Si
concludono qui le previsioni di Luca Pardi - ante corona-virus - sul
futuro del nostro pianeta (seconda e ultima parte).
LUMEN
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In questo quadro [economico], l’Italia potrebbe tornare quel
Belpaese preindustriale di morti di fame dei viaggi di Mozart e di
Goethe che tanto piace al burocrate Guy Verhofstadt. Il mercantilismo
tedesco da questo punto di vista ha già avuto effetti devastanti
sull’economia dei paesi del Mediterraneo. Naturalmente questo ha
generato una reazione. Il nazional-populismo sovranista e
regionalista è chiaramente una reazione alla tendenza in atto. I
ceti medi e medio bassi, che in parte sono i ceti di lavoratori,
quelli che nell’immaginario marxista si chiamava “la classe”,
non hanno nessuna voglia di tornare indietro di mezzo secolo.
Il
2019 dei movimenti in Francia, fra Gilet Gialli e mobilitazione
contro la riforma delle pensioni, sono parte di questa dinamica. Il
popolo italiano mostra la sua atavica tendenza al particolarismo,
alla divisione, all’individualismo, al regionalismo, ma vede una
crescente resistenza al disegno punitivo e redistributivo. Si può
immaginare che di fronte ad un indebolimento dell’economia globale,
già in atto da mesi durante il 2019 che volge alla fine, porterà
tensioni anche nell’ordinata Germania che ha digerito un ventennio
di salari di m***a (…) in nome della piena occupazione.
Difficile
immaginare che in una situazione del genere le classi politiche
globali siano in grado di convergere su un accordo che limiti i danni
ecologici. L’impresa è talmente impegnativa che per produrre
l’effetto voluto ci vorrebbe un’invasione di alieni benevoli che
ci costringessero ad operare concordemente a tal fine.
Homo
sapiens è il prodotto dell’evoluzione di gruppo secondo la quale
l’altruismo si esercita all’interno del gruppo. Nel paleolitico
il gruppo era la tribù legata da legami familiari, con l’evoluzione
culturale il gruppo di riferimento si è esteso, ma non è mai
arrivato, tranne che nell’idea (poi generalmente tradita) di
piccole minoranze ideologizzate, ad essere esteso all’intera
umanità. Il confine si ferma al gruppo etnico religioso, linguistico
o alla nazione.
È
difficile immaginare che alla fine di questa lunga corsa, che ha
portato la popolazione umana da qualche decina di migliaia di
individui divisi in tribù, al collo di bottiglia del tardo
pleistocene, a quasi otto miliardi divisi in nazioni, si trovi,
finalmente, la ricetta per l’istituzione di una fraternità
universale, proprio nel momento in cui le condizioni ambientali si
degradano e il flusso di materie prime ed energia dalla natura alla
società umana, diventa più viscoso. L’idea “Proletari di tutto
il mondo unitevi” è sempre stata un’illusione non diversa da
quella della fratellanza universale.
L’iniziativa
dei giovani del venerdì e quella dei loro genitori tecno-ottimisti
del sabato, non cambia di un millimetro la posizione in cui siamo. Si
tratta di idee che definirei eco-benpensanti. Intendiamoci,
preferisco chi pensa delle buone cose, piuttosto di chi progetta
pessime cose, ma la domanda fondamentale a cui si dovrebbe rispondere
è: chi dovrebbe fare che cosa, in che modo e in quali tempi? E qui
si torna alla questione dell’economia e della politica. L’economia
capitalistica non può rinunciare alla crescita.
La
crescita è sempre, fin dalla prima rivoluzione industriale, stata
alimentata da un crescente flusso dalle fonti di energia e materia
planetarie e ha usato gli ecosistemi terrestri come ricettacolo dei
propri rifiuti gassosi (gas serra ad esempio), liquidi e solidi.
L’intorpidirsi del flusso energetico e materiale dalla natura al
sistema economico prelude ad un rallentamento della crescita, al suo
esaurimento e all’inversione di tendenza. A prescindere dalle
nostre azioni questo succederà in questo secolo. Ma il sistema
economico globale funziona con la carota del debito.
Il
debito (che visto dall’altra parte è un credito, cit. Alberto
Bagnai) è una promessa di estrarre nuove risorse dalla natura per
fare merci che vendute sul mercato creeranno più valore di quello
originariamente preso in prestito. D’accordo, sì, c’è la
terziarizzazione dell’economia, l’economia dei servizi, il
disaccoppiamento ecc., tutte cose che funzionano finché si spostano
le produzioni pesanti ed inquinanti in qualche altro paese. Quello
che io penso (aspetto smentite) è che man mano che il flusso
materiale ed energetico si intorpidisce il meccanismo diventa più
difficile e alla fine non regge. Il segnale sarà un nuovo collasso
finanziario (scoppio di una bolla).
Forse
quello del 2007-2008 è stato solo l’inizio. Sotto traccia lavora
la termodinamica, ma quello che si vede è l’economia finanziaria,
la punta dell’iceberg. Negli ultimi decenni la tendenza alla
finanziarizzazione è stata talmente potente che adesso la situazione
è irreversibile e la miglior cura sarà un collasso o una serie
ravvicinata di collassi che porrà fine al paradigma economico
vigente. Con questo probabilmente ci sarà un miglioramento della
situazione ambientale, ma anche una rapida diminuzione della
popolazione umana per aumento della mortalità.
Per
quanto in altre specie una dinamica di rapida riduzione della
popolazione porti spesso all’estinzione, il mio apocalittico
ottimismo si riduce tutto alla fiducia che nutro nella capacità di
adattamento di Homo sapiens. Una popolazione ridotta ad un decimo di
quella attuale e con molta meno energia a disposizione sarebbe
finalmente sostenibile, forse, pur in un ecosistema terrestre
fortemente mutato rispetto all’optimum dell’olocene.
Sul
lato positivo dell’evoluzione dei prossimi decenni vedo soprattutto
l’indefesso declino del tasso di natalità anche nei paesi che ce
l’hanno più alto. Il picco della popolazione ci sarà quando era
stato previsto da Limits To Growth (il rapporto per il Club di Roma
pubblicato nel 1972 e tradotto in italiano con il titolo “i Limiti
dello Sviluppo”.
Recentemente
la traduzione italiana è stata riedita con il titolo meno ipocrita
“i Limiti alla Crescita”) ma potrebbe non essere tutto dovuto al
peggioramento dei fattori ecologici (cibo, inquinamento, malattie
ecc.), ma soprattutto a fattori sociali: educazione e lavoro
femminile in primis e l’inevitabile diffusione dei contraccettivi
moderni anche nel terzo mondo. Quindi una componente di rientro dolce
me l’aspetto anche senza troppa politica di mezzo. Il che è
perfino meglio perché il risultato promette di essere più stabile.
Altro
aspetto positivo è il fatto che la maggioranza della popolazione è
concentrata in Asia fra Cina, India e Sud-est asiatico. Si tratta di
popoli e società molto diversi da noi. I cinesi sanno prendere e
rispettare scelte collettive. Il regime è autoritario, ma non
dispotico come le autocrazie mediorientali. L’India dove la
dinamica demografica è preoccupante è anche sede di una cultura
millenaria (anche la Cina lo è) che ha rispetto nei confronti degli
altri esseri viventi e questo fatto può avere un certo effetto nei
tempi che verranno.
Sul
lato delle risorse minerarie ci troveremo in difficoltà notevoli su
più fronti, ma avremo, soprattutto noi in occidente, una miniera
molto vasta: l’antroposfera. Siccome molte infrastrutture saranno
impossibili da manutenere, saranno abbattute e i materiali con cui
sono state costruite riutilizzati. C’è una grande quantità di
ferro, nickel, rame, zinco, alluminio ecc. disponibile nelle cose che
abbiamo fatto. Tutto questo darà vita ad una nuova attività di
Urban Mining che avrà peso nella società del futuro.
E
per l’energia? Dopo il prossimo picco di tutte le categorie di
petrolio saranno problemi seri. Secondo me l’esistenza di una
infrastruttura basata sulle NFER (Nuove Fonti di Energia Rinnovabili)
non sarà molto utile come energia di lavoro. Soprattutto il mega
eolico rientrerà nel calderone delle infrastrutture insostenibili
(ragion per cui inizio a simpatizzare con quelli che si oppongono ai
mega progetti appenninici).
Il
fotovoltaico, il micro-idroelettrico, progetti eolici sostenibili
ecc. potranno coprire i residui usi civili e industriali dove possono
funzionare i motori elettrici, non particolarmente nei trasporti di
cui, si spera, ci sarà meno bisogno, ma per mantenere un certo
livello di automazione industriale e domestica (a questo livello,
avendo conosciuto persone che l’hanno fatto, mi auguro che non si
debba tornare a lavare i panni nei torrenti o alle fonti).
La
scarsità di prodotti petroliferi diventerà meno pressante dal
momento in cui accetteremo case più fredde, man mano che tenderemo a
renderle termicamente più efficienti, e sposteremo l’uso dei
motori a scoppio su attività nobili: ad esempio demolire ciò che
non può essere manutenuto per recuperare i materiali e nella
produzione di cibo. La scarsità sarà anche attenuata dal ritorno
del lavoro manuale in agricoltura e attività di miniera.
I
problemi più gravi, e sostanzialmente senza soluzione, sono gli
effetti ambientali di lungo periodo dell’espansione umana. Clima,
perdita di biodiversità, erosione, inquinamento di vario genere.
Questi saranno i fattori che si sommeranno per accelerare la
riduzione della popolazione. In agricoltura si dovrà moltiplicare le
pratiche rigenerative che sono note ed eventualmente di nuove che
nasceranno. Un declino nella disponibilità di metano potrebbe
mettere in crisi la produzione di fertilizzanti azotati con il
processo Haber-Bosh e liberarci da questo problema.
Ovviamente
torneranno, almeno a certi livelli, fame e carestie, particolarmente
dove i danni al suolo sono irreversibili e le riserve di acqua
esaurite. Ci si dovrà abituare a raccogliere l’acqua quando viene
e magari una diffusione di piccoli bacini sarà più utile a
immagazzinare l’acqua per l’irrigazione che per dotarsi di una
infrastruttura di stoccaggio dell’energia come qualcuno propone.
Con la riduzione della popolazione e il crescente degrado dei
trasporti si disgregherà progressivamente la rete di
interconnessione globale e torneremo ad una ri-localizzazione.
Tutte
le appassionate diatribe che ci hanno caratterizzato questi anni su
Europa, globalismo, anti-globalismo, solidarietà, accoglienza,
respingimenti ecc. ci sembreranno cose da ridere. Ovviamente ci
saranno periodi difficili specialmente quando milioni di profughi
climatici cercheranno di mettersi in salvo. Altro che (…) porti
chiusi! Sapete vero cosa succede quando una scialuppa viene assaltata
da gente travolta dal panico? Saranno decenni molto duri e spietati
quelli da qui al 2080-2100. Ma in qualche modo, un paio di miliardi
di persone, forse meno, ce la dovrebbero fare. >>
LUCA
PARDI