venerdì 29 novembre 2024

Le origini della Guerra

Il post di oggi è dedicato ad un recente saggio di antropologia, scritto da Harald Meller, Kai Michel e Carel van Schaik, intitolato “L'evoluzione della violenza. Perché vogliamo la pace, ma facciamo le guerre”.
Il testo, tratto dal quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung (NZZ), mi è stato mandato dall'amico Sergio Pastore, che ringrazio.
Si tratta di un argomento di grande interesse, non solo a livello storico, ma anche sociale, che può aiutarci a capire meglio il nostro presente ed il nostro futuro.
LUMEN


<< La guerra non è geneticamente determinata, è un fenomeno tardivo ed eccezionale nella storia umana”, dicono un biologo evoluzionista – Carel van Schaik - e uno storico – Kai Michel. Fino a quando gli esseri umani non divennero stanziali nel Neolitico erano pacifici e cooperativi. Da quel momento è esplosa la violenza collettiva, anche a causa del patriarcato. Ma in una prospettiva evolutiva siamo sulla strada giusta per ridiventare pacifici.

In un libro recentemente pubblicato [con Harald Meller], i due autori espongono questa tesi in modo accattivante e convincente. Naturalmente non pochi troveranno l’associazione di guerra e cultura paradossale come pure poco credibile la fine di tutte le guerre. Ma andiamo con ordine.

Che la guerra sia un fenomeno culturale può suonare strano. Per Hobbes la storia dell’umanità è caratterizzata da guerre continue che hanno o avrebbero una causa precisa nella genetica. Secondo Hobbes l’uomo (ominidi, H. erectus, Habilis, Neanderthalensis, Sapiens) sono esseri aggressivi che sono stati costantemente in guerra.

Questa tesi non è però suffragata da evidenti prove. Hobbes partiva dalla sua esperienza e dalle fonti a cui attingeva (per es. a Tucidide): la guerra era per lui una costante nella storia dell’uomo, la triste realtà era: homo homini lupus. Il Sapiens popola la Terra da 250'000 anni, ma notizie attendibili e anche certe sul suo sviluppo si hanno solo a partire dagli ultimi 5000 anni.

Per le epoche precedenti possiamo però avanzare alcune ipotesi basandoci sui ritrovamenti, sull’archeologia e recentemente anche sull’etnografia. Se si eccettuano i casi di violenza individuale, sempre esistiti, il quadro che si può delineare non è proprio quello di una guerra continua tra gli esseri umani.

Il primo omicidio accertato avvenne 430'000 anni fa, ma casi come questo furono sicuramente rari: non vi è alcuna prova di violenza collettiva, cioè di guerre tra gruppi, per il periodo più lungo dell’evoluzione. Il più antico massacro identificato con certezza ebbe luogo 13.400 anni fa sul Nilo a Jebel Sahaba, nell'attuale Sudan, il secondo 10.000 anni fa a Nataruk in Kenya.

Dopo la fine dell’era glaciale cacciatori e raccoglitori cominciano a sfruttare le ricche risorse in riva a laghi e fiumi. Lavoravano la terra, ma ne negavano l’accesso ad altri gruppi. 

Si tratta di una innovazione nella storia umana: per la prima volta dei gruppi monopolizzano la terra e la dichiarano di loro proprietà, cosa che irrita gli esclusi che provano invidia e desiderio dei beni accumulati da altri. Il nuovo stile di vita si affermò solo nel Neolitico, iniziato nell’Europa centrale 7.500 anni fa. E con esso arriva la guerra.

Con gli stanziamenti nascono l’agricoltura, l’allevamento del bestiame, la ricchezza e la disuguaglianza. All'improvviso gli umani hanno qualcosa da perdere che devono proteggere. Si formano dei clan e oggi gli archeologi come Harald Meller si imbattono regolarmente in fosse comuni. Il nuovo stile di vita fece aumentare enormemente la popolazione e poiché la terra fertile era scarsa, sorsero rapidamente conflitti.

​“La particolarità del nostro approccio – dicono gli studiosi - è che noi tre combiniamo biologia evoluzionistica, archeologia e studi culturali e includiamo anche l'etnografia. Per molto tempo nella storia umana non abbiamo trovato fortificazioni, né armi progettate specificatamente per uccidere altri individui e le pitture rupestri non mostrano scene di violenza. Tutto ciò appare dal Neolitico in poi e diventa normale nei primi stati dispotici che nascono.”

Nel Neolitico appare anche il patriarcato: dominio maschile e guerra si manifestano contemporaneamente e una volta che la guerra si è instaurata come metodo di soluzione dei conflitti non c’è più scampo.

Ma nonostante le guerre attuali, possiamo dire che siamo già sulla strada giusta. Almeno socialmente ed eticamente stiamo diventando di nuovo cacciatori e raccoglitori, cioè più pacifici e cooperativi. Almeno in Occidente c’è più uguaglianza e democrazia.

Fino al XIX secolo inoltrato la schiavitù era considerata del tutto naturale. Ma poi ci si rese conto che era assolutamente disumana. La schiavitù era vantaggiosa solo per i proprietari di schiavi, così come le guerre lo sono per i regnanti e i potenti. Così come il fenomeno culturale della schiavitù è stato cancellato, lo sarà anche il fenomeno culturale della guerra se scacceremo i despoti, gli autocrati e i signori della guerra.

L’enorme sviluppo demografico – siamo passati dai tre miliardi degli Anni Settanta agli otto miliardi attuali, in appena cinquant’anni – potrebbe facilitare paradossalmente uno sviluppo pacifico. Se da un lato l’esplosione demografica ha risvolti preoccupanti per l’ambiente l’interdipendenza di tutti gli Stati può favorire il passaggio a un’era pacifica. Si avvererebbe il detto secondo il quale dove passano le merci non passano gli eserciti. Salvo imprevisti. >>

NEUE ZURCHER ZEITUNG (NZZ)

domenica 24 novembre 2024

Punti di Vista – 38

MUSSOLINI E GLI ITALIANI
Giordano Bruno Guerri, nel suo [libro] “Benito”, riprende una tesi a lungo rimossa: gli italiani furono mussoliniani, non fascisti; in lui si identificavano come in un superuomo che chiamavano familiarmente Benito.
Insomma non l’ideologia, la fede politica, il regime permeò gli italiani ma il mito del duce, che era la gigantografia delle loro aspirazioni. (...)
Perché gli italiani furono più mussoliniani che fascisti? Ce lo aveva spiegato alcuni anni prima un grande psicologo delle folle, Gustave Le Bon, che Mussolini leggeva e ammirava, considerando quel suo saggio “un’opera capitale”.
Per Le Bon le folle, soprattutto latine, sono femmine, hanno bisogno di un Capo, di un Gallo nel pollaio, insomma di un dittatore che li seduca e sconfigga i nemici di dentro e di fuori. Erano affascinati dalla sua figura, il suo corpo, il suo volto, la sua voce, i suoi comandi.
A quest’indole delle folle va aggiunta la mitologia del Monarca, del Principe, del Sovrano decisore, stratificata nei secoli. Ma come voleva ormai l’epoca delle masse, un Re non più per ragioni ereditarie e dinastiche ma selezionato sul campo e in trincea, venuto dal popolo, che conquista con la sua forza e la sua volontà, il dominio e lo esercita da vero Capo.
Una specie di monarchia popolare, se non socialista, in cui il capo è un arcitaliano, per dirla con Curzio Malaparte, ovvero è il potenziamento, la versione in grande, dell’italiano comune. Identificazione e proiezione, al tempo stesso, di un popolo nel suo Capo.
MARCELLO VENEZIANI


GUERRA E COSTITUZIONE
[Vorrei] ricordare che la Costituzione della Repubblica Italiana ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
E che è in corso una controversia internazionale tra l'Ucraina e la Russia.
Ne consegue che qualunque politico italiano dica che questa controversia internazionale debba essere risolta inviando dei materiali bellici a Kiev sta violando la Costituzione Italiana. Tutto qui.
Se poi i nostri politici ritengono di dover fare ciò che dice Biden e non quello che detta la nostra Costituzione, beh, facciano pure. Non ho problemi con questi traditori della Cosituzione Italiana. Rispetto tutti.
ALESSANDRO ORSINI


I LAMENTI DELLA SINISTRA
Oggi come oggi, morto il comunismo, e morto perfino Karl Marx, un programma di sinistra non esiste più, né c’è spazio finanziario per i sogni.
Ma molte parti di quell’antico programma sono penetrate così profondamente nell’animo di tutti, da sembrare dogmi indiscutibili.
È obbligatorio il pacifismo irenico. I lavoratori hanno sempre ragione. Se i giovani sbagliano è colpa degli adulti. Se i ragazzi sono analfabeti non è colpa loro, è colpa della scuola (che li promuove per giunta). Bisogna fare ciò che è giusto e il costo non importa: qualcuno pagherà.
Gli emarginati più sono infingardi, ignoranti e poveri, e più bisogna aiutarli. Vale anche per i giovani delinquenti. E, all’occasione, assassini, per vedere di nascosto l'effetto che fa.
GIANNI PARDO


DIFFERENZE DI POTENZIALE
Il nostro universo funziona sulla base della differenza di potenziale.
Quindi la vita, che le cose accadano, che si trasformino una nell’altra, che percepiamo lo scorrere del tempo, dipendono proprio dalla differenza tra un punto e un altro e in queste differenze c’è anche il ricco e il povero, il satollo e l’affamato, chi affoga e chi muore di sete.
All’inverso, l’idea di “equalizzare” cose e persone, rendere tutto “uguale”, non solo è priva di senso perché nessuno mai ha saputo come fare, a parte raccontare un sacco di balle come la “collettivizzazione dei mezzi di produzione”, è priva di senso perché è meccanicamente impossibile, stante la ragione di cui sopra.
Le cose “uguali” sono morte e quando “ugualizzi” uccidi, annienti, cancelli.(...)
La vita cerca di espandersi il più possibile, fino a che non incontra un limite invalicabile e la nostra specie ha avuto più successo di altre, diventando endemica, perché tramite la tecnologia è stata capace di valicare qualsiasi limite che si è trovata davanti.
Valicare i limiti significa essere sempre in movimento e avere sempre “fame”. Fame di grano come fame di ferro e di carbone. Fame di acqua come fame di legno e di pietra, di terra coltivabile, di climi temperati.(...)
Quindi, la “fame” non si può eliminare. Non solo non si può eliminare, ma provarci significa seminare morte e distruzione, cancellare la vita invece di crearla.
Quello che possiamo fare è applicare l’intelligenza al discorso di cui sopra della continua espansione, perché fatti non fummo a viver come bruti. Quindi avremmo sempre fame, però possiamo scegliere cosa mangiare e quanto mangiarne. Il “cosa” e il “quanto” sono la chiave di tutto il discorso.(...)
Comunque, ci sarà sempre il povero e il ricco, il sano e il malato, il vivo e il morto.
NOVE (dal sito ERETICAMENTE)
 

domenica 17 novembre 2024

Il Sapiens di Neanderthal

Tra l'antico Homo Sapiens, progenitore dell'odierna umanità, e l'uomo di Neanderthal ci furono sicuramente molti contatti e rapporti, ma sulla loro natura gli antropologi non sono del tutto concordi.
Il post di oggi tratta appunto di questo argomento, con due brani di Pietro Melis tratti dal suo blog.
Lo stile è quello polemico e provocatorio tipico del personaggio, ma l'argomento è senza dubbio interessante.
LUMEN


<< In una trasmissione di Alberto Angela (Ulisse) è stato (,,,) opposto l'uomo di Neanderthal al succesivo Sapiens, come se il Neanderthal non fosse stato anch'esso un Homo sapiens. La contrapposizione di fatto non esiste, perché quello che Angela ha sempre definito Sapiens è in realtà il 'Sapiens Sapiens' e non il Sapiens.

Il Sapiens di Neanderthal aveva un volume del cervello di circa 1400 cm cubici, mentre il Sapiens sapiens, da cui derivò tutta l'umanità successiva, aveva un volume di circa 1200 cm cubici. Angela avrebbe dovuto spiegare che non è tanto il volume del cervello che fa l'intelligenza del cervello (altrimenti l'elefante avrebbe un'intelligenza superiore a quella umana) ma il numero dei neuroni e delle sinapsi (collegamenti tra i neuroni).

Angela ha riproposto la vecchia domanda: perché è avvenuta l'estinzione del Neanderthal? Su questo punto la sua esposizione è stata del tutto contraddittoria.

Egli ha affacciato la tesi secondo cui il sapiens sapiens, comparso circa 100 mila anni fa, e poi diffusosi prima nel Medioriente e poi in Asia, sino ad arrivare nelle Americhe quando lo stretto di Bering era unito alle Americhe, avrebbe costretto il Neanderthal in spazi molto ristretti in un 'Europa glaciale, venendo in contrasto con il Neanderthal per motivi di sopravvivenza, sino a forme di cannibalismo da parte del sapiens sapiens ai danni del Neanderthal.

La tesi più scientificamente accreditata è invece quella che induce a pensare che il Neanderthal si sia estinto circa 40.000 anni fa a causa della glaciazione che avvenne in Europa nell'arco di 10.000 anni e che nel frattempo si sia incrociato con il sapiens sapiens, e che dunque l'estinzione del Neanderthal sia stata solo apparente o parziale.

D'altra parte lo stesso Angela, alla fine dell'esposizione (...), ha detto che ancor oggi il 3% dei geni della popolazione attuale è costituita da geni del Neanderthal.

Inoltre come poteva esserci stata una guerra tra sapiens sapiens e sapiens Neanderthal se la popolazione terrestre di allora (non citata da Angela) è stata calcolata non superiore al milione? In rapporto a questa popolazione è difficile affermare che vi potesse essere stata una rivalità tra le due specie di sapiens. Le guerre sono sempre esistite come guerre di conquista di territori. Ma con una popolazione di appena un milione di abitanti umani come potevano esistere guerre tra le due specie di sapiens?

Tanto più che resti fossili del sapiens di Neanderthal sono stati trovati non soltanto a Neanderthal (una regione occidentale dell'attuale Germania) ma anche nel Medioriente, da cui il Neanderthal si sarebbe spostato in Europa. Anche per questo è da escludere che il sapiens sapiens sia stato la causa dell'apparente estinzione del Neanderthal.

L'unica cosa di nuovo che ho imparato (ammesso che la cosa sia scientificamente provata) è che il sapiens sapiens abbia sviluppato una maggiore intelligenza sulla base di una dieta, non basata sulla carne, come spesso è stato detto, ma su una dieta basata su molluschi di mare da quando il sapiens sapiens, prima di emigrare dall'Africa, si affacciò alle coste del Sudafrica. (…)

Per sostenere la tesi che il sapiens sapiens sia stato la causa dell'estinzione del Neanderthal Angela è giunto a dire che dai resti degli scheletri dei Neanderthal apparivano chiari segni di armi da taglio, che comproverebbero la morte violenta dei Neanderthal, ma poi, aggiungendo confusione, ha detto che non era da escludere che gli stessi Neanderthal si combattesero tra loro. E allora che c'entra il sapiens sapiens come causa dell'estinzione del Neanderthal? >>


<< Nonostante abbia dedicato molti anni allo studio dell'evoluzione biologica non ho potuto trarre da tali studi la spiegazione della causa della differenziazione delle razze.

Se è vero che la specie Homo deriva dall'Austrolophitecus e passò successivamente attraverso le fasi dell'Homo abilis, dell'Homo erectus, dell'Homo sapiens, dell'homo sapiens sapiens quando avvennero le diversità delle etnie che popolarono l'Europa e l'Asia? Non ho mai trovato la spiegazione del fatto che la specie Homo lasciando l'Africa cessò di appartenere al tipo negroide. Quando avvenne l'acquisizione degli occhi a mandorla in Cina e in altre parti dell'Asia?

Non mi soddisfa la spiegazione che fa riferimento all'ambiente. Dall'Africa l'Homo arrivò in Europa con il sapiens di Neanderthal e con il sapiens sapiens. Il sapiens di Neanderthal aveva un cranio di 1400 centimetri cubici mentre il cranio del sapiens sapiens dell'Europa, contemporaneo del sapiens di Neanderthal, aveva già allora un cranio di 1200 centimetri cubici.

Come mai è sparito il sapiens di Neanderthal? Non ho mai accettato la spiegazione che fa riferimento ad una lotta tra i due tipi di sapiens. Essendo le terre quasi disabitate gli spazi a disposizione dei due tipi di sapiens erano così grandi da consentire un insediamento pacifico.

Più verosimile è che il sapiens di Neanderthal si sia incrociato con il sapiens sapiens. E' stato infatti scoperto che nel DNA del sapiens sapiens è presente circa il 5% del DNA del sapiens di Neanderthal. Ma stupefacente è il fatto che questa piccola percentuale del DNA del sapiens di Neanderthal non sia presente nel DNA della popolazione negra dell'Africa. >>

PIETRO MELIS

lunedì 11 novembre 2024

Pensierini – LXXIX

ATEI RESIDUALI
A proposito della distinzione sociologica, considerata giustamente importante, tra 'atei' e 'credenti', qualcuno ha fatto notare che, a ben vedere, tutti i credenti religiosi sono atei: sono atei, infatti, con riferimento a tutti gli altri Dei, escluso il proprio.
La battuta peraltro è più divertente che centrata.
Perchè un conto è escludere alcuni Dei solo per credere in altri, ed un altro conto è escluderli tutti.
Passare da 99 'Divinità' a 1 sola è molto più facile che passare da 1 a 0.
Perchè nel primo caso si rimane comunque nell'ambito del pensiero magico, nel secondo, invece, se ne esce.
LUMEN


GIORNALISTI
Quali sono le caratteristiche fondamentali che fanno di un giornalista un 'grande giornalista' ?
Anzitutto deve essere capace di scrivere in modo non solo corretto, ma anche piacevole ed interessante. E' un talento alla portata di molti giornalisti, ma non di tutti.
Poi deve essere capace di cercare le informazioni che gli servono, ovunque si trovino, in modo da non commettere errori involontari. Oggi, con il web, è tutto più facile, ma occorre comunque una certa abilità.
Ma la dote più importante, quella decisiva che fa la differenza, è la capacità di sostenere in modo convincente qualsiasi tesi gli venga richiesta. Perchè nel giornalismo non è il lettore che ha sempre ragione, ma il committente, quello che mette i soldi.
Tutto il resto (compresa la famosa indipendenza di giudizio) è una cosa marginale.
LUMEN


GIUSTIZIA DISEGUALE
Molti ironizzano sulla frase che campeggia nei Tribunali, “La legge è uguale per tutti”, facendo notare i tanti errori, anche voluti, del nostro sistema giudiziario.
E' vero, i difetti della nostra giustizia sono parecchi, ma restiamo uno stato di diritto ed i meccanismi di base, bene o male, funzionano.
Nel mondo occidentale, gli unici privilegiati (quelli che riescono sempre a farla franca) sono soltanto gli appartenenti alle elites, ma questo è inevitabile ed accade in qualsiasi società.
Nei paesi a corruzione diffusa, invece, chiunque, a qualsiasi livello sociale, può essere portatore di qualche privilegio e quindi nessuno può essere sicuro di nulla.
Per fare un esempio: io so benissimo che se faccio causa ad un grande imprenditore o a un big della politica, perderò sempre; ma se faccio causa ad una persona comune come me, ed ho ragione, la vinco.
Nei paesi fortemente corrotti, invece, non posso mai essere sicuro di niente.
Questa mi sembra una differenza notevolissima.
LUMEN


EGOISMI
E' opinione comune che le persone di destra siano più egoiste, mentre quelle di sinistra sarebbero più altruiste.
In realtà l'egoismo è equamente distribuito da entrambe le parti, perchè tutti gli uomini sono egoisti (per legge di natura).
La differenza è solo di natura psicologica: le persone di destra sanno di essere egoiste e non gliene importa nulla; quelle di sinistra invece, se ne vergognano e quindi si inventano le motivazioni più fantasiose (purchè teoriche) per convincersi di essere buoni ed altruisti.
Ma quando si passa dalla teoria alla realtà, le differenze spariscono e tutti si comportano quasi allo stesso modo.
LUMEN


ORDINE PUBBLICO
Alcuni sociologi dicono che dobbiamo aspettarci un incremento della violenza sociale in Europa, per motivi collegati, direttamente o indirettamente, con l'aumento crescente degli immigrati.
Il problema mi sembra particolarmente grave in Italia, non solo perchè non ci siamo più abituati (siamo da decenni un paese pacifico), ma anche perchè non siamo preparati a contrastarlo, avendo deciso - per motivi ideologici - che il mantenimento dell'ordine pubblico è una manifestazione di pseudo-fascismo.
Quindi sono piuttosto pessimista al riguardo.
Certo, mantenere l'ordine pubblico presuppone inevitabilmente delle ingiustizie, perchè tutti gli agenti sono esseri umani con i loro difetti.
Ma questa è l'attività di gran lunga più importante che uno Stato deve garantire ai suoi cittadini.
A volte ce ne dimentichiamo, perchè vorremmo un mondo perfetto. Ma i mondi perfetti non esistono.
LUMEN

martedì 5 novembre 2024

Il paradosso della Verità

Da tempo sono giunto alla conclusione che la verità non è sempre un valore assoluto, in quanto ci sono verità utili e verità dannose.
Così, per esempio, poiché le strutture sociali sono fondate sull'inganno, non solo sarebbe dannoso far scoprire alla gente che il Re è nudo, ma sarebbe anche inutile, perchè verrebbe subito sostituito da un altro Re, con un altro vestito (anche se apparente).
In fondo la tragedia umana è proprio questa: si sente il bisogno di ricercare la verità, ma, quando la si è trovata, in molti casi ci si trova costretti a tenerla per sè.
A questo sconsolante paradosso è dedicato il post di oggi, scritto da Marco Pierfranceschi per il suo blog (Mammifero Bipede).
LUMEN


<< [Io] ho iniziato molto presto ad interrogarmi sulla verosimiglianza delle cose che mi venivano insegnate. Nella mia ansia di trovare un sistema possibilmente infallibile di discriminare il vero dal falso mi sono imbattuto nel Metodo Scientifico, e ne sono divenuto un convinto assertore.

La sua formulazione, in estrema sintesi, è che tutti sperimentiamo una realtà oggettiva, i cui dettagli possono essere definiti per mezzo di esperienze (esperimenti) replicabili da chiunque. La realtà non è quindi un’esperienza individuale, solipsistica, bensì una dimensione comune, condivisa, che evolve per mezzo di relazioni causa/effetto.

Ne discende la prospettiva di un Universo totalmente indifferente alle passioni umane, dominato dal caso e dalla necessità, all’interno del quale le esistenze individuali sono solo un evento incidentale ed estemporaneo.

Non esattamente quello che a persone variamente sofferenti piace sentirsi raccontare. Il tutto può essere sintetizzato in una battuta (non mia) a cui ricorro spesso per evitare di dare risposte sgradite a domande spiacevoli: “preferisci una pietosa bugia o la cruda verità?”

Sta di fatto che la ‘cruda verità’ finisce con l’essere un’esigenza puramente intellettuale. Un lusso ben distante dalla domanda di ‘utilità’ che contraddistingue la condizione umana. Le nostre necessità individuali rappresentano la priorità: nutrirci, star bene, sopravvivere, riprodurci. Se una verità è in linea con queste esigenze, se ci è utile, allora rappresenta un valore, in caso contrario diventa un peso dal quale è preferibile disfarsi.

Lo sviluppo cognitivo all’interno dei meccanismi evolutivi ha portato con sé l’emergere di una condizione indesiderata, la sofferenza psichica. È una dinamica emotiva che condividiamo con le altre specie sociali: il nostro benessere dipende dalla presenza e vicinanza dei nostri simili, con i quali stabiliamo legami affettivi.

È il ‘rovescio della medaglia’ del vantaggio significativo consistente nel far parte di un organismo sociale. Il gruppo è più forte ed efficace rispetto ai singoli individui, offrendo maggiori possibilità di sopravvivenza.

Per contro, la perdita di un membro del gruppo genera nell’individuo una sofferenza psichica, che necessita di un sollievo. In questo contesto la semplice ‘verità’ può fare ben poco.

Nella nostra specie è poi presente una ulteriore aggravante: la consapevolezza dei processi biologici. Sappiamo che la nostra parabola vitale consiste di giovinezza, età matura, vecchiaia e morte, e questa prospettiva non ci è gradita (il fatto che non ci piaccia l’idea di morire, o di veder morire gli altri, discende da tutta una serie di processi mentali irrazionali che raccogliamo nella definizione di ‘istinto di sopravvivenza’).

In diversi momenti della nostra esistenza, sia la sofferenza per la perdita di persone care che la prospettiva di non poter guarire da una malattia, o in assoluto l’idea di smettere di esistere, possono indurre livelli soverchianti di sofferenza psichica, tali da sfociare in una condizione patologica detta ‘depressione’.

A differenza di altre patologie mentali, generate da una errata percezione della realtà, la depressione è legata alla perdita di quelle ‘stampelle psichiche’ irrazionali che utilizziamo per renderci sopportabile una realtà per molti versi spiacevole. Chiaramente, l’aggiunta di ulteriori ‘verità’, in questo tipo di situazioni, serve a poco se non a nulla. (...)

La conclusione cui sono pervenuto dopo lunghe analisi è che le società umane sono fondate su ‘Processi di Inganno’, sistemi di menzogne globalmente condivise che svolgono la funzione di facilitare i rapporti sociali, consolidare l’efficacia dell’azione collettiva e disinnescare le conflittualità tra individui e tra gruppi.

Accade poi che nella competizione su larga scala risultino premiate le collettività più aggressive, che potremmo definire come quelle capaci di realizzare il massimo sfruttamento degli individui. Siccome lo sfruttamento induce stress, affaticamento psichico, insoddisfazione e spinte disgreganti, queste pulsioni vengono equilibrate attraverso la diffusione, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, di visioni strumentali e spesso edulcorate della realtà.

Spingere fino ai limiti una collettività organizzata impiegando visioni ideologizzate, scollate dalla realtà, rappresenta una scommessa rischiosa. Nondimeno è quello che vediamo accadere nelle società più aggressive. Più aumenta lo sfruttamento, più risultano radicate ed invasive le sovrastrutture ideologiche, siano esse di natura teologica (evidenti nelle diverse teocrazie del Medio Oriente), edonistica (tipiche dei sistemi capitalistico/consumisti) o politica (specifiche dei paesi strutturati su modelli comunisti). (...)

Scegliere collettivamente un ‘basso profilo’, privilegiare il benessere reale delle persone rispetto a quello ‘percepito’, ridurre i livelli di stress della popolazione, comporta una perdita di aggressività, che può rendere la collettività stessa facile preda di vicini più disagiati, ideologizzati e bellicosi.

Cosa avviene quando un individuo viene messo di fronte ad una menzogna sulla quale ha basato molte delle proprie scelte di vita e di realizzazione personale? Ovviamente, niente di buono.

La reazione più diffusa consiste in un meccanismo psicologico di rifiuto. Nel difendere il proprio benessere psichico si finisce quindi col difendere, e giustificare, l’intero sistema di inganno attraverso il quale si viene sfruttati, in un perfetto esempio di ‘Sindrome di Stoccolma’. (...)

[Inoltre] le realtà fondate su sistemi organizzati di menzogne investono quantità enormi di risorse per propagare, capillarmente, le proprie visioni distorte della realtà, affinché vengano metabolizzate ed introiettate dalla popolazione. Le singole voci in controtendenza sono condannate all’irrilevanza. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

venerdì 1 novembre 2024

Appunti di Geo-Politica – 5

FILIERE INTERNAZIONALI
Il settore dell’energia, così come l’informatica, la microelettronica e tanti altri, prospera grazie a collaborazioni e joint venture internazionali le quali rischiano di rimanere vittime delle crescenti tensioni politiche tra stati che stanno creando una frattura profonda tra l’Occidente e i paesi afferenti ai BRICS.
Ad esempio, la Cina ha consolidato la leadership nel settore dei pannelli fotovoltaici monocristallini, mentre la UE ha da poco confermato l’intenzione di non sanzionare l’azienda russa ROSATOM a causa della forte dipendenza del comparto atomico europeo nei suoi confronti.
Se davvero Putin sta 'uccidendo' il sistema economico integrato a livello globale, potrebbe risultare molto complesso, se non impossibile, rilocalizzare efficacemente filiere produttive articolate in tutto il mondo, con pesanti ripercussioni per il mantenimento di tecnologie ritenute oramai ampiamente acquisite.
E mentre all’umanità urge approntare risorse utili prima di schiantarsi definitivamente contro gli scogli dei limiti dello sviluppo, è davvero triste che la priorità venga accordata ad armamenti e altri strumenti utili solo per aggravare il disastro.
IGOR GIUSSANI


RUSSIA E ARMAMENTI
[La Russia] – per ragioni inerenti anche al suo suolo e al suo clima – è povero e moderatamente industrializzato. I russi sono poco oltre 140 milioni, ma il PIL del Paese è inferiore a quello dell’Italia (60 milioni). (...)
E tuttavia questo Paese ha una monocultura di (relativo) successo: l’industria delle armi.
Per questo fatto le spiegazioni potrebbero essere molteplici, ma la più semplice è che si tratti di una scelta strategica, inerente ai principi fondamentali legati alla sopravvivenza della Federazione.
Da sempre la Russia teme di essere invasa e dominata (le è del resto avvenuto ripetutamente, data la sua mancanza di confini naturali); dunque avere molte armi e, se possibile di ultimo modello, è una garanzia di sopravvivenza. 
Riuscendo poi a venderle anche all’estero, si possono prendere due piccioni con una fava. (...)
[Inoltre] i russi credono solo alla forza e questa è una sfida alla storia. In particolare al detto francese secondo cui on peut tout faire avec des baïonnettes, sauf s’asseoir dessus: si può fare di tutto con le baionette, salvo sedercisi sopra.
Il senso è che vanno bene per una battaglia, ma non per la normalità. Se Roma è durata tredici secoli è perché, malgrado i suoi enormi difetti, godeva del consenso dei governati.
Se invece la Russia è stata odiata dovunque abbia posato gli stivali (nell’Est europeo per 40 anni e più) è chiaro che era sprovvista della saggezza di Roma. O di Londra, nell’Ottocento.
GIANNI PARDO


SALVARE L'EUROPA
Dopo aver “salvato l’Europa” con il suo famoso 'Whatver it takes' (era il 2012), ecco Mario Draghi che ri-salva l’Europa con il suo piano presentato all’Unione Europea, secondo cui per riprendere in mano le sorti di un continente in declino bisognerebbe spendere (a debito) 800 miliardi all’anno, migliorando investimenti, produttività, concorrenza, armamenti, transizione ecologica. (...)
Ma il convitato di pietra che siede dietro il discorso di Draghi è un colosso gigantesco, minaccioso e vampiresco, che succhia il sangue dell’Europa da decenni, e si chiama Stati Uniti.
Per elencare soltanto qualche elemento innegabile eccone tre.
Il dominio sulle tecnologie, ottenuto grazie alla creazione di immensi e invincibili monopoli, capaci di cancellare le imprese tecnologiche europee e persino di bloccare la ricerca pubblica degli Stati europei, uno.
La gestione globale dei prezzi dell’energia, il cui ultimo ostacolo era il gas russo a basso costo, problema ora risolto, infatti lo compriamo dagli Usa a tre/quattro volte il prezzo di prima (la Germania ne sa qualcosa), due.
E, tre, la metto per ultima ma è fondamentale, la finanziarizzazione dell’economia globale, per cui grandissima parte del risparmio europeo va a finire in fondi Usa o controllati dagli Usa, che quindi drenano il risparmio europeo, e con quello finanziano la loro crescita. (...)
Nella migliore delle interpretazioni possibili, si tratterebbe di dire: i nostri interessi, nostri dell’Europa, non sono comuni a quelli americani, anzi, sono proprio divergenti, quello che va bene a loro non va bene a noi, e viceversa.
ALESSANDRO ROBECCHI


DECLINO AMERICANO
Osserva Emmanuel Todd che l’ipotesi di una ripresa militare-industriale degli Stati Uniti è da escludersi in forza della scarsità di ingegneri a loro disposizione, rispetto ai russi (e ai cinesi) e per la loro predilezione per la produzione di denaro anziché di macchinari.
Il collasso morale e sociale deriva a suo dire dal collasso del protestantesimo, che rende irreversibile il declino americano e apre gli Usa e l’intero occidente al destino del nichilismo.
Da allievo di Max Weber osserva che se il protestantesimo è stato la matrice del decollo dell’occidente e del capitalismo, ora è la sua morte a causarne la dissoluzione. 
Intanto lo stato-nazione si dissolve e trionfa la globalizzazione; gli individui sono ormai privi di qualsiasi credenza collettiva. Il collasso della religione ha spazzato via il sentimento nazionale, l’etica del lavoro, il concetto di una morale sociale vincolante, la capacità di sacrificarsi per la comunità. 
MARCELLO VENEZIANI