Il
post di oggi è dedicato ad un sorprendente elogio del “muro”,
della sua ragione d’essere e della sua funzione sociale, con
interessanti digressioni sui diversi muri offertici dalla storia. La
penna è quella, sempre sapida e corrosiva, di Marcello Veneziani
(dal giornale La Verità).
LUMEN
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La parola d’ordine del Cretino Planetario per farsi riconoscere e
ammirare è: vogliamo ponti, non muri. (…) Non c’è predica, non
c’è discorso istituzionale, non c’è articolo, pistolotto o
messaggio pubblico, non c’è concerto musicale, film o spettacolo
teatrale che non sia preceduto, seguito o farcito da questa frase
obbligata. L’imbecille globale si sente con la coscienza a posto, e
con un senso di superiorità morale solo pronunciando quella frase.
(…)
Il
pappagallo globale marcia contro i muri, più spesso ci marcia, ma la
parola chiave serve per murare il Nemico, per separare dall’umanità
evoluta ed accogliente i movimenti e le persone che s’ispirano
all’amor patrio, alla sovranità nazionale, alla civiltà, alla
tradizione. L’appello ad abbattere i muri e a stendere ponti è
ormai ossessivo e riguarda non solo i popoli e i confini territoriali
ma anche i sessi e i confini naturali, le culture e i comportamenti,
le religioni e le appartenenze, e perfino il regno umano dal regno
animale. (…)
Ora,
io vorrei prima di tutto osservare che i muri più infami che la
storia dell’umanità conosca, non sono i muri che impediscono di
entrare, ma i muri che impediscono di uscire. Come sono,
necessariamente, i muri delle carceri e come fu, l’ultimo grande,
infame Muro che la storia conobbe, a Berlino. E che non edificò
nessun regime nazionalista o sovranista, nessun dittatore e nessun
Trump ma il comunismo.
Chi
tentava di superare quel muro e quel filo spinato per scappare dalla
sua terra, era abbattuto dai vopos. Nessun regime autoritario o
nazionalista ha mai avuto la necessità di innalzare un muro per
impedire che la popolazione scappasse. Né si conoscono esodi di
popolo paragonabili a quelli dove ha dominato il comunismo.
Se
vogliamo restare in Italia, e a Roma in particolare, c’è solo un
muro nel cuore della Capitale che non si può varcare, e sono proprio
le Mura Vaticane dove il Regnante predica al mondo, ma non a casa
sua, di abbattere i muri e accogliere tutti. E comunque i muri più
famosi, i muri del pianto e della vergogna, non appartengono alla
cristianità. Detto questo, a coloro che amano la civiltà e la
tradizione, l’amor patrio e la sovranità nazionale, si addice
piuttosto il senso del confine. Perché confine significa senso del
limite, senso della misura, soglia necessaria per rispettare le
differenze, i ruoli, le identità e le comunità.
Tutti
i confini sono soglie, sono porte, che si possono aprire e chiudere,
che servono per confrontarsi sia nel colloquio che nel conflitto,
comunque per delimitare o arginare quando è necessario. La società
sradicata del nostro tempo ha perso il senso del confine, e infatti
sconfinano i popoli, i sessi, le persone, si è perso il confine tra
il lecito e l’illecito. Sconfinare è sinonimo di trasgredire,
delirare, sfondare.
La
peggiore maledizione per i greci era l’hybris, lo sconfinamento, la
smisuratezza, il perdersi nell’infinito. Il confine è protezione,
sicurezza, è umiltà, è tutela dei più deboli, non è ostilità o
razzismo. Vi consiglio di leggere “L’elogio delle frontiere” di
Régis Debray. Ai più modesti, consiglio l’elogio dei muri di
Alberto Angela che non mi risulta un ufficiale delle SS.
Senza
muri non c’è casa, non c’è tempio, non c’è sicurezza. Senza
muri non c’è pudore, intimità, protezione dal freddo, dal buio e
dall’incognito. Senza muri non c’è senso della misura,
riconoscimento del limite e dei propri limiti. Senza muri non c’è
bellezza, non c’è fortezza, non c’è fondazione delle città,
non c’è erezione di civiltà. Non a caso le città eterne nascono
da Romolo che tracciò i confini, non da Remo che li violò. I muri
sono i bastioni della civiltà, gli ospedali della carità, le
biblioteche della cultura, le pareti dell’arte, il raccoglimento
della preghiera.
Se
il cretino planetario non lo capisce, in compenso lo capiscono bene
gli anarchici di Tarnac che colsero nel muro abbattuto la vittoria
del caos e dell’anarchia: “La distruzione delle capacità di
autonomia dei dominati passa per l’abolizione delle frontiere del
loro essere: individuale e collettivo. Finché esistono frontiere, è
possibile opporre un sistema di valori a un altro, un tipo di diritto
all’altro, distinguere uomo da donna, madre da padre, cittadino da
straniero, insomma vero da falso, giusto dall’ingiusto, normale da
anormale” (Gouverner par le Chaos – Ingénierie Sociale et
Mondialisation, 2008).
Le
città senza confini perdono la loro identità, come le persone che
perdono i loro lineamenti. Non capovolgete l’amore per la famiglia
in omofobia, l’amore per la propria patria in xenofobia, l’amore
per la propria civiltà in razzismo, l’amore per la propria
tradizione in islamofobia. E l’amore per i confini in muri
dell’odio. >>
MARCELLO
VENEZIANI