Due interessanti riflessioni (tratte dal web) in favore del sistema elettorale “proporzionale”, considerato il sistema migliore per l’Italia, sia perché più legato alla nostra storia recente, sia perché più congeniale alla nostra mentalità.
LUMEN
<< La nostra Costituzione ha sempre difeso il paese dall’autoritarismo e continuerà a farlo, se rimane così com’è. L’esempio più chiaro che possiamo prendere è la legge elettorale, quel proporzionale puro tanto vituperato che garantiva la piena rappresentanza del popolo nelle istituzioni.
<< La nostra Costituzione ha sempre difeso il paese dall’autoritarismo e continuerà a farlo, se rimane così com’è. L’esempio più chiaro che possiamo prendere è la legge elettorale, quel proporzionale puro tanto vituperato che garantiva la piena rappresentanza del popolo nelle istituzioni.
Prendete il 1976. In Italia vige il proporzionale puro, un sistema semplice e collaudato. Ai partiti che raggiungono il quoziente per eleggere, in almeno una circoscrizione, vengono assegnati dei seggi. In base poi al numero delle preferenze ottenute (3 per ogni elettore) si eleggevano i deputati, che andavo a formare il parlamento. Senza alcun sbarramento nazionale, senza premi di maggioranza.
Per avere la maggioranza assoluta bisognava prendere il 51% dei voti. Non essendo prevista la formazione di coalizioni, doveva essere il singolo partito a prendere i voti per arrivare al 51%; molto difficile quindi governare da soli, ma questa difficoltà non è un caso.
I padri costituenti, reduci da una guerra sanguinaria contro il fascismo, per eliminare ogni pericolo di svolte autoritarie, scelsero un sistema che favoriva la rappresentanza del popolo nelle istituzioni. In questo modo i partiti dovevano mettersi d’accordo sui programmi e le proposte, confrontarsi, trattare, dialogare per poi governare. Questo sistema ha garantito uno sviluppo economico e sociale nel paese senza eguali per decenni.
Alla fine della Prima Repubblica, una delle critiche maggiori fu contro la legge elettorale, che, secondo i “nuovi” partiti che stavano nascendo, produceva solo l’inciucio perenne, il ricatto continuo dei piccoli partiti e continue cadute dei governi. Bisognava far fuori i partiti piccoli e garantire la governabilità.
Ma torniamo indietro al 1976. (…) L’affluenza è altissima, più del 93%. Da soli la DC e il PCI rappresentavano 26.824.169 cittadini, gli altri partiti che entrarono in parlamento raccolsero in tutto 9.796.395 voti. I cittadini rappresentati nel parlamento della Repubblica erano 36.620.564 suddivisi in 11 partiti. (…) Solo 1.154.526 di cittadini rimasero senza rappresentanza, appena il 3,05%.
Questa possiamo tranquillamente chiamarla democrazia parlamentare, dove governabilità e rappresentanza sono garantite, e garantita allo stesso modo è la stabilità politica e istituzionale del nostro paese, senza alcun pericolo di derive autoritarie, che eppure sono state tentate, ma senza alcun successo (finora). (…)
Il messaggio è questo: i padri costituenti, nello scrivere la costituzione, avevano la mente proiettata a 50, 100 anni. La legge elettorale proporzionale pura, il bicameralismo perfetto e l’allontanamento di ogni idea di presidenzialismo hanno avuto ed hanno tutt’ora il compito di frenare ogni deriva autoritaria, un vero e proprio meccanismo di auto difesa della democrazia. (…)
Se invece la politica nostrana continuerà sulla strada della mitica “governabilità”, vorrà dire che la paura di un premier autoritario, uomo solo al comando, è pura menzogna e quindi una volontà politica ben precisa. >>
NICCOLO’ MONTI
<< [Sono convinto] che il sistema tedesco (cioè proporzionale – NdL) sarebbe il più adatto a gestire la complicata situazione italiana, (…) anche per ragioni che definirei «antropologiche», oltre che «storiche».
«Storiche» perché mezzo secolo di proporzionalismo (che ha pur sempre accompagnato la trasformazione dell’Italia in un Paese democratico) non si cancella facilmente. «Antropologiche» perché in una materia come questa l’italianità non è una variabile indipendente. E gli italiani sono tutto meno che un popolo che abbia il gusto di ragionare in termini di alternative secche (destra/sinistra, giusto/sbagliato, bene/male, ecc.) e che di conseguenza sia incline a compiere scelte altrettanto nette.
Mi rendo conto che il discorso, posto in questi termini, è un tantino generico (starei per dire: meta-politico). Però, non posso proprio fare a meno di pensare che, per il modo di ragionare e di essere dei popoli anglosassoni, (…) un sistema politico imperniato sul maggioritario rifletta abbastanza (non totalmente) quel mondo, quella mentalità, e molto poco, o per niente, il nostro modo di sentire profondo ed anche la nostra mentalità spicciola.
Basti pensare, a puro titolo esemplificativo, alle differenze tra i sistemi giudiziari italiano e americano: negli States, dopo un processo, si riesce sempre a capire se, a giudizio di chi pronuncia la sentenza, uno è colpevole o innocente, in Italia no: sei innocente, ma sei un po’ colpevole, e viceversa. (…) Qualcosa di inconcepibile in America.
Perché, da noi, è così ? Per tanti motivi (…) In testa al lungo elenco metterei il fatto che siamo gente «sottile», perché affondiamo le radici in un passato che è troppo complesso, che ci ha insegnato a pensare che la nettezza delle posizioni e degli atteggiamenti non solo è “pericolosa”, è (quasi sempre) sbagliata, perché smentita da una realtà troppo spesso contraddittoria, di cui siamo stati testimoni, protagonisti e vittime.
Alla fin fine non siamo forse il popolo che ha avuto il più grande Partito comunista dell’Occidente, che però era comunista soltanto un po’? Un partito che era alleato dell’Unione Sovietica, ma non auspicava per l’Italia quel tipo di comunismo, bensì un altro, purché però mantenesse il logo e non contraddicesse (almeno formalmente) i “sacri testi”.
Non siamo forse un Paese in cui quasi tutti i partiti, l’Assindustria, ecc., sono “per il libero mercato” purché la cosa non riguardi la Fiat, e purché nessuno di quelli che contano abbia a rimetterci qualcosa ?
Non siamo forse un Paese in cui nessuno è in grado di capire come stiano effettivamente le cose in questo o quel settore dell’economia, dal momento che leggendo i giornali troviamo non soltanto interpretazioni diverse, come è giusto che sia, ma dati diversi e addirittura opposti, cifre diverse, per cui al cittadino non resta che fidarsi del proprio naso o ricorrere a scelte fideistiche ? (…)
Su niente, da noi, ci sono ragionevoli certezze, tutto è avvolto in una nebbia in cui si fa fatica a distinguere non solo i dettagli, magari anche rilevanti, ma la sostanza stessa delle cose. E in un Paese del genere - che Dio lo benedica, malgrado tutto -uno, ogni cinque anni, dovrebbe recarsi al seggio elettorale e fare una scelta di campo secca, irrevocabile, chiara ? Ma mi facciano il piacere, direbbe Totò.
Tornando al punto, se il problema principale del nostro sistema politico è la «stabilità» dei governi, credo che la storia della Germania dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi dimostri che quel modello, preso nel complesso (cancellierato, sistema elettorale proporzionale con soglia di sbarramento e "sfiducia costruttiva") ha funzionato egregiamente, salvaguardando identità e governabilità nel contempo.
Che bisogno abbiamo di costringerci ad essere (o a far finta di essere) ciò non siamo mai stati e che non saremo mai ? >>
S. ROBERTO PICCOLI