sabato 26 settembre 2020

Il prezzo dell'intelligenza

Il post di oggi cerca di porre un ardito collegamento tra ambientalismo ed antropologia, ovvero tra l'evidente incapacità di fermare la nostra corsa verso il baratro della crisi ecologica ed il sentimento più profondo che caratterizza la nostra specie, cioè la paura della morte.
Il testo, breve ma illuminante, è stato scritto da Marco Pierfranceschi ed è tratto dal suo blog “Mammifero Bipede”.
LUMEN



<< Nel suo documentario intitolato “Planet of the Humans”, (…) Jeff Gibbs punta il dito sull’azione delle organizzazioni ambientaliste americane, sulle loro commistioni con la politica, sui loro finanziatori ed in ultima istanza le addita come uno strumento creato e gestito dal comparto industriale per orientare le opinioni di quella fetta di popolazione più critica nei confronti del modello capitalista/consumista. (...).

Gibbs, dopo aver descritto, all’inizio della pellicola, il proprio passato di attivista delle lotte ambientali, circa a metà del film, e solo dopo aver ampiamente illustrato l’impossibilità di alimentare l’attuale livello di consumi unicamente con l’ausilio di tecnologie verdi, l’autore si interroga sul perché del proprio autoinganno.

« E questo è la più terrificante rivelazione che abbia mai avuto. Noi umani siamo in procinto di precipitare da un’altezza inimmaginabile. Non per una cosa. Non solo per i cambiamenti climatici. Ma per tutti i cambiamenti causati dall’uomo di cui il pianeta soffre.

Quindi, perché banchieri, industriali e leader ambientali si sono concentrati solo sul difficile percorso legato alle tecnologie ‘verdi’? È per via del profitto? E per quale motivo, per la maggior parte della mia vita, mi sono cullato nell’illusione che l’energia ‘verde’ ci avrebbe salvato? (...)

È come se la destra avesse una religione: credono nella disponibilità di quantità infinite di combustibili fossili. Mentre la nostra parte dice: Oh, andrà tutto bene, avremo i pannelli solari, avremo le pale eoliche.

Appena ho sentito le argomentazioni [degli psicologi] sulla ‘negazione della morte’ ho pensato: Può essere? Può essere che non siamo in grado di affrontare la nostra stessa mortalità? Potremmo, per questo motivo, aderire ad un credo di cui non siamo consapevoli? »

Ed ecco il trait-d’union tra ambiti diversi (...). Le considerazioni espresse in “Planet of the Humans”, finalmente, chiudono il cerchio del ragionamento e svelano la rovinosa china sulla quale è avviata la nostra civiltà.

Nel progredire dell’evoluzione della specie Homo, una delle caratteristiche distintive è stata lo sviluppo dell’intelligenza. Come per molte altre trasformazioni (la postura bipede, l’aumento volumetrico della scatola cranica) quello che si è guadagnato in termini di funzionalità è stato compensato dall’emergere di nuovi problemi. Nel caso dell’intelligenza il portato negativo è rappresentato dall’emergere della consapevolezza dell’inevitabilità della morte.

La paura della morte è un tratto comune a tutti gli esseri viventi capaci di autodeterminare i propri comportamenti. Si tratta di una reazione istintiva che spinge da un lato a sfuggire i predatori, dall’altro a continuare a nutrirsi, indicata spesso come ‘istinto di sopravvivenza’. La paura di una morte immediata produce una reazione di panico e stress, che aiuta gli animali a salvarsi e sopravvivere fino a riprodursi.

Tuttavia, con lo sviluppo dell’intelligenza, i nostri antenati si sono dovuti confrontare con la cognizione dell’inevitabilità della propria morte, dell’invecchiamento, con la paura delle malattie. Questa consapevolezza ha prodotto un perdurante senso di angoscia, tale da ridurre significativamente il vantaggio derivante dal possedere un maggior volume cerebrale.

Gli antichi umani hanno perciò sviluppato un adattamento mentale che li ha resi in grado di bypassare questa consapevolezza, attivando la capacità di aderire convintamente a credenze irrazionali. Questo ha segnato la nascita delle religioni, come forma di sollievo dall’angoscia della morte e collante sociale delle prime comunità umane, favorendo la sopravvivenza dei nostri progenitori.

Per contro, come portato negativo, la capacità di ignorare la logica ed il buonsenso ha creato le condizioni per lo sviluppo di un florilegio di ideologie, che hanno accompagnato lo sviluppo delle civiltà. È questo meccanismo inconscio che ci consente, contro tutte le evidenze, di credere agli UFO, o ai Rettiliani, o alla teoria della Terra Piatta.

Come nel principio filosofico di Yin e Yang (“ogni cosa contiene, nella sua massima espressione, il germe del proprio contrario”), il progredire di intelligenza e razionalità hanno prodotto, in parallelo, lo sviluppo della capacità di ignorare le conclusioni che intelligenza e razionalità ci forniscono. Quando il sapere diventa troppo doloroso, o fastidioso, attiviamo la capacità di rimuovere le informazioni indesiderate.

Come i nostri antenati, siamo in grado di ignorare la consapevolezza della morte individuale, e l’angoscia che essa comporta, e di elaborare una fede irrazionale nella salvezza.

Allo stesso modo siamo in grado di ignorare la consapevolezza dell’inevitabile declino della civiltà industriale, che abbiamo finito con l’identificare con la nostra stessa esistenza, elaborando ed aderendo in massa a credenze totalmente irrazionali, come l'deologia del progresso, quella di un universo che muove dal caos all'ordine, o quella della crescita economica illimitata.

Il quadro ora è completo, e non lascia spazio a speranze. Per quanti fatti la scienza potrà inanellare, per quante previsioni attendibili potrà fornire, la capacità umana di ignorare la realtà avrà sempre il sopravvento. La nostra grandezza, la nostra incredibile intelligenza, contiene in sé il germe della propria stessa distruzione. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

sabato 19 settembre 2020

Punti di vista – 22

CONTATTO FISICO
In un accorato appello diffuso on-line da centinaia di psicologi e psichiatri italiani sugli effetti del 'lockdown' si avverte che «l’isolamento è da sempre associato a conseguenze sul piano psichico e somatico, (…) fino a disturbi di tipo funzionale e di corretto funzionamento del sistema immunitario.
Perché la natura umana è intrinsecamente 'relazionale' e il nostro cervello si sviluppa solo grazie a relazioni di una certa natura.
Le relazioni familiari quanto quelle sociali, per potersi strutturare ed evolvere, hanno bisogno di potersi appoggiare continuativamente ad una presenza fisica e di poter essere vissute con fiducia, e non con sospetto o paura.
Instillare nelle persone, e ancora di più nei bambini, il timore di un “nemico invisibile” di cui il prossimo può essere portatore, equivale ad impoverire od annichilire ogni possibilità di crescita, scambio, arricchimento; equivale in sostanza a cancellare ogni possibilità di vita intensa e felice».
I dispositivi elettronici come alternativa obbligata alla relazionalità in presenza non aiutano, anzi.
IL PEDANTE

 
RIVOLTE E RIVOLUZIONI
La rivoluzione non va confusa con la rivolta.
Come la ribellione, la rivolta è un’azione violenta contro il potere, giustificata soprattutto quando – come nel caso delle dittature o delle democrazie “apparenti”, per esempio l’Iran – non esiste un mezzo legale per lottare contro il potere.
La rivolta non ha tanto lo scopo positivo di ottenere qualcosa, quanto quello negativo, di liberarsi di qualcosa, in particolare di un potere odiato.
Viceversa, secondo il suo senso ancora oggi vigente in astronomia, la rivoluzione è un tentativo di ritorno al governo ideale, al punto di partenza, come nel caso della Terra che, dopo un anno, si trova, rispetto al Sole, esattamente dove si trovava dodici mesi prima.
La rivoluzione ha lo scopo di ritrovare la situazione e i valori che si avevano in un tempo rimpianto e spesso mitico.
GIANNI PARDO
 
 
IDEOLOGIE
Le ideologie, anche complesse (destra, sinistra, ambientalismo, progresso, ‘crescitismo’, capitalismo), emergono come strutturazione razionale di pulsioni più basiche, sepolte in profondità nella nostra psiche.
Le ideologie di destra emergono come formalizzazione di una pulsione istintiva alla competizione, retaggio di tutti gli esseri viventi.
Quelle di sinistra rappresentano una concettualizzazione dalla spinta alla cooperazione, che discende dal nostro essere una specie sociale.
Le ideologie del Progresso e della Crescita Economica Illimitata nascono come proiezione di una aspirazione al benessere, comune ad ogni essere vivente.
MARCO PIERFRANCESCHI


PIANIFICAZIONE
L’uomo è animale adattabile. I nostri avi cavernicoli, vivendo una vita quanto mai pericolosa e travagliata, scontavano terribilmente il futuro.
In poche parole, la loro pianificazione difficilmente andava molto oltre l’inverno prossimo venturo.
Non avendo molte certezze di sopravviverci, all’inverno, pianificare per il dopo aveva poco senso.
Sappiate che questo fenomeno, la sistematica sottostima delle conseguenze future delle nostre azioni immediate, un bias percettivo alla base di molte assurdità del nostro tempo, è stata ampiamente dimostrata.
CRISIS
 
 
IPER LAVORO
Conosco persone che passano anche nove-dieci ore al giorno al lavoro. (...)
Io penso che l’iper lavoro sia una delle cause del consumismo della nostra era.
Chi si ammazza di lavoro per guadagnare dei soldi poi pretende almeno di goderseli, con una frenesia quasi disperata, in squallida abbondanza, e allora vuole vacanze lontane e costose, un televisore più grande e più piatto, una macchina da ostentare, libri che non avrà tempo di leggere, tecnologie che gli faranno risparmiare il poco tempo che ha a casa, eccetera.
Chi vive davvero bene non ha tutto questo bisogno di andare in vacanza; chi ha tempo per godersi la vita trova di meglio da fare che consumare ossessivamente; chi coltiva relazioni umane non le sostituisce con oggetti.
Il consumismo è spesso la ricompensa illusoria per una vita spiacevole.
GAIA BARACETTI


sabato 12 settembre 2020

Autoritratto degli Italiani

Sono trascorsi oltre 150 anni da quando Massimo D'Azeglio (nel 1861) pronunciò la famosa frase: “L'Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani”.Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti e gli italiani, nel frattempo, sono stati fatti. Ma come sono venuti ?  Ce lo racconta Gianni Pardo in questo gustoso (auto) ritratto, che mi sembra piuttosto azzeccato. 

LUMEN


<< Gli italiani, presi individualmente, poco ci manca perché siano prodotti di lusso. Certo non più dal punto di vista culturale, dati i mirabili risultati conseguiti dalla scuola “sessantottina”, ma dal punto di vista dell’intelligenza applicata, del “pensiero laterale”, della mancanza di pregiudizi, sono spesso eccezionali.

Il popolo italiano somiglia ad un cesto nel quale si ammonticchino anelli d’oro, capolavori letterari, smeraldi, orologi da polso, miniature, banconote e cristalli veneziani, per alla fine accorgersi che è pieno di patate. Le nostre qualità sono così evidenti che non val la pena di illustrarle. Soprattutto pensando che spesso si manifestano superando condizioni avverse. Il mistero da chiarire è quello del contrasto fra i nostri meriti individuali e i nostri immensi difetti in quanto collettività.

Premetto che i paragoni non possono essere fatti con Stati piccoli e privi di un grande passato. Nell’epoca attuale (e per questo non menziono l’Austria) l’Italia, per la sua storia e per le sue dimensioni, in Europa si può mettere a confronto soltanto con Spagna, Francia, Germania e Inghilterra. Tre su quattro di questi Stati, diversamente da noi, sono stati a lungo monarchie unitarie.

Due cattolici e due protestanti, anche se la Germania non interamente e l’Inghilterra a modo suo. Infine tutti e quattro, dai tempi dell’Impero Romano, hanno avuto una storia in salita, nel senso che hanno avuto sempre più importanza, mentre l’Italia ha avuto una storia in discesa, fino all’insignificanza.

Il fatto di essere stata a lungo un Paese suddiviso in piccoli Stati, nessuno in grado di pesare seriamente in Europa, ha seminato nell’anima di noi italiani il Dna della dipendenza e della sconfitta. È triste doverlo dire, ma gli inglesi o i francesi trattengono a stento un sorriso, se gli si parla dell’esercito italiano. Se noi italiani siamo lungi dal sentirci dei guerrieri è perché la nostra storia è piena di sconfitte. E perché non abbiamo nessuna fiducia nei nostri capi.

I francesi battevano immense coalizioni perché avevano una totale fiducia in Napoleone; i nostri soldati invece si sono sempre sentiti poco considerati, male armati e spendibili anche senza scopo. Così sono morti come gli altri, con in più il rischio di essere irrisi. Si pensi alla campagna dell’Africa Settentrionale, durante la Seconda Guerra Mondiale. Il risultato è che dal punto di vista del peso internazionale sentiamo di non contare nulla. Le esperienze, dal Risorgimento in poi, hanno soltanto confermato il peggio che pensiamo di noi.

Ma gli italiani, più ancora di sé stessi, disprezzano i loro governanti. Costoro non hanno mai avuto la statura dei grandi sovrani e sono stati troppo spesso pronti ad azzuffarsi fra loro. Magari chiamando poi in soccorso le potenze straniere, come se non fosse ovvio che alla fine ci avrebbe perso l’Italia.

Per l’italiano medio lo Stato è un’entità, se non nociva, senza importanza. Chi lo governa pensa innanzi tutto agli interessi della propria fazione, quando non al suo proprio. Ecco perché il cittadino non sente nessun obbligo di lealtà, nei suoi confronti. Persino l’evasione fiscale è considerata una forma di legittima difesa. Da noi l’individuo è in lotta contro l’intera collettività, in quella guerra di tutti contro tutti di cui parlava Hobbes.

Riguardo a questa caratteristica italiana per contrasto val la pena di ricordare una teoria di Montesquieu. Nell’Esprit des Lois egli scrive che, mentre la molla fondamentale della dittatura è la paura, la molla fondamentale della monarchia è il senso dell’onore. I cittadini obbediscono al re perché il loro onore richiede che essi gli siano devoti e il re è anch’egli obbligato dal suo onore a non abusare del suo potere ed anzi ad agire per il bene del popolo. In Francia nessuno ha riso, leggendo questa tesi, come si sarebbe riso in Italia.

Non per caso i francesi che non amavano François Mitterrand, per condannarlo senza appello, lo chiamavano “le Florentin”, il fiorentino. In Italia lo Stato non è né stimato né amato. È soltanto un concorrente avido e sleale da cui guardarsi. In Sicilia, dove il governo è stato assente come protettore, e presente come esattore, si è vista con favore la Mafia perché, almeno, era “Cosa Nostra”, non “Cosa Loro”.

Al livello morale della nazione non è stata utile nemmeno la religione. Mentre nel Nord il Protestantesimo ridava vita all’etica del cittadino in quanto membro di una comunità (fino agli eccessi calvinisti della Svizzera) in Italia la Chiesa è rimasta ricca, ipocrita, perfino simoniaca. Il Papa somigliava troppo agli altri sovrani, e a volte in peggio. Così si è accentuata la divaricazione rispetto agli altri popoli.

Il cittadino è rimasto credente, soltanto perché voleva salvarsi l’anima; ma non raramente ha accoppiato alla religione un acido anticlericalismo. Magari il parroco era una persona per bene, ma il cardinale? Uno che non si vergognava di autodefinirsi “principe della Chiesa”, confessando la sua natura di ambizioso, che esempio costituiva?

Come cittadini gli italiani si sono sempre sentiti orfani. Ottenuta la democrazia, hanno avuto dei governanti che provenivano dal popolo, per subito scoprire che ne avevano i vizi, non le qualità. A cominciare dal disinteresse per il bene comune. Così la situazione non rischia certo di cambiare in meglio. I politici, sapendo di essere a priori considerati immorali e non potendo contare su nessun ideale, cercano di conquistare il consenso promettendo vantaggi materiali e appena possono distribuiscono posti di lavoro fasulli (ma pagati con soldi veri), inventano sussidi e regalie, a costo di fare debiti e coltivano l’idea che si possa vivere a spese dello Stato.

Persino la Costituzione ha fatto credere che si possa avere “diritto alla casa”, come se lo Stato potesse regalarne una ad ogni cittadino. Ma già, in materia di diritti non ci siamo fatto mancare nemmeno il “diritto al lavoro”. Il fatto che poi lo Stato deluda questi sogni non lo rende certo più amato.

Le case degli italiani sono linde e non raramente eleganti (lontana eredità del nostro Rinascimento) le strade italiane sono sporche e piene di buche. Gli italiani considerano la spesa per la difesa inutile perché, pensano, se c’è una guerra, o ci difende un possente alleato o noi la perdiamo. La scuola va male, ma tanto a che serve? L’essenziale, per avere un reddito assicurato, non è meritarlo, è avere le amicizie giuste. Soltanto i più forti si avventurano nella libera impresa ma sanno di avere tutti contro. Lo Stato li considera come nemici o, ad andar bene, come vacche da mungere.

La vita pubblica è di livello talmente basso che i politici cercano di avere successo coltivando i peggiori pregiudizi degli italiani. Per esempio, sposano l’assioma che chiunque sia ricco è tale perché ha saputo rubare, imbrogliare, intrallazzare meglio degli altri. Tanto che la cosa moralmente più giusta sarebbe impiccarlo a un lampione e dividersi i suoi beni. Né la Chiesa ha mai contraddetto queste idee, se nel Vangelo si sostiene che il ricco è uno che preferisce la propria corruzione alla salvezza dell’anima. È più facile che una gomena passi per la cruna di un ago che un ricco entri in Paradiso.

Noi abbiamo uno Stato che disprezza il merito e coltiva l’invidia. L’imprenditore dovrebbe lavorare sedici ore al giorno ma soltanto per creare posti di lavoro e guadagnare quanto i suoi operai. Se invece diviene ricco, è segno che ha rubato ed ha evaso le tasse. Cosa, quest’ultima, in buona parte vera perché lo Stato pone spesso l’imprenditore dinanzi all’alternativa di imbrogliare o fallire.

Gli italiani nel prossimo futuro potrebbero pagare a caro prezzo i difetti della loro collettività. Perché a titolo individuale sono eccellenti soggetti ma come popolo sono il peggio del peggio. >>

GIANNI PARDO

giovedì 3 settembre 2020

Un mondo senza Dio ?

Il post di oggi ha per oggetto un argomento di particolare interesse, ovvero il progressivo declino delle religioni, intese in senso lato e globale, e la loro ipotetica scomparsa (o irrilevanza) in un prossimo futuro.
Per chi considera la religione un prodotto dell'evoluzione darwiniana (quorum ego) l'ipotesi appare abbastanza remota, ma per chi la considera un semplice costrutto culturale, il suo progressivo declino appare del tutto verosimile.
Ce ne parla (citando dati e statistiche) Emanuel Pietrobon in questo articolo tratto da 'Il Giornale'. 
LUMEN


<< Spesso si dipinge, a ragione, l’Occidente come la culla della secolarizzazione e dell’ateizzazione, il faro della cristianità divenuto bastione del relativismo culturale e del nichilismo, luogo in cui scienza e fede non possono coesistere e dove la seconda occupa una posizione sempre meno rilevante negli affari pubblici e nell’intimità delle persone.

La tendenza, in effetti, sembra inevitabile e irreversibile e ha colpito indistintamente ogni Paese occidentale, comportando l’entrata in una “fase post-cristiana” di numerose nazioni, fra le quali Paeesi Bassi e Germania, e la caduta di baluardi storici del cattolicesimo, come l'Irlanda. Soltanto in alcuni teatri, come ad esempio nello spazio post-comunista, si è assistito ad un ritrno del sacro nella poitica e nella società che, comunque, non è privo di tensioni, e quanto sta accadendo in Polonia è il migliore specchio di questa realtà.

Contrariamente al quadro comune che viene dipinto non è soltanto l’Occidente che sta diventando “senza Dio”: è il mondo intero. Questo è, almeno, il risultato di una lunga inchiesta recentemente pubblicata da Foreign Affairs, dettagliata, ricca di fonti e supportata dai numeri.

Il mondo sta diventando ateo

Il titolo dell’indagine, pubblicata l'11 agosto di quest'anno, è eloquente e rispecchia fedelmente il contenuto e i risultati finali emersi dalla raccolta dei dati: “Giving Up on God. The Global Decline of Religion” (ndr. Abbandonando Dio: il declino globale della religione). Gli autori del lavoro hanno deciso di tornare su 43 casi-studio, comprendenti il 60% della popolazione mondiale, di cui era stata analizzata la situazione religiosa nel periodo 1981-2007, monitorandone l’evoluzione dal 2007 al 2019.

Nel primo periodo selezionato in 33 Paesi su 49 era stato registrato un aumento della religiosità da parte degli abitanti, soprattutto nello spazio post-comunista e nel mondo in via sviluppo e, in misura minore, in alcuni Paesi avanzati. I risultati sembravano convergere verso una spiegazione controcorrente: “l’industrializzazione e la diffusione della conoscenza scientifica non provocano la scomparsa della religione”.

Ma dal 2007 ad oggi 43 Paesi su 49 sono stati travolti da una tendenza inversa a quella precedente, ovvero la perdita di religiosità; e ad un ritmo più veloce. La secolarizzazione sta colpendo in egual misura Paesi sviluppati, in via di sviluppo e sottosviluppati, e sebbene i motivi siano diversi, a volte indipendenti e a volte correlati tra loro, uno sembra essere particolarmente incisivo e ricorrente: l’emancipazione sessuale. In breve, “le società moderne sono diventate meno religiose perché, in parte, non supportano più la difesa di quelle categorie di genere e di norme sessuali che le maggiori religioni mondiali hanno instillato per secoli”.

La scoperta di nuove norme comportamentali nei confronti del sesso e del genere sarebbe, quindi, il primo passo verso l’allontanamento dalla fede di appartenenza. Ma altri fattori entrano in gioco: lo sviluppo comporta benessere e sicurezza, perciò i fedeli che non appartengono ad una confessione per reale credo, ma per approfittare dei possibili benefici derivanti dal far parte di una comunità, se ne distanziano, trovando in altre istituzioni sociali ciò che cercano, liberi dagli obblighi e dalle costrizioni morali delle religioni.

Non sarebbe quindi la diffusione del progresso scientifico, e della mentalità ad esso correlata, la causa prima della perdita della fede, quanto la diffusione del benessere. Essere parte di una comunità significa godere di uno scudo protettivo, e questo era vero soprattutto nei secoli scorsi, quando i pericoli di carestie e guerre civili erano frequenti anche in quei Paesi che oggi compongono il cosiddetto Occidente. Infatti, la religione non ha mai svolto un ruolo puramente metafisico, ovvero fornire agli esseri umani gli strumenti per affrontare dei quesiti esistenziali per i quali la scienza non possiede risposte, ma ha anche protetto fisicamente, ha fornito aiuto materiale e morale, ha fatto politica.

Nell’ordine degli Stati contemporaneo, però, in cui vige una rigida separazione tra dimensione religiosa e sfera pubblica, e dove è quest’ultima a fornire (quasi) tutto ciò di cui una persona ha bisogno, la fede finisce per rivestire un’importanza centrale soltanto per coloro che appartengono ad una confessione per reale convinzione.

Il caso degli Stati Uniti

Dall’analisi dei casi-studio è emerso un fatto curioso: le società sperimentano un tipo di polarizzazione che si conclude a detrimento delle confessioni ogni qualvolta il potere politico si serva della religione per mobilitare i fedeli nell’aspettativa di ottenerne i voti. Questo evento, secondo gli autori della ricerca, sarebbe una delle cause principali della drammatica scristianizzazione degli Stati Uniti.

Nel caso specifico il riferimento è alle guerre culturali (omosessualità, aborto, ideologia di genere, pena di morte, e molto altro) che dagli anni ’90 dividono la destra religiosa e la sinistra liberal: la strumentalizzazione della religione a scopo politico avrebbe spinto i fedeli secolarizzati ad abbandonare le chiese di appartenenza, comportando al tempo stesso una radicalizzazione di coloro che hanno deciso di restare e di coloro che, invece, non ne fanno parte perché atei. Il risultato è sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale: la società americana non è mai stata così divisa come nell’era Trump in due opposti estremismi impegnati a combattere le guerre culturali di stampo etico con tanto livore.

Dio sta scomparendo dall’orizzonte degli americani, questa è la drammatica conclusione alla quale è giunto Foreign Affairs basandosi, anche, sul modo radicale in cui sono cambiate le risposte ad una domanda sulla centralità di Dio nella quotidianità del vivere dal 2007 al 2017. Nel primo caso gli intervistati avevano risposto che, su una scala da uno dieci, Dio era importante “8.2”; dieci anni dopo lo stesso campione ha risposto “4.6”.

Le eccezioni

Nella stragrande maggioranza dei casi-studio presi in esame da Foreign Affairs la religiosità ha registrato un grave crollo, ma si segnalano alcune curiose eccezioni. Per quanto riguarda lo spazio post-sovietico, la fine del comunismo ha effettivamente comportato un ritorno del sacro, ma non in maniera uniforme. La riscoperta della fede è avvenuta laddove essa è stata storicamente percepita come un elemento inseparabile dall’identità nazionale e vissuta genuinamente e profondamente, come ad esempio in Russia e in Bulgaria. In questi due Paesi la religiosità è aumentata costantemente dal 1981 al 2019.

L’aumento della religiosità è stato riscontrato anche in Brasile, in Messico e in Sud Africa; Paesi caratterizzati dal fatto di essere stati attraversati simultaneamente da tre eventi: l’attecchimento della secolarizzazione, la ritirata del cattolicesimo e l'avanzata preponderante del protestantesimo evangelico e neo-pentecostale. In breve, secolarizzazione e de-cattolicizzazione, insieme, hanno avuto un effetto sulle suscritte società meno considerevole di quello esercitato dalla “rivoluzione protestante”.

Ad ogni modo, l’eccezione più significativa è l’India. Qui è stato registrato l’aumento di religiosità più ragguardevole: su una scala da 0 a 1, l’incremento è stato pari a 1. L’ascesa di Narendra Modi e la trasformazione del nazionalismo indù in una forza motrice della cultura e della politica di Nuova Delhi sarebbero le manifestazioni più iconiche di questa risurrezione identitaria che sta caratterizzando in egual misura induisti e musulmani.

Un caso a parte: il mondo islamico

Per via della difficoltà di condurre sondaggi approfonditi nelle realtà islamiche, gli autori dell’inchiesta si sono limitati a raccogliere dati e informazioni su temi come l’accettazione del divorzio, dell’aborto e dell’omosessualità ovunque fossero disponibili. Presso il World Values Survey, il centro dati al quale è stato fatto riferimento per la ricerca, erano presenti dei numeri utili per ricostruire parzialmente le dinamiche religiose di 18 Paesi musulmani, e i risultati sono sorprendenti.

Mentre il mondo intero si è diretto verso la graduale accettazione di nuovi valori e sistemi, come la tolleranza e l’accettazione dell’omosessualità, dell’aborto e la de-strutturazione delle famiglie di tipo patriarcale – che a loro volta sono un riflesso della secolarizzazione – nel mondo musulmano questa tendenza non ha attecchito.
L’analisi dei dati dei 18 Paesi presi in esame parla chiaro: “[essi] rimangono fortemente religiosi e impegnati a preservare le norme tradizionali riguardanti il genere e la fertilità. Pur in presenza di sviluppo economico, i Paesi a maggioranza islamica tendono ad essere, in qualche modo, più religiosi e culturalmente conservatori della media [mondiale]”.

Se le tendenze catturate e misurate da Foreign Affairs dovessero cristallizzarsi, e la rinascita identitaria di Paesi come Russia e Turchia sembra confermare questa ipotesi, un domani la religione e la fede potrebbero continuare ad esistere soltanto in alcune e precise regioni del pianeta, come il mondo islamico e una parte dello spazio post-comunista, e anche all’interno di alcuni Paesi post-cristiani – ma in questi ultimi sarebbero vissute nel più stretto riserbo da minoranze esigue di credenti, irrilevanti dal punto di vista politico e dell’ordinamento morale delle società. >>

EMANUEL PIETROBON