globale dei prezzi dell’energia, il cui ultimo ostacolo era il gas russo a basso costo, problema ora risolto, infatti lo compriamo dagli Usa a tre/quattro volte il prezzo di prima (la Germania ne sa qualcosa), due.
E, tre, la metto per ultima ma è fondamentale, la finanziarizzazione dell’economia globale, per cui grandissima parte del risparmio europeo va a finire in fondi Usa o controllati dagli Usa, che quindi drenano il risparmio europeo, e con quello finanziano la loro crescita. (...)
Nella migliore delle interpretazioni possibili, si tratterebbe di dire: i nostri interessi, nostri dell’Europa, non sono comuni a quelli americani, anzi, sono proprio divergenti, quello che va bene a loro non va bene a noi, e viceversa.
ALESSANDRO ROBECCHI


DECLINO AMERICANO
Osserva Emmanuel Todd che l’ipotesi di una ripresa militare-industriale degli Stati Uniti è da escludersi in forza della scarsità di ingegneri a loro disposizione, rispetto ai russi (e ai cinesi) e per la loro predilezione per la produzione di denaro anziché di macchinari.
Il collasso morale e sociale deriva a suo dire dal collasso del protestantesimo, che rende irreversibile il declino americano e apre gli Usa e l’intero occidente al destino del nichilismo.
Da allievo di Max Weber osserva che se il protestantesimo è stato la matrice del decollo dell’occidente e del capitalismo, ora è la sua morte a causarne la dissoluzione. 
Intanto lo stato-nazione si dissolve e trionfa la globalizzazione; gli individui sono ormai privi di qualsiasi credenza collettiva. Il collasso della religione ha spazzato via il sentimento nazionale, l’etica del lavoro, il concetto di una morale sociale vincolante, la capacità di sacrificarsi per la comunità. 
MARCELLO VENEZIANI
 

domenica 27 ottobre 2024

Di tutti i Colori

Non c'è dubbio che le arti figurative (e la pittura in particolare) si sono evolute seguendo il corso del pensiero umano, di cui hanno affiancato, ed a volte precorso, le tappe.
Ma notevole importanza hanno avuto anche le innovazioni tecniche connesse, a cominciare da quelle relative ai materiali usati per i 'colori', che, con il progresso della scienza, sono diventati sempre più accessibili e facili da usare.
All'importanza dei materiali nella pittura è dedicato questo post, scritto dall'esperto d'arte Alfredo Verdi Demma (il cui sito mi è stato segnalato dall'amico Agostino Roncallo). A seguire, un breve intervento di Philip Ball sui colori primari.
LUMEN



<< Il 15 Aprile 1875, a Parigi, Claude Monet, Camille Pissarro, Edgar Degas, Auguste Renoir e altri giovani artisti espongono per la prima volta dipinti che modificheranno radicalmente il corso della storia dell’arte: immagini e paesaggi quotidiani fatti di brevi tocchi di colori ad olio densi e nello stesso tempo aerei, in grado di trasferire sulla tela le sensazioni reali di aria, movimento e luminosità.

Il ruolo rivoluzionario dei quadri impressionisti, realizzati in base ad una precisa teoria della luce, è noto e riconosciuto da tutti; non sempre però si considera che questo radicale cambiamento nel linguaggio artistico è stato possibile anche grazie ad una banale innovazione tecnica: innovazione dei colori pronti in tubetto.

Grazie ad essi l’attrezzatura del pittore diventa agile, leggera e quindi facile da trasportare, ideale per dipingere in plein air; i colori in tubo sono più facili da utilizzare e permettono all’artista una maggiore libertà espressiva. Questo è solo un esempio di come, certi aspetti tecnici, a volte molto semplici, sono fondamentali per la comprensione dell’operare artistico.

Chi visita una galleria d’ arte o una chiesa si trova a contatto diretto con opere cariche di storia e di significati simbolici, ma anche con la loro parte materiale: la foglia d’oro racchiusa nelle tessere vitree dei mosaici bizantini, la lucida e compatta policromia di un’ancona lignea fiamminga, ma anche lo stupefacente blu di lapislazzuli che Lorenzo Lotto preparava in un procedimento particolare.

Questi elementi, sempre molto affascinanti, non sono semplicemente momenti accessori della costruzione di un’opera, ma indissolubilmente legati al contesto storico e alla personalità dell’artista, diventano portatori materiali del linguaggio simbolico delle immagini.

La tecnologia dei procedimenti e della materia diventa ancora più evidente nelle cosiddette arti applicate a volte impropriamente dette “minori”, che in ogni epoca- si pensi al panorama artistico quattro-cinquecentesco, ma anche al settecento- hanno assunto un ruolo di grandissima importanza, se non addirittura di vera e propria “guida”, per pittura, scultura e architettura.

Ricordiamo, per citare alcuni esempi, che l’oreficeria è stata il punto di partenza per Pollaiolo e Verrocchio e che molti pittori manieristi e barocchi amavano progettare e spesso realizzare bronzi decorativi, vetri e cristalli figurati.

Nell Settecento, poi la scoperta della formula della porcellana, rivelata da Bottger, è stata così determinante e rivoluzionaria che la delicata materia inventata in Cina diventa la vera protagonista del secolo influenzando il gusto in pittura e scultura, entrando di prepotenza anche nell’arredamento e nell’architettura: un esempio in questo senso sono gli studiosi in porcellana a Capodimonte e al Palazzo Reale di Madrid.

Dietro ogni opera, piccola o grande, si cela un infinito lavoro di ricerca, innumerevoli prove, vere e proprie sperimentazioni alchemiche, Inoltre casualità e fortunati “errori”, determinano talvolta la scoperta di procedimenti e ricette che il tempo e l’esperienza di artisti e “maestri sperimentatori” perfezionarono e tramandarono attraverso i secoli. >>

ALFREDO VERDI DEMMA


 
IL PROBLEMA DEI COLORI PRIMARI

<< Dopo aver impiegato secoli per capire cosa sono i colori primari, siamo in procinto di abbandonarli. La nozione di primari, infatti, può scatenare furiose discussioni tra gli specialisti del colore.
Alcuni fanno notare che la terna che molti di noi hanno imparato a scuola – rosso, giallo e blu – si applica solo alla miscelazione dei pigmenti; mescolando la luce, come nei pixel degli schermi televisivi, servono diversi primari (approssimativamente il rosso, blu, verde). Ma se si stampa con degli inchiostri, si usa un sistema di “primari” ancora diverso: giallo, ciano e magenta. 
Nello spettro dell’arcobaleno della luce visibile non c’è alcuna gerarchia: non abbiamo alcuna ragione per preferire la luce gialla all’arancione, che ha una lunghezza d’onda leggermente superiore.
Inoltre, anche se i pittori imparano a mescolare i colori – ad esempio il blu e il giallo per ottenere un verde – sanno bene che i risultati possono essere deludenti se paragonati a un pigmento “puro” del colore desiderato: è difficile ottenere un bel viola dal rosso e dal blu.
Di conseguenza, gli artisti pensano al colore non tanto come una proprietà astratta, ma in termini della sostanza che lo produce: rosso robbia, blu oltremare, giallo cadmio.
Per capire davvero cosa significa il colore per un artista, dobbiamo pensare ai suoi componenti. O, per dirla diversamente, ciò che la tavolozza dell’artista è in grado di produrre dipende dai materiali a sua disposizione e dall’ingegnosità con cui se li è procurati. >>

PHILIP BALL

lunedì 21 ottobre 2024

Pensierini – LXXVIII

DIO E LA SCIENZA
Molti scienziati, pur essendo personalmente atei, affermano che il problema dell'esistenza (o non esistenza) di Dio si trova al di fuori dal campo di applicazione della Scienza e che pertanto è inutile cercare delle risposte scientifiche a questo problema.
Io, però, non ne sono convinto, in quanto la Scienza, nei secoli, ha elaborato moltissime leggi, e quindi è possibile verificare se la figura di Dio, quale ci viene descritta dalle Religioni, sia compatibile o meno con esse.
Le leggi scientifiche della natura sono moltissime, ed io ne conosco solo alcune, ma posso elencare almeno 4 casi di palese incompatibilità:
1 = Dio viola la legge dell'Entropia, perchè, essendo sempre uguale a se stesso, non si degrada secondo la freccia del tempo.
2 = Dio viola il limite posto dalla velocità della luce, perchè può intervenire istantaneamente ovunque voglia.
3 = Dio viola la legge dell'Evoluzione, perchè, pur essendo il massimo della complessità, non deriva da esseri più semplici.
4 = Dio viola il principio di causalità, perchè, essendo onniscente, conosce già il futuro, ma può ugualmente modificarlo.
E si potrebbe continuare.
Quindi la Scienza può pronunciarsi sull'esistenza di Dio e negarla, semplicemente richiamandosi al (mancato) rispetto delle proprie leggi.
Non mi pare una cosa da poco.
LUMEN


HANDICAP SOCIALI
La gestione dei 'diversi' è un problema sociale importante, ma anche molto delicato. E può essere risolto solo con la giusta misura.
Certo, le persone che hanno un handicap (sia fisico che mentale) non devono essere derise ed emarginate, come succedeva un tempo, e su questo siamo tutti d'accordo.
Ma non possono nemmeno essere trattate come tutti gli altri. Perchè non lo sono (ed io so di cosa parlo).
LUMEN


TRADIMENTI
Il tradimento del partner rappresenta una delle sofferenze psicologiche maggiori che possa subire l'essere umano.
Le motivazioni biologiche della gelosia sono abbastanza ovvie e sono legate all'investimento riproduttivo. L'uomo teme di dover allevare un figlio non suo, mentre la donna teme di non avere dal partner tutto il supporto necessario.
Oggi però, nella specie umana il rapporto tra sesso e riproduzione è diventato molto più tenue, per cui, a livello strettamente evolutivo, la gelosia sessuale dovrebbe essere molto meno importante.
Eppure le cronache non sembrano mostrare molte differenze. Perchè ?
Perchè il tradimento del nostro partner, che ha preferito un'altra persona a noi, ci fa sentire inferiori al nostro rivale.
E questo - secondo il meccanismo psicologico che lega la felicità al senso di superiorità - ci rende automaticamente arrabbiati ed infelici.
LUMEN


PROBLEMI E SOLUZIONI
Ad Aristotele viene attribuita questa massima, considerata molto profonda: "Se c'è soluzione perché ti preoccupi? Se non c'è soluzione perché ti preoccupi?”
A me, la frase appare non solo troppo semplicistica, ma anche di pessimo insegnamento.
Anzitutto perchè l'assenza di una soluzione può essere solo temporanea, o derivare da una analisi incompleta del problema. Il che rende senz'altro opportuno (per non dire necessario) riletterci ancora.
In secondo luogo, perchè, anche se è già stata trovata una soluzione, non è detto che questa sia l'unica, e che non ve ne siano delle altre migliori. Quindi, anche in questo caso, conviene riflettere ulteriormente sulla situazione.
In conclusione, continuare a preoccuparsi di fronte ad un problema non è solo umano, ma può essere anche utile.
Con buona pace del grande filosofo di Stagira.
LUMEN


VITE UMANE
Questo pensierino non è mio, ma è talmente profondo che non posso fare a meno di riportarlo qui, per la meditazione di tutti.
« Tutte le decisioni che impegnano delle vite umane sono prese da coloro che non rischiano niente. » (Simone Weil).
E' una riflessione molto amara, ma rappresenta, forse, la pricipale lezione della storia.
LUMEN
 

giovedì 17 ottobre 2024

De Profundis

Per quanto mi riguarda, sono assolutamente favorevole all'eutanasia, che considero una delle massime espressioni della libertà individuale.
Però, Marcello Veneziani non ha tutti i torti quando sostiene che, a furia di diritti individuali (di cui l'eutanasia può essere considerato il punto culminante), si perde irrimediabilmente la coesione della società; la quale, per funzionare, ha bisogno di valori condivisi e considerati superiori, anche se si tratta di finzioni ed inganni
Per questo, le società fondate sui diritti individuali, come la nostra, finiscono sempre con la dissoluzione. Resta da vedere chi verrà a sosituirla.
LUMEN


<< Da tempo i messaggi pubblici inviati dalle maggiori agenzie di riferimento della nostra epoca, tra i quali spiccano il cinema e la tv, ruotano intorno a certi temi [legati alla morte] e si raccolgono infine nell’elogio dell’eutanasia. (…)

Non entro nel merito dell’eutanasia, capisco alcune sue ragioni, reputo ragionevole stabilire dei limiti all’accanimento terapeutico o al mantenimento in vita solo artificiale, di persone che non hanno più una vita cosciente e non hanno più possibilità di riprendersi.

Capisco, condivido l’umana pietà di mettere fine alla sofferenza. No, non è di questo che voglio parlare. Ma del fatto che gli unici messaggi ideali e morali, civili e individuali che vengono diramati dalle messaggerie culturali dell’epoca nostra sono rivolti alla morte, al pensiero negativo, alla preferenza per il non essere rispetto all’essere. E l’unica sovranità riconosciuta è di tipo individuale e ancora negativo, come il potere di uscire dalla vita.

Rovesciando il punto di osservazione, noto che l’eutanasia è l’unico messaggio dominante sul passaggio tra la vita e la morte. Non c’è più il mistero di Dio, la scommessa sulla fede, la contemplazione della morte, il destino dell’uomo, la sua memoria e le eredità che lascia a chi resta, ma solo la possibilità del singolo di tagliare il nodo gordiano, di recidere il cordone della vita, come si recidono i cordoni ombelicali per mettere la mondo i neonati.

Questa recisione ha un significato inverso, come inverso è ormai il canone odierno. L’eutanasia è l’ultimo decisionismo dell’occidente-uccidente; una decisione-recisione volta solo a negare, a sottrarsi, in una via di fuga individuale. Autonomi nella dissoluzione, libertà come cupio dissolvi.

Aleggia in questa ossessione dell’eutanasia il segno di una società stanca e sfiduciata, demotivata e ripiegata nella vita singola, isolata, popolata da vecchi, impauriti dall’incipiente soglia; che allestisce terapie, balsami e culture utili a giustificare il trapasso indolore e inodore, asettico, verso l’estinzione. Un nirvana per via sanitaria, un nichilismo clinico come sollievo dal dolore di esistere.

Nei millenni passati furono attrezzati grandi cerimoniali per accompagnare la vita nel suo fatale distacco; riti, liturgie, pensieri, opere e missioni, lasciti, eredi e testamenti.

Ho visto degli splendidi 'tableau vivant' a Castellabate, in cui venivano inscenate alcune grandi opere pittoriche a tema religioso, in prevalenza sulla morte di Gesù Cristo: colpiva vedere la morte come atto corale, corpi viventi intrecciati a corpi morenti, dolore consorte, compagnia dell’addio. La nostra è invece morte ospedaliera, in solitudine.

Fino a pochi anni fa l’unica eutanasia riconosciuta era morire per un motivo che fosse più importante della nostra vita individuale: morire per testimoniare la fede, come facevano i martiri, morire per la patria, come facevano gli eroi, morire per la Causa che trascende la vita dei singoli.

Inconcepibile oggi; ma di queste scelte estreme vorrei sottolineare la convinzione che la morte individuale fosse meno importante rispetto a entità, principi, realtà comunitarie che sopravvivono al destino dei singoli. Offrivi la vita sapendo che la tua morte non coincideva col nulla, ma era la fine di una foglia, forse di un ramo, non dell’albero, con le sue radici e il suo tronco e le sue stagionali rinascite; la tua morte rientrava nel ciclo delle stagioni, in cui si rinnova la pianta.

Nessun uomo di senno e di buon senso può rifugiarsi in quel paragone e limitarsi a rimpiangere quel mondo. Ma il fatto che oggi poniamo la questione solo a livello individuale e racchiudiamo la visione della morte solo nell’atto di andarcene, in libertà, quando lo vogliamo noi e non quando lo dice la sorte o la malattia, è il tema di cui dovremmo curarci, perché investe noi oggi, il nostro tempo, il nostro domani.

Sconforta osservare che anche su questo tema non esiste alcuna divergenza di vedute nei racconti pubblici, non c’è un film o un’opera che dica una cosa diversa se non opposta a quella del mainstream mortifero.

E stiamo parlando di una società che celebra la libertà sopra ogni cosa e ritiene anzi di essere superiore a tutte le epoche precedenti proprio per la sua raggiunta libertà. E invece non c’è possibilità di vedere e narrare diversamente le cose; non è possibile, esiste un muro invisibile, una cappa pervasiva che impedisce di articolare un pensiero differente e metterlo poi su strada.

Se ci provi ti saltano a uno a uno gli addendi: non trovi chi si esponga a scrivere, a sceneggiare, a produrre l’opera, a realizzarla, a recitare, a distribuire, a comunicare, a riconoscere e premiare una cosa del genere. Strada facendo il progetto si azzoppa, nessuno vuol andare a sbattere contro il muro, andare allo sbaraglio. Eutanasia del dissenso.

Noi occidentali viviamo in una società profondamente spaccata, con rari e confusi attraversamenti fra le due sponde; siamo divisi tra l’alto e il basso, tra oligarchie e popoli, tra comunitari e individualisti, fra tradizione e liberazione, e potrei a lungo continuare.

Non immagino che si possa ritrovare l’unità, se non attraverso l’intolleranza, l’egemonia e la supremazia coatta di una parte sull’altra: vorrei invece che fosse possibile avere la possibilità di scegliere, che sia legittimo divergere e soprattutto che sia possibile esprimerlo pubblicamente.

Ma se guardo la realtà, al momento, non vedo segnali e aperture. Chiedono la libertà dell’eutanasia, ma io vedo l’eutanasia della libertà. >>

MARCELLO VENEZIANI

domenica 13 ottobre 2024

Punti di Vista – 37

L'EGOISMO DELLA MIGRAZIONE
Ci sono tanti fattori che condizionano le scelte delle persone; io non voglio essere rigida e sicuramente non voglio demonizzare qualsiasi tipo di migrazione.
C'è chi migra per aiutare gli altri, o per amore, o per imparare, o per offrire un servizio all’umanità intera e non solo a una sua parte.
Ma dietro a tantissime storie di migrazione, per quanto umanamente comprensibili e anche ammirevoli nell’impegno e nel coraggio che hanno richiesto, c’è fondamentalmente una motivazione egoistica.
Per sè, per i propri figli. E basta. Non per il paese da cui sono partiti. Non per il paese che li riceve. Chi non è stato fedele la prima volta, forse non lo sarà neanche la seconda. Dovesse mettersi male, potrebbe scappare di nuovo. (…)
Dicevo che alcuni migrano per amore: trovano una persona o un posto e se ne innamorano, e per questo si spostano. Ma tanti migrano per interesse, per un lavoro che paga di più, per una vita con meno problemi.
Dal punto di vista di chi riceve, questa cosa può sia essere lusinghiera che sconfortante. È bello essere apprezzati, anche poter condividere quello che si ha con chi non ce l’ha, ma non essere obbligati a fare i conti con l’opportunismo altrui.
Per me questa è casa, è assolutamente insostituibile; spesso per chi viene qui è un posto come un altro.
GAIA BARACETTI


RIVOLUZIONI E CAOS
Alla rivoluzione francese nel 1789 seguì un decennio di caos. Le élite furono sostituite dall’equivalente settecentesco dei populisti.
Le conseguenze economiche furono gravi e diffuse, causando notevoli difficoltà per il popolo francese. La produzione e il commercio diminuirono, la produzione agricola crollò e la nazione dovette affrontare iperinflazione, carenza di cibo, corruzione e la confisca della proprietà privata.
Allo stesso modo, la rivoluzione russa e la guerra civile (1917-1922) causarono enormi perturbazioni economiche. Le infrastrutture furono danneggiate, la produzione industriale crollò e si verificarono diffuse carenze di beni e servizi.
Il cittadino medio russo ha dovuto affrontare notevoli difficoltà, tra cui carenza di cibo, disoccupazione e un forte calo degli standard di vita.
Nella maggior parte delle rivoluzioni moderne, le élite sono semplicemente sostituite da nuove élite, e non è raro che le vecchie riacquistino il potere entro pochi decenni.
ART BERMAN


C'ERA UNA VOLTA LA SINISTRA
L’antifascismo nasconde il tradimento della sinistra nei confronti della lotta al capitalismo: il capitale diventa alleato perché il nemico supremo da abbattere è sempre e solo il fascismo (che non esiste).
Così la sinistra diventa ovunque la guardia bianca del capitale. Cosa riceve in cambio? L’adozione del proprio manuale ideologico antifascista, filo-migranti e filo-transgender.
Al di là di una spruzzatina pop sui temi sindacali e sociali, la sinistra di fatto non sogna alcun superamento del capitalismo, è dentro il suo mondo e la sua tabula rasa, concorre a cancellare la civiltà ereditata; il suo nemico non è più il Padrone, i ricchi, i giganti della finanza e i potenti, che sono invece suoi alleati, ma la famiglia, la civiltà tradizionale, la sovranità nazionale e popolare, riassunti nella formula diabolica del fascismo, con aggravante obbligata del razzismo. (...)
La formula viene applicata ovunque. Se tu per esempio denunci che un treno ad alta velocità e lungo percorso non può abbandonare a metà corsa sui binari, per sciopero, i viaggiatori, tra cui donne, bambini, disabili, trovi sempre quattro deficenti di sinistra che ti attaccano: ah, il solito fascista, vuole abolire il diritto di sciopero.
I problemi concreti del presente, il disagio reale dei cittadini, cancellati dal solito mantra ideologico di un secolo fa. A questo serve l’antifascismo, usato dai cinici furbi e dai cretini acidi.
MARCELLO VENEZIANI


LE SFIDE INUTILI
Mi sono sempre domandato che senso abbia affrontare i pericoli scalando una montagna.
Gli scalatori dicono che "sfidano" la montagna. Si accorgono della sciocchezza che dicono? La montagna non è un essere vivente, non parla e non conosce. Si può sfidare un avversario che sia anch'egli un essere umano.
Non si può infatti dire che un uomo sfidi una tigre se non va a disturbarla o non si trovi aggredito perché entrato nel suo territorio disturbandola o addirittura con l'idea di cacciarla.
La tigre non ha intenzione di sfidare l'uomo. Come il povero toro non ha alcuna intenzione di sfidare il maledetto e vigliacco torero (quando qualche rara volta viene incornato ne provo grande gioia).
Tanto meno si può dire "Sfidare la montagna". La montagna non sfida alcuno. Sta lì ferma e, se avesse il pensiero, direbbe: " Sta' lontano da me. Io non ti sfido e tu non venire a rompermi le scatole. Non lamentarti poi se ti capita qualcosa. L'hai voluto tu, non io, che non sono sfidante". (…)
Fatta questa premessa mi domando: come mai i famosi scalatori, come anche quelli che fanno traversate oceaniche in solitario, appaiono come eroi moderni, degni di considerazione e di ammirazione?
Io li considero degli esseri inutili, se le loro imprese non hanno un significato scientifico. Per me non sono gente normale di testa.
Io ammiro invece i ricercatori che, pur senza correre rischi, lavorano nell'oscurità di un laboratorio per dedicare la loro vita alla ricerca scientifica con benefici per tutti. Essi sono i veri eroi dell'umanità, facendo funzionare la mente e non la passione inutile dell'impresa senza senso.
PIETRO MELIS

martedì 8 ottobre 2024

Putant quod Cupiunt

L'espressione latina del titolo (in inglese “wishful thinking people”) si riferisce a quelle persone che preferiscono credere alle affermazioni più piacevoli e consolatorie, anche se false, piuttosto che accettare le verità scomode.
Il testo che segue, a cui ho intercalato i miei commenti, è tratto dalla pagina FaceBook di 'Telefonoverde' e mi sembra perfettamente adatto a rappresentare il fenomeno.
LUMEN



<< PERCHÉ DIO ESISTE? - Abbiamo provato a dare delle risposte a sostegno dell'esistenza di Dio che, andando oltre quelle che chiaramente darebbe la Bibbia, ci sono apparse ovvie, chiare, di assoluto buon senso ed universalmente accettabili.

È RAGIONEVOLE CHE DIO ESISTA
Senza l’esistenza di un essere supremo, che ha pianificato ogni cosa e che ha un disegno preciso, l’esistenza umana non ha ne capo ne coda; è occasionale e senza un reale senso. Senza Dio siamo senza una vera ragione se non quella fine a se stessa di sopravvivere, venendo dal nulla per riandare nel nulla.
L’esistenza di Dio, invece, colloca l’esistenza umana all’interno di una ragione; ha una causa ed ha un effetto. Con Dio l’esistenza umana assomiglia tantissimo a tutto quello che un essere intelligente normalmente fa e cioè: pensa, progetta e realizza qualcosa. 
Tutto nel creato segue questa logica. Gli animali non vagano a caso ma hanno degli obiettivi da realizzare. Le piante hanno un senso ed un ruolo all’interno dell’ecosistema così come tutto ciò che è creato. L’uomo, poi, è una sequenza interminabile di progetti ed obbiettivi da perseguire. 
Allora la cosa più irragionevole sarebbe che tutto questo creato, sensato e determinato, venga da un fatto insensato ed occasionale. È ragionevole invece che tutto venga da un fatto altrettanto, anzi, maggiormente sensato come l’esistenza di una intelligenza superiore che ha un progetto da perseguire ed una meta da raggiungere.

NOTA di LUMEN – La scienza biologica ha confermato che l’esistenza umana, così come quella di ogni essere vivente, non ha nessun significato particolare e nessuno scopo ultimo, che non sia la replicazione del proprio DNA. Dobbiamo farcene una ragione.


È GIUSTO CHE DIO ESISTA
Siamo tutti amanti della giustizia e dell’equità. Siamo in grado di concepire questi valori e di perseguirli. È assurdo concepire qualcosa che difficilmente possa poi trovare una vera e piena realizzazione. 
Nel mondo, infatti, esistono una infinità di ingiustizie e di iniquità che restano e che resteranno senza una risposta adeguata. Ingiustizie sociali, ingiustizie personali, ingiustizie genetiche (è ingiusto che uno sia più intelligente di un altro o che uno sia sano mentre un altro nasca disabile ecc…).
Questa ingiustizia dalla quale siamo pervasi, associata al senso di giustizia che tutti abbiamo, ci spingono energicamente a credere che esista una giustizia oltre i nostri limiti ed oltre quello che è al momento fuori dalla nostra portata pratica e cognitiva. Una giustizia che toccherà tutto e tutti; una giustizia che risponderà equamente ad ogni ingiustizia.
Ora questa giustizia è chiaro che non possa essere di questo mondo per cui deve essere per causa di forza maggiore una giustizia che risiede in qualcuno intelligente e potente che è sopra gli uomini, e chi se non Dio può essere questo giudice? Dio soddisfa il bisogno profondo di giustizia che è in ogni essere umano. Se Dio non esistesse questo mondo oltre che essere senza senso sarebbe anche un luogo profondamente e biecamente ingiusto ed impunito.
L’esistenza di Dio come esecutore di una giustizia sovrana, certa ed infallibile, colloca l’umanità in un quadro reale e profondamente compatibile con le aspettative dei sentimenti e dei valori umani, molto più di quanto non lo sarebbe la sua inesistenza.

NOTA di LUMEN - La scienza fisica ha dimostrato che il mondo è solo una sequenza di eventi oggettivi, privi di qualsiasi significato etico, e quindi non può che apparirci profondamente ingiusto. Possiamo cercare di contenere i danni, difendendoci dai pericoli, ma se ci limitiamo a confidare in una fantomatica giustizia soprannaturale, subiremo una sorte anche peggiore.

 
È NECESSARIO CHE DIO ESISTA
Proviamo ad immaginare quale reazione susciterebbe la notizia secondo la quale sarebbe stato inequivocabilmente dimostrato che Dio non esiste. Pensiamoci un attimo. Credo che la disperazione sarebbe totale e globale e non solo da parte dei credenti, come ci si aspetterebbe, ma sono convinto che questa disperazione investirebbe inaspettatamente anche gran parte dei non credenti: agnostici, atei e affini.
La disperazione sarebbe globale perché in fondo in fondo, anche se alcuni molto in fondo, tutti sperano, in modi differenti e con aspettative differenti, che dopo la morte possa davvero esistere qualcosa come una una specie di giusto riscatto dalle sofferenze di quaggiù. Una speranza alimentata da quel barlume di probabilità prodotto dal fatto che in realtà nessuno, ma proprio nessuno, può affermare il contrario e cioè che dopo la morte tutto realmente si estingue nel nulla.
I credenti hanno le loro idee molto chiare; i meno credenti hanno le loro idee confuse; gli atei e affini vedono alla possibilità che Dio esista e che esista un al di là nello stesso modo in cui vede la vincita uno che ha comprato un biglietto della lotteria; non ci crede mica più di tanto che vincerà, anzi ci crede poco, o niente, ma in fondo in fondo spera che possa essere proprio lui il vincitore.
 Così molta umanità guarda a Dio e all’aldilà. Non ci crede molto, poco, pochissimo, ma in fondo in fondo nutre una piccolissima, (o grande?) speranza che ciò che si dice in giro sia vero e che Dio sia benevolo poi con lui.
Se ci fosse la tragica notizia della certa inesistenza di Dio tutto ma proprio tutto il mondo sarebbe inevitabilmente ed irreversibilmente depresso e disperato perché tutti in qualche modo, in modo più o meno evidente, magari come un segreto inconfessabile del proprio cuore, sentono la necessità che Dio esista per davvero. Questa speranza in Dio e nella sua esistenza è il pensiero dell’eternità che abita ogni cuore e che spinge l’uomo a cercare la verità su se stesso e su Dio.

NOTA di LUMEN – La consapevolezza della 'non esistenza' di Dio comporterebbe, in effetti, una grande disperazione tra la gente. Questo però spiega soltanto l'esistenza delle Religioni ed il loro successo millenario. Null'altro.


È INEVITABILE CHE DIO ESISTA
Da che esiste il genere umano esiste anche il pensiero dell’eternità e di una qualche realtà sovrumana che possa avere un’influenza sul destino dell’umanità. Tutti gli esseri umani di tutti i tempi e di tutti i luoghi della terra, dalla tribù più sperduta fino al popolo più evoluto; dalla notte dei tempi fino ad oggi, hanno sempre avuto nel loro cuore la percezione di qualcuno o qualcosa al di sopra di essi e che li sovrastava.
Sono stati dati molti nomi a questa entità sovrumana, da Manitù agli alieni, dai politeisti ai monoteisti, dalle energie non meglio precisate alle divinità famigliari ecc… ; ma in un modo o in un altro l’idea del sovrumano, del divino, o di qualcuno che ci sovrasta e che possa intervenire per cambiare le sorti dell’umanità è sempre stata costantemente presente.
Se ci pensiamo, l’ateismo o l’agnosticismo sono relativamente recenti come pensieri filosofici ed anche se si cerca di collocare questo pensiero nella notte dei tempi in realtà dobbiamo arrivare al diciottesimo secolo per trovare l’ateismo positivo. 
Inoltre, la stragrande maggioranza di coloro che si compiacciono di definirsi “atei o agnostici” non sa assolutamente nulla di queste filosofie ma semplicemente scelgono l’ateismo perché banalmente non gli piace credere nell’esistenza di Dio passando di fatto, a piè pari, da una fede in Dio ad una sprovveduta fede negazionista, perché sempre di fede si tratta.
Chiediamoci: tutta questa umanità mondiale che dalla notte dei tempi ad oggi ha sempre percepito il divino è una umanità debole, ignorante e sprovveduta? No! La verità è piuttosto che l’esistenza e la presenza di Dio è inevitabile; la si trova in ogni angolo dell’universo, in ogni cm sulla terra ed in ogni angolo del pensiero, del credente come dell’”ateo”. 
La presenza di Dio è inevitabile ed invadente e nessuno potrà mai cancellarla ma ognuno dovrà piuttosto conciliarla alle aspettative, troppo spesso frustrate, di un cuore e di un pensiero che da sempre sono in grado di percepirla. >>

NOTA di LUMEN – E' vero che i credenti religiosi sono la maggioranza nel mondo, mentre gli atei e gli agnostici sono solo una minoranza, ma questo non significa nulla. La maggioranza può avere la forza di decidere, ma il numero non basta per avere ragione.