giovedì 28 gennaio 2016

Falso come Giuda

Quello che segue è il terzo dialogo virtuale con il professor Bart Ehrman, grande esperto di letteratura cristiana e di critica neo-testamentaria. Questa volta parleremo di un personaggio apparentemente marginale, ma a suo modo fondamentale nella narrazione evangelica, quello di Giuda, il traditore. E troveremo le solite, inevitabili, incongruenze. Lumen
 


LUMEN – Professor Ehrman, anzitutto bentornato. 
EHRMAN – Grazie.
 
LUMEN – Quello di Giuda è uno dei personaggi evangelici più noti, quanto meno come simbolo negativo, ma di lui sappiamo piuttosto poco.
EHRMAN – Sì, i passi dei Vangeli che parlano di lui non sono molti.
 
LUMEN - Quali sono le motivazioni riportate dai testi ufficiali per il tradimento di Giuda ?
EHRMAN – I quattro vangeli canonici, come spesso accade, non dicono tutti la stessa cosa.
 
LUMEN – Non mi stupisce.
EHRMAN – Incominciamo con i tre sinottici. Il collegamento tra i testi è evidente: in tutti e tre Giuda si reca dai sommi sacerdoti, in tutti e tre questi si «rallegrano» e gli promettono del denaro, in tutti e tre Giuda inizia a cercare l'occasione propizia per tradire Gesù. Le differenze riguardano, per l’appunto, la motivazione che spinge Giuda a tradire.
 
LUMEN – Che sarebbero ?
EHRMAN - Il Vangelo di Marco non ne fa esplicita menzione. Nel Vangelo secondo Matteo, invece, si dice espressamente che fu Giuda a chiedere del denaro per il suo tradimento. L'autore del Vangelo di Luca, infine, è l'unico ad informarci del fatto che, prima che Giuda si rechi dai sommi sacerdoti, Satana entra dentro di lui.
 
LUMEN – E Giovanni ? 
EHRMAN – Giovanni si discosta, come suo solito, dai sinottici, e racconta di una rivelazione che Gesù fa ai propri apostoli: << Rispose Gesù: «Non ho forse scelto io voi, i Dodici ? Eppure uno di voi è un diavolo !». Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei Dodici. >>. In Giovanni, dunque, Giuda è definito "diavolo" da Gesù: verosimilmente l'autore vuol farci capire che Giuda è cattivo e tradisce per questo motivo.
 
LUMEN – E passiamo alla morte di Giuda.
EHRMAN – Com’è noto, Giuda tradisce Gesù consegnandolo ai suoi nemici, ed iniziando così una catena di eventi che porta alla morte di Gesù. Ma cosa accade poi a Giuda ? Il Vangelo secondo Marco e il Vangelo secondo Giovanni non menzionano il suo destino.
 
LUMEN – E gli altri ?
EHRMAN – Nel Vangelo secondo Matteo si narra: << Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani 4 dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «Che ci riguarda ? Veditela tu !». Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi. Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: «Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue». E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu denominato "Campo di sangue" fino al giorno d'oggi. Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore. >> 

LUMEN – E questa è la versione comune, che tutti conoscono.
EHRMAN – Ma non è l’unica, c’è anche Luca.
 
LUMEN – Il vangelo di Luca ?
EHRMAN – No. Anche nel Vangelo secondo Luca non vi è traccia del destino di Giuda, ma l'autore di Luca scrisse anche gli Atti degli apostoli.
 
LUMEN – Giusto. E cosa dice qui Luca ? 
EHRMAN – Negli Atti degli Apostoli è narrata un'altra versione dei fatti. << Giuda comprò un pezzo di terra con i proventi del suo delitto e poi precipitando in avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere. La cosa è divenuta così nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, che quel terreno è stato chiamato nella loro lingua Akeldamà, cioè Campo di sangue. >> 

LUMEN – Una differenza notevole, direi. 
EHRMAN – Appunto. In Matteo, Giuda si pente, va dai sommi sacerdoti per restituire loro il denaro, poi va ad impiccarsi. Negli Atti, Giuda non si pente, non va dai sommi sacerdoti a restituire loro il denaro e non si suicida impiccandosi.
 
LUMEN – Cosa dobbiamo pensare, quindi ?
EHRMAN – Che, come spesso accade, non possiamo giungere a nessuna conclusione certa. Le differenze sono rilevanti e inconciliabili, e non possono essere composte.
 
LUMEN – Possiamo però fare qualche riflessione al riguardo. 
EHRMAN – Certo. La prima è che dopo la stesura di Marco, il più antico dei canonici, gli evangelisti successivi hanno sentito il bisogno di spiegare le ragioni del tradimento di Giuda, soprattutto Matteo e Luca, i quali hanno indipendentemente l'uno dall'altro proposto un movente legato al denaro e la possessione satanica, rispettivamente.
 
LUMEN – Che però sono in contraddizione.
EHRMAN – Non solo. Queste spiegazioni non sembrano neppure soddisfacenti, specie alla luce del fatto che il tradimento di Giuda sembra essere un evento necessario della passione, senza il quale la morte e la risurrezione di Gesù non sarebbero potute avvenire. Un indizio di questa insoddisfazione è l'esistenza del Vangelo secondo Giuda, un testo gnostico in cui Giuda tradisce Gesù, ma lo fa per ordine del suo stesso maestro, in quanto a Giuda è destinata una conoscenza superiore.
 
LUMEN – In effetti Giuda era vittima del suo destino. 
EHRMAN - La seconda riflessione riguarda l'erroneo riferimento alla profezia di Geremia contenuto nel racconto del Vangelo secondo Matteo. Il problema deriva dal fatto che Matteo qui cita una profezia ("E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore") che nel libro di Geremia non esiste.
 
LUMEN – Questa poi… 
EHRMAN – Qui, i commentatori cristiani hanno dovuto compiere acrobazie esegetiche di altissimo livello. 

LUMEN – Me lo immagino. E come ne sono usciti ? 
EHRMAN – Affermando che Matteo, in questo passo, non si riferiva in realtà a Geremia, come ha scritto, ma a Zaccaria: << Poi dissi loro: «Se vi pare giusto, datemi la mia paga; se no, lasciate stare». Essi allora pesarono trenta sicli d'argento come mia paga. Ma il Signore mi disse: «Getta nel tesoro questa bella somma, con cui sono stato da loro valutato !». Io presi i trenta sicli d'argento e li gettai nel tesoro della casa del Signore >>.
 
LUMEN – E’ come si spiega un errore simile ? 
EHRMAN – Perché l'autore di Matteo, come fa spesso, cerca di dimostrare che nella vita di Gesù sono soddisfatte le profezie dell'Antico Testamento, ma anche questa volta fa un po' di confusione, dato che la profezia di Zaccaria riguarda il gettare il denaro nel tesoro, mentre Matteo la considera soddisfatta quando con quel denaro, non accreditabile al tesoro del Tempio per motivi di purità, viene acquistato il campo del vasaio.
 
LUMEN – Quindi più si leggono i Vangeli, meno si capisce e si comprende.
EHRMAN – A volte è proprio così.
 
LUMEN – Grazie professore.

giovedì 21 gennaio 2016

A qualcuno piace caldo

Le considerazioni di un grande esperto come Jared Diamond sul riscaldamento globale in atto, le sue cause e le sue temibili conseguenze (da Repubblica). Lumen


<< I cambiamenti climatici globali sono una delle forze che condizioneranno maggiormente la vita di tutti gli esseri umani che vivranno nei prossimi decenni. Quasi tutti ne hanno sentito parlare, ma è una materia così complicata e ricca di paradossi che poche persone, al di fuori degli addetti ai lavori, la capiscono davvero. Cercherò di spiegarla nel modo più chiaro possibile (…).

Il punto di partenza è la popolazione mondiale di esseri umani e l’impatto medio di ciascun essere umano (cioè la quantità media di risorse consumate e scarti prodotti per persona e per anno). Tutte queste quantità stanno aumentando, anno dopo anno, e di conseguenza sta aumentando l’impatto umano complessivo sul pianeta: l’impatto pro capite, moltiplicato per il numero di persone che ci sono al mondo, dà come risultato l’impatto complessivo.

Uno scarto importante è il biossido di carbonio o anidride carbonica (abbreviato in CO2), che provoca i cambiamenti climatici quando viene rilasciato nell’atmosfera, principalmente a causa del nostro consumo di combustibili fossili.

Il secondo gas più importante all’origine dei cambiamenti climatici è il metano, che esiste in quantità molto più ridotte e al momento rappresenta un problema meno grave della CO2, ma che potrebbe diventare importante per effetto di un anello di retroazione positiva: il riscaldamento globale scioglie il permafrost, che rilascia metano, che provoca ancora più riscaldamento, che rilascia ancora più metano e così via.

L’effetto primario della CO2, quello di cui più si discute, è la sua azione di gas a effetto serra. Significa che la CO2 assorbe una parte delle radiazioni a infrarossi della Terra, facendo crescere la temperatura dell’atmosfera. Ma ci sono altri due effetti primari del rilascio di CO2 nell’atmosfera.

Uno è che la CO2 che produciamo viene immagazzinata anche dagli oceani, non solo dall’atmosfera. L’acido carbonico che ne risulta fa aumentare l’acidità degli oceani, che già adesso è al livello più alto negli ultimi 15 milioni di anni. Questo processo scioglie lo scheletro dei coralli uccidendo le barriere coralline, che sono un vivaio di riproduzione per i pesci dell’oceano e proteggono le coste delle regioni tropicali e subtropicali da onde e tsunami. Attualmente, le barriere coralline del mondo si stanno riducendo dell’1-2 per cento ogni anno, il che significa che alla fine di questo secolo saranno in gran parte scomparse.

L’altro effetto primario del rilascio di CO2 è che influenza direttamente (in modo positivo o negativo) la crescita delle piante.

L’effetto del rilascio di CO2 di cui più si discute, in ogni caso, è quello che ho citato per primo: il riscaldamento dell’atmosfera. È quello che chiamiamo «riscaldamento globale», ma l’effetto è talmente complesso che questa definizione è inadeguata: è preferibile «cambiamenti climatici globali ».

Innanzitutto, le catene di causa ed effetto fanno sì che il riscaldamento atmosferico finirà, paradossalmente, per rendere alcune aree di terre emerse (fra cui il Sudovest degli Stati Uniti) più fredde, anche se la maggior parte delle regioni (fra cui quasi tutto il resto degli Stati Uniti) diventerà più calda.

In secondo luogo, un’altra tendenza è l’incremento della variabilità del clima: tempeste e inondazioni sono in aumento, i picchi di caldo stanno diventando più caldi e i picchi di freddo più freddi; questo spinge quei politici scettici che non capiscono nulla dei cambiamenti climatici a pensare che tali fenomeni siano la prova che i cambiamenti climatici non esistono.

In terzo luogo, c’è l’aspetto dello sfasamento temporale: gli oceani immagazzinano e rilasciano CO2 molto lentamente, tanto che se stanotte tutti gli esseri umani sulla Terra morissero o smettessero di bruciare combustibili fossili, l’atmosfera continuerebbe comunque a riscaldarsi ancora per molti decenni.

Infine, c’è il rischio di effetti amplificatori non lineari di vasta portata, che potrebbero provocare un riscaldamento del pianeta molto più rapido delle attuali, prudenti proiezioni. Fra questi effetti amplificatori c’è lo scioglimento del permafrost e il possibile collasso delle calotte di ghiaccio dell’Antartide e della Groenlandia.
Venendo alle conseguenze della tendenza al riscaldamento medio del pianeta, ne citerò quattro.

La più evidente per molte parti del mondo è la siccità. Per esempio nella mia città, Los Angeles, questo è l’anno più secco della storia da quando si sono cominciati a raccogliere i dati meteorologici, nel primo decennio dell’Ottocento. La siccità è un problema per l’agricoltura. Le siccità causate dai cambiamenti climatici globali sono distribuite in modo disuguale nel pianeta: le aree più colpite sono il Nord-America, il Mediterraneo e il Medio Oriente, l’Africa, le terre agricole dell’Australia meridionale e l’Himalaya.

Una seconda conseguenza della tendenza al riscaldamento medio del pianeta è il calo della produzione alimentare, per la siccità e paradossalmente per l’aumento delle temperature sulla terraferma, che può favorire più la crescita delle erbe infestanti che la crescita di prodotti destinati al consumo alimentare. Il calo della produzione alimentare è un problema perché la popolazione umana e il tenore di vita del pianeta, e di conseguenza il consumo di cibo, stanno aumentando (del 50 per cento nei prossimi decenni secondo le previsioni): ma già adesso abbiamo un problema di cibo, con miliardi di persone denutrite.

Una terza conseguenza del riscaldamento del pianeta è che gli insetti portatori di malattie tropicali si stanno spostando nelle zone temperate. Fra i problemi sanitari conseguenza di questo fenomeno al momento possiamo citare la trasmissione della febbre dengue e la diffusione di malattie portate dalle zecche negli Stati Uniti, lo sbarco della febbre tropicale Chikungunya in Europa e la diffusione della malaria e dell’encefalite virale.

L’ultima conseguenza del riscaldamento medio globale che voglio citare è l’innalzamento del livello dei mari. Stime prudenti al riguardo prevedono che il livello dei mari salirà nel corso di questo secolo di circa un metro, ma in passato i mari sono saliti anche di dieci metri: la principale incertezza in questo momento riguarda il possibile collasso e scioglimento delle calotte di ghiaccio dell’Antartide e della Groenlandia. Ma anche un aumento medio di solo un metro, amplificato da tempeste e maree, sarebbe sufficiente a compromettere la vivibilità della Florida, dei Paesi Bassi, dei bassopiani del Bangladesh e di molti altri luoghi densamente popolati.

Gli amici a volte mi chiedono se i cambiamenti climatici stiano avendo qualche effetto positivo per le società umane. Sì, qualche effetto positivo c’è, per esempio la prospettiva di aprire rotte navali sgombre dai ghiacci nell’estremo Nord, per lo scioglimento dei ghiacci artici, e forse l’incremento della produzione di grano nella “wheat belt” del Canada meridionale e in qualche altra area. Ma la stragrande maggioranza degli effetti sono enormemente negativi per noi.

Ci sono rimedi tecnologici rapidi per questi problemi ? Forse avrete sentito parlare di ipotesi di geo-ingegneria, per esempio iniettare particelle nell’atmosfera o estrarre CO2 dall’atmosfera per raffreddarla. Ma non esiste nessun approccio geo-ingegneristico già sperimentato e che funzioni con certezza.

Inoltre gli approcci proposti sono molto costosi e sicuramente richiederanno molto tempo e provocheranno effetti collaterali negativi imprevisti, tanto che dovremmo distruggere la Terra sperimentalmente dieci volte prima di poter sperare che la geo-ingegneria, all’undicesimo tentativo, produca esattamente gli effetti positivi desiderati. È per questo la maggior parte degli scienziati considera gli esperimenti geo-ingegneristici qualcosa di pericolosissimo, da evitare a tutti i costi. > >

JARED DIAMOND

giovedì 14 gennaio 2016

Della disuguaglianza economica

Molti economisti attribuiscono l’attuale crisi economica ad un progressivo calo dei salari, combinato ad uno speculare aumento degli utili dei capitalisti.
Al profano, resta però una domanda apparentemente banale: ma la ricchezza sottratta ai salariati e trattenuta dai "padroni" non dovrebbe generare ugualmente una domanda di beni e servizi e quindi essere neutra a livello complessivo ?
E’ vero che ricchi spendono i loro soldi in modo molto diverso dalle persone comuni, ma (a prescindere dagli eventuali problemi etici) per l’economia globale non dovrebbe essere la stessa cosa ?
Pare proprio di no, e questo per colpa dei sempre più invadenti “mercati finanziari”, come prova a spiegarci Alberto Bagnai in questo breve post “tecnico”, tratto dal suo blog. 
LUMEN
 
 
<< L'economia della produzione di massa ha bisogno di un consumo di massa per tirare avanti. Questo comporta che una parte consistente dei profitti che vanno al capitale non si traducano (per impossibilità fisica) in domanda immediata di nuovi beni e servizi da parte dei "ricchi", ma vengano avviati al circuito finanziario (cioè si traducono nell'acquisto di "carta").

In condizioni normali (cioè non di disuguaglianza crescente) alla fine andrebbe anche bene così: in teoria, considerando per il momento un'economia chiusa, l'acquisto di "carta" (un'azione, un'obbligazione) da parte del ricco corrisponde al bisogno di un'azienda di finanziare investimenti produttivi (emettendo, appunto, "carta").

Quindi la parte dei redditi dei ricchi che non va nell'acquisto immediato di aragoste e Ferrari si tradurrebbe comunque nell'acquisto di beni fisici, mediato dal circuito finanziario, che raccorda famiglie (ricche e povere) e imprese, permettendo a queste ultime di finanziare i propri investimenti produttivi (…).

Quando però la disuguaglianza aumenta, in questa bella storia nella quale i risparmi vengono comunque convogliati verso la creazione di valore (via investimenti produttivi) comincia ad incepparsi qualcosa. Intanto, una parte dei redditi dei ricchi (mangiata l'aragosta, comprata la Ferrari), deve necessariamente andare a finanziare i consumi dei poveri (i quali altrimenti, morendo di fame, non potrebbero pescare l'aragosta che al mercato il ricco comprò...).

Poi, l'incremento della produttività da un lato (via progresso tecnico), e dei fatturati dall'altro (via finanziamento "a credito" della spesa dei "poveri"), determina una buona redditività aziendale, la quale fa sì che in effetti il settore delle imprese sia in grado di finanziare da sé gli investimenti produttivi, cioè senza ricorrere ai risparmi dei "ricchi", ovvero, senza ricorso ai mercati.

Ma noi vediamo che i "mercati" (finanziari) acquistano sempre maggiore peso. Perché? La risposta è che una buona parte delle risorse finanziarie distribuite ai "ricchi" vanno ad acquistare carta che non corrisponde a domanda di beni (in particolare, domanda "mediata" di beni capitali). E a cosa corrisponde ? (…)

La risposta breve è che le risorse finanziarie dei "ricchi" vanno ad alimentare una sorta di gigantesco gioco dell'aeroplano o schema Ponzi (se preferite), dove la creazione di "valore" corrisponde sostanzialmente alle plusvalenze realizzate nelle operazioni di fusione e acquisizione di aziende, alle quali corrisponde una produzione di "carta" il cui valore è sostenuto, appunto, dal flusso di domanda di "carta", cioè dagli eccessivi introiti dei (pochi) ricchi, che un qualche impiego dovranno pur trovarlo (mangiata l'aragosta e parcheggiata la Ferrari).

Consideriamo, per semplicità, gli Stati Uniti (che sono archetipici di questa evoluzione del capitalismo). Fra il 1980 e il 1998 nelle imprese statunitensi sono entrati 19.326 miliardi (…), a fronte dei quali il settore ha chiesto ai mercati, vendendo "nuova carta", 5.168 miliardi (…), destinati all'acquisto di attività finanziarie.

Queste attività corrispondono di fatto a plusvalenze derivanti da operazioni di fusione e acquisizione di aziende, che se dal lato reale traggono il loro fondamento nella (pretesa) esigenza di "razionalizzare ed efficientare" (grande è bello, facciamo economie di scala, ecc…), dal lato finanziario sono sostanzialmente un modo per vendere a 125 due aziende che valgono 50. (…)

Se infatti una azienda A comprasse un'azienda B ai valori di libro queste due operazioni di compenserebbero, dando come risultato zero. Ma se l'azienda A compra per 125 una azienda B che vale 100 (o due aziende C e D che valgono 50 l'una), ecco che sorgono 25 (…), corrispondenti a "creazione" di valore puramente speculativa, determinata dall'operazione di acquisizione, e non a un incremento del 25% dei macchinari, capannoni e attrezzature dell'azienda B (che fisicamente quella è, e quella rimane).

Ora, il punto è: cosa permette di vendere al 25% in più (nell'esempio, ovviamente) una cosa che vale 100 ? Semplice: il fatto che qualcuno abbia i soldi per comprarla ! Come in ogni schema Ponzi [famoso sistema di truffa finanziaria “a piramide” ideato dall’italo-americano Charles Ponzi - NdL], sono i nuovi entranti che garantiscono la prosecuzione del gioco.

Il capitalismo finanziario comprime lo Stato come intermediario del risparmio (riducendo, ad esempio, le pensioni), e così i redditi dei ricchi (che sono sempre più ricchi) e anche quelli dei meno ricchi si orientano sempre più a comprare carta privata, alimentandone (artificialmente) il valore.

La lotta ideologica ai sistemi pensionistici a ripartizione [quelli in cui si usano i contributi correnti per pagare le pensioni correnti - NdL], per dirne una, ha il suo fondamento non tanto nell'invecchiamento della popolazione e via dicendo, quanto nell'evoluzione verso questo tipo di capitalismo.

Non è più un circuito, dove la famiglie comprano la carta delle imprese: è uno schema che ha al centro il mercato secondario dei titoli (cioè il mercato della carta già esistente), che diventa il motore e l'arbitro del sistema. Questo è quello che (…) viene chiamato il capitalismo finanziario.

Le imprese ora non rispondono alle famiglie ma ai "mercati" (il mercato secondario), e quindi la loro logica diventa una logica di breve periodo. Prezzo e quantità dei titoli presenti nel pool non dipendono più solo dalle necessità delle imprese "produttive" di finanziare investimenti in capitale fisico, ma da tante altre cosette che poco hanno a che vedere con la produzione e con l'acquisto di quei beni per acquistare i quali nel frattempo il "povero" si sta indebitando. (…)

La storia, quindi, è quella di un capitalismo che produce carta a mezzo di carta, e che quindi, ovviamente, avvantaggia chi ha gli strumenti culturali e tecnici per trarre profitto da questo gioco (ovviamente i più ricchi), lasciando, come in ogni Ponzi game, il cerino acceso in mano a una sterminata platea di fessi, ovvero i contribuenti, che quando il sistema salta sono costretti a tappare i buchi, cioè a mettere di tasca loro quel famoso 25 che non c'era (e che quando nessuno vuole comprarlo più - per qualsiasi motivo - diventa il granello di sabbia che inceppa l'ingranaggio).

Per inciso: va da sé che quando l'ingranaggio si inceppa, chi ci ha messo i soldi pensando di avere una vecchiaia agiata si ritrova sotto i ponti. (…) Ecco quindi perché, in un capitalismo che distribuisce troppo ai pochi e poco ai molti, i soldi che vanno ai pochi non sono destinati ad acquistare i beni che i molti non si possono più permettere (e nemmeno il loro controvalore in beni fisici "da ricchi"). >>

ALBERTO BAGNAI

giovedì 7 gennaio 2016

Pensierini – XIX

ANTICRISTO
Ormai non passa mese che non si leggano notizie sugli illeciti e le scorrettezza (soprattutto finanziarie) commesse da uomini di chiesa.
Non credo che i religiosi di oggi siano molto peggio di quelli di una volta (sono uomini come noi, nel bene e nel male), solo che una volta da quel mondo non usciva niente e ti potevi illudere che non succedesse niente.
Oggi invece viene fuori tutto e, probabilmente, quello che sta davvero distruggendo la Chiesa, più che la modernità in sè, è questo flusso incontrollato di informazioni, che non è più possibile bloccare e che ne scopre (dopo tanti silenzi) le piccole miserie quotidiane.
Alla fine si potrebbe dire che l'anticristo è arrivato, ma ha preso le sembianze virtuali di internet. Chi l'avrebbe mai detto.
LUMEN


ARTE ED EMOZIONE
Ma che cos'è un'opera d'arte ? Tutti siamo convinti di saperlo, ma dare una definizione precisa non è assolutamente facile.
La mia personale definizione di ARTE - semplice e concisa - è questa: "qualsiasi prodotto umano privo di scopo, che suscita emozioni piacevoli".
L’assenza di scopo, secondo me, è fondamentale; per cui, per esempio, un bel mobile lavorato, che non è sicuramente privo di scopo, può essere “arte” solo nei suoi elementi non funzionali (gli intarsi, gli abbellimenti, ecc.).
In ogni caso, l'arte è soggettiva (sta - come la bellezza - negli occhi di chi guarda), perché soggettive sono le emozioni di ciascuno.
LUMEN


COMUNISMO
E’ incredibile la quantità di speranze e di aspettative che ha saputo creare il comunismo nel mondo, probabilmente più di qualsiasi altra ideologia non religiosa.
Eppure si tratta di un sistema di potere come tutti gli altri, con le élites da una parte e i sudditi dall’altra.
Come ha detto acutamente qualcuno, con corrosiva ironia: << Il Capitalismo è lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Il Comunismo, invece, è il suo contrario >>.
LUMEN


PAROLA DEL SIGNORE
Il mondo è pieno di persone che - nei luoghi e nelle forme più impensate - sono pronte a dichiarare, con grande sicurezza ed altrettanta faccia tosta, di parlare “in nome di Dio”.
Ma, come dice il bravo Edoardo Boncinelli in uno dei suoi libri: “Se Dio c’è, non riesco proprio a capire come possa permettere a qualcuno di parlare in suo nome”.
Ecco appunto. Ma se invece non c’è, tutto si spiega.
LUMEN


DISUNIONE EUROPEA
L'Unione Europea continua ad essere un 'ircocervo' di difficile identità, troppo integrata per rispettare le sovranità nazionali, ma non abbastanza per una vera gestione comune.
Dice lo storico Aldo Giannuli: << Salta agli occhi la crescente disomogeneità politica, economica e sociale del [nostro] continente, nel quale continua a non esserci un sistema organizzato comune di interessi sociali, ma tanti quanti sono i paesi che compongono l’Unione. Non c’è un magnete centrale rispetto al quale i singoli interessi si organizzano subendone la forza gravitazionale, ma altrettanti spettri magnetici nazionali che la crisi economica allontana ancora di più. La Germania resta un paese creditore e la Grecia (come l’Italia, la Spagna ed il Portogallo) debitore e, a quanto pare, non serve a molto fare appello al buon cuore degli ordinatissimi tedeschi. >> 
Purtroppo la sensazione è che si debba restare  a metà del  guado ancora per molto tempo.
LUMEN


GENERAZIONE DI MEZZO
Il giornaista Alessandro Gilioli, che è nato nel 1962 (pochi anni dopo il sottoscritto), non ha difficoltà ad ammettere, molto sinceramente, la propria fortuna generazionale:
<< Da ultra-cinquantenne che per una vita è stato garantito, - dice Gilioli -  [a volte] mi sento in colpa. In colpa perché ho vissuto nel cuscino più privilegiato del secolo, forse del millennio.
Tra i miei genitori che mentre andavano all'università mungevano le mucche in una fattoria della North Carolina, emigrati dall'Italia; ed i miei figli che quando si affacceranno alla vita adulta si troveranno nei marosi tristi della precarietà.
Con la differenza che i miei genitori erano poveri, ma pieni di speranza e di futuro, mentre ai nuovi adulti di oggi il futuro è stato rubato, e li hanno convinti che ogni speranza è un privilegio, un colpo di culo o (peggio) un'utopia irraggiungibile. >>
Ed io, da quasi coetaneo, mi trovo perfettamente d'accordo con lui. 
LUMEN
 

venerdì 1 gennaio 2016

Il fantasma di Malthus

Questo post è dedicato alle 4 grandi rivoluzioni che si sono verificate nella storia dell’homo sapiens, secondo l’ambientalista Jacopo Simonetta, con alcune interessanti considerazioni sull’ultima, la c.d. “rivoluzione verde”, e sulla sempre ingombrante presenza del fantasma di Malthus (da Effetto Risorse). Lumen


<< La prima vera “rivoluzione” che ha interessato la nostra specie non ha un nome e posso quindi battezzarla “Rivoluzione Narrativa”. Consistette nello sviluppo di un linguaggio complesso e del pensiero simbolico. Richiese probabilmente circa 50.000 anni e fece di noi l’unica specie capace di concepire e raccontare storie, avventure, miti, teorie scientifiche e quant’altro. 

La seconda fu la ben nota “Rivoluzione Agricola” (o “Neolitica”) che iniziò circa 10 – 12.000 anni fa e prese, molto approssimativamente, un paio di millenni. Consistette nell’addomesticamento di alcune specie di piante ed animali e nel passaggio da un’economia basata sulla caccia e la raccolta dei prodotti spontanei ad un’economia basata sull’agricoltura e la pastorizia. 

La terza fu la “Rivoluzione Industriale” che, in estrema sintesi, consistette nell’applicazione dell’energia fossile alle manifatture. Nel giro di un secolo dominava il mondo e nel giro di due era divenuta un fenomeno globale. 

La quarta è stata la “Rivoluzione Verde” e molti di noi sono abbastanza vecchi da averla vista di persona. Sostanzialmente è consistita nell’applicazione dell’energia fossile alla produzione agricola, trasformandola in qualcosa di strutturalmente molto simile all’industria nel giro di una ventina d’anni appena. 

In effetti, i prodromi di questo fatale tornante risalgono al primo dopoguerra, quando in Europa e Stati Uniti si cominciarono ad usare in agricoltura i nitrati ed i trattori inizialmente prodotti a scopo militare. Poi, negli anni ’30 e ’40, alcuni scienziati si preoccuparono di raccogliere in tutto il mondo piante eduli e di utilizzare le moderne conoscenze scientifiche per selezionare da queste delle nuove varietà ibride, molto più produttive. (…) 

Ricercatori e tecnici, avevano lo scopo comune di “sfamare il mondo”, come già allora si diceva. Ne avevano ben donde: nei venti anni precedenti milioni di persone erano morte di fame, soprattutto in Russia, India e Cina. Certo molti fattori avevano concorso a determinare queste tragedie, ma solo un folle avrebbe potuto ignorare che il numero di bocche cominciava, già allora, a soverchiare le capacità produttive dei sistemi agricoli tradizionali in parecchie zone del mondo. 

La Guerra mondiale fece passare perfino le carestie in secondo piano, malgrado abbia contribuito a crearne alcune delle peggiori. Ma il flagello non si fermò con la fine delle ostilità e negli anni ‘60 e ’70 decine di milioni di persone continuarono a morire di fame. (…) 

In quegli stessi anni cominciavano ad emergere i primi seri dubbi sulla sostenibilità dell’intero sistema economico mondiale e della stessa umanità contemporanea. Le parole “sovrappopolazione”, “limiti alla crescita” e simili erano sulla bocca di tutti. Lo spettro del reverendo Malthus aleggiava su tutto ciò che all'epoca si scriveva e si diceva, ma il lavoro cominciato trent'anni prima in Europa, Messico ed USA era oramai maturo per essere messo in pratica su scala globale. 

Nel giro di pochi anni quella che fu definita la “modernizzazione” dell’agricoltura portò un aumento delle produzioni agricole ad ettaro compreso fra il doppio ed il triplo, mentre lo sviluppo dei trasporti su grandi distanze permise per la prima volta lo spostamento di migliaia di tonnellate di derrate dai luoghi dove ve n’era eccedenza a quelli dove erano carenti. 

Di conseguenza, il numero di persone malnutrite diminuì dal 35% dell’umanità, alla metà degli anni ’60, a poco più del 15% nel 2005, mentre la popolazione mondiale raddoppiava di netto. (…) Lo spettro di Malthus fu sbaragliato dai fatti e l’idea che vi fossero dei limiti alle possibilità di sviluppo del genere umano fu archiviata sotto l’etichetta “cassandrate” fra l’entusiasmo generale. 

Ma già dagli anni ’30, qualcuno aveva cominciato ad avere dei dubbi sugli effetti nel tempo di questo approccio. Dubbi che l’esperienza non fece che confermare. 

Le nuove varietà sono produttive solo se si utilizza l’intera gamma di prodotti fitosanitari e fertilizzanti previsti, altrimenti danno meno delle varietà antiche. Le proprietà nutritive dei prodotti sono peggiorate, generando diffusi problemi di salute. L’uso e l’abuso di concimi inorganici ha provocato la moltiplicazione dei parassiti, la destrutturazione dei suoli e l’inquinamento delle acque del mondo intero. I pesticidi non riescono più a contenere il pullulamento di parassiti ed infestanti sempre più resistenti, mentre rendono tossici suoli ed acque, spedendo milioni di persone a cimitero non più per fame, ma per cancro.

L’irrigazione ha desertificato e salato vaste regioni, inaridito l’intero pianeta. La meccanizzazione pesante ha fabbricato centinaia di milioni di disoccupati, mentre ha destrutturato ed eroso i suoli agricoli. Il commercio internazionale ha creato rapporti di dipendenza sempre più perversi che non di rado sfociano in fenomeni di vera schiavitù o peggio; in ogni caso, nel gioco del mercato gli agricoltori sono risultati perdenti. Intere civiltà contadine sono state spazzate via per fare spazio a distese desolate da una parte, ‘favelas’ dall'altra. 

E nel frattempo la quantità di gente malnutrita ha ripreso a salire rapidamente sia in numero assoluto che in percentuale, mentre a fronte di uno sforzo produttivo in crescita esponenziale, la produzione di cibo rimane sostanzialmente stazionaria. Se vere carestie in corso non ce ne sono, sommosse per l’eccessivo prezzo del pane abbondano e, non di rado, contribuiscono a precipitare interi stati nel caos. In rapporto alla popolazione, la disponibilità di cibo è dunque tornata a diminuire ed il fantasma di Malthus torna ad infestare le notti di quanti sono in grado di pensare al domani. 

Dunque il bilancio è positivo o negativo ? Anziché esprimere un giudizio, è interessante gettare uno sguardo alla termodinamica dei sistemi produttivi. Il successo della Rivoluzione Industriale è dipeso dalla sostituzione di risorse energetiche rinnovabili, ma disperse come flussi d’acqua e di aria, muscoli animali ed umani, con risorse energetiche infinitamente più concentrate, versatili ed economiche: carbone, ma soprattutto petrolio; secondariamente gas. 

Con tecniche molto diverse, abbiamo fatto esattamente lo stesso con la Rivoluzione Verde: l’insieme di tecniche adottate ha permesso all'uomo di utilizzare l’energia fossile per produrre cibo. Se, infatti, analizziamo il flusso di energia attraverso un agro-ecosistema pre-rivoluzione troviamo che vi è un’unica fonte di energia: il sole. Anche il lavoro muscolare i uomini ed animali proveniva infatti dal cibo cresciuto sul podere grazie alla luce solare. 

La medesima analisi, fatta su un agro-ecosistema industrializzato, ci mostra che ogni Kcal di cibo che arriva nei piatti richiede la dissipazione di 10-15 Kcal di energia fossile. Fino a 40, nel caso di filiere complesse come quella dei surgelati. In pratica, noi oggi mangiamo principalmente petrolio e, secondariamente, metano e rocce. Tutto il resto serve a rendere questi materiali digeribili. 

Ma sappiamo che il picco del greggio è alle nostre spalle (2005 per la precisione), mentre il picco di tutte le forme di energia è circa adesso. Dunque il flusso di energia fossile che ha permesso all'umanità di passare da 3 miliardi a quasi 8 sta rallentando e sempre di più lo farà negli anni a venire. Cosa mangeremo? 

In pratica, la Rivoluzione Verde ci ha permesso di barare, aumentando la capacità di carico del pianeta, ma solo per poche decine di anni, poi tornerà la normalità. Il che presumibilmente significa un rapido ritorno sotto la soglia dei 3 miliardi e probabilmente meno. A meno che… 

Già da alcuni decenni sta maturando in molti ambienti qualcosa che si propone di essere una vera e propria “Controrivoluzione Verde”. In estrema sintesi, l’idea e la pratica sono di abbandonare l’energia fossile con tutto l’armamentario chimico e meccanico dell’agricoltura contemporanea per sostituirlo con una vasta gamma di tecniche più o meno nuove che vanno dalla Biodinamica, alla Permacoltura, all'Orticoltura Sinergica e numerose altre. 

Un vasto numero di esperienze e di studi confermano la validità di un simile approccio, perlomeno ad una scala aziendale o locale. Se poi questi metodi siano in grado di alimentare le megalopoli del mondo resta da dimostrare, ma di sicuro ci sono ampi spazi per una loro molto maggiore diffusione e sviluppo. Nelle intenzioni di chi le divulga c’è la certezza , o perlomeno la speranza, che in tal modo si possano nutrire gli 8 o 9 miliardi di persone prossime venture senza desertificare il Pianeta e senza sfruttare nuove forme di energia. 

A ben vedere, delle quattro Rivoluzioni precedenti, solo le ultime due hanno comportato l’uso di una fonte supplementare di energia. Le precedenti hanno invece ottenuto una maggiore efficienza nello sfruttamento di quello che già si usava. Ora ci si propone, con buoni argomenti, di replicare l’impresa aumentando l’efficienza nello sfruttamento del sole, dei suoli e dell’acqua in misura tale da poter archiviare perfino il petrolio. Possibile che si possa ottenere un risultato di così vasta portata? Forse, ma ciò che mi stupisce è che nessuno si pone la questione di cosa succederebbe se quest’utopia diventasse realtà.

Senza Rivoluzione Narrativa gli umani sarebbero rimasti meno di un milione nel mondo. Senza quella agricola saremmo rimasti intorno a 5-6 milioni. Senza Rivoluzione Industriale saremmo rimasti meno di un miliardo sul tutto il Pianeta. E senza Rivoluzione Verde saremo ancora 3 miliardi o forse un po’ meno. Se davvero la “Rivoluzione Bio” avesse il successo sperato, non osserveremo forse lo stesso identico fenomeno avvenuto nei casi precedenti ? Aumento della disponibilità di cibo, quindi aumento della popolazione e nuova crisi ad un livello più alto di stress sul sistema planetario ? 

Tutte le popolazioni animali aumentano fin quando il numero dei morti non eguaglia quello dei nati. Finora, aumentare la disponibilità di cibo è servito ad aumentare il numero di bocche, rilanciando questo gioco terribile per un altro giro. Alzando però la posta, rappresentata dalla percentuale di Biosfera e di umanità che dovranno morire per ristabilire l’equilibrio. I fattori limitanti sono quella cosa odiosa che, uccidendo gli individui, garantiscono la sopravvivenza delle popolazioni e degli ecosistemi. 

Ci sarebbe, in teoria, una scappatoia, (…) cioè esattamente quello che era stato prospettato, a suo tempo, dai programmatori della Rivoluzione Verde: aumentare la produzione di cibo era una soluzione A CONDIZIONE che, contemporaneamente, si riuscisse a stabilizzare la popolazione sui livelli di allora o poco più. Altrimenti, fu detto, l’intera operazione si sarebbe risolta in un disastro di proporzioni inimmaginabili. 

All'epoca si pensava di poterci arrivare tramite uno stretto controllo delle nascite, ma è andata diversamente. Ora stiamo cercando di rilanciare alzando la posta. Abbiamo una vasta gamma di tecniche che forse possono nutrire 8 o 9 miliardi di persone anche a fronte di una ridotta disponibilità di energia fossile. OK, ma se funzionasse, come eviteremo di diventare 10 o 12 miliardi? 

Se non si risponde a questa domanda in maniera credibile e continuiamo a pensare in termini di massima produzione siamo magari dei bravi agricoltori, ma non stiamo facendo nessuna contro-rivoluzione. >> 

JACOPO SIMONETTA