(seconda parte)
Qualcuno ha detto che una gallina (fenotipo) non è altro che il mezzo con cui un uovo (cioè, in sostanza, il suo genotipo) produce un altro uovo. E' vero. Ma l'homo sapiens ha un vantaggio: può esserne consapevole. E capire meglio come funziona il mondo. Lumen
sabato 28 marzo 2015
Comprendere il collasso - 2
(seconda parte)
sabato 21 marzo 2015
Comprendere il collasso - 1
La prima parte evidenzia innanzitutto le difficoltà umane di comprendere un collasso mentre viene vissuto ed elenca poi i 4 possibili tipi di uscita.
Nella seconda parte si parlerà invece dell’esito più probabile che ci attende, cioè quello del collasso caotico (il peggiore purtroppo).
<< Il cervello umano ha dei limiti nel comprendere i “sistemi”, le cose lontane e lente. (…) E questo problema è ancora più sentito nella società dell'immagine e dell'intrattenimento, nella quale i problemi vengono negati o distorti e si modella un pensiero semplice. La mancanza di comprensione completa della complessità è uno di principali impedimenti alla previsione del collasso, poiché suppone che i limiti sono difficili da percepire. Si può essere in transito verso una situazione senza ritorno senza notarlo e, quando si supera il punto di biforcazione, i cambiamenti sono già rapidi e inarrestabili.
La difficoltà umana coi processi lenti parte dal fatto che il sistema nervoso, di fronte ad un pericolo repentino, incita alla difesa (se vede la possibilità di far fronte al pericolo) o a scappare (se non la vede), ma non ha una buona preparazione di fronte ad una minaccia che si sviluppa lentamente.
Il collasso di una civiltà impiega molti decenni, anche vari secoli, e la riduzione è abbastanza graduale per la percezione umana, anche se in termini storici è rapida. All'inizio, i segni del collasso sono difficili da percepire per la maggior parte della società; poi si tende a pensare che un qualsiasi periodo di stabilità significhi che il collasso si è fermato; alla fine, quando si accumula il degrado sociale, è questo lo stato che si percepisce come “naturale”.
Una prova storica dell'incapacità delle società umane - comprese le meno complesse che dovevano analizzare meno dati o forse nessuno per prevedere ed evitare il collasso - è che pochissime, o forse nessuna, sono state consapevoli del fatto che entravano in una crisi di civiltà. I grandi cambiamenti dei sistemi socioeconomici sono considerati come tali retrospettivamente. Nel caso dell'Impero Romano, la popolazione non è sembrata essere consapevole di tutto il processo di decadenza. Delle sconfitte militari sì, ma non della situazione di fondo.
Ma, anche nei casi in cui si è verificata una risposta, questa ha sofferto di una visione a lungo termine, specialmente nelle società al di fuori dello stato stazionario. Queste hanno adottato “soluzioni” per i problemi del presente spostando i problemi nel futuro. E' successo così con la Rivoluzione Industriale. Il finale di questo comportamento è che i problemi sono di grandezza tale che l'unica soluzione è il collasso del sistema.
Oltre alle sue limitate capacità intellettuali, l'essere umano non si muove solo con la ragione, nemmeno in prevalenza. Prima ci sono le emozioni. Siccome le emozioni primeggiano, le risposte “rapide”, in molti casi una ricompensa immediata o un pericolo imminente, si muovono di più delle altre “spostate nel tempo”. Inoltre, l'essere umano ha un rifiuto innato per ciò che causa disagio, il che porta persino al blocco della percezione di ciò che sta succedendo, e la transizione verso una società meno complessa che usi meno energia, molta meno energia, non è una situazione desiderabile a priori.
A questo si aggiungerà la pigrizia e l'apatia quando non si trova il senso dell'azione. Sommati alla ragione e all'emozione (che non sono separabili), sono cruciali i sistemi di valori; e quello predominante manca di una visione che vada oltre all'io. (…)
Alla fine, il collasso può arrivare ad essere desiderato da ampi strati sociali, poiché presupporrebbe di lasciare il pesante e crescente carico materiale, energetico ed economico di sostenere la complessità. In contrapposizione, le élite avranno invece una perdita netta e, per evitarla, proietteranno l'immagine del collasso come disastro per tutto il mondo.
Di fronte alla Crisi Globale, appaiono quattro opzioni teoriche, (…) [tipiche] dei sistemi complessi:
Ora le analizzeremo per il capitalismo globale e per la società industriale.
La prima opzione è che non ci sia un cambiamento sistemico e che la Crisi Globale non vada oltre una normale crisi. Potrà accadere qualcosa come quello che si è visto nella Cina imperiale, nella quale le risorse disponibili avevano un tasso di recupero rapido, principalmente per la sostenibilità dell'agricoltura, perché la base del lavoro era umana ed animale e perché le infrastrutture potevano servire da cave di nuove risorse. Questo permetteva che, dopo i periodi di crisi, arrivassero nuovi momenti di espansione.
In realtà, le crisi cinesi non provenivano da un esaurimento delle risorse, ma da un leggero uso eccessivo che poteva tornare con una certa facilità a tassi sostenibili. Nessuna delle condizioni che hanno permesso alla Cina di evitare il collasso esistono oggigiorno, specialmente perché il livello di uso eccessivo delle risorse è più accentuato e il degrado ambientale molto profondo.
La seconda opzione sarebbe realizzare un salto in avanti. Per esempio, all'inizio della Rivoluzione Industriale, l'Inghilterra era di fronte ad un problema di limite delle risorse (legno). Tuttavia, non ha subito un collasso, ma ha realizzato una progressione impressionante: ha sostituito il legno con il carbone, cosa che le ha permesso inoltre di espandere l'estrazione di risorse a molti altri territori.
Fare questo oggi implicherebbe cambiamenti di organizzazione a livello sociale e, soprattutto, un maggiore consumo e più intensivo. Ma questo è impossibile, specialmente sul piano materiale ed energetico, ma anche dal punto di vista economico.
Pertanto [terza opzione], l'unico modo di evitare il collasso caotico del capitalismo globale è ridurre la complessità in modo ordinato. Sarebbe qualcosa di simile ad una giusta decrescita, ma crediamo che questo non si verificherà (…).
Non ci sono esempi storici di qualcosa di simile in società dominatrici, quelle che si potrebbero avvicinare di più - come la forte diminuzione negli stati Uniti e nel Regno Unito del consumo energetico delle loro popolazioni durante la Seconda Guerra Mondiale in modo pianificato e in grande misura volontario - non le ha rese più resilienti, poiché supponevano un aumento degli eccessi: i risparmi domestici sono stati destinati, in modo più ampio, alla guerra. Le società dominatrici in modo ricorrente sono state incapaci di affrontare le cause ultime delle crisi sistemiche.
L'opzione delle élite è quella del “business as usual”, con una tonalità verde, o di inclusività, nel migliore dei casi. Questa intenzione di mantenere le proprie politiche della fase di crescita (potenziamento su grande scale, urbanizzazione, velocità, specializzazione, competizione), al posto di altre e più adeguate a questa congiuntura (riduzione, ruralizzazione, efficienza, cooperazione), produrrà un deterioramento ancora maggiore delle condizioni sociali, istituzionali ed ambientali. (…)
[A ciò di aggiunge] la debolezza dei movimenti sociali rispetto al potere delle élite. Una debolezza che è anche maggiore se ci concentriamo sulle sue limitazioni come capacità e desiderio di affrontare una diminuzione del consumo materiale ed energetico. Non è prevedibile che questa carenza si risolva a breve termine, fra le altre ragioni perché probabilmente le interrelazioni di tutto il sistema non si mostreranno al grande pubblico e si continuerà a presentare ogni problema in modo isolato e con una soluzione parziale.
A questo, si somma la penalizzazione della cooperazione nelle società capitalistiche, rispetto alla gratificazione della competitività. Il fatto è che le classi media ed una parte sostanziosa della popolazione più sfruttata hanno aderito (o “le hanno aderite”) al mito del progresso. Questa debolezza della mobilitazione sociale ha come rovescio la sensazione di invulnerabilità nelle élite e, in parallelo, la percezione accresciuta di mancanza di potere da parte delle classi popolari, rendendo più difficile l'articolazione antagonista.
Probabilmente, la ragione più strutturale è che la giusta decrescita implicherebbe uno smontaggio ed un abbandono di gran parte dell'infrastruttura costruita (del capitale fisico), dei mezzi di riproduzione del capitale (finanziari e produttivi, soprattutto quelli globalizzati) e della cultura del progresso e della crescita. In fondo, vorrebbe dire l'abbandono della pulsione [tipica] della società capitalista a non concepire ed ipotizzare i limiti ambientali ed umani.
Così, [quarta opzione], resta solo il collasso caotico, la decrescita ingiusta. >>
R. FERNANDEZ DURAN e L. GONZALES REYES
(continua)
sabato 14 marzo 2015
L'adultera adulterata
Con lui parleremo di uno degli episodi più famosi e commoventi della vita di Gesù, ovvero quello dell’adultera; un episodio però che, se letto con attenzione, ci riserverà non poche sorprese. Lumen
LUMEN – Professor Ehrman, è ben noto agli esperti che il Vangelo ufficiale, come lo conosciamo oggi, è pieno di passi interpolati, ovvero storicamente “falsi”. Potete farci qualche esempio ?
LUMEN - Senza dubbio.
LUMEN – Si trova in tutti i Vangeli ?
LUMEN - Il contenuto, come dicevate, è ben noto, ma vale la pena ricordarlo.
LUMEN – Un bel dilemma.
LUMEN – Non per niente erano suoi nemici giurati.
LUMEN – Una scena spettacolare.
LUMEN – Quali ?
LUMEN – Giusto.
LUMEN – Carina questa !
LUMEN – In effetti, sembra un po’ troppo, anche per un personaggio come Gesù.
LUMEN - E qui veniamo al punto.
LUMEN - Come facciamo a saperlo?
LUMEN – Sentiamo.
LUMEN - Ma allora come accadde che venisse aggiunto?
LUMEN – Qual è la più accreditata ?
LUMEN – In effetti all’epoca gli scribi ne combinavano di tutti i colori.
LUMEN – E quindi ?
LUMEN – Ma per voi ?
LUMEN – Grazie professore.
venerdì 6 marzo 2015
Circolo virtuoso
L’intervista “virtuale” di questa settimana non ha soltanto “una” vittima, ma addirittura due. Si tratta infatti degli economisti italiani Fabio Terragni e Gianluca Sala che ci parlano dell’“’economia circolare”, un nuovo paradigma economico che dovrebbe risultare maggiormente sostenibile per l’ambiente. Vediamo di cosa si tratta.
LUMEN
LUMEN – Dottor Terragni, dottor Sala, cosa c’è di nuovo sul fronte dell’economia sostenibile ?
TERRAGNI - Nel suo rapporto “Toward a Circular Economy: economic and business rationale for an accelerate transition”, la Ellen Macarthur Foundation propone una riforma sostenibile dell’economia basata su una diversa produzione di beni e servizi denominata “economia circolare”. Da allora i verdi di tutto il mondo si sono identificati con questo nuovo “paradigma” economico.
LUMEN – “Economia circolare”: il termine mi piace.
SALA - I fautori della economia circolare spiegano che nel corso del XX secolo il prodotto interno lordo è cresciuto di 20 volte nei paesi occidentali generando una ricchezza diffusa. Alla base di questo sviluppo c’è tuttavia un modello di produzione ad alta intensità di energia e consumo di risorse naturali che può essere definito “lineare”, dove i prodotti industriali derivano da uno sfruttamento intensivo delle risorse naturali che – al termine del ciclo di vita dei beni - divengono rifiuti.
LUMEN – Con il sorgere di ulteriori problemi.
TERRAGNI - I concetti di riuso e di rigenerazione, ancora presenti all'inizio del secondo dopoguerra e centrali in una economia di sussistenza, sono stati abbandonati a favore del modello lineare “compra–usa-getta”. Oggi circa l’80 % dei materiali a fine vita finisce in discarica o in un inceneritore.
LUMEN – Una percentuale spaventosa !
SALA - Gli innegabili benefici, in termini di qualità della vita, del modello lineare hanno costi “esterni” particolarmente elevati, e finora sono stati tollerati. Negli ultimi anni questo quadro sta entrando in crisi a causa dei prezzi in aumento delle risorse naturali, oltre che per i costi dello smaltimento dei rifiuti.
LUMEN – E direi: “finalmente”, per certi versi.
TERRAGNI - La tendenza al recupero dei materiali è ancora troppo contenuta, soprattutto a fronte della prevista espansione della platea mondiale di consumatori, dovuto all’aumento della classe media con capacità di spesa. Basta considerare i 3 miliardi di abitanti dei BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa.
LUMEN – D’altra parte anche loro hanno le loro (legittime) aspirazioni.
SALA - Mantenendo inalterato il modello lineare di produzione e consumo, la pressione ambientale crescerebbe a dismisura, con effetti ecologici devastanti. Dal 2000 i prezzi delle risorse naturali sono in costante ascesa e i segnali fanno prevedere che la scarsità di risorse e la volatilità dei prezzi sono destinate ad aggravarsi, mettendo definitivamente in crisi il modello lineare.
LUMEN – Una conseguenza inevitabile.
TERRAGNI - L’economia circolare, con il recupero e la rigenerazione dei prodotti e dei materiali richiede un re-design del sistema che rivisiti i prodotti, la loro progettazione e realizzazione, i processi produttivi, i modelli di business.
LUMEN – Questo è sicuro.
SALA - I produttori e distributori invece di cedere la proprietà dei prodotti, agiscono come “service provider“ dando vita ad un nuovo contratto tra le imprese e i loro clienti basato non più sulla vendita di prodotti, ma sull’erogazione di servizi basati su beni durevoli, recuperabili, rigenerabili, che possano essere ceduti, affittati, condivisi. Nel caso debba essere ceduta la proprietà, ne viene incentivato il recupero al termine del periodo di uso primario.
LUMEN – Una specie di circolo virtuoso.
TERRAGNI - Questa economia, ovviamente, dovrebbe essere alimentata con energia da fonti rinnovabili, al duplice scopo di ridurre la dipendenza da risorse naturali e aumentare la resilienza del sistema.
LUMEN – Le rinnovabili sono alla base di tutto.
SALA - La prima regola, la regola d’oro dell’economia circolare fa riferimento alle “potenzialità del circolo più stretto”: meno un prodotto deve essere cambiato per il suo ri-uso o rigenerazione, più velocemente torna in uso, più alto è il potenziale di risparmio.
LUMEN – Altre regole ?
TERRAGNI - Un altro meccanismo fa riferimento alla massimizzazione del tempo in cui la risorsa rimane in circolo e alla massimizzazione del numero dei circoli consecutivi, sotto forma di riuso/rigenerazione dei prodotti o di semplice riciclaggio di materiali.
LUMEN - Poi ?
SALA - Un terzo meccanismo si riferisce al potenziale degli “usi a cascata”. L’esempio classico è quello dei prodotti tessili in cotone, che possono essere dapprima riutilizzati per confezionare abiti, poi utilizzati nell’arredamento e più tardi nell’edilizia (per l’isolamento termico e acustico) per ritornare infine nella biosfera.
LUMEN – Mi pare che ci sia ancora un ultimo aspetto.
TERRAGNI – Sì. L’ultima potenzialità risiede nella capacità di progettare prodotti che permettano flussi di materiali puri, non tossici e facili da separare: ciò consente un significativo aumento dell’efficienza dei processi di recupero.
LUMEN – Tutto molto bello, direi.
SALA - Secondo le analisi svolte da McKinsey con l’economia circolare il sistema economico potrebbe beneficiare di un sostanziale risparmio di materiale netto con conseguente abbassamento del livello di volatilità dei prezzi; in Europa il potenziale di risparmi si aggira nell’ordine dei 700 miliardi di dollari l’anno e del 23 % dell’attuale spesa per le materie prime.
LUMEN – Sono cifre notevoli, senza dubbio.
TERRAGNI - Una economia come questa, ovvero centrata sull’utente e non sulla produzione, vedrebbe aumentare i tassi di innovazione, occupazione e produttività del capitale promuovendo uno spostamento verso il settore terziario.
LUMEN – Un settore che esalta il “saper fare”.
SALA – Inoltre verrebbero ridotte le esternalità negative, con meno materiali e meno rifiuti in circolo. Tale riduzione sarebbe maggiore di ogni possibile miglioramento incrementale di efficienza all’interno del sistema attuale.
LUMEN – Ne sono convinto.
TERRAGNI - Infine aumenterebbe la resilienza del sistema: la capacità di reagire a shock di ogni tipo (fattori geo-politici, climatici, ecc.).
LUMEN – Concludendo ?
SALA - Concludendo il suo rapporto, la Ellen Macarthur Foundation dichiara che la sostenibilità e il risparmio di questi meccanismi economici possono rendere più competitive le aziende e le economie, sulla base di competenze, innovazione ed efficienza nell’uso delle risorse.
LUMEN – Vi ringrazio per l’interessante chiacchierata e speriamo davvero che il nuovo paradigma riesca a farsi strada nell’economia mondiale.
TERRAGNI & SALA – Lo speriamo tutti.