venerdì 27 marzo 2020

Perchè gli Ebrei ?

Quasi tutti i popoli (o forse proprio tutti) sono stati protagonisti nella loro storia di episodi di persecuzione, sterminio e pulizia etnica, a volte dalla parte delle vittime, altre volte dalla parte dei carnefici, secondo i rapporti di forza (militare) del momento.
I motivi, in genere, sono di tipo geopolitico, ovvero legati alla conquista ed al dominio di un certo territorio. Questo, però, sembra non valere per il popolo ebraico, la cui persecuzione, nei secoli passati, ha avuto ben pochi legami con il controllo di un particolare territorio.
Il post che segue (tratto dal sito “Viaggio in Germania”) prova ad elencare le cause principali di questo accanimento così anomalo.
LUMEN


Origine n.1: Gli ebrei sono quelli che hanno crocefisso Gesù

Una delle fonti più antiche dell'antisemitismo è cristiana: "Gli ebrei sono quelli che hanno crocefisso Gesù!". Per molti secoli la chiesa ha alimentato nel popolo questa convinzione demagogica che serviva a giustificare la persecuzione e l'eliminazione della "concorrenza" religiosa.

La comunità religiosa degli ebrei era sparsa in tutta l'Europa, e costituiva sempre un corpo estraneo in una società in cui la chiesa voleva essere l'unica autorità, non solo religiosa, ma anche culturale e politica. Solo per la loro esistenza, gli ebrei erano un pericolo costante per una società medievale dominata dalla religione cristiana. Il loro costante rifiuto di farsi cristiani era una specie di delegittimazione della validità universale della fede cristiana.

Così è nato l'odio e anche la spiegazione "teologica" per quest'odio. L'idea della "colpa collettiva" degli ebrei per la morte di Gesù fu praticamente la condanna a morte per decine di migliaia di essi. Questa convinzione si mantenne molto a lungo, a livello più o meno conscio, in vasti strati della popolazione.

Origine n.2: Gli ebrei sono responsabili della peste

Questa è una variante dell'odio di origine cristiana descritta sopra. Nel medioevo, la peste fu una delle malattie più terribili e più temute capace di annientare decine di migliaia di persone e di spopolare intere regioni. L'origine era misteriosa, e dalla convinzione che fosse il diavolo a mandare la peste in terra fino a dare la colpa agli ebrei (che avrebbero avvelenato i pozzi) il passo non era lungo.

Numerosi teologi cristiani (come Johannes Chrysostomos o l'arcivescovo Agobardo di Lione) avevano attribuito a gli tutti ebrei un carattere criminale e così, gli ebrei erano facilmente individuati come quelli che scatenavano periodicamente la peste per eliminare i cristiani.

Un'altra teoria sosteneva che la peste era una punizione di Dio per il fatto che i cristiani tolleravano gli ebrei nelle loro città. Comunque sia, i risultati erano gli stessi: ogni volta che il flagello della peste colpì l'Europa aumentarono le sommosse popolari antisemite, i massacri e saccheggi, spesso con il tacito consenso – se non con l'appoggio attivo – delle autorità. Un esempio per tanti casi simili: nel 1349, a Strasburgo, furono sepolti vivi 2.000 ebrei ritenuti responsabili di quella terribile epidemia.

Origine n.3: Gli ebrei sono avari, degli usurai

Durante il Concilio Laterano del 1215 il Papa Innocente III, un nemico giurato degli ebrei, fece rilasciare una serie di norme che dovevano segnare il destino degli ebrei per molti secoli. Vietò per esempio ai cristiani di prestare soldi contro interessi e consigliò di escludere gli ebrei dalle altre associazioni professionali.

Successivamente, quasi tutte le associazioni professionali, riferendosi a queste prescrizioni della chiesa, vietarono agli ebrei l'esercizio della loro professione e costrinsero questi a delle attività professionali (cambia-monete, presta-soldi etc.) che il popolo, comprensibilmente, odiava.

Tutti, anche i contadini più poveri, dovevano rivolgersi prima o poi a un ebreo per farsi prestare dei soldi e ogni raccolta andata male portava a un odio crescente verso di loro. Ma anche gli imperatori avevano un gran bisogno di denaro, motivo per cui di solito i poteri imperiali erano molto più tolleranti nei confronti degli ebrei dai quali spesso dipendevano.

Origine n.4: Gli ebrei non vogliono integrarsi nel mondo cristiano-occidentale

Relegati da leggi religiose e civili nei loro ghetti, periodicamente perseguitati e anche sterminati, gli ebrei svilupparono una forte identità culturale che li fece sopportare e sopravvivere. Ma il loro essere diversi che si vedeva anche nel modo di vestirsi e in molte abitudini quotidiane, la loro "resistenza culturale", li rese ancora più oggetto di sospetti e di attacchi ingiusti. Colui che è diverso è tendenzialmente pericoloso. E questo valeva non solo per la società medioevale, ma anche per oggi.

Origine n.5: Gli ebrei vogliono manovrare tutti i paesi secondo i loro interessi

Questa è la versione più recente dell'anti-semitismo, è quella inventata dai nazisti per canalizzare e deviare i mille motivi di scontentezza e di rabbia del popolo contro una facile preda e per dare una semplice "spiegazione" alle molte ingiustizie nel mondo che molta gente non riusciva a spiegarsi.

In tutti i governi, in tutte le organizzazioni internazionali si potevano trovare degli ebrei, anche in posizioni importanti, e così era molto facile trovare delle "prove" per questa assurda affermazione. Secondo la teoria di Hitler l'anti-semitismo doveva diventare così una lotta di tutti i popoli contro un nemico universale. Per essere giustificato, lo sterminio sistematico aveva bisogno di una motivazione più forte, più "politica" e non solo etnica o religiosa.

Hermann Hesse sulle origini dell'antisemitismo (1958):

"L'uomo primitivo odia ciò di cui ha paura, e in alcuni strati della sua anima anche l'uomo colto è primitivo. Anche l'odio dei popoli e delle razze contro altri popoli e razze non si basa sulla superiorità e sulla forza, ma sull'insicurezza e sulla paura.

L'odio contro gli ebrei è un complesso di inferiorità mascherato: rispetto al popolo molto vecchio e saggio degli ebrei certi strati meno saggi di un'altra razza sentono un'invidia che nasce dalla concorrenza e un'inferiorità umiliante. Più fortemente e più violentemente questa brutta sensazione si manifesta nella veste della superiorità, più è certo che dietro si nascondono paura e debolezza." >>

VIAGGIO-IN-GERMANIA.IT

venerdì 20 marzo 2020

L’Ordine e il Caos

I tecno-ottimisti sono convinti che la tecnologia consentirà all’umanità di risolvere qualsiasi problema, sia presente che futuro.
I tecno-pessimisti (quorum ego) pensano invece che la tecnologia da sola, senza una significativa riduzione della popolazione mondiale, potrà ottenere ben poco.
In questo bellissimo post (tratto dal suo blog Mammifero Bipede) Marco Pierfranceschi ci spiega il perché.
LUMEN


<< La Natura nasce dal caos, e nel caos procede, con paletti definiti unicamente dalle leggi della fisica e della chimica molecolare. Le strutture organiche autoreplicanti emergono dal caos primordiale, ed in virtù della proprietà di riprodursi in innumerevoli copie, dati tempi lunghissimi a disposizione, finiscono col produrre le innumerevoli forme di vita che vediamo oggi. Nessun ordine, nessun progetto, solo popolazioni abbondanti e diversificate che competono per la sopravvivenza, generando un equilibrio dinamico e trasformandosi nel processo.

Nei fenomeni biologici, l’ordine è conseguenza di innumerevoli iterazioni di processi simili, su larga scala. Le popolazioni animali e vegetali si susseguono con continuità, interagendo in maniere complesse ed adattandosi in continuazione le une alle altre. Ciò può dar luogo ad un’apparente armonia, che è però unicamente il risultato, su larghissima scala, di un’innumerevole quantità di eventi casuali.

In questo scenario, dopo centinaia di milioni di anni, irrompe una nuova specie, la nostra, caratterizzata da un significativo sviluppo cerebrale. Un cervello in grado di osservare, comprendere e manipolare la realtà, sviluppatosi inizialmente con funzioni di mera sopravvivenza ma, in ultima istanza, diventato talmente complesso da interrogarsi su se stesso. Da questa unicità la nostra specie ha tratto l’idea di essere diversa e più importante delle altre.

Per supportare la tesi che l’Uomo fosse al centro dell’Universo occorreva contrastare l’evidenza dei fatti, elaborando una complessa ideologia che poggiasse su una quantità sufficiente di quelle che chiameremo ‘stampelle’ per potersi reggere in piedi. La prima di queste stampelle fu, con molta probabilità, la negazione della morte.

La consapevolezza della morte è una delle forme di sofferenza cui ci ha condannato lo sviluppo intellettuale del nostro cervello. Abbiamo trovato il modo di contrastare questa permanente afflizione mediante l’elaborazione del pensiero religioso e l’invenzione delle divinità, con la conseguente costruzione di sistemi di credenze finalizzate a negare la morte degli individui.

Questa elaborazione concettuale, che oggi accettiamo con facilità, deve essere stata altamente contro-intuitiva per i nostri antenati, abituati alla vita nomade di cacciatori-raccoglitori. Uno stile di vita in cui la morte doveva essere un’evidenza estremamente frequente (per quanto mitigata dall’elaborazione del lutto mediante riti funebri).

L’invenzione di un’anima divina, slegata dalla corruzione del mondo, è stata in grado di allontanare l’angoscia della morte, ma richiedeva la fabbricazione di una ulteriore ‘stampella’ ideologica a supporto, che fosse allo stesso tempo evidente e auto-giustificante. Nacque così l’idea di un Ordine Divino, avente il suo riflesso nell’Uomo.

Come abbiamo visto, in una ipotetica dicotomia ordine-caos, la natura appartiene al caos. L’uomo decide così di ‘chiamarsi fuori’, di appartenere ad un Ordine Divino, di aspirare all’immortalità. Nel fare ciò, mette insieme una serie di evidenze a supporto di tale tesi. Come esempi di ordine trova i cicli temporali determinati dall’interazione gravitazionale dei corpi celesti: l’alternanza di giorno e notte, il succedersi dei mesi lunari, i cicli delle stagioni, il ruotare incessante del cielo notturno, i moti dei pianeti.

Non è un caso che tutte le culture umane abbiano proiettato nel cielo il luogo delle divinità, come a sancire uno spazio in cui si manifesta l’Ordine (divino), distinto e separato dall’ambito terrestre, dominato dal caos. Nella regolarità dei moti celesti l’uomo antico proietta il suo bisogno di ordine, la sua aspirazione alla divinità ed in ultima istanza il desiderio di sfuggire alla morte.

Il concetto di Ordine si sviluppa, in parallelo, anche grazie alla crescita delle abilità cognitive ed attraverso i modi coi quali un cervello particolarmente sviluppato ci consente di manipolare la realtà circostante. Gli utensili, per risultare efficienti, devono essere fabbricati in una maniera precisa e sempre uguale; i ripari, anche quelli provvisori, vanno realizzati con criterio; i vegetali per l’alimentazione vanno scelti con attenzione, per evitare le varietà tossiche o velenose, e mescolati nelle esatte dosi.

Dovendo dipendere il benessere e la sopravvivenza dei gruppi umani dalla corretta applicazione di numerose regole, non è difficile immaginare come la leadership delle tribù preistoriche abbia finito col premiare proprio quegli individui più capaci di aderire ad un comportamento altamente strutturato, finendo con l’aprire la via all’idea di un Ordine Salvifico contrapposto ad un Caos potenzialmente mortale.

L’idea di Ordine si traduce, nel corso dei secoli, nelle prime scienze esatte, matematica e geometria, che si riflettono a loro volta nei primi monumenti dell’uomo (piramidi, colonne), nelle opere di irregimentazione idraulica e nell’organizzazione delle coltivazioni. Da questa prospettiva non è un caso che Scienza e Fede vadano letteralmente a braccetto, perlomeno fino ai tempi recenti.

Quello che accade, da Galileo Galilei in poi, è un progressivo distacco. La scienza matura una propria idea di Ordine Intrinseco delle Cose che non ha più necessità di una divinità a supporto. La religione, dal canto suo, non trovando più appigli nelle nuove scoperte scientifiche non può far altro che rinchiudersi a riccio sulla veridicità delle antiche scritture ed ostacolare, per quanto possibile, le nuove acquisizioni del sapere.

Sapere che si traduce ben presto in nuove tecnologie, in macchine sempre più sofisticate e complesse, in realizzazioni ingegneristiche strabilianti. La scienza diventa il nuovo alfiere del trionfo dell’Ordine, mentre alla religione resta soltanto la funzione di sollievo e conforto dalla paura della morte, anch’essa significativamente ridimensionata dall’avvento di nuove forme di distrazione (aka intrattenimento) via via più evolute e capillari.

Dato il quadro fin qui descritto, risulta evidente come a guidare l’evoluzione tecnologica della nostra specie sia stata, fin dall’antichità, l’adesione ad un’idea astratta di Ordine che ha dapprima incarnato, ed in tempi recenti sostituito, la figura divina. I nuovi sacerdoti di questa fede sono i grandi tecnocrati, architetti, progettisti, sviluppatori di software intelligenti e mondi virtuali.

E tuttavia l’Ordine umano, freddo e meccanico, si contrappone ai processi caotici propri del mondo naturale, determinando un conflitto permanente per il dominio del pianeta. È chiaro, a questo punto, il motivo per cui non siamo in grado di moderare l’impatto delle attività umane sulla biosfera: da un lato è il ‘pregiudizio antropocentrico’ a suggerire che il nostro agire possa essere unicamente ‘buono e giusto’, dall’altro è l’idea, introiettata nell’arco di innumerevoli generazioni, di un Ordine (a suo modo divino, in quanto frutto di pura astrazione) sempre e comunque preferibile al Caos. (…)

Questa nuova consapevolezza mi mette a disagio, come pure realizzare quanto in profondità sia radicato il bisogno di Ordine nei modi in cui mi relaziono all’esistente. Perfino questo ragionamento, per dire, è espressione di un desiderio di Ordine. Subisco da sempre la fascinazione per le geometrie perfette, le idee astratte, la musica, la tecnologia, per tutto ciò che è regolare, preciso, esatto, prevedibile. Proprio per questo, fatico enormemente ad accogliere la consapevolezza della fallacia e provvisorietà dei successi umani. (…)

E tuttavia resta innegabile l’evidenza del danno progressivo che stiamo producendo sull’ambiente che ci ha generati. In termini di perdita di biodiversità, di distruzione di habitat, di turbamento di equilibri sviluppatisi su un arco temporale di milioni di anni. E in qualche modo altrettanto evidente mi appare il concetto, attribuito ad Albert Einstein, che: “non si può risolvere un problema usando lo stesso tipo di pensiero che lo ha generato”.

In conseguenza di ciò, non possiamo illuderci di poter risolvere un problema generato dalla tecnologia umana per mezzo della tecnologia umana. Non possiamo affrontare un dissesto prodotto dall’idea di Ordine applicando un analogo criterio, solo declinato diversamente. Se vogliamo risolvere il problema causato dalle attività umane all’ambiente possiamo solo sospendere le attività umane. O tenerci il problema, e scommettere su quanto a lungo riusciremo a non farci sopraffare dalle ricadute indesiderate delle nostre azioni. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

venerdì 13 marzo 2020

Punti di vista – 17

POTERI COSTITUZIONALI
La teoria della separazione dei poteri subisce in Italia uno sfalsamento caratteristico, al quale si dovrà prima o poi porre rimedio in qualche modo.
A noi hanno raccontato che il Parlamento esercita la funzione legislativa (art. 70 Cost.), che il Presidente del Consiglio mantiene l'unità di indirizzo politico e amministrativo (art. 95 Cost.), e che il Presidente della Repubblica svolge una serie di funzioni di garanzia descritte dagli art. 87 e seguenti.
Visto da dentro, [oggi] diciamo che il potere legislativo ce l'ha il Governo (di fatto, si legifera pressoché esclusivamente per decreto legge, art. 77 Cost., o per decreto legislativo, art. 76 Cost., nel caso di recepimento di norme UE), quello di indirizzo politico tende ad assumerlo la Presidenza della Repubblica (…), e al Parlamento viene di fatto ritagliato, dal debordamento altrui, un ruolo quasi notarile.
ALBERTO BAGNAI


CRIPTOVALUTE
La massima attenzione in materia [di criminalità] dovrebbe essere orientata alle cripto-valute, strumenti digitali impiegati per effettuare acquisti e vendite tramite la crittografia, che stanno consentendo la creazione nel web di paradisi fiscali virtuali.
La DNA, direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, ha recentemente lanciato un allarme senza precedenti sulle cripto-valute.
Mentre, come visto, i grandi giri di affari loschi non possono avvalersi significativamente dei contanti per la lentezza delle operazioni e l’esposizione ai sequestri, trovano nelle cripto-valute uno strumento digitale velocissimo e agile nell’aggirare i vincoli, che al contempo fornisce un sostanziale anonimato nelle transazioni.
La DNA rileva grandi difficoltà investigative per identificare gli indagati, acquisire le movimentazioni di valuta virtuale e soprattutto l’impossibilità di sequestrare le valute virtuali. Insomma le organizzazioni criminali si internazionalizzano e digitalizzano, abbandonando il fardello del contante.
VADIM BOTTONI


PROGRESSISMO
Il progressismo è la volontà di imporre un progresso che, per il fatto di dover essere imposto, non è riconosciuto come tale dai suoi presunti beneficiari.
Il suo momento propositivo è perciò eternamente posposto e schiacciato dall'urgenza preliminare di forzare le resistenze sociali al cambiamento e i sedimenti pregressi di costume e pensiero, tanto che finisce quasi sempre per identificarsi con la sola ‘pars destruens’, con una guerra al vecchio, di cui il nuovo non è più il fine, ma il pretesto.
IL PEDANTE


POLITICA E SUCCESSO
La persona di qualità non si abbassa a mentire per avere successo. Non pone la propria ambizione al di sopra di ogni altro valore.
Il suo buon gusto la tiene lontana dalla demagogia, quasi quanto dal disonore. In conclusione, pur vedendo gente di livello inferiore avere successo, fama e perfino onori pubblici, non per questo riesce ad invidiarli o a voler competere con loro. Ciò che prevale è il disprezzo.
Né si tratta di una fisima. Se i politici sono rozzi, superficiali e faziosi, è perché soltanto così, in democrazia, potranno farsi capire dal popolo e ottenerne il voto.
Non soltanto non devono essere raffinati intellettuali, ma il loro genio consiste nel distorcere qualunque problema, per quanto complesso, riducendolo ad uno slogan. Poi devono essere bugiardi e prodighi di promesse, perché il popolo ama sognare.
E se loro non mentissero più dei concorrenti, perderebbero la partita. Ciò fa sì che, paradossalmente, i politici di successo siano incolpevoli.
È il sistema che non premia i migliori. È il sistema che tiene i migliori lontani dalla politica.
GIANNI PARDO


PLASTICA
L’analisi condotta da alcuni ricercatori tedeschi mostra che il 90 per cento della plastica negli oceani proviene dai dieci fiumi più grandi al mondo, 8 in Asia e 2 in Africa.
Ne intuiamo il motivo: milioni di persone, che fino a pochi anni fa vivevano in completa povertà, oggi possono indossare vestiti di fibre sintetiche, usare detergenti, mangiare cibo conservato, bere acqua in bottiglia; in altre parole, possono godere di uno stile di vita simile al nostro.
Ma sulle sponde di questi fiumi non esistono ancora sistemi di raccolta e di gestione dei rifiuti, perciò buona parte delle materie plastiche finisce dispersa nell’ambiente, nei corsi d’acqua e, infine, in mare.
STEFANIA MIGLIAVACCA

venerdì 6 marzo 2020

Guerre ed eserciti

Poche cose hanno scandito l‘evoluzione della civiltà umana come lo sviluppo delle tecniche di guerra. Si inventava qualcosa per combattere in modo più efficace, per cercare di vincere la prossima guerra, ed ecco che quella nuova invenzione trovava applicazioni anche nella vita civile, aumentando l’efficienza economica della nazione anche in tempo di pace.
Ma può avvenire anche l’inverso. Così, per esempio, la scienza dei sistemi complessi, moderna disciplina che – tra le altre cose - ci aiuta a comprendere meglio la sostenibilità ambientale, può essere utilizzata anche in campo bellico, per uno studio innovativo della struttura degli eserciti.
Quelle che seguono sono le interessanti riflessioni sul tema di Ugo Bardi, tratte da Effetto Cassandra.
LUMEN


<< Lo storico e teorico militare cinese Sun Tzu, nel suo “L’arte della guerra” (5° secolo a.C.), enfatizzava il concetto di vincere le battaglie sfruttando la debolezza del nemico piuttosto che la forza bruta.

È normale che in guerra il conflitto si concluda con il crollo di una delle due parti ma, in alcuni casi, il collasso avviene senza grossi combattimenti o addirittura nessuno. Un esempio particolarmente rappresentativo è quello del crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, arrivato dopo diversi decenni di “Guerra Fredda” che non era mai sfociata in un conflitto aperto.

Come aveva già notato Sun Tzu, la capacità di innescare il collasso della struttura militare o socio-economica del nemico è probabilmente la strategia di risoluzione dei conflitti più efficace. Ma come raggiungere questo risultato? La moderna scienza dei sistemi complessi può dirci molte cose sui fattori coinvolti nel collasso di tali sistemi, sebbene non possa fornire ricette valide per tutte le situazioni.

Il collasso è una caratteristica dei sistemi caratterizzati da una rete di relazioni interne che comportano un feedback: società, economie, gruppi, aziende, eserciti ed altro ancora, sistemi che definiamo appunto “complessi.” Il feedback può smorzare o esaltare l’effetto delle perturbazioni sui vari elementi del sistema e può arrivare a generare un tipo di collasso chiamato “Collasso di Seneca” o “Scogliera di Seneca.” Questo collasso si verifica quando i diversi elementi del sistema agiscono in sinergia, intensificando gli effetti di una perturbazione che, alla fine, fa crollare l’intero sistema.

Dopotutto, la guerra è principalmente un problema di feedback tra entità combattenti. Gli eserciti manovrano, si scontrano tra loro, si ritirano o avanzano, ma il risultato finale è sempre lo stesso: la lotta termina quando i feedback si accumulano in modo tale che una delle due parti collassa. A quel punto, la battaglia è finita.

Possiamo considerare gli eserciti come reti di soldati, ognuno connesso ai soldati vicini. In uno scontro militare, la perdita di un singolo nodo, cioè di un singolo soldato, ha di per sé un effetto limitato sulle prestazioni del sistema. Ma può essere devastante se entra in azione il mortale meccanismo del feedback. Un soldato scappa, un altro soldato lo vede correre e fa lo stesso. Altri seguono l’esempio. Questo potrebbe causare la dissoluzione dell’intero esercito, un tipico esempio di collasso generato dal feedback e anche l’incubo dei comandanti militari di tutta la storia.

Certo, negli eserciti reali le cose non sono così semplici, ma è anche vero che gli eserciti dell’antichità avevano spesso una catena di comando mal definita e questo li rendeva particolarmente esposti al crollo repentino. Ad esempio, nella battaglia di Manzikert, nel 1071 d.C., i Bizantini erano stati sconfitti dai Turchi perché, tra gli altri fattori, alcuni settori dell’esercito erano stati presi dal panico e si erano dati alla fuga.

Una volta che iniziamo a considerare la guerra in termini di sistemi complessi che interagiscono tra loro, possiamo capire come la selezione naturale sul campo di battaglia abbia portato gli eserciti ad evolversi in strutture più resistenti al collasso. Nel 1800, i Prussiani avevano sviluppato un esercito in cui ogni soldato avrebbe dovuto continuare a ricaricare e a sparare, indifferente a tutto ciò che accadeva intorno a lui. Idealmente, avrebbe dovuto continuare a sparare anche se fosse stato l’ultimo a rimanere in piedi.

In pratica, i Prussiani avevano interrotto le connessioni orizzontali della rete dell’esercito, lasciando solo quelle “verticali” che collegavano i soldati ai loro ufficiali. Era il concetto, attribuito a Federico il Grande, che i soldati comuni avrebbero dovuto temere i propri ufficiali più del nemico. Questo aveva reso la rete resiliente al collasso: perdere un nodo non avrebbe comportato una valanga di perdite di nodi a causa del feedback.

L’idea prussiana si era dimostrata vincente ed è ancora il modo in cui sono organizzati gli eserciti moderni. Ma, se ha reso più difficile il collasso “dal basso,” ha aumentato le possibilità di un collasso “dall’alto” verso il basso. Un esercito strutturato verticalmente è vulnerabile ad un “attacco di decapitazione,” un concetto già noto a quelli che, molto tempo fa, avevano inventato il gioco degli scacchi.

Un caso moderno di questo tipo di collasso si era verificato in Italia nel settembre del 1943. Dopo l’improvvisa rimozione del carismatico leader italiano, Benito Mussolini, le forze armate italiane si erano praticamente disintegrate quando il re d’Italia era fuggito dalla capitale, Roma, lasciando l’esercito senza comando e senza chiare istruzioni. (…)

Alcuni casi di attacchi di decapitazione falliti. Un esempio è il tentativo di alcuni ufficiali tedeschi di uccidere Adolf Hitler nel 1944. Non erano riusciti nel loro intento, quindi non sapremo mai che cosa sarebbe successo se Hitler fosse morto quel giorno. Un altro esempio è stato l’attacco contro l’Iraq nel 2003, che mirava ad uccidere la maggior parte dei membri del governo iracheno. Anche quel tentativo era fallito.

Il problema insito nell’idea di distruggere una struttura militare per decapitazione è duplice: il primo è che anche il nemico sa benissimo che i sui leader sono un obiettivo di valore e quindi fa di tutto per proteggerli il meglio possibile. Bisogna ricordare qui la figura del kagemusha, il “guerriero ombra” della storia militare giapponese, il cui compito era quello di impersonare un leader militare per indurre il nemico a concentrare i propri sforzi su di lui, piuttosto che sul vero bersaglio.

E’ anche vero però che in tempi moderni gli eserciti hanno sviluppato una struttura meno rigida, in cui le piccole unità possono continuare a combattere anche se perdono il contatto con il loro centro di comando. È un modo di combattere che era stato introdotto da Edwin Rommel durante la Prima Guerra Mondiale ed ampiamente utilizzato da Heinz Guderian durante la Seconda.

Un altro esempio recente di resilienza in un conflitto armato è stato lo scontro del 2006 tra Israele ed Hezbollah, in Libano. L’apparato bellico di Hezbollah è ben lungi dall’essere un esercito tradizionale: è un sistema altamente resiliente basato su piccole unità con pochissimi collegamenti tra loro. Alla fine, [questo sistema] ha avuto la meglio contro un avversario teoricamente molto più potente.

Dare un certo grado di libertà alle piccole unità è rischioso, poiché queste unità potrebbero non comportarsi secondo gli ordini del comando centrale. Ma sembra essere molto efficace nei tempi moderni, anche a causa dello sviluppo delle moderne tecniche di propaganda. Oggi, i soldati normalmente non combattono per denaro, sono fortemente condizionati dalla propaganda o dalle credenze religiose.

Alla fine, condurre una guerra è praticamente una questione di comando e controllo ed esistono molte possibili interpretazioni su come controllare un esercito in modo da renderlo resistente al collasso. Fino ad oggi, la propaganda rimane il principale strumento motivazionale per indurre i soldati a combattere, ma (…) la guerra moderna sembra affidarsi sempre più ad armi robotizzate, telecomandate o addirittura autonome.

Un concetto legato alla nascita dei robot militari è quello del “Network Centered Warfare” chiamato anche, talvolta, “Effect based operations.” L’idea è di trasformare un esercito in una singola arma usando sofisticate tecniche di comunicazione. La domanda, quindi, è chi controllerebbe quell’arma? Se esiste un unico sistema di controllo centrale, l’intero sistema diventa nuovamente vulnerabile ad un attacco per decapitazione. Un attacco al centro operativo potrebbe renderlo inutile, proprio come i pezzi sulla scacchiera quando il re è sotto scacco.

Ma è anche perfettamente possibile organizzare i robot militari in unità piccole e relativamente indipendenti. Non cambia però la domanda principale: chi controllerà i robot militari? È una domanda che, finora, non ha trovato una risposta semplice. Ovviamente, i robot non sono sensibili alla propaganda, ma i loro controllori sono ancora esseri umani.

La propaganda è uno strumento che era stato sviluppato per controllare i fanti schierati in trincea di fronte al nemico, ora abbiamo bisogno di strumenti per controllare i controllori dei robot, professionisti specializzati che operano in sicurezza da postazioni remote. Tecniche appropriate non sono ancora state sviluppate e non sappiamo quale forma potrebbero prendere e in che modo influenzerebbero il modo di condurre una guerra. >>

UGO BARDI