domenica 24 settembre 2023

Utilità (e limiti) dei Testi Sacri

I Testi Sacri, da un punto di vista storico-politico, sono stati degli importanti strumenti di coesione e controllo sociale, e come tali hanno indubbiamente dei notevoli punti di forza; ma hanno anche, inevitabilmente, dei punti di debolezza.
Ce ne parla Marco Pierfranceschi in questo pezzo, molto interessante, tratto dal suo blog Mammifero Bipede.
LUMEN


<< Il capostipite dei moderni sistemi di comunicazione di massa sono i cosiddetti 'Testi Sacri'. I Testi Sacri formalizzano le convenzioni collettive rispetto alle modalità di relazionamento sociale rafforzandole per mezzo di una cornice teologica. Semplificando molto: se si seguono gli indirizzi proposti si ottiene di assecondare le volontà della/e divinità, di conseguenza la collettività di cui si fa parte funzionerà meglio e il singolo individuo guadagnerà una ricompensa nell’aldilà.

Gli indirizzi veicolati dai Testi Sacri sono, tipicamente, una serie di norme comportamentali funzionali alla sopravvivenza ed alla prosperità di piccole popolazioni, spesso operanti ai livelli minimi di sussistenza: non essere aggressivi con gli altri membri del gruppo, collaborare senza conflitti, mettersi a disposizione per opere della collettività, rispettare le istituzioni religiose e ‘temporali’, agire con saggezza, reprimere i comportamenti istintivi (con particolare riguardo al sesso non finalizzato alla riproduzione) e difendersi dalle comunità rivali.

Nelle società illetterate queste istruzioni vengono veicolate con cadenza regolare, quotidiana o settimanale, nel corso di apposite cerimonie, durante le quali i testi sacri vengono letti, commentati, ed i loro contenuti trasmessi alla comunità, con l’obiettivo di alimentare un immaginario collettivo condiviso. Ad integrare e supportare la comunicazione orale contribuiscono le arti figurative, attraverso raffigurazioni iconografiche collocate nei luoghi di culto, dalle quali vengono in genere tratte raffigurazioni semplificate che finiscono ad arredare le abitazioni private.

Questo sistema di condivisione culturale ha funzionato perfettamente fino a tempi relativamente recenti, fungendo da collante sociale per le civiltà del passato. La gestione dei contenuti ed il controllo sull’ortodossia delle interpretazioni tendono a concentrarsi, col passare del tempo, nelle mani di una cerchia ristretta di alti sacerdoti.

Modifiche, correzioni ed integrazioni ai testi obbligano a lunghe discussioni e non di rado conflitti. L’occasionale emergere di punti di vista divergenti, in grado di frammentare l’ortodossia dell’interpretazione e con essa il potere della casta sacerdotale, viene fermamente contrastato, ed in casi estremi represso nel sangue e bollato col termine ‘eresia’.

Il testo sacro rappresenta sostanzialmente il mezzo (medium, in latino) utilizzato per far convergere opinioni diverse, concordare linee d’azione condivise e risolvere le dispute. In cambio di questa funzione ‘mediatrice’ i rappresentanti dell’istituzione religiosa godono di uno status elevato e ricevono contributi tali da garantirne la sussistenza, la manutenzione dei luoghi di culto, le scuole di formazione e via dicendo.

L’intero processo di gestione, conservazione, diffusione ed esercizio della cultura condivisa comporta inevitabilmente dei costi, che ricadono sulla collettività. Necessariamente, nel momento in cui si instaura il classico meccanismo di trasferimento di ricchezza da una parte della popolazione ad un’altra, il confine di quanto sia giusto e necessario trasferire alla struttura di governo diventa oggetto di contesa: chi è tenuto a dare, cercherà di dare meno del dovuto, chi riceve cercherà di ottenere più di quanto gli spetti.

Tipicamente si producono due correnti di pensiero. Per alcuni la casta sacerdotale è tenuta ad esibire ricchezza, come rafforzativo della validità del messaggio veicolato, quindi paramenti appariscenti, luoghi di culto maestosi, coreografie ricercate. Per altri la necessità di veicolare un messaggio di tipo altruistico, l’unico in grado di fare da collante ad una collettività estesa, richiede l’esempio dato dalla rinuncia ai beni materiali, dall’uso di indumenti grossolani e dall’abitudine a pasti frugali.

La funzione di mediazione svolta dai Testi Sacri richiede che essi possano avallare un ampio ventaglio di opzioni. Questo viene realizzato inserendo all’interno del testo stesso fonti diverse, con orientamenti anche molto dissimili. Nello specifico, il Testo Sacro è obbligato a contenere tutto e il contrario di tutto, in modo da poter supportare una determinata linea di azione semplicemente scegliendo il brano più calzante.

Questo è già un esempio di 'Processo di Inganno', perché l’autorità religiosa supporta l’idea che la linea d’azione stabilita discenda da una precisa indicazione del Testo Sacro, il che la renderebbe incontestabile, tuttavia quell’indicazione rappresenta unicamente la porzione di Testo Sacro scelta dal mediatore, sacerdote od altro, ed è giocoforza strumentale al risultato desiderato.

L’inappellabilità della fonte divina, unita alla flessibilità dell’accesso ad una varietà di testi, contenenti indirizzi diversi, consente ai Testi Sacri di svolgere la funzione di mediazione tra gli interessi dei potenti e le aspirazioni delle popolazioni, manipolando queste ultime.

Non sorprende, perciò, che uno stesso Testo Sacro, la Bibbia Cristiana, affermi in alcune parti (Vangelo) la totale ed indiscutibile sacralità della vita umana, ma si presti altrettanto, in altre scritture più antiche, a giustificare guerre di conquista (le Crociate) o la persecuzione dei malati di mente (Inquisizione). I redattori del testo, fin dall’antichità, avevano ben chiara la sua funzione di controllo sociale e la necessità di contenervi l’intero ventaglio di opzioni necessarie a gestirla.

L’avvento della modernità mette in crisi questo modello millenario di trasmissione del sapere. Da un lato il pensiero scientifico e l’ascesa del razionalismo minano gravemente la convinzione diffusa di una possibile ricompensa ultraterrena per i sacrifici operati nel corso della vita mortale, dall’altro l’invenzione della stampa a caratteri mobili e la diffusione della carta, e con essi il ritorno ad un’alfabetizzazione di massa ed alla libera circolazione delle idee, consentono la messa in discussione dell’autorità delle istituzioni religiose e, come diretta conseguenza, delle forme di governo aristocratiche con le quali queste avevano finito col condividere una relazione simbiotica. (...)

Si sviluppa [così] una competizione per l’egemonia culturale. Da un lato le istituzioni religiose e l’aristocrazia, armati di Testi Sacri fissi ed immodificabili, considerati dettati direttamente dalle divinità e testimoniati da un esercito di sacerdoti, fedeli, aristocratici e sovrani per ‘diritto divino’. Dall’altro la nuova classe borghese, tecnocratica e pragmatica, arricchita dai commerci coloniali ed armata di libri e giornali in grado di veicolare idee nuove ed in continua evoluzione.

In questa contesa si ravvisa un’importante asimmetria tra i due strumenti comunicativi: mentre i Testi Sacri, come già detto, risultano obbligati a contenere tutto ed il contrario di tutto, prestando il fianco a diverse contraddizioni, i neonati Pamphlet possono focalizzarsi su un unico principio, un’unica idea, e svilupparla fino alle conseguenze più radicali, in ciò esibendo un esempio di rigore e coerenza.

Nel momento in cui si sviluppa un’alfabetizzazione diffusa e la società viene travolta da un ribollire di nuove idee e filosofie, ognuna di queste è oltretutto in grado di trovare supporto in una specifica porzione del Testo Sacro, di fatto derivandone una presunta sacralità per l’intera neonata architettura ideologica.

In buona sostanza la guerra alle ‘eresie’, combattuta per secoli dalla Chiesa Cattolica grazie ad un potere centralizzato e militarmente armato, finisce con l’essere perdente nei nuovi contesti culturali, dominati dalla libera circolazione delle idee ed avvantaggiati dallo sgretolamento del controllo verticistico della Chiesa conseguente alla diffusione del Protestantesimo. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

lunedì 18 settembre 2023

La coda del Pavone - 2

Si conclude qui il post di Lisa Signorile (tratto dal sito di Zanichelli) sul significato evoluzionistico della coda del pavone. (seconda ed ultima parte).

LUMEN


<< Non preoccupatevi se la teoria di Fisher non è chiarissima. Non lo è per nessuno, all’inizio, e si rivelò anche difficile da dimostrare con degli esperimenti.

Fortunatamente per noi, la teoria di Fisher non era chiara neanche al biologo israeliano Yoav Sagi, che nel 1973, quando era ancora studente, chiese ai suoi professori Amotz e Avishag Zahavi dell’università di Tel Aviv di spiegargliela.

Come racconta la coppia nell’introduzione al libro 'Il principio dell'handicap', fu proprio spiegare a Yoav l’evoluzione della coda del pavone alla luce della teoria di Fisher che diede loro l’idea del principio dell’handicap. Un’idea che spiega finalmente in modo brillante la coda del pavone e tanti altri aspetti e comportamenti degli animali sino ad allora rimasti inspiegati.

L’idea di base è che molti tratti anomali sono in realtà un segnale, un messaggio, e che “l’investimento degli animali nei segnali è simile alle penalità (dette tecnicamente “handicap”) che vengono imposte al più forte dei contendenti in un gioco o in uno sport, per esempio la rimozione della regina al giocatore migliore in una partita a scacchi. […] La vittoria nonostante le penalità imposte prova, senza alcun dubbio, che il vincitore è superiore per le proprie abilità e non per pura fortuna.”

In altre parole, la coda del pavone è un handicap, una penalità. Solo gli individui che si sono adattati meglio possono permettersi una simile coda in mezzo a una foresta, trovare cibo anche in periodi di carestia e avere l’agilità necessaria per sfuggire ai predatori. È un “segnale onesto” rivolto alle femmine della specie, come se il maschio dicesse: «prendi me, sono evidentemente il migliore, non sprecare il tuo tempo e il mio con gli altri maschi di serie B».

Più o meno il segnale che nella nostra specie lancia chi ha un’auto di lusso e la sfoggia per mostrare il proprio status sociale. Naturalmente saranno pochi i maschi ad avere code perfette (o i soldi per comprare una coupé), ma nelle popolazioni di pavoni le femmine condividono i propri compagni, che saranno quindi i padri di quasi tutti i piccoli.

Il segnale dell’handicap tuttavia, specificano gli Zahavi, funziona solo se chi lo emette non bara, cioè investe davvero energie perché può permettersele: se i suoi geni non sono buoni e spreca le risorse disponibili per atteggiarsi, non sopravviverà a lungo.

Un altro esempio classico della teoria dell’handicap è quello che spiega lo stotting delle antilopi e delle gazzelle: quando arriva un predatore la gazzella anziché fuggire comincia a saltare sulle quattro zampe in modo particolare, guardando negli occhi il predatore. Questa volta il segnale dell’handicap è rivolto al predatore: «non ho paura di te, guarda come salto bene, se mi insegui fuggirò e tu avrai perso tempo ed energie».

In questo modo il predatore sa che dovrà cercare una gazzella incapace di fare stotting, perché vecchia, azzoppata o malata: se non è in grado di sopportare la presenza di un handicap, non è probabilmente in grado di sfuggire a un inseguimento. Se una gazzella malata bluffasse e si mettesse a fare stotting, rischierebbe di sprecare le sue poche risorse saltellando invece di fuggire, e la sua fine sarebbe certa.

Nel regno animale gli esempi di handicap sono moltissimi e sono segnali rivolti a vari utenti:

= a un potenziale compagno, come fanno i pavoni e tutti gli altri uccelli i cui maschi hanno un piumaggio vistoso;

= a un predatore, come fanno le gazzelle con lo stotting o vari ungulati con le corna, che non fuggono, ma guardano con aria di sfida il pericolo;

= ai rivali, come gli usignoli o i passeri che cantano da un ramo alto, mostrando ai contendenti che quello è il loro territorio e non hanno paura di essere predati;

= all’interno di un gruppo sociale, come fanno i garruli, gli uccellini che accudiscono i figli degli altri, anche non imparentati, per dimostrare a tutti di essere all’altezza di farlo e in cambio guadagnano status sociale e attirano potenziali partner.

Noi umani non siamo immuni dall’esibire handicap, ce ne sono ovunque nei nostri comportamenti. Zahavi fa l’esempio dello sceriffo dei film western che entra nel covo dei banditi con la pistola nella fondina (l’handicap) per mostrare che non ha paura di loro.

Ma anche una grande casa è un handicap se è più grande delle reali necessità della famiglia, perché ha un costo elevato (in denaro, non in metabolismo) e segnala che la famiglia può permetterselo.

Un matrimonio sfarzoso, costosissimo e un po’ kitsch dimostra reciprocamente alle due famiglie e a tutti gli altri che chi paga può permettersi il volo delle colombe e i fuochi di artificio e segnala quindi lo status degli sposi (anche se per pagare il pranzo bisogna poi fare un mutuo!).

Ma gli handicap sono anche nel nostro corpo. I capelli umani, tecnicamente inutili se lunghi, sono difficili da gestire e forniscono una facile presa durante la lotta con un avversario. Sono quindi un altro handicap evoluto dai nostri antenati, poiché se crescono troppo si annodano, si impigliano e ostacolano la visione. Avere capelli curati e sempre ben pettinati dimostra che chi li porta può permettersi il tempo e l’investimento per gestirli e curarli, e può affrontare i nemici malgrado la presenza di questo fastidioso inconveniente.

La sclera, cioè la parte bianca degli occhi, è un altro handicap: un predatore sa che lo stiamo fissando. I gorilla hanno la sclera scura e non si capisce dove sia orientata la pupilla, confondendo il predatore, ma noi umani siamo più spacconi dei gorilla e abbiamo un handicap negli occhi.>>

LISA SIGNORILE

martedì 12 settembre 2023

La coda del Pavone - 1

C’è un animale che, più di tutti, ha messo in difficoltà gli studiosi dell’evoluzione: si tratta del pavone, del quale ci colpiscono la brillantezza dei colori (blu e verde), i disegni a forma di occhi della coda e, naturalmente, la grandissima ruota.
Lo scopo di questi vistosi ornamenti è di attirare l’attenzione ed il messaggio è rivolto, ovviamente, alle poco vistose femmine della specie: «scegli me, sono il migliore».
Ma il rovescio della medaglia è che anche i predatori ricevono lo stesso messaggio e sono pronti ad approfittarne, con grave pericolo del povero pavone. Come si può risolvere questo paradosso evolutivo ?
A questo argomento è dedicato il post di oggi (diviso in due parti), scritto da Lisa Signorile e tratto dal sito di Zanichelli.
LUMEN


<< La grande coda rende il maschio di pavone goffo e poco mobile in caso di pericolo e, quindi, sfuggire a un predatore, o anche solo cercare il cibo, diventa per lui un compito arduo. A ciò si aggiunge la scarsa manovrabilità: nel loro areale originario i pavoni sono animali di foresta primaria equatoriale, anche se vivono prevalentemente a terra.

Abituati come siamo a vederli nei parchi cittadini, riesce quasi impossibile pensare a questo animale nel chiuso di una giungla intricata: come fa a non danneggiarsi le penne? E soprattutto, come ha potuto evolversi uno strumento così ingombrante e apparentemente inutile?

Secondo la teoria classica dell’evoluzione, la selezione naturale è quel meccanismo che premia l’individuo che ha maggiore fitness, cioè riesce a sopravvivere e riprodursi più degli altri, facendo prevalere le sue caratteristiche. Non c’è dubbio che la coda del pavone rappresenti una pesante zavorra e se non ce l’avesse l’animale avrebbe una probabilità molto maggiore di sopravvivere nel suo ambiente.

Questa constatazione è quindi in apparente contrasto con la teoria della selezione naturale: un individuo con un carattere che a noi sembra negativo, come una coda lunga e pesante, dovrebbe essere marginalizzato nella popolazione in cui vive e i suoi geni dovrebbero sparire presto dal pool genico della specie. Com’è quindi possibile che i pavoni esistano?

Un primo tentativo di risposta a questo controsenso viene da Charles Darwin. Il padre della teoria dell’evoluzione si arrovellò a lungo sul problema della coda del pavone (…) e non a torto, perché un solo pavone avrebbe potuto far crollare la sua idea della selezione naturale come un castello di carte.

Tuttavia l’evoluzione non è un processo lineare e così anche le idee di Darwin si evolsero, aggiungendo alla teoria la selezione sessuale: per dirla con le sue parole, la selezione naturale è la lotta per la sopravvivenza, la selezione sessuale è la lotta per la riproduzione.

Secondo quanto scrisse nel libro 'L'origine dell'uomo e la selezione sessuale': “La lotta per la riproduzione è di due tipi: nel primo avviene tra individui dello stesso sesso, di solito maschi, per allontanare o uccidere i rivali, mentre le femmine restano passive. Nel secondo invece la lotta avviene egualmente tra individui dello stesso sesso, per eccitare o affascinare i membri del sesso opposto, di solito le femmine, che non sono più passive ma selezionano i partner a loro più gradevoli.”

La selezione sessuale è dunque un meccanismo esercitato da entrambi i sessi, ma prevalentemente dalle femmine, che scelgono il partner in base a determinate caratteristiche.

In tal modo esercitano una spinta in una certa direzione che accentua sempre più il carattere scelto: per esempio, le femmine possono preferire un determinato colore del pelo o del piumaggio e accoppiarsi prevalentemente con maschi di quel colore. Dal momento che i figli avranno almeno un gene per il colore preferito dalle femmine, il carattere diventa presto predominante nella popolazione. (...)

Nel caso del pavone la spiegazione di Darwin fu che la coda si era evoluta poiché le femmine scelgono di accoppiarsi con maschi con la coda lunga, dato che ai loro occhi (e ai nostri) questo rappresenta un carattere gradevole. Nell’Origine delle specie aveva scritto: «dobbiamo supporre che le femmine di pavone ammirino la coda del maschio tanto quanto noi». (...)

L’idea è bella ed elegante, ma c’è un problema: davvero le femmine di pavone scelgono i compagni perché sono più belli ? La selezione naturale e quella sessuale sono idee testate e dimostrate infinite volte e non abbiamo dubbi che l’evoluzione funzioni nel modo descritto da Darwin, ma rimane il fatto che la scienza dell’Ottocento non aveva ancora tutte le informazioni per venire a capo del problema.

Nei decenni successivi il nocciolo della teoria dell’evoluzione è rimasto quello proposto da Darwin, ma le idee di tanti altri scienziati l’hanno arricchita e completata, trovando le spiegazioni a problemi che Darwin si era posto, ma non era riuscito a risolvere. Tra questi scienziati c’è Ronald Fisher, un matematico londinese appassionato di statistica e uno dei padri della genetica di popolazione.

Anche lui affrontò, nella prima metà del Novecento, il doloroso problema della coda del pavone, sviluppando la teoria della selezione a cascata (runaway selection). La sua idea è che lo sviluppo di un carattere anomalo viene iniziato dalle femmine, che hanno un gene che le porta a scegliere i maschi con un particolare ornamento poiché lo associano a geni di “qualità superiore” rispetto agli altri maschi.

Secondo l’idea di Fisher, le femmine pensano che solo un maschio dotato di buoni geni sprecherebbe energie per sviluppare un ornamento vistoso e inutile. Accoppiarsi con un maschio simile, quindi, darebbe ai figli una coda più lunga, ma anche i buoni geni del padre, garantendo una maggiore fitness.

L’evoluzione, quindi, ha favorito la selezione nel DNA delle femmine di pavone di un tratto che porta ad associare la presenza di una coda lunga con l’idea di una fitness maggiore del maschio. La selezione sessuale operata dalle femmine, poi, ha accentuato sempre di più la lunghezza della coda, sino al limite odierno.

Si innesca quindi un meccanismo a cascata favorito da un feedback positivo: le femmine vogliono maschi con la coda sempre più lunga, perché quel gene materno è sotto la pressione della selezione naturale, e i maschi sviluppano code sempre più ingombranti per poter essere scelti dalle femmine. A quel punto la fitness dei maschi cala, ma quello che importa è la fitness delle femmine, che così possono investire energie riproduttive solo sul maschio con i geni migliori. >>

LISA SIGNORILE

(segue)

mercoledì 6 settembre 2023

Pensierini – LXI

RAGIONE E SENTIMENTO
E' ben noto che il comportamento umano si sviluppa in un continuo alternarsi di razionalità ed emozioni, di ragione e di sentimento, tanto che molte persone ne rimangno confuse e non riescono a comprendere bene quando prevale l'uno oppure l'altro.
Io credo però che, in linea di massima, sia possibile stabilire una linea di demarcazone tra questi due strumenti: noi utilizziamo i sentimenti per stabilire gli obbiettivi che vogliamo raggiungere nella vita, e la ragione per trovare la strada migliore per arrivarci.
Ciò vorrebbe dire che, nella nostra esistenza, i sentimenti sono più importanti della ragione, ma questo è proprio quello che osservo nella vita di tutti i giorni e, se non mi sbaglio, è anche l'opinione di molti psicologi.
LUMEN


PENTALOGO
L'uomo saggio, per vivere bene, non ha bisogno di 10 comandamenti: gliene bastano 5. Eccoli qua:
1 = Non farti del male (abbi cura della tua salute).
2 = Non metterti nei guai (ci pensa già la sorte).
3 = Non mentire a te stesso (agli altri è inevitabile).
4 = Non litigare (per farlo bisogna essere in due)
5 - Trova il segreto della felicità ed usalo (senza rendere infelici gli altri).
LUMEN


PSICOLOGIA E SOCIOLOGIA
Qualsiasi essere umano, dovendo interagire con i suoi simili e vivere nella società che lo circonda, dovrebbe avere una profonda conoscenza sia di psicologia che di sociologia.
Ed invece, queste materie sono quasi assenti nei progammi scolastici, salvo (ovviamente) che a livello universitario.
Così si creano nelle persone delle ampie lacune, che possono essere facimente riempite da altre sciocchezze (culti, ideologie, superstizioni, ecc.).
Non so se la cosa sia casuale o sia voluta, ma di certo le elites ne hanno un discreto vantaggio.
LUMEN


PENSIERO MAGICO
Nonostante l'apparente varietà, il pensiero umano si divide, sostanzialmente, in due grandi categorie: il pensiero scientifico ed il pensiero magico.
Secondo il primo, le leggi della fisica e della chimica non possono mai essere violate ed il massimo che possiamo ottenere è una conoscenza sempre più precisa di quelle leggi.
Secondo il pensiero magico, invece, in certe particolari situazioni, e con l'aiuto di certi particolari personaggi evocati per l'occasione, quelle leggi possono esser violate.
I due tipi di pensiero sono, di per sé, reciprocamente incompatibili, ma convivono sempre in ogni società umana, con tutte e complicazioni e le incomprensioni che si possono immaginare.
LUMEN


L'UOVO E LA GALLINA
Molte persone, di fronte alla famosa domanda “viene prima l'uovo o la gallina?” non sanno onestamente rispondere ed in effetti il paradosso appare ben congegnato.
Per un biologo evoluzionista, però, la risposta esiste ed è legato al meccanismo della speciazione.
Secondo il quale, da un uovo di gallina può nascere solo una gallina, mentre da una gallina può essere prodotto anche un uovo con caratteristiche genetiche leggermente diverse.
Quindi: viene prima l'uovo.
LUMEN


FIORI FINTI
Una signora inglese, avendo notato la mancanza di mazzi di fiori nella casa di George Bernard Shaw, gli chiese stupita: “Non vi piacciono i fiori ?”
Il grande drammaturgo rispose: “Certo che mi piacciono i fiori. Anche i bambini mi piacciono, ma non per questo taglio loro la testa per metterla dentro ad un vaso”.
Oggi, per fortuna, vengono prodotti dei fiori sintetici talmente 'perfetti' da consentirci di riempire la nostra casa con i loro colori e la loro allegria, senza compiere atti di crudeltà.
Ai fiori finti, però, è legato anche un curioso paradosso terminologico.
Quando l'imitazione è particolarmente riuscita, infatti, diciamo che i fiori finti sembrano veri. Ma quando i fiori veri sono particolarmente belli e rigogliosi, diciamo che sembrano finti.
A conferma che, anche nelle piccole cose, non è sempre facile avere le idee chiare.
LUMEN
 

venerdì 1 settembre 2023

Per un pugno di Dollari

Poche valute hanno il fascino mondiale del Dollaro USA, conosciuto in tutto il mondo, anche perchè in grado di circolare (e di essere accettato) quasi da tutti.
Questa circostanza, che conferisce un notevole vantaggio economico agli Stati Uniti, dipende da vari fattori, che non sono soltanto politici ed economici, ma anche culturali, legati alla diffusione mondiale della letteratura e del cinema americani.
Negli ultimi decenni, però, abbiamo assistito ad una progressiva riduzione del Dollaro USA come valuta di scambio del commercio globale, con una tendenza che appare irreversibile.
A questo argomento è dedicato il post di oggi, scritto da Pietro Pinter e tratto dal suo blog 'Inimicizie'.
LUMEN


<< Secondo il Fondo Monetario Internazionale, la percentuale di dollari detenuta nelle riserve valutarie mondiali – nei 20 anni dal 2001 al 2021 – è scesa dal 70% al 60%. Nel quarto periodo del 2022, la quota del dollaro nelle riserve internazionali è utriormente scesa fino al 58 %.

I dati dei pagamenti sono correlati ma leggermente diversi. E’ più difficile trovare dati “olistici” che tengano conto di tutti i pagamenti internazionali. I dati del sistema di messaggistica finanziaria SWIFT – il sistema più usato, anche se favorisce intrinsecamente il dollaro – mostrano il 59% di pagamenti in dollari, con la fetta restante suddivisa in modo ancora più granulare tra le altre valute.

La tendenza generale punta decisamente verso una diminuzione del ruolo del dollaro nell’economia globale, ma il declino del greenback non è stato, almeno finora, un processo rapido.

Non sembra peraltro che il tramonto del dominio di una valuta sul mercato mondiale porti necessariamente all’alba del dominio di un’altra: Il dollaro non viene sostituito prevalentemente da un potente rivale, come potrebbero essere l’euro, il remnimbi, la sterlina o lo yen, ma da un paniere di valute alternative, che guadagnano popolarità grazie a reti di accordi commerciali regionali e bilaterali, guidate tanto da fattori (geo)politici quanto da forze di mercato “neutrali” (così afferma il FMI).

Le “iniziative politiche” – guidate da diverse necessità e obiettivi geopolitici – atte a promuovere un nuovo ordine monetario mondiale, [hanno avuto] un focus sui due periodi che hanno visto un’accelerazione degli sforzi per conseguire la de-dollarizzazione: il periodo successivo alla crisi finanziaria del 2008 e quello successivo all'inizio della “operazione militare speciale” russa in Ucraina, nel febbraio 2022.

L’immagine che esce da queste [inziative] è quella di un sistema valutario sempre più multipolare – che rispecchia gli sviluppi dell’arena geopolitica – nonostante il dollaro sia ancora dominante, e in cui le “spoglie di guerra” del lento declino dell’USD sono condivise tra molte capitali.

Il dollaro USA è stato la vauta dominante incontrastata del mercato mondiale fin dagli accordi di Bretton Woods, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, con un'ascesa iniziata all'inizio del XX secolo e accelerata con la fine della Grande Guerra.

Al suo apice, prima che il presidente Nixon ponesse bruscamente fine alla convertibilità del dollaro in oro con il cosiddetto “Nixon shock” nel 1971, il dollaro costituiva circa l’85% di tutte le riserve valutarie del mondo. Il secondo picco – anche se più basso – del dominio del dollaro sarà raggiunto nel 2001, 10 anni dopo la vittoria degli Stati Uniti nella guerra fredda, con il dollaro che costituirà circa il 70% delle riserve valutarie.

Da allora, la “dominanza del dollaro” è lentamente scesa fino a sotto il 60%. [Ma], come già detto, il dollaro non è stato finora sostituito da un concorrente forte.

Nonostante il Remnimbi cinese abbia guadagnato trazione grazie al crescente ruolo dela Cina nel'economia globale e nell'equilibrio di potere regionale e geopolitico – guadagnando 1/3 delle posizioni perse dal dollaro nelle riserve forex – i dati del FMI mostrano chiaramente un quadro in cui nessuna singola valuta esce come vincitrice indiscussa dal declino del dollaro.

Nello stesso arco di tempo in cui il dollaro ha perso più del 10% del suo dominio, l’euro ha guadagnato meno del 5%, la sterlina e lo yen hanno mantenuto più o meno la stessa percentuale e il resto dei “guadagni” sono stati condiviso da un paniere di valute di riserva “altre” o “non tradizionali” (in cui è incluso il Remnimbi) come la rupia indiana, il won coreano, il dollaro australiano e canadese, il real brasiliano. (...)

Come afferma il Direttore degli Investimenti di Credit Suisse, Zoltan Pozsar, Il dollaro USA non perderà la sua posizione di valuta più diffusa al mondo nel breve futuro, e le ragioni sono molteplici. L’estrema liquidità dell’asset, il conservatorismo delle istituzioni, le dimensioni dell’economia statunitense e il ruolo globale delle imprese americane, nonché la potenza militare degli Stati Uniti, sono solo alcuni dei motiivi.

Tuttavia, è impossibile negare che il dominio del greenback sull’economia mondiale stia lentamente – ma inesorabilmente – diminuendo, e che suddetto declino non sia guidato solo da forze di mercato “neutrali”, ma anche da considerazioni geopolitiche e strategiche. Le iniziative “politiche” verso la de-dollarizzazione sono accelerate dopo la weaponization “nucleare” del dollaro USA nel contesto della guerra russo-ucraina [l'uso della vauta come arma - NdL], e non solo nei Paesi politicamente, militarmente ed economicamente legati alla Russia.

Neanche questa tendenza è destinata a mutare nel breve futuro, e oggi siamo in grado soltanto di intravedere il nuovo ordine valutario multipolare che verrà, le cui caratteristiche sono ancora in fase di definizione.

Il sistema valutario globale non è qualcosa che si può cambiare dall’oggi al domani, come dimostrano le moltissime difficoltà incontrate anche dai paesi più determinati e sotto pressione come Russia e Iran. Tra l’accordo per la convertibilità diretta tra remnimbi e rial brasiliano e un accordo Cina-Brasile per il commercio bilaterale in valute nazionali sono passati 9 lunghi anni.

La macchina però è in moto, e sta decisamente accelerando. Il florilegio di accordi [tra gli altri Stati] presi negli ultimi 2 anni, darà i suoi frutti nei prossimi 10. >>

PIERO PINTER