Il
post di oggi è dedicato a due termini politico-istituzionali che
hanno alle spalle una lunga evoluzione storica, ma risultano oggi di
particolare attualità, ovvero “Nazione” ed “Impero”, da
intendersi nel loro senso più ampio.
Le
considerazioni, molto interessanti e soprattutto non banali, sono di
Marco Gervasoni e sono state pubblicate inizialmente su
"Atlanticoquotidiano.it (quotidiano on line di approfondimenti
economico-politici) e poi riportate da “Il Giornale”. Buona
lettura.
LUMEN
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[Oggi] lo ripetono tutti (…): la nazione chiude, la nazione
impoverisce gli spiriti, la nazione fa provinciale (e anche un po'
deplorabile). Quando poi diventa nazionalismo, orrore!, equivale a
fascismo, razzismo, xenofobia. E poi il nazionalismo porta
inevitabilmente con sé le guerre, non ne ha provocate due nel
Novecento ? Meno male che l'Europa c'è ! (…)
I
“tòpoi”
che reggono questa (povera) ideologia dell'anti nazione sono
fondamentalmente tre:
1)
le nazioni sono superate;
2)
le nazioni portano alla guerra;
3)
le nazioni producono il nazionalismo.
Si
tratta nei primi due casi di affermazioni storicamente infondate, nel
terzo di una vera e propria tautologia. Che le nazioni fossero
superate lo sostennero, negli anni immediatamente successivi al
crollo del muro di Berlino, una serie di autori statunitensi, come
Francis Fukuyama e Thomas L. Friedman, o giapponesi, come Kenichi
Ohmae (guarda caso tutti appartenenti a Stati nazione ben solidi).
Era un'autentica ideologia, che ha spopolato negli anni Novanta, ma
già imbarcava acqua con l'11 settembre, e che è finita affondata
con la crisi del 2008.
Già
all'epoca qualcuno, come il grande Samuel Huntington, mise in guardia
e spiegò che il ruolo delle nazioni, tutt'altro che diminuito, era
addirittura cresciuto dopo il 1989, e che si sarebbe ulteriormente
intensificato. Cosa che larga parte delle scienze sociali e politiche
ha poi confermato nei decenni successivi. Oggi nessuno studioso
informato e serio prenderebbe più sul serio le tesi del «superamento
delle nazioni».
Quanto
al sentimento nazionale che porterebbe alla guerra, anche questa è
un'interpretazione dei due conflitti mondiali datata e discutibile:
quelli che si scontrarono nel 1914 non erano Stati nazione, ma Imperi
(anche quando non si chiamavano così, come la Francia) e la guerra
fu prodotta dai conflitti ingenerati dall'espansione imperiale, come
già allora videro non solo Lenin ma anche il liberale Hobson.
Per
ciò che riguarda la Seconda guerra mondiale, solo chi non conosce il
nazismo può definirlo un nazionalismo: Hitler non era un
nazionalista ma un imperial-razzista, e le razze non si disponevano
nella sua visione all'interno della nazione, ma di spazi post
nazionali, cioè imperiali. Basta leggere qualsiasi discorso di
Hitler, basta sapere, come tutti dovrebbero, che in caso di vittoria
la Germania avrebbe creato uno spazio europeo con una moneta unica,
basta immergersi negli straordinari testi sullo spazio imperiale
composti da Carl Schmitt durante la guerra (…).
La
terza affermazione è infine una tautologia: non ci può esser
nazione senza nazionalismo, cioè senza un legame solido,
razionalmente emozionale ed emozionalmente razionale, con la propria
nazione. Per cui, se correttamente inteso, il nazionalismo è un
sentimento da rivalutare; di più, è una virtù. Come ci spiega
Yoram Hazony, filosofo politico e biblista israeliano (…), nel
libro ‘The Virtue of Nationalism’. Il nazionalismo non è un
sentimento negativo e va inteso come una virtù nel senso greco del
termine: come una condotta naturale (la natura dell'uomo essendo
quella di animale politico) e adesione alla forma più giusta, in
senso aristotelico, di comunità politica.
Il
libro di Hazony è importante e ricco di spunti, richiederebbe quindi
un lungo spazio per analizzarlo bene. Ci sono tuttavia tre punti
essenziali. Il primo. Dobbiamo essere riconoscenti in eterno a
Israele e riscoprire la Bibbia, cioè l'Antico Testamento [ehm
- NdL],
come all'origine della nostra tradizione politica. In Italia tendiamo
a dimenticarlo, diversamente dal mondo anglosassone, ma l'Occidente
è, come scrisse il grande Leo Strauss, sia Atene che Gerusalemme.
L'una non deve esistere senza l'altra. Cosa ci ha tramandato
Gerusalemme, cioè l'Antico Testamento ? Che l'antico popolo
d'Israele è la prima nazione della storia e che questa Alleanza è
più buona e giusta di quella dell'altra forma di organizzazione
politica, l'Impero.
Ecco
il secondo punto importante del libro di Hazony. Non esistono
infiniti modelli di comunità politica, anzi nella storia ve ne sono
solo due: la nazione, e il suo opposto, l'Impero. Quando perciò
molti esaltano modelli post-nazionali, globali, federalisti e
quant'altro, anche se non lo sanno (o fanno finta di non saperlo)
quello per cui essi si battono è un Impero. La stessa Unione
europea, come scrive Hazony, è strutturata come un Impero, fallace e
fallimentare perché privo di un centro e guidato da un'autorità non
politica ma tecnocratica, però pur sempre entità di carattere
imperiale. (…).
Qualcuno
potrebbe chiedersi cosa vi sia di male nell'Impero. Per Hazony esso
mostra almeno tre ordini di problemi: conduce a guerre disastrose,
produce una sorta di anarchismo diffuso perché si estende su spazi
talmente vasti da non potere, neanche oggi, essere controllabili e
infine lede la libertà dei popoli e degli individui e minaccia la
democrazia intesa come controllo. Siccome la storia, dagli Assiri
fino al 1919, è stata essenzialmente storia di Imperi, tanto in
Occidente quanto in Oriente, le affermazioni di Hazony sono tutte
verificabili.
Al
contrario le guerre condotte dalle nazioni, realtà più ristrette,
più omogenee, in cui vige il principio di sussidiarietà tra i vari
livelli del potere, sono sempre state più limitate. Altro che il
nazionalismo autostrada verso la guerra, è al contrario
l'imperialismo che la produce. Basta del resto vedere, nella storia
della Ue, dopo che dal 1992 i governi nazionali hanno accelerato il
processo di integrazione verso uno spazio post nazionale (imperiale),
quanto le tensioni siano accresciute.
Il
terzo punto importante del volume di Hazony sta nello scenario di
insieme: quello che oggi è in corso è un conflitto su scala
mondiale tra Nazioni e Imperi, tra nazionalismo e imperialismo (sotto
forma di globalismo). Non è un caso che la nazione più imperialista
e globalista del mondo, la Cina, sia al tempo stesso la più
favorevole al commercio internazionale senza freni. E anche se le
tesi sul superamento delle nazioni non hanno più molto credito,
continua a essere egemonica in una larga parte delle élite
internazionali l'ideologia imperialista-globalista, che porta a
demonizzare, a condannare a priori, a delegittimare tutte quelle
realtà che vogliono restare nazionali e non intendono assoggettarsi
a spazi imperiali. (…)
Hazony
ci dimostra che una delle ragioni per cui una parte delle élite
europee e nordamericane oggi odia Israele sta nella sua pervicacia a
voler restare nazione, nel difendere i propri confini, la propria
religione, la propria lingua e la propria cultura. Israele è lo
scandalo: invece di adeguarsi ai valori dell'imperialismo-globalismo,
cioè niente cultura nazionale, niente lingua, frontiere aperte,
multilateralismo, sottomissione alle agenzie internazionali tipo Onu,
Gerusalemme continua a tenere alta la fiamma della difesa del proprio
popolo, dell'Alleanza, come nell'Antico Testamento.
Hazony
fornisce al concetto di nazionalismo un significato un po' diverso da
quello che siamo abituati oggi a sentire in Europa e soprattutto in
Italia: la nazione per lui è comunità politica, fondata sulla
omogeneità di una etnia, di una cultura e di una lingua principali,
che però devono essere aperte, non esclusiviste e ovviamente
rispettose delle minoranze integrate nello spazio politico nazionale.
Quanto
ai confini, il nazionalismo teorizzato da Hazony è difensivo e non
espansivo. È una idea di nazione che rimanda (…) al significato
francese di République. Ma è anche tanto simile all'idea di nazione
del nostro Risorgimento, che non era destinata, come sciaguratamente
hanno scritto alcuni storici negli ultimi vent'anni, a generare il
fascismo. Al contrario, l'idea liberale di nazione di Cavour e quella
repubblicana di Mazzini hanno ancora molto da trasmetterci. E se non
amiamo definirci nazionalisti, perché diffidiamo sempre un po' degli
ismi, possiamo però sottoscrivere la tesi di Hazony: il nazionalismo
è, indubbiamente, una virtù. >>
MARCO
GERVASONI