In un articolo su Micro-Mega, Edoardo
Lombardi Vallauri sostiene che “forse
la cosa più di sinistra è l'istruzione, [perché] dove la
maggioranza degli elettori è abbastanza attrezzata intellettualmente
e culturalmente, i pifferai non vincono le elezioni.“
A
parte il fatto che i pifferai abbondano ovunque, a ‘sinistra’
come a ‘destra’, è indiscutibile che l’istruzione, e quindi la
scuola (nei suoi vari gradi), rappresenti uno dei problemi principali
nella gestione dello Stato.
Quelle
che seguono sono le riflessioni di Aldo Giannuli (tratte dal suo
sito), sulla difficile “mission” della scuola moderna, sempre in
bilico tra la necessità di fornire una semplice istruzione e
l’opportunità di formare una vera e propria cultura.
LUMEN
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Nella società più recente, si è affacciata una figura socio
culturale poco osservata o al massimo considerata alla stregua di una
macchietta di cui ridere: il semi-acculturato che, invece, merita di
essere studiato, anche perché il fenomeno tende ad estendersi. E
vale la pena di prendere il discorso dall’inizio.
La
scolarizzazione di massa, storicamente, ha avuto più successo sul
piano dell’istruzione professionale che su quello della diffusione
della cultura. Anche la formazione culturale di base è stata
tradizionalmente affidata alla scuola media e, segnatamente quella
superiore, mentre cessa quasi del tutto nell’Università (salvo che
per quei corsi di laurea in cui professione e cultura coincidono come
per la formazione degli insegnanti) e questa tendenza è andata via
via accentuandosi.
Ad
esempio, il corso di laurea di Legge ha via via rinunciato o molto
ridimensionato insegnamenti quali Filosofia del diritto, Diritto
canonico, Storia del diritto, per non dire del gruppo romanistico
che, sino mezzo secolo fa, era ritenuto il fulcro formativo
dell’intero corso. Il tutto a vantaggio dei “diritti”
immediatamente operativi (commerciale, del lavoro, penale,
amministrativo e relative specificazioni ed ibridazioni). Quindi
sempre più scuola di istruzione professionale, che scuola di
formazione generale.
Il
risultato è stato quello di produrre operatori più o meno buoni del
diritto, dell’economia, dell’ingegneria o della medicina e così
via, muniti di una sommaria infarinatura culturale negli altri campi
(talvolta anche contigui: quanto capiscono di economia e finanza i
laureati in legge? E quanto spazio ricevono gli insegnamenti di
psicologia a Medicina?).
Ovviamente
ci sono precise ragioni di ordine economico che spingono in questa
direzione: gli studi universitari costano tanto allo Stato quanto
agli studenti, per cui è giusto contenere la durata dei corsi con
materie non strettamente utili all’impiego lavorativo. Questo,
però, ha avuto una serie di ricadute non sempre positive, per cui,
più che giuristi, si è finito per produrre “idraulici del
diritto”, al posto di economisti “ragionieri di lusso” e così
via.
Probabilmente,
qualche ritocco (neanche troppo insistito) tanto a livello di medie
superiori quanto a livello universitario, potrebbe ottenere risultati
diversi. Il problema è quello di fornire allo studente una dose
sufficiente di curiosità e mezzi culturali adeguati ad una vita di
costanti aggiornamenti ed approfondimenti. In fondo, che un medico
legga di tanto in tanto un romanzo, che un avvocato visiti una mostra
di pittura o un architetto cerchi di capire il contesto politico,
economico ed anche teologico-filosofico del barocco, alla fine, può
produrre anche migliori risultati in clinica, in tribunale e nel
recupero di una piazza.
E,
per la verità, non mancano (anche se sono troppo pochi) avvocati,
medici ed architetti che dedicano qualche pezzo del proprio tempo ad
attività di questo genere. Il guaio è che questo avviene molto a
casaccio, senza alcuna “struttura di insieme” che organizzi le
acquisizioni culturali man mano realizzate e su tutto si abbatte il
bombardamento mediatico (di giornali, radio, Tv, cinema e, più di
recente, il web) che dà vita ad un costante rumore di fondo, magari
“rimbalzato” dalle conversazioni che un po’ nutre e di più
confonde.
E
tutto questo ha una crescita esponenziale per la crescita tumultuosa
dell’offerta culturale sempre più diversificata, ma spezzettata.
Ottant’anni fa, il bagaglio di conoscenze letterarie di una persona
di media cultura includeva necessariamente i grandi classici della
letteratura italiana (Dante, Petrarca, Leopardi, Manzoni, ecc.),
qualche rudimento di letteratura Latina (almeno Virgilio), e greca
(soprattutto per quelli che avevano fatto il classico) e poi - non
era obbligatorio, ma non guastava - la conoscenza di qualche testo
francese (ad esempio Balzac), russo (ad es. Tolstoj) o inglese
(Shakespeare).
Già
fra gli anni cinquanta ed i sessanta, questo sarebbe stato ritenuto
un bagaglio meramente scolastico, al di sotto di uno standard medio e
autori come Pirandello, Pavese, Calvino, Gadda, Ibsen, Kafka, Lorca,
Proust, Joice, Mann o Sartre o classici di altre letterature come
Shakespeare iniziavano ad affacciarsi fra quanti non potevano essere
ignorati. Fra i settanta e i novanta si imponevano all’attenzione
altri importantissimi come Sciascia, Bufalino, Morselli, Yourcenar,
Saramago, Borges, Garcia Marques, Schnitzler, Roth, ecc. ecc. E non è
difficile immaginare che nei prossimi anni assisteremo alla scoperta
di almeno alcuni classici cinesi, indiani, egiziani ecc.
Quindi
il bagaglio base si è fatto ben più pesante, ma a questo ha
sopperito una offerta mediatica sempre più invadente e disordinata.
E pazienza se ci sono persone che, fra una trasmissione di Rai Storia
ed una conferenza di Alessandro Barbero su ‘You tube’ (prodotti
culturali molto buoni in sé, ma fuori “cornice”), si convincono
di essere un esperto di storia: magari si tratta di una formazione un
po’ confusa, ma pur sempre basata su roba buona.
Il
guaio è quando la gente si abbevera alle fonti più che inquinate di
tanto web o a trasmissionacce di questa o quella rete. E qui comincia
a nascere la figura del mezzo acculturato: l’orecchiante che ha
sommato alla sua formazione professionale un po’ di chiacchiericcio
televisivo, qualche titolo di quotidiano, mezza trasmissione radio
ascoltata in auto eccetera e si convince di essere una persona
acculturata.
Le
stimmate sicure dell’acculturato recente e parziale sono nel
linguaggio: capita sempre più spesso di sentire persone che
sdottoreggiano di politica, diritto, economia o quel che vi pare,
usando in modo del tutto improprio espressioni tecniche. Ora, il
guaio di questa “divulgazione alle vongole” è la nascita di un
robusto strato di semi-acculturati che poi votano e votano male,
comprano con effetti disastrosi sul mercato culturale, parlano
diffondendo idee sempre più confuse. Ed è in questo spazio che si
profila il fenomeno del semi-acculturato che diventa un castigo di
Dio e produce involuzione culturale.
Ovviamente
la soluzione non è mettere il bavaglio ai mass media o costringere
la gente a corsi scolastici di richiamo. La soluzione sta nel dare
una robusta base culturale, che esige una didattica scolastica molto
più adatta ai nostri tempi e dall’altro ripensare la divulgazione
dandogli più spessore metodologico: fare divulgazione nel 2020 non è
la stessa cosa di farla nel 1960 al tempo di “Non è mai troppo
tardi”. >>
ALDO
GIANNULI