sabato 18 maggio 2024

La settima Arte – (4)

Quarto appuntamento con il cinema, con la recensione di altri 3 film famosi, scelti tra i mei preferiti. I testi sono tratti dal sito MYMOVIES.IT
LUMEN


IL PADRINO

<< Il Padrino si pone nella storia del cinema come un pietra miliare. Un capolavoro a cui tendere, da cui apprendere un modo di fare cinema oggi, ahimè abbandonato.

L'elemento di fondo è la PASSIONE! Una passione viscerale del regista verso la sua creatura, una passione incondizionata da parte di un cast di attori senza precedenti nella storia, una passione eccezionale da parte dello scrittore che ha fornito la trama del film.

Dai commenti [del regista] emerge l'amore che il regista ha riversato nel film. Parlo di cura dei dettagli, parlo di uno chef che cura la sua migliore portata da far recensire ai critici, con la più totale attenzione agli ingredienti, alla cottura, a tutto ciò che fà di una creazione un'opera d'arte. Perchè di arte si tratta quando si parla del Padrino.

Cosa occorre ad un film per essere un capolavoro? Semplice, una grande sceneggiatura, un grande regista, un grande cast. Presto detto, un romanzo splendido di Puzo, un regista sopraffino e un cast composto dalla divinità del cinema Marlon Brando (Pacino dirà di lui: "recitare con Marlon era come recitare con Dio"); Al Pacino (che se Brando era Dio, può essere considerato senza blasfemia, il figlio); un Robert Duvall magistrale, Diane Keaton splendida, Cazale azzeccatissimo, ma come scordare James Caan e tanti altri!

E' un capolavoro perchè fornisce un quadro fedelissimo della realtà di quegli anni, crea un atmosfera ed un convogimento unici, che fanno parteggiare per i "cattivi" che lo spettotore è indotto a vedere come amici, quasi famigliari! Insomma, musiche di Rota e del padre di Coppola, eccezionali, ambientazioni perfette, ricostruzioni storiche ineccepibili! >>

<< Madornale successo di pubblico per quello che è un indiscusso capolavoro del cinema, primo di una saga che fece risplendere nel firmamento di Hollywood il magistrale Brando e lanciare Pacino, inquietante e al tempo stesso bravissimo.

Tutto in questo film è passato alla storia: il cast stellare, la sequenza finale del battesimo in cui la festeggiata è nientemeno che Sofia Coppola, figlia del regista, il tema musicale di Nino Rota, la “cultura” mafiosa, gli ambienti siciliani. Anche se vederlo e apprezzarlo non significa stare dalla parte della malavita. Ebbe 3 Oscar: film, regia, M. Brando. >>


SCENT OF A WOMAN

<< Super-capolavoro , semplicemente ! Una pellicola da una trama intensa e passionale che mostra un paradosso affascinante in cui due parti opposte convivono essenzialmente l'una su l'altra.

Il magistrale Al Pacino , alias " vecchia volpe " Slade , nonostante non possa vedere con gli occhi, guarda comunque il mondo con le percezioni, l'esperienza, la furbizia, la scaltrezza e una buona dose di malizia e metaforicamente apre la strada del mondo all'ingenuo, impacciato, un pò imbranato, ma puro e buono di cuore Charlie Simms, il quale a sua volta diventa gli occhi reali del colonnello Frank, che lo conducono e guardano per lui dove lui ovviamente non può.

L'uno insegna con durezza le regole della vita e la malizia all'altro, i piaceri dell'umo e i vizi , la bellezza poetica e carnale della donna che come una musa ispira la sua vita con il profumo che inebria i suoi sensi, e condivide la sua preziosa fornendo anche utilissimi consigli.

Da parte sua, Charlie mostra all'uomo l'integrità morale di una persona che anche se giovane e in una situazione di disagio " non si vende ", che ha dei principi che formano veramente il carattere e che (non di meno !) gli darà una ragione per continuare a vivere, facendolo illuminare di tutta la sua luce e traendolo fuori dal buio e freddo baratro della depressione dandogli speranza. >>

<< Grandissimo capolavoro del regista Martin Brest ed eccellente interpretazione di Al Pacino, che solitamente viene associato all' immagine del gangster, in questo film l' attore dimostra di avere capacità straordinarie riuscendo a compiere con assoluta bravura la parte del cieco, facendola sembrare quasi facile, ma come sempre, non allontanandosi più di tanto dalla parte del "duro".

La trama fa scoprire un Frank Slade sempre diverso, che cambia grazie al rapporto con Charlie Simms. Il ragazzo trasmette la sua sensibilità e la sua pura ingenuità al tenente, che a sua volta insegna quelli che sono invece i suoi valori, ed è cosi che nasce tra i due un rapporto, che all' inizio sembrava quasi impossibile.

La riunione con i parenti, la guida della Ferrari, il discorso finale e il ballo del tango, sono tutte scene stupende rese indimenticabili da un Al Pacino al meglio della sua forma. Il protagonista riesce a superare una fase depressiva causata sia dalla dura vita passata nell' esercito, sia dalla perdita della vista.

Grazie alle sue due passioni: al primo posto la donna e al secondo, ma con grande distacco, la Ferrari, trova ancora la forza per andare avanti. I sensi, la sua esperienza, la furbizia e "il profumo" sono il nuovo originale modo per Slade di guardare il mondo.

La trama non è originalissima, ma non cade mai nella banalità. I dialoghi sono originali, in particolar modo il già citato monologo finale, che fa intendere quanto i due personaggi si siano legati. Nel complesso, un film da non perdere. >>


IL CASO THOMAS CRAWFORD

<< Thriller di eccellente fattura, Il Caso Thomas Crawford, fa tornare in grande spolvero il genere "giallo vecchio stile", senza puntare su una messa in scena particolarmente originale, ma concentrando le proprie attenzioni sulla costruzione della storia e sui colpi di scena che accompagnano l'indagine del giovane Ryan Gosling, costantemente messo alle strette dal diabolico piano orchestrato da un Hopkins gigione come non mai.

Proprio la "sfida" tra i due talenti (Gosling conferma di essere un giovane di grande valore) costituisce il piatto forte del film, esaltato a dovere dalla sceneggiatura, che mette in bocca ad Hopkins delle battute di incredibile cinismo e sapido humour noir.

Gregory Hoblit, onesto artigiano, si mette a servizio dello script e firma una pellicola che, finalmente, non necessita di sofisticate trovate visuali per attrarre l'attenzione dello spettatore ma tiene col fiato sospeso il pubblico ponendogli la classica domanda: come riuscirà il buono (ma lo è davvero?) a incastrare il cattivo della situazione?
Appassionante dal primo all'ultimo minuto, per quanto forse non teso come avrebbe potuto essere, Il Caso Thomas Crawford è una bella ed insperata sorpresa. >>

<< Trama e atmosfere che catturano. Grande interpretazione di Gosling, capace di rendere credibile e profondo il cambiamento della condizione e motivazioni del detective, da rampante avvocato attratto dai soldi a procuratore che mette in gioco il suo futuro pur di "mettere un paletto nel cuore di un cattivo", mosso prima dalla motivazione di vincere il duello con l'Antagonista della sua vita, quello che l'ha sconfitto in modo imprevedibile, in un caso che appariva dall'esito scontato, e poi mosso da una motivazione più alta, religiosa, per la Giustizia.

Ambiguo e capace anche, alla fine, di inquietare lo spettatore quando trae il vantaggio decisivo proprio dall’atto più malvagio del criminale che ha fatto staccare la spina alla moglie; ciò che darà al procuratore la possibilità (che è la chiave di volta legale della vicenda) di processarlo di nuovo grazie alla modifica del reato imputabile (da tentato omicidio a omicidio).

In realtà il detective aveva fatto di tutto per contrastare quell’atto, ma l’inquietudine rimane perché il personaggio all'inizio aveva rivelato anche la sua estrema abilità nell'usare forme di inganno non banali. In conclusione, film bello perché capace di inquietare, mettere in dubbio lo schema apparente della realtà, farci chiedere se le cose stanno veramente come sembra. >>

domenica 12 maggio 2024

Relativismo e Libertà

Nel 2007 il sociologo Luciano Pellicani ha pubblicato un saggio dal titolo “Le radici pagane dell'Europa”, in cui dimostra, dati storici alla mano, la notevole dicotomia che esiste tra i principi (oscurantisti) del Cristianesimo ed i valori liberali dell'Europa moderna. Da questo libro è tratto il passo che segue.
LUMEN


<< Non è passato neanche un secolo da quando Pio XI fece questa solenne dichiarazione, la cui franchezza rende superfluo ogni commento: “Se c’è un regime totalitario – totalitario di fatto e di diritto – è il regime della Chiesa, dato che l’uomo appartiene totalmente alla Chiesa”.

E che, al fondo, la Chiesa cattolica non ha rinunciato alla pretesa di avere il monopolio della direzione intellettuale e morale dell’Europa, è confermato dall’omelia Pro eligendo romano pontefice pronunciata il 18 aprile 2005 da Joseph Ratzinger, nella quale si legge:

“La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo al vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo, e così via […]. Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da ogni vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo, che non riconosce nulla di definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.

Parole illuminanti, quelle di colui che si apprestava a salire sulla “Cattedra di Pietro”: il relativismo ridotto alla “dittatura delle voglie del singolo”, laddove esso è la base assiologica della civiltà dei diritti e delle libertà!

La quale non ha assolutamente bisogno di un fondamento religioso; meno che mai di un fondamento teologico che si ispiri al Dio biblico, esclusivista e intollerante, che condanna come “figli di Satana” tutti coloro che non si sottomettono alla sua dispotica volontà.

Non si può non essere d’accordo con Giovanni Reale, quando afferma che “sotto la proclamazione del pari valore di tutte le culture si cela un azzeramento dei valori”, vale a dire il nichilismo assiologico; ma ciò non legittima la sua tesi, secondo la quale, “tolto il concetto del Dio cristiano, si toglie eo ipso il concetto stesso di persona, preso nel suo pieno spessore ontologico”.

Non si vede proprio perché mai il concetto di uomo come fine abbia bisogno di una base teologica su cui appoggiarsi. La dignità umana deve necessariamente essere fondata in un altro da sé?

Non è stata forse proclamata, su basi rigorosamente laiche, sin dalla pubblicazione della splendida Oratio de hominis dignitate di Giovanni Pico della Mirandola?. E non è forse vero che i bisogni e i desideri dell’homo carnalis, quei bisogni e quei desideri che la civiltà moderna considera “naturali” e, precisamente per questo, pienamente legittimi, sono stati, per secoli e secoli, sistematicamente demonizzati e repressi da quella che Michel Onfray ha chiamato la “litania delle proibizioni”?

Per rafforzare la sua tesi, Reale arriva a sottoscrivere il terroristico ammonimento di T. S. Eliot, secondo il quale “molti secoli di barbarie” ci attenderebbero se morisse il cristianesimo, poiché il cristianesimo è “tutta la nostra cultura”!.

Non di questo avviso era Bonhoeffer, il quale non si è limitato ad affermare che “non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo – etsi Deus non daretur”; ha anche così descritto l’Europa divenuta “adulta” grazie alla rivoluzione culturale attuata dall’Illuminismo: “L’uomo ha imparato a bastare a se stesso in tutte le questioni importanti, senza l’ausilio dell’ipotesi di lavoro ‘Dio’.

Nelle questioni riguardanti la scienza, l’arte, l’etica, questo è diventato un fatto scontato, che praticamente non si osa più mettere in discussione; ma da circa 100 anni ciò vale in misura sempre maggiore per le questioni religiose; si è visto che tutto funziona anche senza Dio, e non meno bene di prima.

Esattamente come nel campo scientifico, anche nell’ambito generalmente umano Dio viene sempre più respinto fuori dalla vita e perde terreno”. I credenti hanno certamente il diritto che si riconosca il grande contributo che il cristianesimo ha dato alla costruzione della civiltà occidentale, non ultimo “la fatica disciplinata e incessante dei monaci che arrestò la marcia della barbarie nell’Europa occidentale e che rese di nuovo alla cultura terre che erano state abbandonate e spopolate al tempo delle invasioni”.

E hanno anche il diritto che si riconosca che la morale cristiana, centrata sull’imperativo che “dobbiamo fare del bene al nostro prossimo per amore di Dio”, ha un ruolo altamente positivo in una società, come quella in cui viviamo, centrata sul mercato e dunque propensa a tutto sacrificare sull’altare di Mammona. 
 
Infine, hanno il diritto di sottolineare con forza che la speranza cristiana svolge una insostituibile funzione: quella di soddisfare il “bisogno di senso”, che urge, sia pure con diversa intensità, in tutti gli uomini. 
 
Ma, se vogliono essere onesti, devono riconoscere:
1= che, senza la battaglia condotta dagli illuministi contro il fanatismo e l’odio teologico, “si sarebbe continuato a bruciare eretici e torturare persone”;
2= che negli ultimi secoli i più importanti prodotti della cultura filosofica e scientifica poco o nulla devono alla tradizione cristiana;
3= che Bayle aveva ragione quando scriveva che “una società di atei si comporterebbe in maniera civile e morale proprio come qualsiasi altra società, purché facesse punire i delitti e annettesse onore o infamia a certe azioni”;  
4= che è grazie alle istituzioni e ai valori della Città secolare che la micidiale carica di intolleranza contenuta nel Kerygma è stata disattivata; 
5= che il cristianesimo non ha il monopolio della morale, dal momento che esiste una morale laica: la morale della ragione, della tolleranza e dei diritti inalienabili dell’uomo;
6= che l’unico cristianesimo in armonia con lo spirito della Modernità è il cristianesimo liberale (...), che non fa il volto dell’arme ai valori dell’Illuminismo e vede nella laicità “una garanzia per la religione”. (...)

Per la tradizione giudaico-cristiana, la Legge – esattamente come accade nella tradizione islamica – è la manifestazione della volontà di Dio: è una Legge rivelata, di fronte alla quale all’uomo non resta che sottomettersi, senza possibilità alcuna di metterla in discussione.

Tant’è che San Giovanni Crisostomo non ha avuto esitazione alcuna a formulare il seguente teorema: “Quello che è fatto per volontà di Dio è ottimo anche se può sembrare malvagio; al contrario ciò che è fatto contro la volontà di Dio e gli dispiace, anche se viene giudicato ottimo, è invece pessimo e iniquo. Perciò, se qualcuno uccide un uomo, perché così vuole Dio, commette un omicidio che è meglio di qualsiasi atto di carità; e, ancora, se qualcuno risparmia un uomo, e lo tratta con indulgenza contro il volere di Dio, questa bontà è più criminale di un omicidio.Non è la natura dei fatti che rende le azioni buone o cattive, ma la volontà del Signore”.

Radicalmente altra è la concezione laica delle leggi e dei valori morali che le ispirano. Essi sono il prodotto di un permanente dialogo fra una pluralità di soggetti, individui e gruppi organizzati, che si svolge in uno spazio pubblico nel quale sono garantite le libertà fondamenta li, ivi compresa la libertà religiosa.

La più preziosa eredità che ci ha lasciato il secolo dei Lumi è il principio del “pubblico uso della ragione in tutti i campi”, che postula la “libertà in tutto, in religione, in filosofia, in letteratura, in industria, in politica”: un principio cui non si può rinunciare senza regredire verso la barbarie della spietata caccia agli eretici, che l’Europa ha conosciuto quando non era sottomessa alla “dittatura del relativismo”.

Un principio che “si è trasferito nei fatti, è penetrato nelle nostre istituzioni e nei nostri costumi, si è unito a tutti gli aspetti della nostra vita” a tal punto che, qualora fosse abolito, “dovremmo cambiare d’un colpo tutta la nostra organizzazione morale”. >>

LUCIANO PELLICANI

lunedì 6 maggio 2024

Pensierini – LXX

DEMOCRAZIA
E' opinione molto diffusa che i governi democratici, in quanto migliori delle dittature, debbano promulgare leggi giuste, in favore dell'intera popolazione; altrimenti gli scontenti hanno il diritto di scendere in piazza e ribellarsi.
Purtroppo non è così.
La democrazia, infatti, non consiste nel prendere decisioni che piacciono a tutti, ma solo che piacciono alla maggioranza, che può essere soltanto del 51 %.
In quel caso, ci sarà sempre una minoranza scontenta, che può arrivare sino al 49 %.
Può essere questo un motivo sufficiente per scendere in piazza ? Secondo me, no.
Democrazia vuol dire anche (ahimè) accettare civilmente le decisioni del 51 %.
LUMEN


ARTE INUTILE
Dice Philippe Daverio, il noto critico d'arte, che nella lingua della Grecia classica la parola “arte” non esisteva, ma veniva usato il termine “techne”, che non è la tecnica moderna, ma «la capacità di capire come si fa a fare una cosa in modo che sia “agathos”, cioè renderla utilizzabile, utile.»
Questo sembra confermare la mia convinzione che la natura più profonda dell'arte, quello che la caratterizza in modo particolare, sia la sua intrinseca inutilità.
Ma non sono sicuro che sia un complimento.
LUMEN


CONTRO LO STATO
Alcuni anarchici sostengono, in perfetta buona fede, che lo Stato è solo un’organizzazione criminale legalizzata.
E che come un'organizzazione criminale "comune" si basa su codici e regole (non scritte) rigide e implacabili, anche l’organizzazione criminale "Stato", si fonda sugli stessi meccanismi: al posto di codici taciti ha leggi scritte, fatte dai governanti a tutela di loro stessi e dell'organizzazione.
E concludono che, a ben guardare, il sistema peggiore è quello dello Stato, perché si tratta è un lupo travestito da agnello.
Io credo che queste persone non abbiano mai vissuto in zone dove il controllo effettivo del territorio sia nelle mani delle organizzazioni criminali e non dello Stato; altrimenti non parlerebbero così.
I criminali con le regole e l'onore esistono solo nei film.
Mai e poi mai le 'zone criminali' possono essere preferibili allo Stato: che ha mille difetti, ma resta comunque un'altra cosa.
Credo che il peggior augurio che si possa fare ad un amico anarchico sia di vivere in una società composta totalmente da anarchici.
LUMEN


TATUAGGI
I tatuaggi appartengono agli strumenti di costruzione del look, cioè dell'immagine di noi stessi che vogliamo trasmettere agli altri.
In genere, si fanno in età giovanile o comunque fertile, per cui è molto probabile che le persone facciano questa scelta per sentirsi più belle e più desiderabili sessualmente.
Se questo è vero, allora il problema è collegato con le scelte sessuali dell'altro sesso: se alle donne piacciono gli uomini tatuati, ecco che tatuarsi per gli uomini ha un senso ed una utilità.
E viceversa, può darsi che vi siano uomini a cui piacciono di più le donne tatuate (personalmente le trovo più brutte, ma io non faccio testo).
Forse, la cosa peggiore dei tatuaggi è che sono “per sempre”, in quanto difficilmente rimuovibili, ma, secondo me, sono pochissime le persone che ci pensano prima.
LUMEN


SPORT VERI E SPORT FINTI
Un famoso allenatore di sport disse una volta: “Vincere un derby non è una questione di vita o di morte. E' molto di più...”.
Come conferma questo simpatico aneddoto, lo sport è una delle attività umane più praticate, più seguite e più coivolgenti di tutto il mondo.
E questo perchè rappresenta la perfetta applicazione del nostro istinto alla supremazia, sublimato dalla presenza di regole vincolanti da rispettare.
Aggiungo, a mo' di postilla, che, secondo me, il vero sport è solo quello in cui il vincitore è deciso in modo incontrovertibile da una misurazione matematica (punti, tempi, lunghezze, ecc.).
Se invece il vincitore viene deciso da una giuria mediante votazione, quello non è un vero sport, ma solo uno spettacolo.
Molti di voi, magari, non saranno d'accordo, ma io la penso così.
LUMEN

mercoledì 1 maggio 2024

Dai Buonisti mi guardi Iddio

Un famoso proverbio ammonisce “Dagli amici mi guardi Iddio, che ai nemici ci penso io”, a conferma del fatto che voler aiutare gli altri 'per forza', solo per sentirsi più buoni, può portare notevoli disastri.
Una versione letteraria di questo principio la troviamo nei Promessi Sposi, nei capitoli in cui il Manzoni ci presenta il personaggio di Donna Prassede.
Una figura che, se vivesse oggi, dovrebbe essere inserita d'ufficio nel novero dei 'buonisti' a tutti i costi.
La penna del Manzoni appare, come sempre, scorrevole e leggera, ma graffia come un punteruolo. Buona lettura.
LUMEN


<< Era donna Prassede una vecchia gentildonna molto inclinata a far del bene: mestiere certamente il più degno che l’uomo possa esercitare; ma che pur troppo può anche guastare, come tutti gli altri. Per fare il bene, bisogna conoscerlo; e, al pari d’ogni altra cosa, non possiamo conoscerlo che in mezzo alle nostre passioni, per mezzo de’ nostri giudizi, con le nostre idee; le quali bene spesso stanno come possono.

Con l’idee donna Prassede si regolava come dicono che si deve far con gli amici: n’aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata. Tra le poche, ce n’era per disgrazia molte delle storte; e non eran quelle che le fossero men care.

Le accadeva quindi, o di proporsi per bene ciò che non lo fosse, o di prender per mezzi, cose che potessero piuttosto far riuscire dalla parte opposta, o di crederne leciti di quelli che non lo fossero punto, per una certa supposizione in confuso, che chi fa più del suo dovere possa far più di quel che avrebbe diritto; le accadeva di non vedere nel fatto ciò che c’era di reale, o di vederci ciò che non c’era; e molte altre cose simili, che possono accadere, e che accadono a tutti, senza eccettuarne i migliori; ma a donna Prassede, troppo spesso e, non di rado, tutte in una volta.

Al sentire il gran caso di Lucia, e tutto ciò che, in quell’occasione, si diceva della giovine, le venne la curiosità di vederla; e mandò una carrozza, con un vecchio bracciere, a prender la madre e la figlia. (…)

E per venire alle corte, donna Prassede, sentendo che il cardinale s’era incaricato di trovare a Lucia un ricovero, punta dal desiderio di secondare e di prevenire a un tratto quella buona intenzione, s’esibì di prender la giovine in casa, dove, senz’essere addetta ad alcun servizio particolare, potrebbe, a piacer suo, aiutar l’altre donne ne’ loro lavori. E soggiunse che penserebbe lei a darne parte a monsignore.

Oltre il bene chiaro e immediato che c’era in un’opera tale, donna Prassede ce ne vedeva, e se ne proponeva un altro, forse più considerabile, secondo lei; di raddirizzare un cervello, di metter sulla buona strada chi n’aveva gran bisogno.

Perchè, fin da quando aveva sentito la prima volta parlar di Lucia, s’era subito persuasa che una giovine la quale aveva potuto promettersi a un poco di buono, a un sedizioso, a uno scampaforca [come Renzo Tramaglino], in somma, qualche magagna, qualche pecca nascosta la doveva avere. Dimmi chi pratichi, e ti dirò chi sei.

La visita di Lucia aveva confermata quella persuasione. Non che, in fondo, come si dice, non le paresse una buona giovine; ma c’era molto da ridire. Quella testina bassa, col mento inchiodato sulla fontanella della gola, quel non rispondere, o risponder secco secco, come per forza, potevano indicar verecondia; ma denotavano sicuramente molta caparbietà: non ci voleva molto a indovinare che quella testina aveva le sue idee. E quell’arrossire ogni momento, e quel rattenere i sospiri... Due occhioni poi, che a donna Prassede non piacevan punto.

Teneva essa per certo, come se lo sapesse di buon luogo, che tutte le sciagure di Lucia erano una punizione del cielo per la sua amicizia con quel poco di buono, e un avviso per far che se ne staccasse affatto; e stante questo, si proponeva di cooperare a un così buon fine. Giacchè, come diceva spesso agli altri e a se stessa, tutto il suo studio era di secondare i voleri del cielo: ma faceva spesso uno sbaglio grosso, ch’era di prender per cielo il suo cervello.

Però, della seconda intenzione che abbiam detto, si guardò bene di darne il minimo indizio. Era una delle sue massime questa, che, per riuscire a far del bene alla gente, la prima cosa, nella maggior parte de’ casi, è di non metterli a parte del disegno. >>


<< Buon per lei [per Lucia], che non era la sola a cui donna Prassede avesse a far del bene; sicché le baruffe non potevano esser così frequenti.

Oltre il resto della servitù, tutti cervelli che avevan bisogno, più o meno, d’esser raddirizzati e guidati; oltre tutte l’altre occasioni di prestar lo stesso ufizio, per buon cuore, a molti con cui non era obbligata a niente: occasioni che cercava, se non s’offrivan da sé; aveva anche cinque figlie; nessuna in casa, ma che le davan più da pensare, che se ci fossero state.

Tre eran monache, due maritate; e donna Prassede si trovava naturalmente aver tre monasteri e due case a cui soprintendere: impresa vasta e complicata, e tanto più faticosa, che due mariti, spalleggiati da padri, da madri, da fratelli, e tre badesse, fiancheggiate da altre dignità e da molte monache, non volevano accettare la sua soprintendenza.

Era una guerra, anzi cinque guerre, coperte, gentili, fino a un certo segno, ma vive e senza tregua: era in tutti que’ luoghi un’attenzione continua a scansare la sua premura, a chiuder l’adito a’ suoi pareri, a eludere le sue richieste, a far che fosse al buio, più che si poteva, d’ogni affare. Non parlo de’ contrasti, delle difficoltà che incontrava nel maneggio d’altri affari anche più estranei: si sa che agli uomini il bene bisogna, le più volte, farlo per forza. >>

ALESSANDRO MANZONI