Per quanto mi riguarda, sono assolutamente favorevole all'eutanasia, che considero una delle massime espressioni della libertà individuale.
Però, Marcello Veneziani non ha tutti i torti quando sostiene che, a furia di diritti individuali (di cui l'eutanasia può essere considerato il punto culminante), si perde irrimediabilmente la coesione della società; la quale, per funzionare, ha bisogno di valori condivisi e considerati superiori, anche se si tratta di finzioni ed inganni
Per questo, le società fondate sui diritti individuali, come la nostra, finiscono sempre con la dissoluzione. Resta da vedere chi verrà a sosituirla.
LUMEN
Però, Marcello Veneziani non ha tutti i torti quando sostiene che, a furia di diritti individuali (di cui l'eutanasia può essere considerato il punto culminante), si perde irrimediabilmente la coesione della società; la quale, per funzionare, ha bisogno di valori condivisi e considerati superiori, anche se si tratta di finzioni ed inganni
Per questo, le società fondate sui diritti individuali, come la nostra, finiscono sempre con la dissoluzione. Resta da vedere chi verrà a sosituirla.
LUMEN
<< Da tempo i messaggi pubblici inviati dalle maggiori agenzie di riferimento della nostra epoca, tra i quali spiccano il cinema e la tv, ruotano intorno a certi temi [legati alla morte] e si raccolgono infine nell’elogio dell’eutanasia. (…)
Non entro nel merito dell’eutanasia, capisco alcune sue ragioni, reputo ragionevole stabilire dei limiti all’accanimento terapeutico o al mantenimento in vita solo artificiale, di persone che non hanno più una vita cosciente e non hanno più possibilità di riprendersi.
Capisco, condivido l’umana pietà di mettere fine alla sofferenza. No, non è di questo che voglio parlare. Ma del fatto che gli unici messaggi ideali e morali, civili e individuali che vengono diramati dalle messaggerie culturali dell’epoca nostra sono rivolti alla morte, al pensiero negativo, alla preferenza per il non essere rispetto all’essere. E l’unica sovranità riconosciuta è di tipo individuale e ancora negativo, come il potere di uscire dalla vita.
Rovesciando il punto di osservazione, noto che l’eutanasia è l’unico messaggio dominante sul passaggio tra la vita e la morte. Non c’è più il mistero di Dio, la scommessa sulla fede, la contemplazione della morte, il destino dell’uomo, la sua memoria e le eredità che lascia a chi resta, ma solo la possibilità del singolo di tagliare il nodo gordiano, di recidere il cordone della vita, come si recidono i cordoni ombelicali per mettere la mondo i neonati.
Questa recisione ha un significato inverso, come inverso è ormai il canone odierno. L’eutanasia è l’ultimo decisionismo dell’occidente-uccidente; una decisione-recisione volta solo a negare, a sottrarsi, in una via di fuga individuale. Autonomi nella dissoluzione, libertà come cupio dissolvi.
Aleggia in questa ossessione dell’eutanasia il segno di una società stanca e sfiduciata, demotivata e ripiegata nella vita singola, isolata, popolata da vecchi, impauriti dall’incipiente soglia; che allestisce terapie, balsami e culture utili a giustificare il trapasso indolore e inodore, asettico, verso l’estinzione. Un nirvana per via sanitaria, un nichilismo clinico come sollievo dal dolore di esistere.
Nei millenni passati furono attrezzati grandi cerimoniali per accompagnare la vita nel suo fatale distacco; riti, liturgie, pensieri, opere e missioni, lasciti, eredi e testamenti.
Ho visto degli splendidi 'tableau vivant' a Castellabate, in cui venivano inscenate alcune grandi opere pittoriche a tema religioso, in prevalenza sulla morte di Gesù Cristo: colpiva vedere la morte come atto corale, corpi viventi intrecciati a corpi morenti, dolore consorte, compagnia dell’addio. La nostra è invece morte ospedaliera, in solitudine.
Fino a pochi anni fa l’unica eutanasia riconosciuta era morire per un motivo che fosse più importante della nostra vita individuale: morire per testimoniare la fede, come facevano i martiri, morire per la patria, come facevano gli eroi, morire per la Causa che trascende la vita dei singoli.
Inconcepibile oggi; ma di queste scelte estreme vorrei sottolineare la convinzione che la morte individuale fosse meno importante rispetto a entità, principi, realtà comunitarie che sopravvivono al destino dei singoli. Offrivi la vita sapendo che la tua morte non coincideva col nulla, ma era la fine di una foglia, forse di un ramo, non dell’albero, con le sue radici e il suo tronco e le sue stagionali rinascite; la tua morte rientrava nel ciclo delle stagioni, in cui si rinnova la pianta.
Nessun uomo di senno e di buon senso può rifugiarsi in quel paragone e limitarsi a rimpiangere quel mondo. Ma il fatto che oggi poniamo la questione solo a livello individuale e racchiudiamo la visione della morte solo nell’atto di andarcene, in libertà, quando lo vogliamo noi e non quando lo dice la sorte o la malattia, è il tema di cui dovremmo curarci, perché investe noi oggi, il nostro tempo, il nostro domani.
Sconforta osservare che anche su questo tema non esiste alcuna divergenza di vedute nei racconti pubblici, non c’è un film o un’opera che dica una cosa diversa se non opposta a quella del mainstream mortifero.
E stiamo parlando di una società che celebra la libertà sopra ogni cosa e ritiene anzi di essere superiore a tutte le epoche precedenti proprio per la sua raggiunta libertà. E invece non c’è possibilità di vedere e narrare diversamente le cose; non è possibile, esiste un muro invisibile, una cappa pervasiva che impedisce di articolare un pensiero differente e metterlo poi su strada.
Se ci provi ti saltano a uno a uno gli addendi: non trovi chi si esponga a scrivere, a sceneggiare, a produrre l’opera, a realizzarla, a recitare, a distribuire, a comunicare, a riconoscere e premiare una cosa del genere. Strada facendo il progetto si azzoppa, nessuno vuol andare a sbattere contro il muro, andare allo sbaraglio. Eutanasia del dissenso.
Noi occidentali viviamo in una società profondamente spaccata, con rari e confusi attraversamenti fra le due sponde; siamo divisi tra l’alto e il basso, tra oligarchie e popoli, tra comunitari e individualisti, fra tradizione e liberazione, e potrei a lungo continuare.
Non immagino che si possa ritrovare l’unità, se non attraverso l’intolleranza, l’egemonia e la supremazia coatta di una parte sull’altra: vorrei invece che fosse possibile avere la possibilità di scegliere, che sia legittimo divergere e soprattutto che sia possibile esprimerlo pubblicamente.
Ma se guardo la realtà, al momento, non vedo segnali e aperture. Chiedono la libertà dell’eutanasia, ma io vedo l’eutanasia della libertà. >>
MARCELLO VENEZIANI
Non entro nel merito dell’eutanasia, capisco alcune sue ragioni, reputo ragionevole stabilire dei limiti all’accanimento terapeutico o al mantenimento in vita solo artificiale, di persone che non hanno più una vita cosciente e non hanno più possibilità di riprendersi.
Capisco, condivido l’umana pietà di mettere fine alla sofferenza. No, non è di questo che voglio parlare. Ma del fatto che gli unici messaggi ideali e morali, civili e individuali che vengono diramati dalle messaggerie culturali dell’epoca nostra sono rivolti alla morte, al pensiero negativo, alla preferenza per il non essere rispetto all’essere. E l’unica sovranità riconosciuta è di tipo individuale e ancora negativo, come il potere di uscire dalla vita.
Rovesciando il punto di osservazione, noto che l’eutanasia è l’unico messaggio dominante sul passaggio tra la vita e la morte. Non c’è più il mistero di Dio, la scommessa sulla fede, la contemplazione della morte, il destino dell’uomo, la sua memoria e le eredità che lascia a chi resta, ma solo la possibilità del singolo di tagliare il nodo gordiano, di recidere il cordone della vita, come si recidono i cordoni ombelicali per mettere la mondo i neonati.
Questa recisione ha un significato inverso, come inverso è ormai il canone odierno. L’eutanasia è l’ultimo decisionismo dell’occidente-uccidente; una decisione-recisione volta solo a negare, a sottrarsi, in una via di fuga individuale. Autonomi nella dissoluzione, libertà come cupio dissolvi.
Aleggia in questa ossessione dell’eutanasia il segno di una società stanca e sfiduciata, demotivata e ripiegata nella vita singola, isolata, popolata da vecchi, impauriti dall’incipiente soglia; che allestisce terapie, balsami e culture utili a giustificare il trapasso indolore e inodore, asettico, verso l’estinzione. Un nirvana per via sanitaria, un nichilismo clinico come sollievo dal dolore di esistere.
Nei millenni passati furono attrezzati grandi cerimoniali per accompagnare la vita nel suo fatale distacco; riti, liturgie, pensieri, opere e missioni, lasciti, eredi e testamenti.
Ho visto degli splendidi 'tableau vivant' a Castellabate, in cui venivano inscenate alcune grandi opere pittoriche a tema religioso, in prevalenza sulla morte di Gesù Cristo: colpiva vedere la morte come atto corale, corpi viventi intrecciati a corpi morenti, dolore consorte, compagnia dell’addio. La nostra è invece morte ospedaliera, in solitudine.
Fino a pochi anni fa l’unica eutanasia riconosciuta era morire per un motivo che fosse più importante della nostra vita individuale: morire per testimoniare la fede, come facevano i martiri, morire per la patria, come facevano gli eroi, morire per la Causa che trascende la vita dei singoli.
Inconcepibile oggi; ma di queste scelte estreme vorrei sottolineare la convinzione che la morte individuale fosse meno importante rispetto a entità, principi, realtà comunitarie che sopravvivono al destino dei singoli. Offrivi la vita sapendo che la tua morte non coincideva col nulla, ma era la fine di una foglia, forse di un ramo, non dell’albero, con le sue radici e il suo tronco e le sue stagionali rinascite; la tua morte rientrava nel ciclo delle stagioni, in cui si rinnova la pianta.
Nessun uomo di senno e di buon senso può rifugiarsi in quel paragone e limitarsi a rimpiangere quel mondo. Ma il fatto che oggi poniamo la questione solo a livello individuale e racchiudiamo la visione della morte solo nell’atto di andarcene, in libertà, quando lo vogliamo noi e non quando lo dice la sorte o la malattia, è il tema di cui dovremmo curarci, perché investe noi oggi, il nostro tempo, il nostro domani.
Sconforta osservare che anche su questo tema non esiste alcuna divergenza di vedute nei racconti pubblici, non c’è un film o un’opera che dica una cosa diversa se non opposta a quella del mainstream mortifero.
E stiamo parlando di una società che celebra la libertà sopra ogni cosa e ritiene anzi di essere superiore a tutte le epoche precedenti proprio per la sua raggiunta libertà. E invece non c’è possibilità di vedere e narrare diversamente le cose; non è possibile, esiste un muro invisibile, una cappa pervasiva che impedisce di articolare un pensiero differente e metterlo poi su strada.
Se ci provi ti saltano a uno a uno gli addendi: non trovi chi si esponga a scrivere, a sceneggiare, a produrre l’opera, a realizzarla, a recitare, a distribuire, a comunicare, a riconoscere e premiare una cosa del genere. Strada facendo il progetto si azzoppa, nessuno vuol andare a sbattere contro il muro, andare allo sbaraglio. Eutanasia del dissenso.
Noi occidentali viviamo in una società profondamente spaccata, con rari e confusi attraversamenti fra le due sponde; siamo divisi tra l’alto e il basso, tra oligarchie e popoli, tra comunitari e individualisti, fra tradizione e liberazione, e potrei a lungo continuare.
Non immagino che si possa ritrovare l’unità, se non attraverso l’intolleranza, l’egemonia e la supremazia coatta di una parte sull’altra: vorrei invece che fosse possibile avere la possibilità di scegliere, che sia legittimo divergere e soprattutto che sia possibile esprimerlo pubblicamente.
Ma se guardo la realtà, al momento, non vedo segnali e aperture. Chiedono la libertà dell’eutanasia, ma io vedo l’eutanasia della libertà. >>
MARCELLO VENEZIANI
L'acclamato intellettuale clerico-nazional-conservatore sfortunatamente dimentica (o finge di dimenticare) che la LEGALIZZAZIONE dell'Eutanasia (come accade per tanti altri temi "eticamente sensibili"):
RispondiElimina1) NON obbliga affatto chi è contrario a ricorrere a tale pratica, mentre chi la vieta ovviamente la proibisce anche/soprattutto a chi è favorevole;
2) costituisce una pratica di "buon governo" di fenomeni cmq esistenti e altrimenti destinati a restare nella clandestinità e quindi a prestarsi ad abusi di vario tipo;
3) le moderne Istituzioni liberal-democratica e laica hanno (tra l'altro) il compito di tutelare l'individuo da ogni abuso operato dai Poteri politico-religiosi di matrice tendenzialmente collettivista (Chiese, Stati, Partiti più o meno dominanti ecc.).
Inoltre tutti i sondaggi testimoniano una larga maggioranza di elettori favorevoli alla legalizzazione dell'E., i quali saggiamente comprendono che l'ambito politico-giuridico-sociale va tenuto distinto da quello etico-religioso: perché in qs caso il famoso "rispetto della Volontà popolare" improvvisamente NON vale più? Saluti (Scusate la franchezza)
Caro Claude, sull'eutanasia la pensiamo allo stesso modo: non solo è un diritto dell'individuo tra i più importanti, ma - quando c'è una maggioranza popolare favorevole (come in Italia) - sarebbe senz'altro un dovere delle istituzioni, se davvero laiche, di legalizzare il fenomeno.
EliminaQuello però che mi premeva sottolineare con questo post è la drammatica contraddizione che si crea tra la diffusione delle libertà individuali e la coesione sociale.
E' una situazione alla quale non riesco a vedere una via d'uscita.
E, nei tempi lunghi, è una vera e propria tragedia.
Lei pone una questione indubbiamente rilevante a livello filosofico-politico-istituzionale: il delicato rapporto tra Individuo e Società. Nel tentativo di "tranquillizzare" e date le ovvie esigenze di sintesi, inviterei a riflettere sulla nota teoria del Contratto sociale, secondo la quale le Società si reggono sostanzialmente su un patto tra soggetti che consapevolmente rinunciano a una parte di libertà per avere quella quota di sicurezza necessaria ad una pacifica, ordinata e produttiva convivenza. In altri termini qs teoria sostiene un modello di Società "bottom up" anziché "top down" come predicato invece dai modelli autoritari e tendenzialmente collettivisti (di destra di sinistra o clericali qui & ora non fa differenza...) nei quali il consenso è in larga misura imposto dall'alto e quindi solo apparentemente più solido ma in realtà meno sentito dalla popolazione comune e dunque pronto a collassare non appena la situazione complessiva lo renda possibile. Ovviamente ho solo sfiorato un tema su cui la Filosofia politica (da Pericle a Hobbes e a Bobbio) si affatica da secoli... Saluti
EliminaSono considerazioni molto interessanti le tue (scusa se ti do del 'tu', ma mi viene naturale con gli amici del blog).
EliminaForse le società bottom-up funzionano meglio perché è minore la distanza sociale tra popolo ed élite.
Ma come hai detto giustamente tu, il problema è vastissimo e vi si sono già cimentati (con esiti alterni) molti dei più importanti pensatori.
Che la maggioranza non abbia sempre ragione è lapalissiano. Tuttavia ha per un certo tempo la forza di imporre certe regole. Sembra, anzi è quasi certo che una grande maggioranza della popolazione sia favorevole alla buona morte (consiglio di usare questa espressione invece di eutanasia - l'eutanasia ricorda i nazisti, mentre una buona morte la desiderano praticamente tutti, compreso il papa). Come mai allora non si viene a capo di questa delicata questione? Se si votasse quasi sicuramente i favorevoli s'imporrebbero. Ma per il momento una votazione sulla buona morte è impensabile - o forse no?
RispondiEliminaRicordo che alcuni anni fa il Tribunale federale svizzero, la massima autorità del paese, ha riconosciuto il diritto di ognuno a porre fine alla propria vita nei tempi e nei modi desiderati. Non ci fu nessuna levata di scudi contro questa delibera. I clericali non fecero una piega, cosa invece impensabile in Italia.
Fra parentesi non credo che l'acclamato intellettuale clerico-nazional-conservatore sia contrario alla buona morte. E comunque preferisco Veneziani al comunista o post-comunista o filocomunista ateo Flores d'Arcais che ce l'ha a morte con gli ex, post, filo-fascisti immaginari.
Caro Sergio, quello che non mi è chiaro è il motivo profondo dell'accanimento destro-clericale contro l'eutanasia.
EliminaIl motivo apparente, come tutti sappiamo, è la (presunta) sacralità della vita, ma si tratta chiaramente di un pretesto, visto che i destro-clericali, se fossero coerenti, dovrebbero anche condannare la guerra, cosa che invece non fanno.
Io penso che il motivo profondo possa essere il terrore della libertà individuale, ma posso sbagliare.
Quanto alla questione lessicale che hai sollevato, è vero che la parola 'eutanasia' è stata associata spesso al nazismo, ma il termine ha una storia molto più antica, che risale (credo) addirittura alle civiltà classiche, per cui non mi sento in difficoltà ad usarla.
Direi che l'accanimento è piuttosto clericale che di destra. Veneziani, ne sono certo, non condanna l'eutanasia, piuttosto il modo con cui è trattata la questione. L'opposizione della Chiesa è invece totale per ovvie ragioni (sacralità della vita, rivendicazione del suo ruolo di ultima istanza in materia di morale).
EliminaTanti anni fa vidi un bel film, "Di chi è la mia vita?", in cui un paraplegico rivendica il suo diritto alla buona morte e la ottiene, non senza però il turbamento del personale ospedaliero che l'accudiva. Viviamo in società, una società che ci assicura la sopravvivenza, e certe questioni coinvolgono tutti per cui bisogna mettersi d'accordo. Niente di più stupido di certe rivendicazioni (per es. l'utero e mio e me lo gestisco io, oppure lo Stato non deve mettere il naso in certe questioni come l'orientamento sessuale - però gli stessi vogliono regalie dallo Stato).
Buona morte è la traduzione letterale del grecismo eutanasia. Io sono certo che usando sempre l'espressione buona morte si toglierebbe al concetto il suo aspetto turbativo (ai cattolici piace usare l'espressione "deriva eutanasica" proprio perché suscita subito ripulsa). Una buona morte, tranquilla, senza inutili sofferenze, la desiderano tutti, anche il papa come dicevo sopra. E allora mettiamoci d'accordo, santo cielo! Ma qualcuno vuole avere l'ultima parola, come sempre.
<< non senza però il turbamento del personale ospedaliero che l'accudiva. >>
EliminaE perchè mai ?
Qui non si tratta di prendere una decisione difficile per un paziente privo di conoscenza.
Si tratta solo di eseguire la precisa richiesta di un paziente, perfettamente in grado di intendere e di volere.
Ma forse sono io che - essendo a favore - la faccio troppo semplice.
Intanto il paziente non era privo di conoscenza. Il turbamento era dovuto al fatto che il personale era stato a lungo in contatto con questo paziente a cui si erano anche affezionati. La sua volontà è stata alla fine rispettata, ma ai suoi assistenti non poteva non dispiacere, è normale, no? Io sono a favore della buona morte (e dàlli), ma è un momento particolare che richiede discrezione, rispetto, tranquillità, da parte di tutti.
EliminaSu questo ti do ragione.
EliminaMi piacciono i tre termini che hai usato: direi che inquadrano perfettamente il modo corretto di gestire la situzione.