sabato 26 ottobre 2019

Il Globalista pentito

L’intervista virtuale di oggi ha come “vittima” il giornalista inglese Peter Hitchens, fratello del più celebre scrittore anticlericale Christopher Hitchens.
Di Christopher Hitchens è noto, tra gli altri, il volumetto “La posizione della missionaria” in cui critica, in modo feroce ma documentato, il mito mediatico di Madre Teresa di Calcutta; saggio al quale ho dedicato anche un post di questo blog (aprile 2018).
Il fretello Peter, invece, è meno noto, almeno in Italia, tanto è vero che dispone di una pagina di Wikipedia in inglese, ma non in Italiano.
LUMEN


LUMEN – Mister Hitchens, good morning.
HITCHENS – Good morning.

LUMEN - Voi siete stato, per un certo periodo, un Marxista rivoluzionario.
HITCHENS – Sì, lo sono stato in gioventù, soprattutto da studente.

LUMEN – E cosa facevate di bello ?
HITCHENS - Quando ero un marxista rivoluzionario, tutti noi eravamo favorevoli a che ci fosse quanta più immigrazione possibile nel nostro paese.

LUMEN – Vi piacevano gli immigrati ?
HITCHENS – No. Non era perché ci piacevano gli immigrati, ma perché non ci piaceva la Gran Bretagna. Vedevamo gli immigrati, da dovunque venissero, come alleati contro la immobile, seduta, conservatrice società del nostro Paese alla fine degli Anni Sessanta.

LUMEN – Una scelta un po’ masochista.
HITCHENS - Ci piaceva anche sentirci superiori alla gente sbalordita, di solito nelle parti più povere del Paese, che vedeva il proprio quartiere improvvisamente trasformato in "comunità vibrante".

LUMEN – E se quei poveretti protestavano ?
HITCHENS - Se osavano sollevare la minima obiezione li chiamavamo bigotti.

LUMEN – Ma voi venivate da quei quartieri ?
HITCHENS – No di certo, gli studenti rivoluzionari non venivano da quelle "aree vibranti". Venivamo, per quello che ricordo, soprattutto dal Surrey e dalle parti più belle di Londra.

LUMEN – Però le conoscevate, quelle zone ?
HITCHENS – Certamente. Potevamo anche vivere nei posti "vibranti" per qualche anno di squallore, in mezzo a prati non falciati e pattumiera che traboccava dai cassonetti. Ma lo facevamo come gente di passaggio, senza responsabilità e senza figli, non come proprietari di casa o genitori di bambini in età scolare oppure come anziani che speravano in un po' di serenità alla fine delle loro vite.

LUMEN – E poi, finiti gli studi ?
HITCHENS - Quando ci siamo laureati e abbiamo cominciato a guadagnare, ci siamo spostati nei quartieri della Londra bene e siamo diventati estremamente esigenti circa le scuole dove mandare i nostri figli, una scelta che avevamo tranquillamente negato ai cittadini meno abbienti, quelli che disprezzavamo come "razzisti".

LUMEN – Ma eravate consapevoli di quello che stava accadendo.
HITCHENS – Sì, sapevamo della grande rivoluzione silenziosa che, ai tempi, stava per trasformare le vite dei poveri britannici.

LUMEN – E cosa ne pensavate ?
HITCHENS – Di questo ci importava ben poco. Per noi patriottismo e tradizione dovevano essere sempre derisi come "razzismo".

LUMEN – L’immigrazione, però, aveva molteplici aspetti.
HITCHENS – Certo. Voleva dire anche nuovi domestici a buon mercato per ricca nuova classe media, per la prima volta dal 1939, cosi come nuovi ristoranti e manodopera, muratori, idraulici, che lavoravano in nero.

LUMEN – E questo vi preoccupava ?
HITCHES – No, perché non erano i nostri salari che erano ridotti, non erano i nostri impieghi ad essere spinti fuori mercato. Gli immigrati non facevano i nostri lavori. Non erano una minaccia per noi.

LUMEN – Molto comodo.
HITCHENS - L'unica minaccia, per noi, poteva venire dalla gente, ma potevamo sempre mettere a tacere le loro proteste suggerendo che fossero i fascisti dei nostri giorni.

LUMEN – Un classico della sinistra.
HITCHENS - Da allora, però, ho capito quanto io fossi maligno, egocentrico, snob e arrogante, cosi come la maggior parte dei miei compagni.

LUMEN – E quindi vi siete, diciamo così, pentito.
HITCHENS – Esatto. L’ho fatto con colpevole ritardo, ma l’ho fatto, e ne sono lieto.

LUMEN – Beh, meglio tardi che mai. Grazie per la chiacchierata.
HITCHENS – Dovere.


P.S. -  Le affermazioni di Peter Hitchens sono tratte, con minime variazioni, da un articolo da lui scritto per un giornale inglese, poi tradotto in italiano da un blog ora chiuso (e quindi non più disponibile). Lumen

venerdì 18 ottobre 2019

Punti di vista – 12

PIL E BENESSERE
Il PIL non discrimina la spesa per il superfluo dalla spesa sanitaria, l’acquisto di cibo dall’azzardo più o meno legalizzato.
Il PIL misura quello che i mercati hanno interesse a misurare: quanta moneta corrente viene scambiata, perché è sul totale che si ricavano le percentuali che vanno ad arricchire gli investitori e gli azionisti.
Paradossalmente un paese di gente in buona salute sarà meno portato a produrre reddito di una popolazione affetta da diverse patologie.
I primi potranno permettersi di lavorare meno, e questo per i mercati non è accettabile.
MARCO PIERFRANCESCHI


FUGA DI CERVELLI
Chi parte [per l’estero], nella stragrande maggioranza dei casi, lo fa per sé o per i propri cari più immediati, che sono un’estensione di sé.
Questo vale per il profugo come per il ricercatore.
Nel momento in cui si decide di andare altrove, oltre a tutte le grandi motivazioni nobili che la nostra era individualista è così rapida nel trovare, c’è quasi sempre il senso che la dimensione umana fondamentale non sia quella della società, ma dell’individuo.
Non necessariamente questo porta a cattivi risultati, ma, come in ogni cosa, il pendolo dondola ed è ora che torni indietro.
L’individualismo è stata una reazione a secoli di limitazioni dell’autonomia e libertà delle persone, oltre che a nuove opportunità economiche che rendevano molto allettante il pensare per sé, ma resta il fatto che la dimensione fondamentale umana è quella sociale.
GAIA BARACETTI


MENTALITA’ SCIENTIFICA
La mentalità scientifica è nata in Europa con Talete, con Archimede, con Aristotele, ma perfino con la mitologia greca.
Questa infatti è un insieme di favole (è questo il significato della parola “mito”) ma sono favole che danno una spiegazione dei fenomeni naturali.
E se la spiegazione fantastica non vale nulla, vale ancora molto l’averla cercata.
Questo bisogno di darsi conto del reale ha dato all’Europa la sua preminenza nel mondo.
La scienza è un prodotto italiano, inglese, francese, non giapponese o cinese, per quanto grandi siano state quelle due civiltà.
GIANNI PARDO


CULTO MARIANO
Quasi assente nei primi due secoli di cristianesimo, il culto mariano si diffonde poco dopo, strettamente legato al concetto di protezione in un periodo di disordine politico ed economico.
In altre parole, si sviluppa con la popolarizzazione del cristianesimo e durante quella che viene chiamata dagli storici la "crisi del III secolo": le prime invasioni barbariche, le secessioni dall'impero, l'anarchia militare etc. (…)
Da quel punto in poi, anche i vertici della Chiesa fanno propria la devozione per la Madonna (e nasce una disciplina teologica, la mariologia appunto, già discussa al Concilio di Nicea del 325, con livelli di complessità via via crescenti nei secoli successivi).
A livello popolare invece il culto rimane molto semplice: la Madonna è una figura materna (con le sue radici nelle devozioni pagane per la Dea Madre, presente in tutto il Mediterraneo) e come ogni madre è sinonimo di protezione, rifugio, riparo, tutela.
Caldo affetto materno che ti difende dalle intemperie della vita e del tuo tempo, specie se il tempo in cui si vive è irto di pericoli.
Con la caduta dell'impero, le invasioni barbariche, le scorribande arabe o ungariche o vichinghe, la fine dei commerci e poi le spaventose carestie dell'Alto Medioevo, diventa - inevitabilmente - fortissimo.
ALESSANDRO GILIOLI


MENZOGNA E UTOPIA
Rimane tenace la superstizione secondo cui la verità rende liberi; e induce alla rivoluzione.
Il che è un errore madornale. Decisivo. La verità non smuove niente. La menzogna, sotto le belle forme dell’utopia, smuove.
La Marcia su Roma, la Marcia del Sale, il Treno di Lenin, la Birreria di Monaco: credete che qui in moto e in marcia fossero uomini e donne a cui si era rivelata la verità?
Ma no, essi credevano. Tendevano. 
Avere fede. Puntare lo sguardo in un futuro da modellare secondo il proprio desiderio. Colmare il cuore di folle desiderio: ecco, questo smuove; alla marcia, alla protesta, a sopportare il dolore e la morte.
La verità, ammesso che ne esista una, è assai indesiderabile.
Il condottiero sa che la verità deve essere celata dalla bellezza delle mire celesti: il Paradiso Terrestre, le Vergini, El Dorado, la Terra del Prete Gianni, il Catai, la Greenland.
ALCESTE

venerdì 11 ottobre 2019

La vera storia dei 10 Comandamenti

Mauro Biglino ha acquisito una certa notorietà editoriale per i suoi saggi sulla Bibbia, della quale, grazie alla sua perfetta conoscenza dell’ebraico antico, ha effettuato una completa decostruzione e ricostruzione. 
E se la ‘pars costruens’ appare decisamente discutibile (vedi pagina “wiki”), la ‘pars destruens’ risulta invece molto più convincente. 
Come ci dimostra egregiamente  il lungo post che segue (tratto dal sito Unoeditori.com), dedicato ad uno dei miti più importanti della religione cristiana, quello dei 10 Comandamenti.
LUMEN


<< Al periodo in cui Mosè si recava spesso sulla montagna dove dimorava l’Elohìm, appartiene la vicenda della consegna delle Tavole della Legge, che conosciamo con il nome di “Dieci comandamenti” o “Decalogo”. (...)

L’espressione ebraica con cui queste leggi sono indicate è 'devarìm-ha asèret' (“dieci-di le-parole”) e sono sempre chiaramente indicate come quelle che «Dio ha scritto sulla pietra» (Es 34,28; Dt 4,13 e 10,4). Su queste dieci parole sarebbero dunque fondate l’intera religione ebraica e la religione cristiana, che ne è una diretta filiazione. Ma le dieci parole cui si riferiva in modo esplicito l’Elohìm sono proprio le stesse che conosciamo noi? (…)

Il Decalogo che ci viene ora presentato tradizionalmente è il seguente:
1. Io sono il Signore tuo Dio: non avrai altro Dio all’infuori di me.
2. Non nominare il nome di Dio invano.
3. Ricordati di santificare le feste.
4. Onora il padre e la madre.
5. Non uccidere.
6. Non commettere atti impuri (adulterio).
7. Non rubare.
8. Non dire falsa testimonianza.
9. Non desiderare la donna d’altri.
10. Non desiderare la roba d’altri. (…)

Le nostre domande di fondo sono:
le “dieci parole” cui si riferiva in modo esplicito l’Elohìm sono proprio le stesse che conoscono le dottrine religiose che su quelle dicono di fondarsi?
La visione religiosa, cui corrisponde una certa tipologia di esigenze etiche, trova riscontro nelle esigenze espresse dall’Elohìm che le ha inserite nei precetti da lui stesso incisi sulla pietra e da lui indicati come fondanti per l’Alleanza?
In altre parole: la religione cristiana ha dato la giusto importanza (o l’ha amplificata?) ai concetti espressi dall’Elohìm?

Proseguiamo nell’analisi letterale di ciò che ci dice la Bibbia e verifichiamolo.

Siamo sul monte con Mosè e prendiamo atto di un primo elenco di precetti che l’Elohìm trasferisce a colui che gli fa da portavoce presso il popolo. In Esodo 20,2-17 abbiamo una serie di indicazioni che definiremmo “generiche”, in quanto non sono oggetto di una particolare sottolineatura da parte dell’Elohìm:

«Io sono Yahweh, Elohìm tuo».
«Non avrai altri – plurale nel testo!! – Elohìm all’infuori di me».
«Non ti farai immagini».
«Non servirai altri Elohìm perché io sono geloso»: e si può essere gelosi di “chi non esiste”? (…) Evidentemente esistevano altri Elohìm che attraevano l’attenzione del popolo, come dimostra l’intera storia della conquista della Terra promessa…
«Non userai invano il nome di Yahweh, Elohìm tuo»: dunque vi erano altri Elohìm, con altri nomi…
«Ti ricorderai di santificare il sabato […] il settimo giorno non farai alcun lavoro, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo servo e la tua serva, il tuo bestiame, il forestiero che sta dentro alle tue porte».
«Onora tuo padre e tua madre».
«Non ucciderai».
«Non commetterai adulterio»: non sono presenti gli “atti impuri” indicati nel Decalogo tradizionale…
«Non ruberai».
«Non testimonierai il falso».
«Non desidererai la casa del tuo prossimo, non desidererai la donna del tuo vicino, il suo servo, la sua serva, il suo bue, il suo asino e tutto ciò che appartiene al vicino tuo».

Seguono altre prescrizioni:

sul modo di costruire l’altare per i sacrifici
una serie di indicazioni di carattere legale sulle pene da comminare per vari tipi di reato come l’omicidio, danni contro le persone, contro la proprietà…
una serie di altre prescrizioni relative alla necessità di costruire un sistema di convivenza capace di creare una vera e propria società civile.

Diciamo subito che non vi sono qui accenni alle Tavole di pietra, non vi sono indicazioni che facciano pensare a una particolare importanza di quanto prescritto, e soprattutto non è mai utilizzata quella definizione che conosciamo come “le dieci parole”, che pare identificare le norme fondamentali per l’Alleanza!

Le Tavole di pietra fanno la loro comparsa solo in un passo successivo. Nei capitoli che vanno dal 21 al 31 (undici interi capitoli!), Yahweh fornisce:

indicazioni sulla struttura del santuario nel quale prestare a lui il culto: la tenda, l’arredamento costituito da vari elementi, le suppellettili, gli altari, il recinto, le vesti dei sacerdoti, la consacrazione degli stessi, la designazione degli artigiani che dovranno occuparsi della realizzazione del tutto.
Yahweh ritorna infine a sottolineare l’importanza del riposo sabbatico, della cessazione da ogni lavoro: un precetto da osservare per sempre, pena la morte!

Immediatamente dopo, il versetto 18 del capitolo 31 racconta che, quando ebbe finito di parlare, diede a Mosè le “due tavole di pietra”. La Bibbia però non dice quale ne fosse il contenuto; non sappiamo quindi per il momento quali fossero gli elementi principali dell’intera normativa di cui l’Elohìm aveva parlato con Mosè sul monte. Certo queste Tavole di pietra non potevano contenere tutto quell’insieme di prescrizioni descritte negli undici capitoli che abbiamo qui sintetizzato.

Ciò che sappiamo è che Mosè scende dal monte tenendole in mano e non sa ancora che il popolo non aveva perso tempo: si era immediatamente dedicato al culto di un altro degli Elohìm, costruendo un vitello d’oro (un idolo di chiara derivazione egizia) e dimostrando così che la gelosia di Yahweh – quello che stava diventando il loro Elohìm – era decisamente motivata!

Preso dall’ira per questo tradimento, Mosè scaglia a terra le tavole e le rompe! Evidentemente sapeva di poterne avere delle altre, perché non riusciamo a pensare che un uomo potesse prendersi la libertà di spaccare un oggetto tanto importante se fosse stato un dono divino unico e irripetibile. (…)

Immediatamente dopo (34,1) l’Elohìm dialoga con Mosè circa le tavole di pietra che lui ha rotto: Yahweh (stranamente) non se la prende con Mosè per il suo gesto inconsulto; la rottura delle Tavole non costituisce evidentemente una questione su cui valga la pena di soffermarsi, per cui – visto che ha rotto le precedenti – gli dice molto semplicemente di procurarsi altre due Tavole e che lui provvederà a riscrivere quanto già aveva scritto la prima volta.

Mosè risale sul monte il mattino presto portando le nuove Tavole e Yahweh formula una serie di prescrizioni precedute dalla dichiarazione di rinnovamento dell’Alleanza (cfr. Es 34,10-26). Dice in sostanza: “Ecco, io faccio un’alleanza di fronte a tutto il popolo… compirò prodigi e caccerò i nemici di fronte a te…”.

E poi comanda a Mosè di osservare quanto lui gli ordina e cioè di:
«non contrarre alleanza con gli abitanti del paese»;
«distruggere i loro altari, le stele, le immagini, e non adorare i loro dèi»;
«non prendere donne del paese per i figli di Israele»;
«non fare divinità di metallo fuso»;
«osservare la festa degli azzimi nel mese di Abib»;
«riservare a Lui tutti i primogeniti maschi; riscattare i primogeniti degli umani con dei doni»;
«rispettare il sabato dopo aver lavorato per sei giorni»;
«celebrare la festa delle settimane» (mietitura, raccolto a fine anno…);
«far presentare ogni maschio davanti all’Elohìm tre volte all’anno»;
«non offrire il sangue della vittima sul pane lievitato e il sacrificio della Pasqua non dovrà rimanere fino al mattino »
«donare al Signore le primizie della terra»;
«non far bollire il capretto nel latte di sua madre».

Dopo avere elencato questi precetti dettagliati, l’Elohìm dice a Mosè (versetto 27) che queste sono le parole che Yahweh ha fatto scrivere sulle Tavole perché – afferma egli stesso – è sul fondamento di queste che è stata costruita l’Alleanza. È quindi questo il “Decalogo”, per dichiarazione stessa di chi l’ha dettato! Un decalogo molto poco spirituale e decisamente finalizzato alla definizione e mantenimento di un rapporto contrattuale: “Io faccio qualcosa per te se tu fai qualcosa per me”. Un decalogo talmente pratico che mirava anche alla salvaguardia della salute di un popolo che viveva in condizioni igieniche estremamente precarie (…)

Quanta distanza dal Decalogo della tradizione cristiana! (…) Due elenchi totalmente diversi! E allora chiediamoci: “Le prescrizioni [originali] potrebbero servire per creare una religione come quella cristiana? La risposta è semplice: assolutamente no ! (…) Questo patto ha delle basi molto pratiche; si fonda su norme che poco hanno a che fare con l’etica comunemente intesa: non ci sono le norme relative all’uccidere, al rispettare le proprietà o la donna degli altri… (…)

Non ci rimane che considerare come i fondatori del Cristianesimo abbiano stravolto l’ordine di importanza dei precetti. Visto che volevano creare una religione, hanno dovuto presentare come fondamentali (scritti sulla pietra) dei comandamenti che loro hanno scelto come utili alle loro finalità, mentre l’Elohìm riteneva fondamentali altre norme, molto più concrete e sulle quali difficilmente si sarebbe potuto costruire un sistema religioso così come viene comunemente inteso.

Basta leggere con attenzione i due elenchi per capire la differenza sostanziale, una differenza che si spiega sapendo che l’Elohìm non voleva costruire quella religione che invece è stata artificiosamente ricavata dai testi. Le sue finalità erano ben altre: definire un patto con un popolo da cui farsi servire in cambio dell’aiuto per la conquista di un territorio in cui installarsi. I fondatori del Cristianesimo – potremmo concludere – hanno deliberatamente oscurato gli scopi dell’Elohìm, sostituendoli con i loro. >>

MAURO BIGLINO

venerdì 4 ottobre 2019

La svolta etica del capitalismo

Nello scorso agosto, The Business Roundtable, una associazione che riunisce il top management delle multinazionali statunitensi, ha emesso un comunicato, a suo modo epocale, in cui i suoi componenti si impegnavano a non considerare più il semplice profitto degli azionisti come unico obbiettivo delle loro Società, ma a tenere conto anche delle esigenze di tutte le controparti coinvolte (clienti, dipendenti, comunità, ambiente, ecc.).
Da questa nuova “carta etica”, prende lo spunto Marcello Veneziani per alcune interessanti riflessioni, di carattere più generale, sul capitalismo, i suoi limiti e le sue prospettive future (dal suo sito).
LUMEN


<< È passata fugace, come una meteora d’agosto, la svolta annunciata da 181 top manager di altrettante banche e grandi imprese alla Tavola rotonda del Business che rappresenta il Gotha dell’economia americana e globale, sulla necessità di cambiare la mission del capitalismo.

Lo scopo principale dell’impresa – hanno detto i manager e le aziende del capitalismo imperante tra cui Jeff Bezos di Amazon e Tim Cook di Apple – non può più essere il profitto e la sua massimizzazione, come sosteneva Milton Friedman. Non è scopo primario, esclusivo, aumentare il valore in borsa e i dividendi agli azionisti, ma si devono avere anche obbiettivi sociali: i lavoratori dipendenti, i consumatori, l’ambiente e il clima, il contesto sociale. Cambia la filosofia del capitalismo, annuncia il Wall Street Journal; dopo il socialismo, ecco il capitalismo dal volto umano. È la new age del capitalismo eco-solidale.

Ma è credibile, è possibile che il capitalismo cambi la sua natura e il suo scopo? La prima ipotesi è che si tratti di retorica & pierre, un contentino al target e all’immagine per travestire con ipocrisia la vera natura del capitalismo e renderla più gradevole al mondo, agli utenti e ai media. E magari anche un paravento morale per i mega-stipendi dei CEO, che col passare degli anni si allontanano sempre più dalla restante umanità dei dirigenti e dei dipendenti. Questa lettura malpensante avrà qualche fondamento ma non esaurisce la sostanza del pronunciamento, la situazione a cui risponde e magari la preoccupazione sincera di alcuni manager e imprenditori.

La seconda ipotesi è che si tratti di una risposta al montante populismo sovranista. Ma risposta qui si può intendere in due modi opposti: come un assecondare, compiacere – anche solo in apparenza – alcune istanze populiste e protezioniste in auge da quando Trump guida gli USA e molti leader in sintonia con lui guidano le maggiori potenze mondiali.

Però può essere intesa anche al contrario, come un modo per contrastare il populismo, sconfessando da un verso il cinismo liberista e anti-ecologista che lo percorre e dall’altro sottraendo argomenti e terreno al suo dichiarato populismo economico, al suo protezionismo sociale verso le masse, i nuovi proletari, i disagiati. Credo che quel pronunciamento dei top manager sia la somma di ambedue le spiegazioni.

Ma al di là dei moventi occasionali quali sono le motivazioni profonde di quella dichiarazione? Forse è un sussulto di capitalismo etico, che appare e scompare periodicamente negli anni e cerca di dare buona coscienza al profitto e all’espansione illimitata dei mercati. Precursore nostrano e convinto del capitalismo solidale fu Adriano Olivetti.

Ma dietro quella svolta annunciata non c’è solo l’etica degli affari; c’è la ripresa di temi che un tempo definirono la Terza Via. Il riferimento vicino è a Antony Giddens, ideologo di Tony Blair, in parte a Ralf Dahrendorf e alle eredità della socialdemocrazia nord-europea. Ma il tema della terza via è molto più vasto, più antico e non nasce in ambito atlantico o nel mondo liberal.

La terza via oltre il socialismo e il capitalismo è il tema centrale della dottrina sociale della Chiesa sin dalla fine dell’Ottocento, è il cuore dell’economia sociale di mercato, il modello renano e la Mitbestimmung tedesca, il sistema partecipativo cristiano-sociale; è il tema economico-sociale del gollismo francese, dei regimi nazionalisti e del peronismo, è stato il tema ideologico e sociale del fascismo.

Un tema necessario, sacrosanto, ma è realmente praticabile se si resta all’interno del capitalismo, anzi se si vive nell’epoca del capitalismo globale? Si può davvero mutare la “ragione asociale” del capitalismo, sopprimere o frenare la sua molla egoistica e individualistica, reprimere i suoi spiriti animali?

Impresa difficile, che diventa impossibile se si pretende che sia lo stesso capitalismo ad autoregolarsi e autolimitarsi fino a darsi scopi divergenti dalla sua stessa natura e vocazione. Il capitalismo non può darsi da solo regole sovra-economiche di questo tipo; perderebbe il suo slancio e la legge spietata della concorrenza penalizzerebbe subito chi aderisce alla svolta etico-sociale.

È necessario prevedere un’altra sovranità che bilanci il potere del capitale e indirizzi l’economia a contemperare profitto e interesse sociale. Fino a oggi quel contropotere è rappresentato dallo Stato nazionale, dalla politica e dalle rappresentanze sociali e sindacali. Non si può pensare di farne a meno, risolvendo con l’autogestione del capitalismo, convertito allo spirito solidale, comunitario, francescano. Difficile credere che i Ceo abbiano le stimmate…

A complicare le cose si aggiunge un’altra considerazione che già delineava Heidegger e che è stata più di recente avanzata da Emanuele Severino e poi da Umberto Galimberti. Il destino del capitalismo è oggi nelle mani della tecnica più che degli azionisti, ovvero l’utilizzatore finale della catena dei profitti è la crescita illimitata e impersonale della macchina, dell’apparato che da mezzo diventa scopo. La tecnica si espande a livello planetario, usa il capitale anziché esserne usato e si costituisce in potenza assoluta, autonoma, sovrastante…

Il problema, allora, è tentare un salto di paradigma, un cambiamento radicale che rimetta in discussione il modello planetario in cui siamo inseriti e che ha trasformato la finanza e la tecnologia da mezzi a scopi. Occorre un altro pensiero, un’altra destinazione. Ben vengano i top manager umanizzati, ma difficilmente potranno essere loro a suscitare quella svolta. >>

MARCELLO VENEZIANI