giovedì 25 luglio 2024

Uomini e Donne – (2)

Torno a parlare dell'eterna questione del rapporto tra i sessi, con due articoli del famoso sociologo Francesco Alberoni (pubblicati a suo tempo da 'Il Giornale'), un autore che all'amore ed ai suoi vari aspetti ha dedicato numerosi saggi.
A seguire un breve pensierino del sottoscritto, che si permette (si parva licet) di essere in parziale disaccordo col grande sociologo.
LUMEN


<< Una giornalista svizzera mi ha posto questa domanda: «In due parole, mi dica cos’è l’amore». Ed ho risposto: «Il bisogno di stare con chi ti completa». Pensiamo alle espressioni usate dagli innamorati «tu sei il mio cuore, la mia anima, la mia vita». Ma questa esperienza l’abbiamo solo quando l’amore è intenso, passionale, quando siamo innamorati.

Noi ci innamoriamo poche volte nella vita perché l’innamoramento è una rivoluzione che facciamo quando siamo stanchi del passato, quando siamo mutati interiormente, quando è cambiato l’ambiente in cui ci troviamo, quando stiamo male con le persone con cui viviamo e non riusciamo più a realizzare i nostri desideri profondi ad esprimere le nostre potenzialità. Allora cerchiamo chi ci completa e con lui ricominciamo una nuova vita.

Che cos’è, in definitiva, l’innamoramento? Un tentativo di rinascere, di ricreare il proprio mondo attorno ad un nuovo centro. Lo stato nascente dell’innamoramento è, tanto fisiologicamente come mentalmente, un processo di ringiovanimento. Questa tendenza della mente non cambia nel tempo. Noi ci innamoriamo a venti, a quaranta, a sessant’anni e possiamo innamorarci anche da vecchi, a ottanta.

La differenza è che i giovani possono effettivamente ricostruire la propria vita con il proprio amato. Per i vecchi è più difficile. Ricordo un imprenditore di ottant’anni che si era innamorato di una donna di cinquanta e voleva cambiare vita. Ma la moglie, i fratelli ed i figli hanno minacciato di farlo interdire, lo hanno fatto ricoverare, lui ha rinunciato e pochi mesi dopo è morto. Invece attori e personaggi famosi anche da vecchi hanno divorziato e si sono risposati.

Ma la libertà può venire anche dalla mancanza di ricchezza e di potere. Nelle case di riposo dove i vecchi non dipendono più dal tessuto famigliare, si innamorano e formano delle coppie innamorate. Molti deridono questi amori senili, li considerano patologici, sintomi di deterioramento mentale. Io vi vedo invece il segno della straordinaria plasticità della mente umana, della sua capacita di ricrearsi continuamente, la prova della sua volontà di vivere intensamente fino all’ultimo, e di rinascere. >>


<< Siamo sempre dolorosamente colpiti quando un ragazzo giovane si uccide per amore, o quando un uomo rifiutato perseguita la donna che ha cessato di amarlo e l’uccide. Ma io sono molto colpito anche dalle lettere in cui le donne mi parlano del loro grande amore che, col matrimonio, non si capisce come, è diventato abitudine, monotonia, o di uomini che non sanno amare, o delle lotte feroci dei divorzi e mi domando perche la nostra societa non ha studiato l’amore e non insegna nulla su di loro.

I genitori non insegnano ai loro figli cosa è, l’amicizia, cosa è l’innamoramento, cosa accade in una relazione amorosa, per cui questi arrivano all’adolescenza senza alcun orientamento. E non basta l’educazione sessuale che riguarda l’aspetto fisico. Sul mondo delle emozioni non c’è una riflessione fra gli adulti e non c’è dialogo coi figli, non c’è approfondimento e non c’è chiarezza anche su cose elementari. Per esempio che l’amicizia è sicurezza e l’amore rischio, che l’amicizia è reciprocità mentre l’ amore domanda sempre “ mi ami? “.

I genitori spesso non dicono neppure ai figli che loro sono stati uniti dall’innamoramento, un amore appassionato che pero può finire e talvolta diventa un amore diverso, un volersi bene coniugale. E non chiariscono invece che il loro amore per i figli è un amore incondizionato, che non finisce mai ed è un prendersi cura. Non sanno o non spiegano che il puro desiderio sessuale non è amore, ma una avidità come la golosità per i dolci; quando però si rivolge a qualcuno che ti piace diventa amore erotico.

Ma che ci sono tante forme di amore erotico: l’attrazione improvvisa prima per l’uno e poi per l’altro, la cotta che dura poco. Poi le infatuazioni fra cui le l’infatuazione erotica, quella divistica e quella competitiva, tutte intensissime per cui assomigliano molto all’innamoramento, ma poi scompaiono improvvisamente. E che il vero innamoramento invece produce una maturazione della personalità, una vera rivoluzione e si radica nella mente e nel cuore; guai perciò se non e reciproco!

Se in casa e in scuola si studiassero e si parlasse seriamente di queste cose forse eviteremmo molti disordini emozionali della adolescenza che poi influenzano negativamente il corso della vita. >>

FRANCESCO ALBERONI


INNAMORARSI
E' cosa nota che i rapporti di coppia tendono col tempo a complicarsi e, anche senza arrivare alla rottura, finiscono spesso per deteriorarsi.
I motivi sono stati ampiamente discussi nel corso dei secoli, e le colpe sono state attribuite, a seconda dei tempi e delle circostanze, agli uomini, alle donne, o ad entrambi (un poco per ciascuno).
La causa più importante, però, secondo me, è figlia di 'Madre Natura' e dipende dal fatto che le donne si innamorano.
L'innamoramento è uno stato psicologico entusiasmante, ma molto particolare, che consente alla donna di ignorare i difetti dell'uomo che ha scelto come compagno, esaltandone i pregi.
L'uomo ne rimane deliziato e la storia può incominciare con grande soddisfazione di entrambi.
L'innamoramento, però, rappresenta una alterazione rispetto allo stato psichico normale, per cui è destinato inevitabilmente (dopo un certo tempo), a finire.
E quando finisce, lascia la donna attonita, irritata e delusa di fronte alla pochezza, ai difetti ed ai limiti del suo compagno; mentre l'uomo, che non è consapevole di questo ribaltone, ne viene spiacevolmente sorpreso e completamente travolto.
Così la frittata è servita e questo spiega quasi tutte le complicazioni di cui si parlava, dai litigi, ai tradimenti, sino alle separazioni ed ai divorzi.
Insomma, se mi passate la battuta, prima di consumare il prodotto, sarebbe opportuno guardare bene la data di scadenza.
(Ma gli uomini, direte voi, non si innamorano anche loro ? No, gli uomini non si innamorano. Sono attratti, affascinati, incantati dalle donne, ma in modo diverso).
LUMEN

venerdì 19 luglio 2024

La Guerra Ibrida

Tutte le persone di buon senso si augurano che non debba più scoppiare una guerra mondiale, ma alcuni sostengono che sarebbe già in corso, anche se in forma strisciante.
Questo perchè alle due forme classiche della guerra moderna, quella tradizionale e quella nucleare, si sarebbe aggiunto un nuovo modo di scontrarsi con le altre nazioni, basato su tecniche di conflitto diverse ed alternative.
A questa nuova forma di guerra, chiamata “ibrida”, è dedicato il post di oggi, scritto da Andrea Zoch per il sito di Sollevazione.
LUMEN



<< Dal punto di vista (…) delle grandi potenze militari la questione cruciale riguarda la percezione interna di un carattere “decisivo” del conflitto regionale in corso.

Per la Russia è chiarissimo, e lo è stato sin dall’inizio, che si trattasse di una minaccia percepita come esistenziale. L’asimmetria del confronto qui dev’essere ben percepita: nel conflitto russo-ucraino la Russia è formalmente l’aggressore, avendo violato i confini ucraini con le sue truppe, ma la Russia si percepisce aggredita perché ha visto anno dopo anno i preparativi Nato ai propri confini (esercitazioni congiunte, costruzione di infrastrutture militari, il cambio di regime di Maidan, la persecuzione delle proprie minoranze in Ucraina, ecc.).

Questi eventi sono stati lamentati come prodromi o ad un’aggressione diretta o ad un posizionamento di vantaggio strategico che metteva potenzialmente in scacco le difese russe. È qui necessario tener ferme alcune premesse storiche e geografiche: la Russia è sempre stata particolarmente esposta alle minacce sul fronte occidentale, dove è stata più volte attaccata, dove non ci sono barriere naturali degne di nota, e dove si trovano le principali città, a partire da Mosca.

Questi timori sono stati espressi da vari governi russi innumerevoli volte, per anni, e solo il controllo occidentale sulla narrativa pubblica ha impedito che questo fatto fosse generalmente riconosciuto prima dello scoppio della guerra.

Non l’Occidente ma la Russia vive una sfida militare alle proprie porte da vent’anni; non è l’Occidente ma la Russia ad essere oggi colpita sul proprio territorio dalle armi di una potente alleanza militare ostile, con il supporto tecnologico e informativo della stessa. Per la Russia, dunque, non c’è spazio per “passi indietro”, perché si è già arrivati ai confini, al limite che minaccia la propria esistenza statuale: fare passi indietro significa perdere la capacità di mantenersi integra.

Che dire degli USA e della Nato? Qui dal punto di vista delle minacce dirette la situazione è molto differente, eppure nelle linee di fondo non è dissimile. Gli USA non stanno versando sangue, né stanno subendo danni infrastrutturali dall’attuale confronto con la Russia. E tuttavia il problema qui è di natura sistemica: la narrativa che ha sostenuto la fiducia nel sistema occidentale, militare e finanziario, impone al sistema di presentare un orizzonte di crescita, dominio e forza internazionale.

L’iniziativa russa, sostenuta in modo defilato ma sostanziale dalla Cina, ha messo in moto un processo di “insubordinazione” nel mondo extra-occidentale, che rappresenta un effetto domino devastante per l’egemonia politica ed economica dell’Occidente a guida americana.

Veder scossa la propria capacità di imporre trattati a sé favorevoli in Africa, America Latina, Medio Oriente ed Asia minaccia frontalmente il modello di sviluppo occidentale, modello già in crisi per ragioni interne, e che conta da sempre sulla possibilità di estrarre plusvalore dal mondo meno industrializzato (come risorse naturali, energetiche, manodopera a basso costo, ecc.). (...)

Nessuno dei due contendenti può dunque permettersi un’aperta sconfitta. Ci sono margini per un onorevole pareggio? Non molti e sempre di meno. Più passa il tempo, maggiori sono gli investimenti economici e umani nel conflitto, minori sono gli spazi per un esito che non appaia come una sconfitta all’una o all’altra parte. (…)

Questo rende la possibilità di un conflitto diretto, ogni giorno che passa, sempre più probabile. Si apre però qui una questione essenziale, che riguarda la NATURA del conflitto. La possibilità, paventata e temuta, che si pervenga ad un diretto scontro senza esclusione di colpi, dunque ad una guerra anche nucleare, non può essere esclusa.

Per quanto entrambe le parti in conflitto comprendano bene il carattere potenzialmente terminale di un tale confronto, qui il rischio proviene non tanto dalla programmazione esplicita della guerra quanto dalla logica dell’escalation, che può far arrivare alla soglia della deflagrazione, pensando di controllarla, per poi sorpassarla magari per un fraintendimento, per un eccesso di timore o di sospetto. Ma personalmente credo che le possibilità di un conflitto nucleare diretto siano ancora relativamente basse, non trascurabili, ma basse.

Lo scenario che invece credo sia altamente probabile, direi certo, salvo gli scenari peggiori di cui sopra, è quello dello sviluppo di forme inusitate e devastanti di GUERRA IBRIDA.

Per “guerra ibrida” (hybrid warfare) si intende una strategia militare che impiega una varietà di tattiche atte a portare nocumento all’avversario, limitando il ricorso alla guerra convenzionale e privilegiando invece forme di attacco non dichiarate, che possono sempre ricadere nella “plausible deniability”, nell’area grigia delle cose non pienamente dimostrabili di cui si può negare la responsabilità. Il problema è che oggi gli spazi per queste forme di guerra sono enormi, incomparabilmente superiori a tutto ciò che il passato ci ha consegnato.

Sono parte della guerra ibrida il supporto ad atti terroristici, anche da parte di gruppi terzi. Il terrorismo può infatti essere di tipo diretto, come attacchi ad infrastrutture strategiche da parte di qualche commando infiltrato (ma qui c’è sempre il rischio che qualcuno venga preso è che la “deniability” venga meno.) E poi c’è la possibilità, tutt’altro che complessa, di sostenere, manipolare, armare gruppuscoli già esistenti che odiano l’avversario, ma che mai avrebbero le risorse per attentati in grande stile (questi sono, ad esempio, i termini in cui viene oggi letto in Russia l’attentato al Crocus City Hall del 24 marzo, i cui autori diretti sono del Tagikistan, ma la cui preparazione rinvia per i russi ai servizi segreti ucraini).

Possono rientrare nella guerra ibrida anche atti terroristici che non appaiono tali, come sabotaggi, apparenti malfunzionamenti infrastrutturali, incidenti aerei, ferroviari, ecc. Possono rientrare nella guerra ibrida forme di guerra batteriologica mirata, ad esempio con patogeni selezionati per colpire in modo privilegiato certi gruppi etnici. E anche qui l’apparenza può essere quella del caso o dell’accidente.

Possono essere esempi di guerra ibrida attacchi cibernetici di varia natura, destinati a entità finanziarie, a database, archivi, ecc. Possono essere momenti di una guerra ibrida attacchi speculativi finanziari, volti a creare occasioni che rendano i mercati internazionali un’arma per destabilizzare un paese.

E poi esistono innumerevoli ambiti di guerra ibrida di cui ancora non abbiamo esempi espliciti, ma che sono oggi tecnologicamente disponibili. Pensiamo ad esempio alle accuse mosse neanche troppo velatamente dal ministro degli esteri turco agli USA di essere dietro al terremoto in Turchia e Siria del 2023. Che oggi vi siano modi per indurre, in punti tettonicamente predisposti, eventi tellurici è stato oggetto di studio militare (se lo studio si sia mai tradotto in realtà è questione che ignoriamo).

E naturalmente possono essere parte di una guerra ibrida eventi critici volti a condizionare specifici eventi elettorali, come la creazione di vittime ad hoc, di capri espiatori, o operazioni di discredito alla vigilia delle elezioni, ecc.

Se l’orizzonte di una durevole e intensa guerra ibrida è l’orizzonte che abbiamo di fronte nei prossimi anni, è, a mio avviso, necessario tener ferme due cose.

La prima è che per la natura stessa della guerra ibrida, intenzionalmente opaca ed inesplicita, i margini di strumentalizzazione interna sono amplissimi. Può così accadere che qualcosa sia effettivamente un evento di guerra ibrida mossa da una potenza estera, ma può anche accadere che qualcosa sia un mero incidente, oppure un’operazione interna false flag volta a condizionare il fronte interno (le operazioni “sotto falsa bandiera” sono di una semplicità disarmante in un contesto in cui per definizione le bandiere negli attacchi reali non vengono esposte).

Se, come si dice, la prima vittima della guerra è la verità, in una guerra ibrida la verità pubblica tende a dissolversi in maniera integrale: semplicemente tutto è potenzialmente strumentale per qualcuno. >>

ANDREA ZOCH

domenica 14 luglio 2024

Pensierini – LXXIII

LA PARTICELLA DI DIO
Tutti coloro che hanno sentito parlare del Bosone di Higgs (una delle tante particelle sub-atomiche scoperte dai fisici), sanno che è stato denominato 'la particella di Dio', e pensano che sia una sorta di prova scientifica dell'esistenza divina.
Purtroppo (per loro) non è così, e dietro a questo soprannome c'è una storia molto istruttiva.
Il bosone si chiama «di Higgs» in onore del fisico britannico Peter Higgs che negli anni '60 predisse, a livello teorico, l'esistenza di questo particolare bosone. La sua ricerca però coinvolse moltissimi altri scienziati.
Quando nel 1993 il fisico Leon Lederman portò al suo editore il manoscritto che raccontava la ricerca (fino a quel momento infruttuosa) dell'elusiva particella, propose “The Goddamn Particle”, ovvero «la particella maledetta», per la sua ostinazione a non farsi trovare dai ricercatori.
Fu l'editore a insistere per cambiare il titolo nel più evocativo “The God Particle”. Il che si rivelò un'ottima scelta di marketing, visto il successo del libro e del suo appellativo.
Quindi, anche in questo caso, il buon Dio non c'entra nulla, se non a ricordarci la credulità di tante persone.
LUMEN


MILIONI DI MORTI
A chi continua a condannare (giustamente) il fascismo ed il nazismo, molti fanno notare che anche il comunismo mondiale ha fatto milioni di morti.
Il fatto è che tutte le ideologie estreme (politiche, ma anche religose) hanno fatto milioni di morti. Perchè sono sovrastrutture mentali che consentono di scatenare l'aggressività, la violenza e la crudeltà delle persone peggiori, dando loro una buona causa.
Ma c'è una differenza: che il comunismo, con la sua ideologia, va contro agli istinti genetici dell'uomo basati sull'egoismo e l'identità di patria, mentre il fascismo ed il nazismo quegli istinti li seguono.
Quindi i milioni di morti sono stati di tipo diverso: nel caso del comunismo i regimi hanno infierito sulla propria popolazione, mentre nel secondo caso hanno infierito su quelle altrui.
LUMEN


SUBLIMAZIONE
Il personaggio chiamato Dio, presente praticamente in tutti i popoli e quindi comune a tutti gli uomini, potrebbe avere un'origine psicologica, come sublimazione dei propri genitori.
Come loro ci hanno dato la vita, e noi in cambio li seguiamo e gli vogliamo bene, così Dio ci ha creati e noi in cambio lo ubbidiamo e lo adoriamo.
Ma con una differenza fondamentale: che i nostri genitori hanno bisogno di noi, per poter propagare i propri geni, mentre Dio, per come lo descrivono, non dovrebbe avere bisogno proprio di nessuno.
LUMEN


ASTENSIONISMO
Quello dell'astensionismo elettorale (votare o non votare ?) è un argomento difficile, in cui ci sono ben poche certezze.
Ha ragione chi dice che votare il partito A, piuttosto che il partito B, fa ben poca differenza, perchè chi comanda sono comunque le elites economiche.
Però io sono affezionato al nostro sistema democratico, perchè, anche se la potestà del popolo è solo formale, resta un sistema pacifico, in cui la rotazione delle elites avviene con modalità non violente.
E questo è importante, per noi popolo comune, perchè nei sistemi più arretrati, in cui la lotta tra le elites è violenta, ci andiamo di mezzo anche noi.
Sono inoltre convinto (ma la mia è solo un'ipotesi) che un forte astensionsimo possa indebolire il nostro sistema attuale, sostanzialmente pacifico, e rendere più facile una svolta autoritaria e violenta.
Quindi io, nel mio piccolo, vado sempre a votare ed invito gli altri a fare lo stesso, indipendentemente dal partito scelto.
LUMEN


FIDUCIA IMMOTIVATA
I credenti religiosi sostengono che Dio ci aiuta sempre, che è sempre al nostro fianco e che possiamo sempre contare su di lui.
E se noi atei proviamo ad obiettare che così non sembra, rispondono che il problema esiste solo per noi, perché non crediamo, mentre se credessimo sarebbe tutto diverso.
Purtroppo, il silenzio e l'inazione di Dio sono sotto gli occhi di tutti e valgono per tutti, anche per i fedeli, per cui questa fiducia immotivata è davvero sorprendente.
Perchè un conto è credere al premio del Paradiso nell'aldilà (visto che nessuno può smentirlo), un altro conto è credere che Dio ci aiuti nella vita di qua.
Dove sarebbero tutti questi aiuti, quei interventi, queste attenzioni, visto che anche i credenti rimangono quasi sempre delusi delle loro preghiere ?
Misteri della fede.
LUMEN

mercoledì 10 luglio 2024

Spengler e l'Occidente

Una delle opere più importanti di Oswald Spengler è il famoso saggio 'Il tramonto dell'Occidente', pubblicato poco dopo la fine della prima guerra mondiale.
Il post di oggi, scritto da Marcello Veneziani (e tratto dal suo sito personale), cerca di riesaminare il testo di Spengler a distanza di un secolo, per verificare se, e come, le sue previsioni si sono avverate.
LUMEN


<< La denuncia del declino dell’Occidente che si annuncia ormai da cent’anni, nacque da un’opera dal titolo grandioso e bugiardo, 'Tramonto dell’Occidente'.

Grandioso non solo per il successo che ebbe, né solo per il tempismo con cui venne alla luce, dopo la prima guerra mondiale; ma per la visione del mondo, l’impianto storico e drammaturgico, le analogie e i raffronti, la vasta morfologia delle civiltà che disegnò il suo autore, Oswald Spengler.

Ma fu titolo bugiardo perché l’Occidente dopo la prima guerra mondiale non tramontò; tramontò l’Europa come ombelico del mondo, tramontarono gli imperi centrali, ma non tramontò l’Occidente.

Anzi da allora prese corpo quel che fu poi definito il Secolo Americano, consacrato da due guerre e da una pervasiva colonizzazione culturale e commerciale, prima che militare, del pianeta. Il Novecento è stato il secolo dell’occidentalizzazione del mondo, che poi coincide con l’americanizzazione del globo.

Con la fine del Novecento, la globalizzazione prese il posto dell’occidentalizzazione. Oggi si ha la percezione che la globalizzazione stia andando in frantumi: ovvero prosegue sul piano della tecnologia, s’incrina sul piano del mercato tra economie in conflitto, e arretra sul piano politico-militare in una guerra fredda multipolare, tra varie potenze e più varie impotenze.

Era il 1914 quando Oswald Spengler concluse il 'Tramonto dell'Occidente'; poi quel titolo divenne l’epigrafe del dopoguerra e il sottofondo del kultur pessimismus o pensiero della crisi. L’opera vide la luce sul finire della prima guerra mondiale e fu un trionfo di vendite e commenti. Uscì in ritardo per via della guerra, e questo permise a Spengler di ritoccare il testo.

Per l’avvenire Spengler prevedeva lo scontro finale tra la dittatura del denaro, della tecnica e della finanza e la civiltà del sangue, del lavoro e del socialismo. Alla fine, vaticinava, la spada trionferà sul denaro perché una potenza può essere rovesciata solo da una potenza.

La profezia fu azzeccata nel breve periodo: di lì a poco andarono al potere comunismo, fascismo e nazionalsocialismo. Spengler aveva visto lontano; ma non lontanissimo. La rivolta del sangue contro l’oro, del lavoro contro il capitale, fu spazzata via in Occidente da guerre, tragedie e fallimenti.

Dopo il conflitto tra politica ed economia, il denaro restò a dominare incontrastato. Ma dietro il denaro, notava Spengler, è la tecnica che prima serve l’uomo faustiano ma poi lo assoggetta. Il dominio della tecnica, previde Spengler, “detronizzerà pure Dio”.

All’uomo e la tecnica Spengler dedicò un penetrante saggio, parallelo e divergente rispetto all’Operaio di Ernst Junger che vide la luce poco dopo, e alle riflessioni sulla tecnica di Heidegger.

Fu profetico Spengler quando intuì un conflitto finale tra il sistema finanziario dittatoriale e il cesarismo della volontà politica, ma non nascose l’ammirazione per il cesarismo tecnico-finanziario e i suoi militi: ingegneri, inventori, imprenditori, finanzieri.

A suo dire i filosofi sono misera cosa rispetto ai manager e ai signori della finanza; “ogni riga che non è stata scritta per servire all’azione mi pare superflua”. Si spinse a dire che preferiva “un acquedotto romano a tutti i templi e le statue di Roma”.

La storia per Spengler è una costellazione di mondi conclusi chiamati civiltà, ciascuna obbedisce al suo sistema di valori e al suo fato, in un determinismo ferreo; ma ciascun sistema è poi relativo rispetto agli altri e ai tempi; e ha una parabola: l’alba, l’apice e il tramonto.

Una civiltà è assoluta al suo interno, ma non è eterna. Così il senso del destino si capovolge nel suo inverso, in relativismo storico e in darwinismo sociale, l’etica della fedeltà si rovescia in titanismo, il vitalismo anti-razionalistico si fa puro attivismo, il cesarismo separato dal sacro impero si fa solo volontà di potenza.

Come per i marxisti, anche per Spengler la teoria è al servizio della prassi, il pensiero è al servizio della storia. La comune matrice è nel Faust di Goethe: In principio fu l’azione. In Marx prende corpo il soggettivismo rivoluzionario nel nome di Prometeo, in Spengler il soggettivismo eroico nel nome di Faust e della sua civiltà.

Ma quando la rivolta del sangue contro l’oro prese corpo in Germania col nazionalsocialismo Spengler prese le distanze da Hitler e dal suo partito: “Volevamo liberarci dei partiti ma è rimasto il peggiore”. Il razzismo per lui è “un’ideologia del risentimento verso la superiorità ebraica” e denota “povertà spirituale”, stroncò l’opera di Rosenberg. Si perse il seguito perché morì nel ’36. (…)

Spengler ricordava ai suoi critici che Tramonto non significava apocalissi ma compimento: l’Occidente tramonta compiendosi, nella braccia della globalizzazione. Egli concluse la sua opera nel segno del fatalismo eroico (ducunt fata volentem, nolentem trahunt, sono le parole conclusive del Tramonto). (…)

Spengler fu un pensatore tragico e al pessimismo dedicò un intenso saggio; un pessimismo storico preludio al fatalismo eroico. Spengler era pessimista nell’indole prima che nel pensiero.

Dietro la durezza prussiana e l’elogio dell’acciaio batteva un cuore delicato, incline alle lacrime, di salute cagionevole, come rivela il suo scritto autobiografico 'A me stesso'. Spengler fu un solitario melanconico. Restò il profeta della decadenza dell’Occidente, cantò la gloria dei tramonti e l’onore delle sconfitte. >>

MARCELLO VENEZIANI

venerdì 5 luglio 2024

Perle Manzoniane – (2)

Come ho già detto in altre occasioni, il testo dei Promessi Sposi è ancora attualissimo, perchè è disseminato di acute osservazioni psicologiche sui caratteri, le debolezze e le meschinità umane.
Ho deciso pertanto di riportarne alcune altre, come seguito al precedente post di alcuni anni fa. Buona lettura.
LUMEN


COMPAGNI DI SVENTURA
<< Agnese levò, a una a una, le povere bestie [i quattro capponi] dalla stia, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo; il quale, date e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte dell’orto. (...)
Così, attraversando i campi o, come dicon colà, i luoghi, se n’andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-garbugli.
Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente.
Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura. >>


TESTE DURE
<< Vide Lodovico spuntar da lontano un signor tale, arrogante e soverchiatore di professione, col quale non aveva mai parlato in vita sua, ma che gli era cordiale nemico, e al quale rendeva, pur di cuore, il contraccambio: giacché è uno de' vantaggi di questo mondo, quello di poter odiare ed esser odiati, senza conoscersi.
Costui, seguito da quattro bravi, s’avanzava diritto, con passo superbo, con la testa alta, con la bocca composta all’alterigia e allo sprezzo.
Tutt’e due camminavan rasente al muro; ma Lodovico (notate bene) lo strisciava col lato destro; e ciò, secondo una consuetudine, gli dava il diritto (dove mai si va a ficcare il diritto!) di non istaccarsi dal detto muro, per dar passo a chi si fosse; cosa della quale allora si faceva gran caso.
L’altro pretendeva, all’opposto, che quel diritto competesse a lui, come a nobile, e che a Lodovico toccasse d’andar nel mezzo; e ciò in forza d’un’altra consuetudine.
Perocché, in questo, come accade in molti altri affari, erano in vigore due consuetudini contrarie, senza che fosse deciso qual delle due fosse la buona; il che dava opportunità di fare una guerra, ogni volta che una testa dura s’abbattesse in un’altra della stessa tempra. >>


SERVILISMO
<< A sinistra [di Don Rodrigo], e a un altro lato della tavola, stava, con gran rispetto, temperato però d’una certa sicurezza, e d’una certa saccenteria, il signor podestà, quel medesimo a cui, in teoria, sarebbe toccato a far giustizia a Renzo Tramaglino, e a fare star a dovere don Rodrigo, come s’è visto di sopra.
In faccia al podestà, in atto d’un rispetto il più puro, il più sviscerato, sedeva il nostro dottor Azzecca-garbugli, in cappa nera, e col naso più rubicondo del solito.
In faccia ai due cugini, due convitati oscuri, de’ quali la nostra storia dice soltanto che non facevano altro che mangiare, chinare il capo, sorridere e approvare ogni cosa che dicesse un commensale, e a cui un altro non contraddicesse. >>


ECCEZIONI ALLA REGOLA
<< Quell’uomo era stato a sentire all’uscio del suo padrone: aveva fatto bene? E fra Cristoforo faceva bene a lodarlo di ciò?
Secondo le regole più comuni e men contraddette, è cosa molto brutta; ma quel caso non poteva riguardarsi come un’eccezione? E ci sono dell’eccezioni alle regole più comuni e men contraddette?
Questioni importanti; ma che il lettore risolverà da sè, se ne ha voglia. Noi non intendiamo di dar giudizi: ci basta d’aver dei fatti da raccontare. >>


MISERIA E NOBILTA'
<< Era essa [Gertrude] l’ultima figlia del principe ***, gran gentiluomo milanese, che poteva contarsi tra i più doviziosi della città.
Ma l’alta opinione che aveva del suo titolo gli faceva parer le sue sostanze appena sufficienti, anzi scarse, a sostenerne il decoro; e tutto il suo pensiero era di conservarle, almeno quali erano, unite in perpetuo, per quanto dipendeva da lui.
Quanti figliuoli avesse, la storia non lo dice espressamente; fa solamente intendere che aveva destinati al chiostro tutti i cadetti dell’uno e dell’altro sesso, per lasciare intatta la sostanza al primogenito, destinato a conservar la famiglia, a procrear cioè de’ figliuoli, per tormentarsi a tormentarli nella stessa maniera. >>


L'ARTE DELLA GUERRA
<< La milizia, a que’ tempi, era ancor composta in gran parte di soldati di ventura arrolati da condottieri di mestiere, per commissione di questo o di quel principe, qualche volta anche per loro proprio conto, e per vendersi poi insieme con essi.
Più che dalle paghe, erano gli uomini attirati a quel mestiere dalle speranze del saccheggio e da tutti gli allettamenti della licenza. Disciplina stabile e generale non ce n’era; nè avrebbe potuto accordarsi così facilmente con l’autorità in parte indipendente de’ vari condottieri.
Questi poi in particolare, nè erano molto raffinatori in fatto di disciplina, nè, anche volendo, si vede come avrebbero potuto riuscire a stabilirla e a mantenerla; chè soldati di quella razza, o si sarebbero rivoltati contro un condottiere novatore che si fosse messo in testa d’abolire il saccheggio; o per lo meno, l’avrebbero lasciato solo a guardar le bandiere.
Oltre di ciò, siccome i principi, nel prendere, per dir così, ad affitto quelle bande, guardavan più ad aver gente in quantità, per assicurar l’imprese, che a proporzionare il numero alla loro facoltà di pagare, per il solito molto scarsa; così le paghe venivano per lo più tarde, a conto, a spizzico; e le spoglie de’ paesi a cui la toccava, ne divenivano come un supplimento tacitamente convenuto. >>

ALESSANDRO MANZONI

domenica 30 giugno 2024

La colpa è sempre degli altri

Dare la colpa agli altri appare sempre un ottimo affare, sia per i Governanti, che possono additare un nemico esterno al popolo insoddisfatto, sia per la singola persona, che può trovarsi in difficoltà per cause proprie.
A questo argomento è dedicato il post di oggi, in cui Gianni Pardo, partendo dal rapporto, sempre complicato ed asimmetrico, tra il popolo ed il Potere, giunge a descrivere la trappola psicologica della "colpa altrui'" 
Si tratta di un meccanismo, al quale, probabilmente, non c'è rimedio, perchè, come dice giustamente un lettore del suo blog: “Conoscere se stessi, e quindi riconoscere i propri difetti e mancanze, è cosa assai difficile. Forse per molti addirittura impossibile”. 
Ma esserne consapevoli è sempre meglio che ignorarlo.
LUMEN



<< L’odio per chiunque comandi annebbia il cervello di molti e dà da mangiare ai comici. Il fenomeno è talmente imponente che merita riflessione. E ciò che bisogna mettere bene in chiaro, sin da principio, è che esso riguarda da un lato l’umanità e dall’altro il singolo.

Nei XX Secolo questo atteggiamento ha avuto un senso, perché c’era una nuova religione, il marxismo, che ne dava una spiegazione. L’umanità era oppressa e sarebbe stata felice dopo la crisi del capitalismo e il trionfo della rivoluzione proletaria.

Finché è stata viva l’utopia comunista, gli ingenui e gli stupidi hanno potuto credere che, buttando giù la Repubblica Italiana e trasformandola in Repubblica Democratica Italiana di obbedienza moscovita, tutto sarebbe andato per il meglio. Andare sempre e comunque contro il potere significava favorire l’ultima crisi del capitalismo e anticipare la rivoluzione proletaria.

Oggi di tutto questo si sorride appena, dopo l’implosione dell’Unione Sovietica, e tuttavia come si spiega la persistenza di questo atteggiamento? Innanzi tutto con la storia.

In Francia il popolo era sinceramente monarchico e tuttavia nel Seicento c’è stata la Fronde. Nel Settecento cattolico c’è stato l’Illuminismo. Nel periodo rivoluzionario c’è stata la Vandea. E si potrebbero trovare molti altri esempi. Il popolo si dichiara felice solo nei Paesi in cui, dichiarandosi infelice, si va in galera.

In realtà il popolo è sempre insoddisfatto ed arriva ad ipotizzare di avere un nemico che trama contro di lui. Tanto che, se lo potesse eliminare, tutto poi andrebbe bene. I governi, visto che trovano conveniente deviare su questo nemico immaginario l’animosità che già si manifesta contro di loro, incoraggiano questa credenza.

E questo sistema è particolarmente caro alle dittature. Questo spiega il nazionalismo acceso, l’antisemitismo, il razzismo. Il sistema funziona tanto bene da far sì che il popolo applauda perfino una dichiarazione di guerra. Magari poi perdendola rovinosamente (caso emblematico i palestinesi e Israele).

Lo stesso Hitler in questo campo merita una citazione. Sapete perché diede a credere che la Germania aggrediva la Russia? Perché non aveva il Lebensraum necessario, lo spazio vitale. Viene da sorridere ma è proprio così. (...)

Il caso più interessante è tuttavia il modo come questo fenomeno si configura a livello individuale: il conflitto interno viene proiettato all’esterno. Il singolo disadattato – quello che da ragazzo va male a scuola, poi non riesce ad imparare un mestiere, poi è disoccupato, e infine non ha nessun tipo di successo – ha seri motivi per considerarsi un fallito.

Ma arrivare a questa coscienza richiede molto coraggio. Dunque per le persone più superficiali e più disposte ad auto-ingannarsi esiste la soluzione del nemico esterno.

«Non sono io che non riesco ad avere rapporti facili col resto dell’umanità, è il resto dell’umanità che sembra avercela con me. Non sono io che non ho cercato o trovato un lavoro, è che non mi è stato offerto il lavoro che avrei volentieri esercitato. L’amore? Sa Iddio se ci ho provato. Ma tutte le donne (o corrispondentemente tutti gli uomini) sono egoiste, esigenti e, per dirla in una parola, puttane (per gli uomini: farabutti, delinquenti, prevaricatori)». E via di questo passo.

Sicché in conclusione questi uomini sono giustificati se ce l’hanno con l’altro sesso, con l’umanità e, per cominciare, con i concittadini. Sono contro le banche, perché le banche sono il tempio del denaro che loro non hanno. Sono contro le scuole, colpevoli di averli dichiarati inferiori. Sono contro le automobili che loro non possono permettersi, e all’occasione le bruciano nelle manifestazioni di protesta.

Questi però sono piccoli sfoghi. Il nemico centrale è l’istituzione che guida la collettività e la rappresenta: lo Stato. E allora cosa c’è di meglio che attaccare la polizia, che rappresenta e difende quello Stato?

L’intera umanità è coalizzata contro questo singolo, e questo singolo si sente un eroe mentre attacca lo Stato. Lo Stato lo ha schiacciato, e lui cerca di schiacciare un poliziotto. E per farlo chiama dei falliti come lui a dargli una mano. In democrazia alcuni la chiamano libera manifestazione del pensiero.

Il violento di strada è un fallito che esorcizza la sua tragedia intima esternandola e trasformandola in una vittoria sopra la collettività. Ma il fallimento, se così vogliamo chiamarlo, non si può esorcizzare. Si smette sul serio di essere inferiori quando si riesce a capire che si è meno dotati, e che l’unica soluzione per galleggiare è essere molto amabili con tutti.

Se invece ci si dà al rancore, alla depressione, al malessere personale che si scarica sul sociale, non se ne esce. Si rimane al bambino che pesta i piedi, si rotola per terra, e si rende odioso. Ma soggettivamente soffre sul serio. >>

GIANNI PARDO