sabato 29 giugno 2013

Libertà vo cercando

Ma il “Libero Arbitrio” esiste ? Il noto filosofo darwinista Daniel Dennett, nel suo libro “L’evoluzione della Libertà”, ci dice di sì, anche se la libertà non è qualcosa di astratto, ma si è evoluta da puri assemblaggi di meccanismi. 
Quattro miliardi di anni fa non c'era libertà sul nostro pianeta perché non c'era vita. Poi, dai primi esseri pluricellulari agli organismi sempre più differenziati, si è prodotta una assenza progressiva di vincoli che, combinata con l’aumento delle possibili risposte, ha segnato l'emancipazione dalle catene della necessità, fino alla comparsa dell'Homo Sapiens. Ed è arrivato quello che noi, adesso, chiamiamo Libero Arbitrio.
Quella che segue è una breve recensione del libro di Dennett, scritta da Edoardo Boncinelli per il Corriere della Sera. Da leggere con il piacere e la gratitudine che si riserva ai grandi divulgatori della scienza.  
LUMEN


<< Siamo tutti convinti di essere responsabili di noi stessi e perfettamente liberi nel nostro agire; ogni affermazione che sembra voler mettere in dubbio questa nostra libertà ci risulta odiosa.
 
Siamo anche profondamente convinti di esserci fatti interamente da noi. Poiché tutti ci riteniamo molto intelligenti, oltre che originali e creativi, vogliamo vedercene attribuito anche il merito, senza pensare che secondo questa logica se qualcuno è uscito, per avventura, un po' fessacchiotto, non solo lo è, ma è anche colpa sua.
Scherzi a parte, queste nostre convinzioni poggiano su presupposti di tutto rispetto.

La dottrina cristiana ci concede da secoli il possesso del cosiddetto libero arbitrio, anche se il vero significato di questa affermazione è stato ed è argomento di quotidiano approfondimento.
Abbiamo inoltre alle spalle cento anni di ideologia psicologistica, che ci viene quotidianamente ribadita da giornali, riviste e televisione. Questa visione è nata dalla confluenza del punto di vista psicoanalitico e di quello comportamentistico e si nutre della retorica agiografica del self made man.

Secondo questa visione noi siamo quello che siamo, e ci comportiamo come ci comportiamo, per effetto di una serie di condizionamenti familiari e sociali, tra i quali hanno un' importanza primaria quelli della prima infanzia.  
Uno sviluppo ulteriore, non del tutto logico, di questa dottrina ci garantisce che gran parte della propria personalità possa essere cambiata in ogni momento e che con un certo impegno si possa ottenere da noi stessi, da soli o con l' aiuto di qualche esperto, tutto ciò che si vuole. Anche se non è chiaro "chi è" che vuole.
 
Ma come stanno realmente le cose ? L' argomento ha almeno due diversi risvolti:
1) fino a che punto siamo liberi di essere ciò che siamo ?
2) fino a che punto siamo liberi di agire, in questo preciso momento, in questa determinata circostanza ?
 
Non sono due domande completamente scorrelate, ma vengono frequentemente considerate di competenza di due discipline diverse: della biologia e in particolare della genetica la prima; della filosofia e della psicologia, magari sociale, la seconda.

Mi sono occupato più volte del primo aspetto del problema della libertà, mentre prevalentemente, ma non esclusivamente, del secondo si occupa Daniel Dennett nel suo ultimo libro che s' intitola L' evoluzione della libertà (…).
E' sempre un piacere stare a sentire Dennett, anche quando si dissente da alcune sue affermazioni; tale è l' intelligenza, la profondità, l'irriverenza e diciamo pure l'impudenza del personaggio.

Questa volta l'argomento in discussione è appunto il libero arbitrio e il suo rapporto con il determinismo.
Con una serie di serrate argomentazioni il nostro autore mostra come il libero arbitrio sia incompatibile tanto con il determinismo assoluto quanto con una visione indeterministica. Che senso avrebbe infatti riproporsi di compiere una determinata azione se le conseguenze dell'azione fossero imprevedibili e indeterminate ? (…)
 
Noi siamo abbastanza liberi perché l'evoluzione biologica ha creato organismi abbastanza complessi, alcuni dei quali hanno sviluppato anche un' organizzazione sociale. 
Per quanto ci concerne in particolare, è proprio l' esistenza di una cultura e di un'evoluzione culturale che ci garantisce una grande varietà di comportamenti possibili e quindi una grande libertà.
Dennett è un grande polemista e si esprime al meglio quando attacca convinzioni che sembrano inattaccabili. 

Ma non è soltanto un polemista, come dimostra la sua acuta e aggiornatissima trattazione del come, del dove e del quando inizia, all' interno del nostro corpo, il processo che conduce al compimento di un'azione e la discussione del significato degli esperimenti di Libet che indicano che alcune parti del nostro cervello si mettono sempre in moto qualche frazione di secondo prima che ce ne rendiamo conto.

La vera questione non è se siamo liberi o meno - un po' lo siamo certamente - ma piuttosto quanto siamo liberi e, in secondo luogo, se nel nostro agire siamo auto-diretti o etero-diretti.
La risposta al primo quesito è piuttosto semplice: siamo più liberi di un gorilla, che è più libero di un lupo, che è più libero di un serpente, che a sua volta è più libero di un radiolario.
 
Il numero dei comportamenti che noi esseri umani possiamo mettere in atto in risposta a una determinata sollecitazione esterna è incomparabilmente superiore a quello di tutte le altre specie animali ed è funzione della complessità del nostro sistema nervoso. 
Potenzialmente siamo quindi abbastanza liberi, grazie soprattutto alla dotazione genetica che l' evoluzione ci ha assegnato, ma quanta ne adoperiamo di questa libertà ? Sono io (o qualche parte di me) che decido i miei comportamenti oppure è un altro ?
 
Per essere un altro, questo altro deve avere una consapevolezza, un progetto e una capacità di volere.
I miei geni, il mio corpo o quello che chiamiamo di solito inconscio non sono un altro - non ha un progetto o una volontà autonoma - ma sono una parte, magari disarmonica, di me. Può essere che io veda un conflitto fra due parti di me e che io parteggi per una parte piuttosto che un' altra, ma se la decisione è mia non posso dire che c'è perdita di libertà.
 
C'è invece riduzione di libertà, che può essere anche gravissima, se un altro essere umano o un gruppo di esseri umani mi impongono materialmente alcuni comportamenti.
La questione è più sottile nel caso che nessuno mi imponga materialmente qualcosa, ma io riceva continue sollecitazioni o anche solo suggestioni verso questo o quel comportamento.
 
Anche questa non è secondo me una vera limitazione della libertà, a patto che la decisione finale spetti comunque a me.  
Ma in genere piace pensare che in casi del genere si è pesantemente condizionati, in modo che i meriti siano nostri e le colpe di qualche altro.
E ritorniamo così al primo punto. >>

EDOARDO BONCINELLI

sabato 22 giugno 2013

Jesus in fabula

LUMEN – Signor Cascioli, buongiorno.
CASCIOLI – Buongiorno a voi.
 

LUMEN - Luigi Cascioli è molto noto tra noi razionalisti per le sue ricerche sull’esistenza storica di Gesù.
CASCIOLI – Le conoscete ?
 

LUMEN – Certo. Ho letto con molto interesse il vostro libro sull’argomento e mi sono convinto anch’io che Gesù non è un vero personaggio storico.
CASCIOLI – Mi fa piacere. Si tratta di una figura ideale, costruita ex post per motivi religiosi, seguendo la traccia storica di un personaggio realmente esistito, ovvero Giovanni di Gamala, detto il Nazireo, famoso capo della rivolta ebraica contro i romani, vissuto nello stesso periodo.
 

LUMEN – E’ possibile fare un parallelo dettagliato tra i due personaggi ?
CASCIOLI – Certamente, ma con una premessa. Per Giovanni di Gamala, che è realmente esistito, basterà fare riferimento ai resoconti storici dell’epoca, mentre per il personaggio di Gesù Cristo, che – come noto - non compare in nessun testo storico, dovremo accontentarci dei testi sacri.
 

LUMEN – Allora procediamo: paternità.
CASCIOLI – Gesù risulta figlio primogenito di Giuseppe, che però ne sarebbe solo il padre putativo. Giovanni invece è figlio primogenito di Giuda il Galileo.

LUMEN - Luogo di nascita.
CASCIOLI – Sarebbe Betlemme per Gesù, anche se Marco e Giovanni non ne fanno menzione nelle loro biografie, cominciando il racconto della sua vita da quando aveva trent'anni. Giovanni invece è nato a Gamala, nella regione della Golanite, confinante con la Siria.
 

LUMEN – Luogo di residenza.
CASCIOLI – Per Gesù è Nazaret, perché è la città natale di suo padre Giuseppe. Prima però abbiamo la famosa fuga in Egitto, effettuata per sfuggire alla strage degli innocenti ordinata da Erode, che voleva uccidere Gesù, in quanto potenziale concorrente al trono di Gerusalemme. Per Giovanni invece la residenza è Gamala, città degli Asmonei. Quale discendente della stirpe di David, anche Giovanni viene ricercato da Erode perché lo considera un suo rivale al trono di Gerusalemme.

LUMEN – Professione.
CASCIOLI – Erano entrambi dei Rabbi, ovvero dei maestri in materia religiosa.

LUMEN – Eventuali appellativi.
CASCIOLI – Gesù ne ha due: ha quello di Galileo, perché Nazaret si trovava nella regione della Galilea, e quello di Nazareno che gli viene dalla città di Nazaret, considerata sua patria per adozione da Matteo e per discendenza atavica da Luca.
Anche Giovanni ha due appellativi: quello di Galileo come suo padre Giuda, anche se di origine Golanite, perché appartenente al movimento rivoluzionario che ha sede in Galilea, e quello di Nazireo perché appartenente alla casta politico-religiosa dei Nazir alla quale il movimento rivoluzionario aveva affidato la propria propaganda secondo i canoni della morale esseno-zelota.
 

LUMEN – E veniamo alla predicazione.
CASCIOLI – Gesù Inizia la sua missione di predicatore formando una squadra di dodici discepoli, dei quali alcuni sono suoi fratelli che si chiamano Simone Pietro, detto Cefa, figlio di Giona, Giacomo il Maggiore detto Boanerghe, Giuda detto Teudas (Taddeo), Giacomo il Minore detto Zelota, più altri otto.
Con questa squadra di discepoli, partendo dai confini della Siria (Matteo), dopo un periodo di prediche di durata imprecisata ( tre per Matteo e Marco, due per Luca e uno soltanto per Giovanni), percorre la Palestina predicando una morale del tutto identica a quella esseno-zelota, giunge a Gerusalemme perché è in questa città che, secondo i Testi Sacri, deve concludersi la sua missione di evangelizzatore. Prima di entravi, ne prevede la distruzione. (Matteo).
 

LUMEN – Passiamo ora a Giovanni.
CASCIOLI – Giovanni Inizia la sua missione di propagandista rivoluzionario costituendo una banda di guerriglieri, autonominatasi "Boanerghes" (figli della vendetta), della quale fanno parte i suoi sei fratelli, i cui nomi sono Simone Barjiona, detto Cefa, Giacomo il Maggiore, detto Boanerghe, Giuda, detto Teuda, Giacomo il Minore, detto Zelota, Giuseppe e Menahem. Con questa banda di guerriglieri, partendo dalla sua regione Golanite, che si trova ai confini della Siria, percorre la Palestina per concludere la sua missione in Giudea con la conquista di Gerusalemme.
 

LUMEN – Infine, il triste epilogo.
CASCIOLI - Sotto le feste di Pasqua, dopo aver consumato una cena nella quale i discepoli vi partecipano armati di spade, Gesù viene arrestato nel Getsemani e crocefisso sotto l'accusa di aver commesso reati di natura religiosa e politica; religiosa, per essersi dichiarato figlio di Dio, e politica, per aver sostenuto di essere il re dei Giudei (reato gravissimo per i Romani), di aver tentato di sollevare il popolo e di avere impedito di pagare i tributi a Cesare. (Luca).
 

LUMEN – E per Giovanni ?
CASCIOLI - I rivoluzionari organizzavano spesso le loro rivolte durante le feste religiose più importanti, per approfittare della confusione generata dal forte afflusso di pellegrini. Anche per Giovanni l’epilogo arriva durante le feste di Pasqua: viene catturato nel Getsemani e quindi crocifisso sotto l'accusa di promotore di una rivolta.

LUMEN – I punti di contatto mi sembrano veramente molti.
CASCIOLI – Sì. Ci troviamo di fronte a due personaggi che, tolto qualche dato, come la paternità e la città da cui provengono, hanno tutto il resto in comune. Sono entrambi perseguitati da Erode perché vede in essi dei probabili rivali al trono di Gerusalemme quali discendenti della stirpe di Davide, sono tutti e due Rabbi, hanno lo stesso appellativo di "Galileo",sono capi di due squadre composte da seguaci tra cui ci sono loro fratelli che hanno lo stesso nome, e iniziano, sia l'uno che l'altro, la loro missione dai confini della Siria per concluderla sotto le feste di Pasqua a Gerusalemme, dove vengono catturati nell'orto del Getsemani per essere crocefissi sotto l'accusa di rivoltosi.
 

LUMEN – Davvero notevole.
CASCIOLI - Lasciando da parte le paternità, che non può essere discusse su un piano storico perché quella di Giuseppe non è altro che il risultato di un'immaginaria elaborazione biblica, passiamo ad esaminare l'altra differenza, praticamente la sola che si oppone a fare dei due personaggi la stessa persona: la città di provenienza.
 

LUMEN – Che era la città di Nazaret per Gesù, così come attribuita dai vangeli, e la città di Gamella, che viene attribuita a Ezechia, nonno di Giovanni, dallo storico Giuseppe Flavio.
CASCIOLI – Esattamente.
 

LUMEN – Cosa possiamo dire al riguardo ?
CASCIOLI – La prima annotazione è di carattere storico, e riguarda l'annosa discussione circa l’effettiva esistenza di Nazaret al tempo di Gesù, che da alcuni è negata perché nessun documento ne parla prima del IX secolo, mentre da altri viene riconosciuta sotto forma di un piccolo raggruppamento di capanne dai tetti di paglia.
 

LUMEN – Un problema abbastanza serio.
CASCIOLI – Sì, ma l’incongruenza più importante, quella che mi pare decisiva, è di tipo geografico.
 

LUMEN – Ovvero ?
CASCIOLI - Nazaret si trova in una posizione leggermente collinare, distante circa trentacinque chilometri dal lago di Tiberiade. Ora, analizzando i vangeli non si può non restare sorpresi dal fatto che le descrizioni che essi fanno della patria di Gesù non hanno nulla a che vedere con la realtà.


LUMEN – Questo è interessante.
CASCIOLI - Leggiamo insieme: << Terminate queste parabole, Gesù partì di là e venuto nella sua patria insegnava nella Sinagoga. La gente del suo paese, riconosciutolo, si mise a parlare di lui. Gesù, udito ciò che dicevano, partì di là su una barca, ma visto che la gente restava sulla spiaggia guarì i malati e moltiplicò i pani e i pesci. Congedata la folla, salì sul monte e si mise a pregare. Dal monte vide che sotto, nel lago di Tiberiade, la barca degli apostoli era messa in pericolo dalle onde generate dal vento che si era improvvisamente levato >> (Matteo).

LUMEN – Si parla molto di barche e di pescatori.
CASCIOLI – Appunto. Se la patria di Gesù è Nazaret, come viene affermato dalla Chiesa, e Nazaret è una città situata su una zona leggermente collinare e lontana dal lago di Tiberiade ben 35 chilometri, come è possibile che ci siano una riva, delle barche e un monte che si erge sul lago di Tiberiade. Una vera contraddizione che non può trovare nessuna giustificazione, anche la più assurda.
 

LUMEN – In effetti il contrasto è palese.
CASCIOLI – Ed è un contrasto che viene confermata ripetutamente da tutti gli evangelisti. Ecco altri due passi. <<Gesù si recò a Nazaret dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di Sabato nella sinagoga e si alzò a leggere... all'udire queste cose tutti furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero al ciglio del monte sul quale la città era situata per gettarlo giù dal precipizio, ma egli, passando in mezzo a loro se ne andò>> (Luca).
<<Quel giorno Gesù uscì di casa e, sedutosi in riva al mare (lago di Tiberiade), cominciò a raccogliersi intorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca>> (Matteo).

LUMEN – Certo, non può trattarsi di imprecisioni casuali.
CASCIOLI – Appunto. Oltre a questi, ci sono molti altri passi dei quattro evangelisti che, riferendosi alla città natale di Gesù, escludono nella maniera più evidente che Nazaret possa essere la sua patria, almeno che non si vogliano mettere barche in un paese che dista trentacinque chilometri dal lago di Tiberiade e trasformare un pagliaio in una montagna.
 

LUMEN - Se la patria di Gesù non è Nazaret, quale è allora questa città a cui si riferiscono i vangeli ?
CASCIOLI - La risposta ci viene da un passo della "Guerra Giudaica" nel quale Giuseppe Flavio ci parla di Ezechia, padre di Giuda il Galileo e nonno di Giovanni, pretendente al trono di Gerusalemme quale appartenente alla casta degli Asmonei discendente della stirpe di Davide.
 

LUMEN – Sentiamo.
CASCIOLI – Il passo è questo: << Ezechia era un Rabbi appartenente a famiglia altolocata della città di Gamala che era situata sulla sponda golanite del lago di Tiberiade. Questa città non si era sottomessa ai romani confidando nelle sue difese naturali.
Da una montagna si protende infatti uno sperone dirupato il quale nel mezzo s'innalza in una gobba che dalla sommità declina con uguale pendio sia davanti che di dietro, tanto da somigliare al profilo di un cammello (gamlà ); da questo trae il nome, anche se i paesani non rispettano l'esatta pronuncia del nome chiamandola Gamala.
Sui fianchi e di fronte termina in burroni impraticabili mentre è un po' accessibile di dietro. Ma anche qui gli abitanti, scavando una fossa trasversale, avevano sbarrato il passaggio. Le case costruite sui pendii erano fittamente disposte l'una sopra l'altra: sembrava che la città fosse appesa e sempre sul punto di cadere dall'alto su se stessa. Affacciata a mezzogiorno, la sua sommità meridionale, elevandosi a smisurata altezza, formava la rocca della città , sotto di cui un dirupo privo di mura sprofondava in un profondissimo burrone >>.
 

LUMEN – Una descrizione piuttosto chiara.
CASCIOLI – Molto chiara. Basta rileggere uno solo dei passi evangeli citati per renderci conto che la città di Gesù, corrispondendo esattamente alla descrizione di Giuseppe Flavio, non è assolutamente Nazaret ma Gamala.
 

LUMEN - Ma come è possibile che gli evangelisti siano caduti in una simile incoerenza ?
CASCIOLI - La risposta è semplice: il capitolo riguardante la nascita di Gesù, nel quale viene dichiarata Nazaret come patria di Gesù, fu aggiunto in Matteo e in Marco quando i vangeli erano già stati scritti e pubblicati, cioè nel IV secolo allorché i Padri della Chiesa decisero di dare a Gesù una incarnazione attraverso una nascita terrena.
 

LUMEN – Prima invece ?
CASCIOLI – Prima si sosteneva che l’incarnazione era avvenuta direttamente all'età di trent'anni, nel momento del battesimo ricevuto da Giovanni il Battista, secondo la dichiarazione di Dio: <<Questi è il mio figlio prediletto, che oggi ho generato >>.
 

LUMEN – Ma perché fu scelto proprio Nazaret, che al tempo di Gesù poteva essere al massimo un insignificante villaggio formato da quattro capanne, e non una città di maggiore importanza come Cafarnao, Sefforis o altre?
CASCIOLI - Perché dovevano occultare qualcosa di molto imbarazzante.
 

LUMEN – Ovvero ?
CASCIOLI – Dovevano far sparire quell'appellativo di Nazireo che, significando "attivista del movimento rivoluzionario", avrebbe compromesso la trasformazione di un combattente Boanerges, figlio della vedetta, in un predicatore di pace e di perdono.
 

LUMEN – Un bel trucco.
CASICOLI – Un trucco soprattutto comodo, che gli evangelisti usarono spesso, anche per altri discepoli.
 

LUMEN – Per esempio ?
CASCIOLI – Per esempio "quananite" divenne nativo di Cana, "Ecariot" divenne nativo di Keriot e "Galileo" divenne nativo della Galilea. Mentre invece i tre termini erano tutti appellativi tipici dei guerriglieri “zeloti” dell’epoca.
 

LUMEN – Una bella fantasia.
CASCIOLI - E, così, anche per Gesù Cristo, ricorrendo all'espediente geografico, trasformarono "Nazireo" in "Nazareno", quale originario della città di Nazaret. Una trasformazione, però, che non riesce a nascondere la sua arrogante falsità, se si considera che gli abitanti di Nazaret non si chiamano “nazareni”, ma "Nazaretani".
 

LUMEN – Il diavolo si nasconde nei dettagli.
CASCIOLI - Dunque, se la patria di Gesù non è Nazaret ma Gamala, chi altri, in realtà , egli ha potuto essere se non quel Giovanni figlio di Giuda il Galileo che, quale primogenito di sette fratelli, morì crocifisso per restaurare il regno di David di cui lui, quale “asmoneo”, ne pretendeva il trono ?
 

LUMEN – Mi pare ineccepibile. Adesso molte cose risultano più chiare.
CASCIOLI – Grazie.
 

LUMEN – Di nulla. Sono io che ringrazio Voi per l’interessante conversazione.

sabato 15 giugno 2013

Adesso !

“Adesso” è stato lo slogan di un noto politico italiano (Matteo Renzi). E’ un slogan bello, deciso e diretto, che da la sensazione dell’urgenza delle scelte e delle decisioni che l’Italia deve prendere per il proprio futuro politico ed economico.
Ma il termine “adesso” ha anche un significato negativo: è il simbolo della vista corta, ovvero della tendenza ad accontentarsi delle soluzioni a breve termine, utili solo per l’immediato.
Scelte che risultano spesso semplicistiche e sbagliate, mentre per salvaguardare il futuro ecologico del nostro povero pianeta sono indispensabili decisioni  strategiche di lungo periodo
Come ci spiega il sempre ottimo Ugo Bardi in questo breve articolo su Jorgen Randers, tratto da Effetto Cassandra.
LUMEN
 
 
<< Jorgen Randers è uno degli autori del famoso rapporto su “I Limiti dello Sviluppo” al Club di Roma.
Pubblicato nel 1972, il libro ha provocato un bel po' di trambusto ed è stato ampiamente male interpretato come una profezia di sventura. Non era così. (…)
Randers (…) e i suoi coautori (…) non hanno fatto alcuna profezia, ma piuttosto hanno creato un 'ventaglio' di 12 scenari diversi per il futuro del mondo fino al 2100.
 
Alcuni di questi scenari vedevano il declino e il collasso dell'economia, alcuni vedevano la stabilizzazione e la prosperità.
Quale dei due gruppi di scenari si sarebbe manifestato dipendeva dal fatto che la razza umana facesse le scelte giuste o sbagliate nell'affrontare l'inquinamento, lo sfruttamento delle risorse e la crescita della popolazione.

Un problema coi “Limiti dello Sviluppo” è stato che gli autori non hanno mai specificato per mezzo di quale meccanismo la civiltà umana avrebbe potuto sviluppare il consenso necessario per fare le scelte giuste, le quali avrebbero comportato tutte qualche sacrificio a breve termine.
Dopo 40 anni di lavoro, Randers è giunto ad una conclusione: non esiste nessun meccanismo del genere. Le scelte giuste non sono state fatte e non saranno mai fatte.

Oggi, dice Randers, non c'è più un ventaglio di scenari buoni e cattivi, ce n'è solo uno. E non è piacevole.
Può solo essere quello del declino della nostra società sotto l'effetto della sovrappopolazione, del declino della disponibilità di risorse e del danno diffuso causato dall'inquinamento e dal cambiamento climatico.
L'inizio del declino potrebbe arrivare prima o dopo, il collasso potrebbe essere più rapido o più lento, ma la forma del futuro è determinata.

Randers afferma che c'è un modo semplice per descrivere le ragioni che ci stanno portando a questo futuro spiacevole: la gente fa sempre la scelta che comporta i costi minori a breve termine.
Il problema è tutto lì: finché scegliamo la strada più semplice non abbiamo alcun controllo su dove stiamo andando.

Immaginate di essere in una foresta. Credete che scegliendo sempre il sentiero più facile di fronte a voi vi possa riportare a casa? Ma questo è quello che facciamo: anche se sapessimo che non è questo il modo per andare dove ci piacerebbe essere.
Siamo riluttanti, per esempio, ad investire in energia rinnovabile finché i combustibili fossili rimangono anche leggermente meno cari e possiamo negare i loro costi esterni sotto forma di inquinamento e cambiamento climatico.
 
Ma questa scelta è basata su considerazioni a breve termine e ci causerà danni terribili a lungo termine.
Perché non riusciamo a fare meglio. Qui Randers propone che la “visione a breve termine” è profondamente radicata nella mente delle persone e si riflette nel nostro sistema decisionale democratico.
 
E' stato accusato di essere contro la democrazia, ma lui sostiene di non avere nulla contro la democrazia: il problema è che la democrazia è il risultato della “visione a breve termine” umana.
Fa l'esempio di un politico illuminato che decide di introdurre una carbon tax. Gli elettori scoprono presto che la carbon tax sta rendendo più care benzina ed elettricità.  Di conseguenza, quel politico non sarà rieletto. E' semplice e succede in continuazione.

Naturalmente, potreste obbiettare che se le persone venissero istruite sul cambiamento climatico, a quel punto accetterebbero una carbon tax – di fatto la reclamerebbero.
Forse, ma Randers è scettico. Dice che ha passato decenni della propria vita a formare generazioni di manager sulla sostenibilità e la scienza dell'ecosistema. Ed ha visto quelle generazioni prendere esattamente le stesse decisioni sbagliate che prendevano le generazioni precedenti che non avevano avuto quella formazione.

La natura umana è difficile da battere. Randers racconta come lui e i suoi colleghi hanno discusso sulla dimensione di un disastro naturale che avrebbe potuto svegliare il pubblico alla realtà della distruzione dell'ecosistema.
Poi è arrivato l'uragano Katrina e, più tardi, Sandy. Entrambi sono stati disastri della dimensione che serviva. Ma sono stati inutili come sveglie: il pubblico non ha reagito.
Oggi, tre americani su otto pensano ancora che il riscaldamento globale sia una truffa.
Randers ha visto il nemico e il nemico siamo noi. >>
 
UGO BARDI

sabato 8 giugno 2013

Sintonia fine

Gli esseri viventi, e quindi anche l’Uomo, che ne rappresenta l’esemplare più recente, si trova collocato in una sorta di terra di confine tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande.
La vita, infatti, è il frutto di un delicatissimo equilibrio di forze chimiche e fisiche, che rendono la nostra esistenza strettamente intrecciata con il pianeta che ci ospita. Si tratta di un legame forte, di cui non dobbiamo mai dimenticare l’esistenza e che dovrebbe renderci un po’ più umili, rinunciando alla stupida presunzione di poter dominare l’universo.
A questo intrigante argomento è dedicato il libro “Un’altra Terra. La scoperta della vita come fenomeno planetario” di Dimitar Sasselov, di cui riporto una breve sintesi dell’amico Agobit (dal suo Blog “Un pianeta non basta”).
LUMEN


<< La vita avviene a un livello intermedio dell’organizzazione della materia nell’Universo. Ciò è fondamentale in quanto in questo modo le molecole della vita e le cellule sono abbastanza grandi da evitare le imprevedibili e distruttive stravaganze della scala degli atomi, cioè del mondo della fisica quantistica, dove l’elevata velocità e l’instabilità dei fenomeni impediscono l’auto-organizzazione di sistemi complessi.

Allo stesso tempo le macromolecole della vita sono abbastanza piccole da beneficiare della ricchezza dei legami chimici, che è un segno distintivo della scala atomica.
Stando in una scala intermedia le molecole complesse e le reti chimiche della vita evitano la distruttività violenta dell’universo su grande scala, abitando una scala abbastanza piccola da consentire molti ambienti stabili.

Inoltre anche la scala dei tempi della vita ha una sua logica.
Le galassie si muovono lentamente, come tartarughe giganti, le loro stelle appena un poco di più, e i pianeti che orbitano intorno alle stelle si muovono ancora più velocemente, e così via fino a raggiungere le dimensioni del microcosmo, il mondo quantistico di atomi ed elettroni. (…)

Le cose grandi si muovono lentamente, le cose piccole si muovono più velocemente. Se la massa aumenta, la velocità diminuisce.
La vita con la sua scala di macromolecole ha la velocità giusta per lo scambio di informazioni e per la creazione di complessità.

Le informazioni comportano la gestione di segni strutturati in sistemi complessi. In fondo il cervello umano è una macchina computazionale in cui diversi sistemi complessi di segni interagiscono tra loro e con l’ambiente esterno.
Tutto questo avviene a livelli di energia incredibilmente bassi. Energie appena di poco più alte in azione nei sistemi biologici renderebbero impossibile la complessità nella gestione delle informazioni.

Il futuro della complessità richiederà forse all’uomo di elaborare tecnologie assai simili a quelle della biologia. Questa è in grado infatti di gestire assai meglio strutture e informazioni complesse con basse energie.
In uno studio di (…) Ubaldo Mastromatteo, viene confrontato il processo di fabbricazione di un microchip elettronico e il processo biologico necessario per costituire una struttura biologica di dimensione simile: un chicco di grano.

Solo stimando l’energia necessaria per creare i due sistemi, vediamo che il bilancio energetico differisce di tre ordini di grandezza.
Per ottenere il microchip di silicio di quella dimensione e di media complessità, l’energia utilizzata è dell’ordine di 1 KWh, mentre l’energia necessaria per un chicco di grano è dell’ordine di 1 Wh.

Questa forte differenza nel bilancio energetico è una sorpresa alquanto singolare e ha pesanti implicazioni non scientifiche.
Inoltre è opportuno considerare che la complessità di una cellula eucariotica biologica è molto superiore a quella di un microchip.

La vita presuppone un utilizzo estremamente sofisticato di informazioni, la loro conservazione e lo scambio con l’effetto di aumentare la complessità dell’organizzazione della materia barionica. In fondo il Dna e l’Rna sono codici di informazione e le proteine (enzimi, ormoni, strutture della materia vivente) sono il codificato.

La cosa stupefacente è che mentre a livello di macrocosmo l’informazione (ad esempio l’interazione tra un buco nero e la materia circostante) viene gestita ad altissime energie, l’informazione delle macromolecole biologiche viene elaborata e gestita a livelli energetici estremamente bassi.

Con l’uomo si assiste inoltre ad un ulteriore salto qualitativo della gestione dell’informazione: questa, elaborata dal cervello umano, subisce un processo ulteriore di smaterializzazione con la creazione di strutture culturali complesse sempre più virtuali (immateriali).
L’Homo sapiens è il frutto di una catena di eventi successiva allo sviluppo della materia ordinaria nell’universo e dimostra che non solo la biologia può “accadere”, ma che è in grado di svilupparsi in sistemi di elaborazione delle informazioni molto strutturati e complessi.

L’organizzazione della materia in sistemi biologici sul pianeta Terra ha raggiunto un punto di svolta e la biologia fino all’uomo può prefigurare un primo stadio, seguito da un ulteriore stadio che alcuni ricercatori definiscono “biologia sintetica”.
La biologia sintetica (…) potrebbe dimostrare che la materia ordinaria ha una capacità intrinseca di auto-organizzarsi per creare la diversità da una singola biochimica e, alla fine, amplificare tale diversità generando molteplici biochimiche.

Ciò suggerisce l’esistenza di una ricetta per l’amplificazione delle diversità su scala galattica e su tempi lunghissimi (miliardi di anni), e l’esistenza (adesso o in futuro) di una nuova generazione di vita. Chiamiamola Generazione II. (…)
La vita sulla Terra è di generazione I. La biologia sintetica potrebbe implicare un ruolo crescente della biochimica nella ridistribuzione della materia (…) ordinaria in un lontano futuro dell’universo.

Alla luce di quello che sappiamo su come gli altri pianeti possono essere o saranno – per esempio, quando i pianeti di carburi supereranno in quantità quelli di silicati, come il nostro -, vi è abbastanza spazio nel paesaggio chimico da consentire un ancora più vasto paesaggio biochimico.

La vita di Generazione II potrebbe essere già presente nella nostra galassia.
In questo contesto l’umiltà può farci bene: guardare alla vita come a un fenomeno planetario, nel quale la biochimica di base è profondamente legata al pianeta stesso, contribuirà a rafforzare la nostra consapevolezza di essere un tutt’uno con la nostra Terra, un prodotto di un’unica biochimica emersa quattro miliardi di anni fa e decisamente terrestre.

Siamo parte di qualcosa di buono, e saperlo potrebbe aiutarci a non rovinare tutto. (…) Si dovrebbe compiere quella rivoluzione copernicana che porta (…) alla consapevolezza (…) del nostro posto nel mondo come parte della natura e non come estranei ad essa. >>

DIMITAR SASSELOV

sabato 1 giugno 2013

Fu vera gloria ?

MANZONI – Ei fu !
LUMEN – Ma di chi parlate ?

MANZONI – Di Napoleone Bonaparte, ovviamente.
LUMEN – Ah, il famoso guerrafondaio…

MANZONI – Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia, immemore, orba di tanto spiro, così percossa e attonita la terra al nunzio sta.
LUMEN – Che esagerazione ! Metà del mondo, all’epoca, non sapeva neppure chi fosse Napoleone. E l’altra metà aveva spesso cose più importanti a cui pensare.

MANZONI – Muta, pensando all'ultima ora dell'uom fatale; né sa quando una simile orma di pie' mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà.
LUMEN – Di orme simili, la civiltà umana ne ha viste anche troppe; ed altre seguiranno. Ma di nessuna si può avere nostalgia.

MANZONI – Lui folgorante in solio vide il mio genio e tacque; quando, con vece assidua, cadde, risorse e giacque, di mille voci al sonito mista la sua non ha.
LUMEN – Non è che, più semplicemente, non volevate compromettervi ?

MANZONI – Come vi permettete ?
LUMEN – Per carità. Era solo un’ipotesi.

MANZONI - Vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, sorge or commosso al subito sparir di tanto raggio; e scioglie all'urna un cantico che forse non morrà.
LUMEN – Ah, questo è sicuro. La vostra ode è bella, davvero molto bella, e la sua fama è del tutto meritata.
 
MANZONI – Grazie.
LUMEN – Prego. Quel che è giusto, è giusto.

MANZONI - Dall'Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno; scoppiò da Scilla al Tanai, dall'uno all'altro mar.
LUMEN - Un vero “casinista” internazionale.

MANZONI - Fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza: nui chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirito più vasta orma stampar.
LUMEN – Ma scherzate ? Anche ammettendo che Dio esista, dovrebbe andare fiero di aver creato un tipo simile ? Non poteva fare uscire dallo stampo qualcosa di meglio ?

MANZONI - La procellosa e trepida gioia d'un gran disegno, l'ansia d'un cor che indocile serve, pensando al regno; e il giunge, e tiene un premio ch'era follia sperar.
LUMEN – Certo, era ambizioso ed audace. Ma anche senza scrupoli.
 
MANZONI - Tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il tristo esiglio; due volte nella polvere, due volte sull'altar.
LUMEN – Una vita spericolata, come si direbbe oggi.
 
MANZONI - Ei si nomò: due secoli, l'un contro l'altro armato, sommessi a lui si volsero, come aspettando il fato; ei fe' silenzio, ed arbitro s'assise in mezzo a lor.
LUMEN – Ma cosa dite ? I secoli che si inchinano a Napoleone ? I secoli non vengono segnati dalle battaglie, ma dalle scoperte, dalle invenzioni, dalla gestione dei flussi energetici. E’ questo che modella il pensiero e la vita quotidiana delle persone. Cosa c’entra Napoleone con queste cose?

MANZONI - E sparve.
LUMEN – Oh, finalmente! Non se ne poteva più.

MANZONI - E i dì nell'ozio, chiuse in sì breve sponda, segno d'immensa invidia e di pietà profonda, d'inestinguibil odio e d'indomato amor.
LUMEN – Sull’odio sono d’accordo. Sull’amore, l’invidia e la pietà un po’ meno. Anche se, con i grandi personaggi, la gente si comporta spesso in modo strano.
 
MANZONI - Oh quante volte ai posteri narrar se stesso imprese, e sull'eterne pagine cadde la stanca man !
LUMEN – Ci mancavano solo le memorie autografe di Napoleone.

MANZONI - Oh quante volte, al tacito morir d'un giorno inerte, chinati i rai fulminei, le braccia al sen conserte, stette, e dei dì che furono l'assalse il sovvenir !
LUMEN – Spero che gli sovvenissero anche tutti i lutti, i dolori e le sofferenze che aveva causato con le sue battaglie.

MANZONI – Ahi, forse a tanto strazio cadde lo spirto anelo, e disperò. Ma valida. venne una man dal cielo, e in più spirabil aere, pietosa, il trasportò;
LUMEN – Dal cielo non venne sicuramente nessuna mano. Era solo la fine, inevitabile, di una discutibile vicenda umana.
 
MANZONI - E l'avviò, pei floridi sentier della speranza, ai campi eterni, al premio che i desideri avanza, dov'è silenzio e tenebre la gloria che passò.
LUMEN – Lasciate perdere i campi eterni e il premio dell’aldilà. Una volta finita, è finita, non resta nulla. E quindi non si può andare da nessuna parte.

MANZONI - Bella immortal, benefica, Fede ai trionfi avvezza !
LUMEN – Benefica ? La fede religiosa, quando scende sui campi di battaglia, può portare solo a scontri sanguinosi, genocidi e sopraffazioni. Non c’è nulla di cui l’umanità possa andare fiera.

MANZONI - Scrivi ancor questo, allegrati; ché più superba altezza al disonor del Gòlgota giammai non si chinò.
LUMEN - Ma quale altezza ? Non confondiamo: Napoleone non fu un grande uomo, ma un uomo famoso. 

MANZONI - Tu dalle stanche ceneri sperdi ogni ria parola: il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola, sulla deserta coltrice accanto a lui posò.
LUMEN – Dio, sicuramente, non c’era. Ma accanto a lui, secondo me, non c’era neppure la Storia. Napoleone era solo un generale e come tale non faceva la storia, ma, molto più modestamente, la cronaca. Nera.