giovedì 31 marzo 2022

Abbasso la Squola – (4)

Ritorno a dedicare un post ai ricorrenti problemi della Scuola italiana, sulla quale sembra gravare una sorta di maledizione, per cui anche le buone intenzioni producono spesso pessimi risultati.
I tre contributi che seguono, diversi tra loro per contenuto e lunghezza, ma tutti interessanti, sono tratti dal web. Buona lettura.
LUMEN



SCUOLA E UGUAGLIANZA
<< È facile mostrare l’incompatibilità tra conoscenza critica e ideale dell’uguaglianza assoluta: la conoscenza prende sul serio ciò che esiste; ma ciò che esiste è sempre determinato, cioè differente, dunque la conoscenza deve per sua natura valorizzare la differenza; invece l’esigenza di uguaglianza assoluta nasce dall’insoddisfazione per ciò che esiste, proprio perché esso è determinato, differente; essa è dunque incompatibile con il presente, in fuga volontaristica verso il futuro.
L’odio ugualitario della conoscenza si esprime in molti modi, non solo come disprezzo teologico della ragione per attenersi alla rivelazione, ma anche come insofferenza illuminista della metafisica e della teologia e infine come rifiuto marxista della filosofia. Stretta da tanti giganti, la conoscenza può confidare più sulle cose, che sugli uomini.
La polemica astiosa contro il liceo classico, perché era fondato sul principio della conoscenza critica, è stata portata avanti non solo dal pragmatismo borghese, ma soprattutto dalle ideologie ugualitarie: dai comunisti che gli rinfacciavano il classismo, e dagli illuministi, che gli rinfacciavano il nozionismo e il tradizionalismo. (,,,).
Proprio nel momento in cui lasciavano i lavoratori esposti alla pressione neo-liberale, gli ex-comunisti lenivano i propri sensi di colpa restando fedeli a sé stessi nell’unico campo in cui era loro consentito. 
Le buone intenzioni di fare della scuola non più una caserma autoritaria e oppressiva, ma il nido in cui gli insegnanti, scesi dalla cattedra, facessero da animatori della spontaneità già matura di ogni alunno, sono state la pelle d’agnello sotto la quale i lupi dell’ugualitarismo hanno espulso il rigore della conoscenza critica.
Così l’aristocratica severità gentiliana si è dissolta e la democrazia matriarcale è divenuta impercettibilmente il principio unico e inderogabile della pedagogia: è perché ogni bambino ha diritto di esprimere la sua ricca spontaneità che essi non sanno più impugnare la penna, e se sanno leggere non capiscono quello che leggono.
E' la preoccupazione di impedire le disuguaglianze che suggerisce agli insegnanti la rinuncia all’insegnamento, che induce i consigli di classe e le commissioni d’esame alle più sottili psicologie pur di promuovere anche l’ignoranza più beata, indifferenti alle conclusioni che gli alunni ne trarranno – che sia tutto regalato, che non serva impegno, che il successo scolastico sia un diritto naturale come l’amore materno e non occorra meritarlo con l’adempimento dei doveri. (...)
La scuola assistenziale finge gli alunni uguali e li lascia uguali. Una scuola pubblica che si rispettasse riconoscerebbe una doppia disuguaglianza: quella iniziale del talento e quella finale della preparazione; dovrebbe dare di più a chi ha avuto meno dalla natura e dal caso: stargli più accanto per abituarlo alla disciplina che quello non sa imporsi da solo, perché raggiunga comunque il livello teoretico necessario al cittadino.
Una scuola pubblica che si rispettasse dovrebbe esaltare il talento, anzitutto rispettando ciò che per il talento ha valore: la conoscenza disinteressata, la severità dell’impegno, la finezza del gusto, e poi coltivandolo in modo che giunga al virtuosismo. >>
DI REMIGIO e DI BIASE (SOLLEVAZIONE)


SCUOLA E BUONISMO
<< Da alcuni mesi mia moglie sta facendo delle supplenze in una scuola media ed il bestiario nel quale si trova coinvolta è qualcosa che fa pensare di non potere più usare la parola scuola.
Solo per esempio: al fine di non traumatizzare i poveri ragazzi non bisogna usare la penna rossa nelle correzioni, per le interrogazioni (ammesso che di interrogazioni si possa parlare) non chiamare in ordine alfabetico perché potrebbero non reggere alle emozioni. Non continuo per carità di patria…
Metà delle classi sono “bes” (bisogni educativi speciali), sigla di cornice che contiene poi al suo interno una miriade di altre sigle più o meno impronuciabili di difficoltà o patologie presunte, un tempo inesistenti (in realtà, si tratta perlopiù di ragazzi che non hanno voglia e che disturbano, che anziché essere raddrizzati come si faceva una volta, ora vengono invece trasformati in vittime da comprendere).
Risultato della proliferazione dei “bes”: verifiche facilitate (essere 'bes' paga, per così dire) ed una pletora di insegnati di sostegno che nella maggior parte dei casi fanno poco o nulla, salvo percepire lo stipendio pubblico e non perdersi uno sciopero o una assemblea sindacale. 
Tralascio il livello dell’apprendimento dei delicatissimi ragazzi di cristallo, perché è anche peggio (molto peggio) di quello che si può immaginare. >>
DAL BLOG DI GIANNI PARDO


SCUOLA E ALLENAMENTO
<< La scuola non deve formare buoni professionisti [o lavoratori]. Questa roba va fermata. La scuola e’ pagata dallo stato e deve formare CITTADINI. Se poi l’imprenditore vuole che sappiano usare un tornio, non deve fare altro che sborsare la lira e formarli in azienda.
Ma ormai si e’ diffusa la storia che la scuola deve “servire” a lavorare. E’ come se io chiedessi ad un tizio che fa jogging dove sta andando di preciso, e perche’. La risposta sara’ che correre non gli serve per andare da qualche parte, ma ad avere gambe migliori.
Allo stesso modo, allo studente deve essere tolta dalla testa l’idea che quel che studia “gli serve”: quel che studia gli serve ad allenare un cervello migliore. Esattamente come lo jogging non serve ad andare da qualche parte, ma ad avere gambe migliori. >>
URIEL FANELLI

venerdì 25 marzo 2022

Punti di vista – 23

DISCORSI UFFICIALI
Tutti i discorsi ufficiali dei politici sono un seguito di bugie retoriche, di false lezioni di morale e di insulsi atteggiamenti patriottici. Dunque del tutto inadatti a fare chiarezza.
Anche se qualcuno potrebbe chiedere: “Ma chi è tanto stupido da prenderli sul serio?” E qui la tremenda risposta è: “Molta più gente di quanto non si creda”.
Se il pubblico fosse composto da gente razionale, questi signori temerebbero seriamente di essere fucilati sul posto da una gigantesca pernacchia. E starebbero zitti o direbbero la verità. O almeno non bugie insultanti per l’intelligenza.
Invece i politici continuano a dire balordaggini perché la gente non vede che sono balordaggini. E dunque loro ci contano.
GIANNI PARDO


UTOPIA
Qual è l’essenza di una società socialista? Noi riteniamo che essa si possa esprimere in quattro punti:
(1) vige l’eguaglianza sociale poiché sono abolite le classi sociali;
(2) lo Stato, in quanto organo coercitivo della classe dominante è in via d’estinzione assieme a questa;
(3) sono assicurati i diritti di libertà dei cittadini;
(4) il paese socialista è internazionalista, sostiene le forze rivoluzionarie e antimperialiste esterne.
MORENO PASQUINELLI


FRANCISCO FRANCO
Mussolini entrò in guerra contro la Francia perché nelle due o tre settimane precedenti sembrava che la Francia avesse perso la guerra e con essa tutte le potenze che si opponevano a Hitler.
E perché la Spagna, dopo aver subito il tragico salasso della Guerra Civile, evitò quello della Seconda Guerra Mondiale?
Perché nessuno, nemmeno Hitler personalmente, riuscì a piegare la diffidenza di Franco nei confronti di una facile vittoria.
Decisione per la quale il mondo occidentale, e ovviamente in primo luogo la stessa Spagna, dovrebbero eternamente dire grazie a Franco. Invece lo stramaledicono come dittatore.
In realtà, la dittatura è un pessimo regime, ma non tutti i dittatori sono uguali.
GIANNI PARDO


IPOCRISIA
La manifestazione più comune dell’ipocrisia nella nostra società è quella di chi dichiara di aderire a un ideale a cui NON ha intenzione di conformarsi nella pratica, ma si aspetta che lo facciano gli altri.
Scarica sugli altri i propri scarti. Fa fare agli altri il lavoro sporco.
GAIA BARACETTI


FEDELTA' POLITICA
Sì, capo. Certo, capo. Come no, capo.
Uno dei grandi temi della politica italiana – una variante del cabaret – è quello della fedeltà, forse perché si assiste a un campionario intero di capriole, giravolte, riposizionamenti, dispiegamenti tattici.
E’ la politica, bellezza, ed ogni testacoda è chiosato dai saggi con quella formuletta astuta secondo cui “solo i cretini non cambiano mai idea”.
Frase interessante, che non tiene conto però di un fatto conclamato: anche i cretini possono cambiare idea (e i furbi, ovvio, che la cambiano quando serve).
ALESSANDRO ROBECCHI


GESU' E I SUOI FRATELLI
Da una vita mi capita di segnalare che Gesù aveva cinque fratelli e per conseguenza sua madre non poteva essere vergine.
Per dimostrarlo ho citato non qualche eretico o qualche miscredente, ma soltanto tutti e quattro i vangeli. Uno di essi, di quei fratelli fornisce addirittura i nomi.
E poi c’è la storia, secondo cui la chiesa di Gerusalemme, dopo la morte di Gesà, fu guidata da suo fratello Giacomo.
Non ho convinto nessuno.
GIANNI PARDO

giovedì 17 marzo 2022

La scelta Svedese - poscritto

Qualche mese fa (dicembre 2021) ho pubblicato un post sul sistema carcerario svedese, che ne illustrava le caratteristiche peculiari in termini sostanzialmente positivi.
Oggi torno a parlare della Svezia e delle sue scelte sociali, ma, ahimè, in termini molto più problematici.
Il testo (che parte dall'esperienza svedese per fare considerazioni più generali) è di Gaia Baracett ed è tratto dal suo blog.
LUMEN


<< Mi sembra ormai innegabile il fatto che, oltre un certo limite, l’immigrazione di massa crea problemi a tutte le società in cui si verifica, persino le più prospere, aperte e comprensive. Dire che la violenza di strada è colpa della mancanza di integrazione per me ha senso come dire che il mal di pancia dopo un’abbuffata è colpa della mancanza di digestione.

Se qualcuno nega che le cose stiano così, è o perché non vuole mettere in discussione tutto il suo castello di comprensione del mondo (come ho fatto io), o perchè di queste cose non ha esperienza diretta – non prende certi treni, non vive in certi quartieri – per cui pensa che gli altri se le inventino. (...)

Recentemente ho letto articoli davvero inquietanti dalla Svezia, considerato uno dei paesi più civili e accoglienti del mondo.

Bene, un quarto dei residenti in Svezia è nato all’estero o è di origine straniera. Si tratta di una proporzione molto alta. Ultimamente alcune città svedesi sono piagate da enormi problemi di gang criminali, di clan familiari di tipo mafioso, con sparatorie per strada, spaccio e chi più ne ha più ne metta.

Anche se i giornali non riescono proprio a dirlo, facendo un po’ di ricerche ho scoperto che praticamente tutta questa nuova violenza proviene dagli stranieri. Una società pacifica e ordinata si è trovata all’improvviso con un disordine che non aveva previsto e non sa gestire, perché non ha nemmeno le leggi giuste per farlo, non avendone avuto bisogno fino a quel momento.

Ovviamente anche in Svezia hanno iniziato a parlare di mancata integrazione e simili. Dovranno per forza affrontare la questione da questa prospettiva, perché anche se hanno ristretto gli ingressi ormai non possono certo buttare fuori un quarto della popolazione, tra cui molte persone nate nel paese, e quindi sono costretti a chiedersi “cosa sbagliamo noi”, anziché presumere che a sbagliare siano gli altri e vadano rimandati da dove vengono.

Il problema (…) della criminalità legata all’immigrazione è l’incapacità di capire che certe cose sono statisticamente inevitabili. Oppure, in altre parole, che i fenomeni hanno una loro logica e controllarli o è impossibile, o richiede di pagare un prezzo (per esempio un estremo livello di controllo sociale) che noi dovremmo sapere benissimo di non essere disposti a pagare.

Il fatto è che viviamo in una società in cui, grazie alle enormi conquiste del passato, ormai siamo presi da un inarrestabile delirio di onnipotenza.

Pensiamo che se qualcosa va storto è sempre colpa nostra, perché non abbiamo fatto le cose bene, (...) non abbiamo speso abbastanza soldi, non ci siamo spiegati a dovere… mai del fatto che il mondo attorno a noi vive anche di vita propria e se ti metti in una certa situazione una certa percentuale di rischio che qualcosa vada storto è in realtà inevitabile, quindi o lo accetti o cerchi di non metterti in quella situazione. (…)

Provate a seguire l’evoluzione di città interessate dall’immigrazione di massa: all’inizio va tutto bene o quasi, ma più gente arriva, più si aggravano i problemi. E non importa quanto siano buoni o cattivi gli immigrati o accoglienti od ostili i nativi: le culture si evolvono in risposta a una storia e a un ambiente, e quando porti in massa persone adattate ad un’altra storia e un altro ambiente il conflitto è inevitabile.

Ancora di più se le persone sono in fuga da qualcosa, che sia la guerra o la disoccupazione: è inevitabile che una buona parte di loro si porterà i problemi dietro, o addirittura è corresponsabile dei problemi da cui fugge (guardate i torturatori siriani che stanno spuntando in Germania o i trafficanti che stanno spuntando in Italia).

Come possiamo pensare di risolvere tutto questo solo con buone regole e buona volontà?

Dobbiamo avere più rispetto per la statistica. (...) Certe densità di popolazione in aree del mondo poco adatte all’insediamento umano inevitabilmente porteranno la gente a fare la fame, e non sarà sempre colpa dell’Occidente che congela i fondi per far dispetto ai talebani o addirittura del cambiamento climatico da solo.

Se crei una certa situazione, hai una tale probabilità che qualcosa vada sorto; prima di provare a irregimentare tutto, chiediti se non sarebbe stato il caso di fermarti prima di incoraggiare un certo comportamento che inevitabilmente avrà certe conseguenze.

Per questo io sono per la decrescita. (…)

Molti dei problemi legati all’immigrazione si risolverebbero non spendendo ancora più soldi nell’indegno baraccone dell’ “accoglienza” (parlate con chi ci lavora!, è una presa in giro!), nello stringerci ancora di più quando siamo già prossimi all’esaurimento mentale, ma nel fornire contraccettivi alle popolazioni che continuano a generare giovani senza prospettive, nel riequilibrare le diseguaglianze globali e nel provare a risolvere almeno con mezzi diplomatici ed economici i tanti conflitti in corso. >>

GAIA BARACETTI

giovedì 10 marzo 2022

Pensierini - XLVI

EQUILIBRIO
Viviamo in sottile equiibrio tra il piacere della ripetizione ed il piacere della novità.
E su questo equilibrio, a ben vedere, si fonda tutto il mondo della moda e dello spettacolo.
L'importante, per vivere serenamente, è che nessuna delle due tendenze prenda troppo il sopravvento.
LUMEN


FIDUCIA
La civiltà consiste nel fidarsi di persone che non si conoscono. Questo è il vero salto di qualità che ha reso possibile la società moderna.
E più la fiducia è diffusa, e ben riposta, più la società è prospera.
LUMEN


SPIRITI LIBERI
Per essere degli spiriti liberi non è necessario sbandierare le verità scomode ai quattro venti. E' sufficiente avere la capacità di pensarle, anche tenendole per sè.
LUMEN


CAMBIAMENTO
Quando arriva un cambiamento, c'è sempre qualcuno che ci perde e qualcuno che ci guadagna.
La cosa stupida è cercare di fermarlo; la cosa intelligente è capire dove porta, e mettersi dalla parte di quelli che ci guadagnano.
LUMEN


IL TROPPO STROPPIA
Possedere troppe 'cose' (in casa o nei luoghi dove viviamo) è peggio che averne poche.
Perchè poi, quando te ne serve una, non la trovi oppure non ti ricordi nemmeno più di averla. Quindi finisci per comprarne un'altra.
Ma nel frattempo hai tutto lo spazio occupato malamente.
LUMEN


GIOCO D'AZZARDO
Le persone che si dedicano al gioco d'azzardo si dividono in due categorie: quelli che giocano pochi euro alla settimana (schedine, lotterie, ecc.) e quelli che giocano somme elevate (bische e casinò).
Entrambe possono essere soddisfatti, perché raggiungono facilmente il loro scopo: i primi giocano per sognare, i secondi giocano per perdere.
Gli unici che 'giocano' per vincere (e ci riescono sempre) sono i gestori.
LUMEN


TEOLOGIA
La Teologia è stata per lunghi secoli la dottrina suprema del pensiero umano, tanto da far affermare, senza vergogna, che 'Philosophia ancilla Theologiae'.
Ma i tempi sono cambiati e quel poco che ne rimane assomiglia sempre di più alla sua sorella profana, l'Astrologia: una presa in giro basata sul nulla.
LUMEN


MEDAGLIE
Se è vero che ogni medaglia ha il suo rovescio, è anche vero, per fortuna, che ogni rovescio ha la sua medaglia.
LUMEN

giovedì 3 marzo 2022

La trappola dell'aggressività - 2

Si conclude qui l'articolo di Marco Pierfranceschi sull'aggressività umana, tratto dal suo blog Mammifero Bipede (seconda e ultima parte).
LUMEN

(segue)

<< È facile, già da queste semplici considerazioni, individuare uno schema di massima delle dinamiche distruttive che possono emergere nell’ambito familiare a causa dell’accumulo di insoddisfazioni e frustrazioni. Potremo altresì aspettarci che l’incremento di stress ed incertezze indotti nel corpo sociale dall’attuale pandemia finisca col tradursi in un aumento delle aggressioni e del bullismo, e verificare come sia esattamente quello che avviene.

In tutto ciò, il portato di alienazione individuale e collettiva prodotto dall’urbanistica moderna, che ha tradotto una disponibilità globale di risorse in forme di edilizia residenziale classicamente monofamiliari, ha ottenuto di esacerbare i meccanismi di ‘aggressività dislocata’, sequestrandoli in larga misura all’interno dei nuclei familiari.

Un quadro che appare ancor più catastrofico se consideriamo gli effetti a lungo termine prodotti da maltrattamenti e violenze domestiche. Diversi studi mostrano infatti come l’esposizione a forme di violenza, fisica e psicologica, tendano a fissarsi nei circuiti cerebrali, dando luogo ad alterazioni permanenti della personalità. Questo processo di alterazione delle risposte cerebrali è, purtroppo, molto più evidente nelle fasi dello sviluppo, generando scompensi difficili da recuperare negli adulti fatti oggetto di maltrattamenti in età infantile.

Peggio ancora, esistono molteplici evidenze del fatto che queste alterazioni siano in grado di fissarsi nel DNA, attraverso processi epigenetici, e di propagarsi alle generazioni successive. Questo è il portato più tragico, perché il male che viene fatto ad un individuo, quando si traduce in esplosioni di violenza all’interno della famiglia, finisce col fissarsi sui suoi stessi figli, moltiplicandone gli effetti distruttivi. Non solo si vive una condizione di sofferenza, calpestati dal contesto sociale, ma nello sfogare la rabbia accumulata sui propri familiari si danneggia la propria stessa discendenza e le generazioni a venire.

Altro ambito in cui possiamo leggere processi di ‘aggressività dislocata’ è quello legato alla sicurezza stradale. È un tema che mi tocca nel vivo come ciclista urbano. Dal mio personale osservatorio registro un diffuso disprezzo, da parte degli automobilisti, per le prescrizioni di sicurezza: limiti di velocità, distanze, spazi di frenata, e una generale assenza di rispetto per gli altri utenti della strada, pedoni e ciclisti in testa.

Numerosi conducenti di autoveicoli appaiono frustrati ed aggressivi, per problemi personali, sociali o per le dinamiche conflittuali proprie della mobilità veicolare. Il loro essere ‘inscatolati’ li rende incapaci di scaricare tale aggressività su qualcuno/a in prossimità, di conseguenza finiscono con l’individuare come ‘valvola di sfogo’ gli altri utenti della strada (ciclisti, pedoni, anziani), percepiti come ‘fisicamente e gerarchicamente inferiori’ (quindi non pericolosi) e con lo scaricare su di essi la propria rabbia repressa.

La recente pandemia ha ulteriormente contribuito ad esasperare gli animi, ed il portato di questa frustrazione diffusa si è tradotto, fra le altre cose, in un aumento (largamente percepito) dell’aggressività sulle strade. Un metodo alternativo è stato il ricorso all’uso di alcol e droghe, il cui utilizzo è pure in crescita. Va da sé che le sostanze psicotrope determinano un abbassamento della soglia di autocontrollo, col risultato che le esplosioni di violenza, quando accadono, ne risultano amplificate.

Dalla lezione di Sapolsky emerge poi un rimando inquietante ai rapporti tra le diverse classi economiche in cui tende a suddividersi qualunque società umana. Se andiamo a proiettare le dinamiche relazionali proprie dei piccoli aggregati su una scala più vasta, osserviamo come i meccanismi della ‘aggressività dislocata’ possono essere sfruttati in chiave di controllo sociale.

Stabilito che la violenza cieca si scarica in prevalenza sugli individui in prossimità, per evitare che raggiunga i soggetti effettivamente responsabili delle condizioni di frustrazione diffusa (quelle che chiameremo le élite economiche) un buon punto di partenza sarà realizzare una separazione fisica tra i luoghi di vita e lavoro di ricchi e poveri, ed è un processo che vediamo già in atto in diverse parti del mondo.

In termini di controllo sociale questo significa poter incrementare i fattori di stress su quelle che Sapolsky definisce ‘classi socioeconomiche inferiori’ senza rischiare reazioni indesiderate come forme aggregate di ribellione sociale. La polverizzazione, disgregazione ed il progressivo imborghesimento delle classi economiche meno agiate, la dispersione territoriale e l’isolamento indotto nei nuclei familiari dalla sostituzione dell’ambito relazionale con l’intrattenimento audiovisivo, hanno ottenuto di sequestrare le dinamiche violente in prevalenza all’interno di ambiti privati.

Altro classico esempio di utilizzo sociale dell’aggressività dislocata è il tifo da stadio, caratterizzato da forme di aggressività ritualizzata che esplodono, occasionalmente, in violenza brutale. Attacchi che si consumano in spazi e tempi circoscritti e svolgono una funzione di scaricamento della violenza accumulata in forme atte a non turbare l’ordine costituito, in quanto esercitati di norma tra opposte tifoserie, quindi tra individui degli stessi gruppi sociali (all’interno di un sistema culturale capace di alimentare un meccanismo economico dai bilanci milionari).

Le conclusioni di questa riflessione sono molto amare. Da un lato si evidenzia un meccanismo psicologico innato di scaricamento dell’aggressività e della violenza sui più deboli, che cozza con tutte le elaborazioni etiche e morali sviluppate dalla nostra specie, al punto da far ritenere che lo sviluppo dei costrutti culturali etico/morali sia un adattamento necessario a preservare gli individui più fragili dalla generale innata propensione alla violenza.

Dall’altro emerge la potenzialità per un utilizzo delle nozioni di psicologia comportamentale finalizzato alla stabilizzazione di un modello sociale, basato sullo sfruttamento delle classi economicamente e culturalmente più fragili, che pare tragicamente calzante con quanto ci è dato osservare nelle culture umane antiche e moderne.

Passando ad un ambito strettamente personale, l’approfondimento delle dinamiche legate a violenza ed aggressività confido mi rendano più consapevole riguardo ai processi che coinvolgono le mie stesse reazioni emotive, consentendomi in futuro un miglior autocontrollo nella gestione degli scatti d’ira. Non sarà molto, ma è già qualcosa. >>

MARCO PIERFRANCESCHI