«Chi controlla il presente, controlla il passato. E chi controlla il passato, controlla il futuro». Questa celebre affermazione (contenuta in un romanzo di George Orwell) spiega nel modo più chiaro perché lo studio della Storia ha un’importanza “politica”, che va molto al di là della semplice erudizione.
Ma come viene insegnata la storia nelle nostre scuole ? E come, invece, dovrebbe essere insegnata ? Ce ne parla Aldo Giannuli, storico ed insegnante di grande esperienza (dal suo sito).
LUMEN
<< Che ci sia un declino delle facoltà umanistiche, non solo in Italia ma in tutta Europa, è un fatto evidente (…) e la storia non fa eccezione. Non si tratta solo di cattedre soppresse, finanziamenti tagliati, orari scolastici ridotti, ma investe proprio l’interesse degli studenti per la materia: basti vedere le cifre degli immatricolati ai corsi di laurea di Storia, il numero dei tesisti (…) che scelgono una tesi in storia, ecc.
<< Che ci sia un declino delle facoltà umanistiche, non solo in Italia ma in tutta Europa, è un fatto evidente (…) e la storia non fa eccezione. Non si tratta solo di cattedre soppresse, finanziamenti tagliati, orari scolastici ridotti, ma investe proprio l’interesse degli studenti per la materia: basti vedere le cifre degli immatricolati ai corsi di laurea di Storia, il numero dei tesisti (…) che scelgono una tesi in storia, ecc.
In parte, questa disaffezione si spiega con il “vento” culturale presente che esalta le scienze matematiche o naturali, o, al massimo l’economia e deprime tutte quelle umanistiche presentate come inutile erudizione. Ma in parte questo dipende anche dal modo in cui insegniamo la storia che annoia i ragazzi (giustamente, aggiungo io).
E il punto è che noi siamo rimasti al modello segnato dalla riforma Gentile (1923), che, per la storia, è: nozionistico-passivizzante, disciplinare, analogico, ossessivamente cronologico, evenemenziale, eurocentrico, a dominante politico militare e precettiva.
Mi spiego meglio. Il modello gentiliano immagina (non solo per la storia) la trasmissione del sapere come quella di un bagaglio di nozioni su cui solo dopo la fine del ciclo di studi (università compresa) una piccola parte dei neo laureati si applicherà per scopi di ricerca ed allo sviluppo di questa o quella disciplina, mentre gli altri si limiteranno ad applicare le nozioni apprese al proprio ambito lavorativo o al massimo per un uso personale a fini di intrattenimento.
Ovviamente, questo metodo individua lo studente come puro ricettore non interagente: allo studente non si chiede di appassionarsi alle materie che studia, ma di assimilare passivamente le informazioni trasmessegli. Gli serviranno dopo, per ora si limiti ad essere diligente. La motivazione allo studio viene dal valore culturale immaginato, non solo come elemento di promozione sociale, per la conquista di lavori più apprezzati e remunerati, ma come elemento gerarchico di comando: chi più sa, più sale nelle gerarchie sociali a cominciare da quella dello Stato e della politica, che più delle altre chiedono conoscenze storiche, la cui figura retorica regina è l’analogia.
Ne consegue che lo strumento per valutare e motivare lo studente è quello disciplinare espresso dalla promozione / bocciatura e, più in particolare, dal voto che esprime il suo valore intellettuale inteso soprattutto come adeguamento alle regole di apprendimento richieste dal modello sociale. E proprio in quanto l’analogia assume funzione chiave, la strutturazione del corso di studi deve essere cronologica e rigidamente tale, senza concessione alcuna né alla comparazione, né ad un taglio concettuale, che viene al massimo ammesso in funzione servente allo schema cronologico. (…)
In questo quadro non è affatto valorizzata la dimensione causale ed esplicativa, in omaggio alla prescrizione dello studiare la storia “per come è andata”, affastellando date e nomi senza nessuna particolare enfasi sui processi. Ed, ovviamente, questo rende inutile un approccio interdisciplinare, in particolare alla dimensione sociale.
La dominante resta quella politico-militare, dove per politico si intende l’assetto puramente statale (o della formazione o trasformazione degli stati, come per la Rivoluzione Americana, Francese, Risorgimento ecc.), accompagnata da una dimensione ideologica (…) e ad un sommario elenco di fatti militari, mai spiegati, se non con categorie indeterminate come il “genio” militare di questo o quel condottiero, ed il valore sul campo di battaglia degli uomini, mossi dall’adesione ad una qualche causa.
Quanto all’abito di osservazione esso non può che essere la storia europea, e la stessa scansione delle epoche - antica, medievale, moderna e contemporanea – (…) riproduce le tappe dell’ascesa dell’Europa nel Mondo, come affermazione del Progresso e della naturale superiorità dell’homo europeus. Donde deriva anche la dimensione precettiva dell’insegnamento della storia, che indica quali valori custodire.
Questo è lo schema di base che ancora regge l’insegnamento, salvo occasionali innesti, negli ultimi trenta anni, di storia sociale e culturale (storia di genere, dei giovani, dei consumi, del sindacato…) innesti peraltro del tutto inutili perché, per ragioni di tempo nessuno riesce a toccare quei capitoli. (…)
L’unico risultato è stato quello di aumentare il peso (ed il costo) del manuale, che resta ancora oggi l’oggetto di culto di tanto docenti, ed il modo infallibile per fare odiare la materia agli studenti, ai quali si chiede sostanzialmente di ingurgitare e digerire quello che c’è scritto in quelle pagine. Più il resoconto delle studente interrogato sarà fedele alle pagine del manuale e più il voto sarà alto. (…)
Tutto sommato, lo schema gentiliano, pur nel suo furioso classismo e nazionalismo, ha funzionato a suo modo, riuscendo a fondare un sapere storico condiviso, base delle letture di età adulta, funzionale a stabilizzare il senso di identità nazionale, utile a selezionare una classe dirigente formata sull’asse letterario-filosofico. Cosa criticabile quanto si vuole ma che ha avuto una sua coerenza e che ha raggiunto i suoi scopi. Ma, nell’anno di grazia 2016 ci serve ancora questa storia ? A me sembra che ci serva come un manuale di astrologia in una base spaziale. >>
<< Dopo la “pars destruens”, veniamo alla “pars costruens”: che fare di fronte alla decadenza degli studi storici ed al disamore crescente dei ragazzi nei suoi confronti?
Primissima cosa: basta con la noia ed il nozionismo. I ragazzi non sono otri da riempire di nozioni, ma cervelli che devono essere chiamati ad un ruolo attivo nella formazione della conoscenza storica. E questo lo si ottiene in primo luogo non dandogli la pappa pronta del manuale e rimandando ‘sine die’ il loro ruolo attivo, ma sollecitando il loro intervento costantemente ed, in secondo luogo, privilegiando un approccio concettuale, rispetto ad uno meramente nozionistico-cronologico.
Qui però dobbiamo capirci. (…) Lo studente deve essere [sempre] in grado di collocare un personaggio o un avvenimento nelle sue coordinate spazio temporali. Per fare questo potrebbe essere utile il ricorso a tavole sinottiche e magari tavole a “sviluppo progressivo”: una base iniziale generalissima per grandi epoche, poi altre più analitiche su periodi più ristretti, poi altre ancora più di dettaglio.
La cronologia è importante, ma va ridotta all’osso e poi sviluppata man mano che cresce l’interesse per un determinato periodo o paese: ormai con l’ipertesto si fanno cose prima impensabili e nel 2016 non dobbiamo necessariamente lavorare solo sul cartaceo, vi pare? Quindi va bene la cornice cronologica, ma senza inzeppare lo studente di nozioni che poi, scommetteteci, dimenticherà. (…)
Il manuale [da parte sua] è andato via via “ingrassando” perché, mentre venivano lasciate tutte le nozioni precedenti, se ne aggiungevano di nuove. (…) Solo che è perfettamente inutile aggiungere capitoli su capitoli, tanto l’orario di lezione è sempre quello e le altre materie da studiare sono sempre le stesse.
Allora, non è preferibile, data una cornice generale, insegnare ai ragazzi come scoprire quando c’è stata la lega di Cambrai, quando la guerra dei trenta anni, come è andata la rivoluzione russa e la guerra del Vietnam, ecc. ? Ma, soprattutto, saperle collocare concettualmente in un contesto coerente ?
Quindi, in primo luogo l’insegnamento deve avere un carattere metodologico e spiegare a che serve sapere certe cose (…) Questo significa insegnare ai ragazzi a formulare il quesito storico cui si intende rispondere. La ricerca del sapere è sempre la risposta ad una domanda, in mancanza della quale si fa solo dell’imparaticcio inutile o utile, forse, a “far bella figura in società”.
Dunque va preferito un approccio prevalentemente concettuale sia con schede per argomento (feudalesimo; sistema sociale proto-capitalistico; protestantesimo; simbolismo ecc.) sia curando “percorsi” tematici (storia dello Stato; storia delle città o della tecnologia ecc.) sia schede per paese via via espandibili, sempre con la tecnica dell’iper-testo. Il ragazzo che si chiede quali siano le ragioni storico-culturali del perché l’auto europea è diversa da quella americana e quali conseguenze ha questa differenza storica, deve essere messo in grado di rispondere a questa domanda e, quindi saper ricercare le fonti, saperle criticare e confrontare e ricavarne una conclusione ragionevolmente fondata.
E se poi ignora tutto sulla Lega di Smalcalda? E chi se ne frega?! Quando avrà ragione di occuparsene, andrà a vedere di che si tratta seguendo lo stesso metodo usato per la storia dell’auto. L’importante è che questo avvenga all’interno di una visione unitaria della storia (…): la storia è sempre spiegazione del presente, dunque un approccio più esplicativo che narrativo.
E le fonti ? Viviamo in un’epoca di sovrabbondanza di fonti (libri, riviste, televisione, cinema, web, per non dire archivi, musei eccetera), bisogna insegnare ai ragazzi a saper valutare le fonti e la loro funzione (…), pesarne l’autorevolezza, scomporle, verificarne autenticità e veridicità attraverso la verifica incrociata di esse ecc. (…) Certo che nel web viaggiano fior di schifezze, lo sappiamo. Ma, perché, libri e riviste sono solo oracoli di pura scienza ?
Il problema è saper valutare l’autorevolezza della fonte, soppesarne la struttura metodologica, la ricchezza documentale, la logicità delle affermazioni. E se lo studente è stato opportunamente addestrato, state tranquilli che riconoscerà le frescacce, che si tratti di web o di carta stampata. Dunque, insegnare come lavora uno storico deve essere uno degli assi portanti dell’intera impostazione formativa. (…)
Dove il paradigma tradizionale aveva un carattere nozionistico-passivizzante, narrativo, ossessivamente cronologico, ecc. (…), le esigenze del tempo presente chiedono un approccio attivistico, anti nozionistico e concettuale, esplicativo, transdisciplinare, comparativo, processuale, mondiale, non esclusivamente politico-militare e lontano da ogni pretesa moraleggiante. Lo scopo della storia non è il giudizio morale, tanto caro a Croce, ma la spiegazione rigorosamente a-valutativa dei fenomeni storici. Poi il giudizio morale può esserci, se proprio se ne ha l’esigenza, ma è un aspetto successivo ed esterno alla ricostruzione storica. Non è il catechismo quello che dobbiamo scrivere. > >
ALDO GIANNULI