Il testo, tratto dal quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung (NZZ), mi è stato mandato dall'amico Sergio Pastore, che ringrazio.
Si tratta di un argomento di grande interesse, non solo a livello storico, ma anche sociale, che può aiutarci a capire meglio il nostro presente ed il nostro futuro.
LUMEN
<< La guerra non è geneticamente determinata, è un fenomeno tardivo ed eccezionale nella storia umana”, dicono un biologo evoluzionista – Carel van Schaik - e uno storico – Kai Michel. Fino a quando gli esseri umani non divennero stanziali nel Neolitico erano pacifici e cooperativi. Da quel momento è esplosa la violenza collettiva, anche a causa del patriarcato. Ma in una prospettiva evolutiva siamo sulla strada giusta per ridiventare pacifici.
In un libro recentemente pubblicato [con Harald Meller], i due autori espongono questa tesi in modo accattivante e convincente. Naturalmente non pochi troveranno l’associazione di guerra e cultura paradossale come pure poco credibile la fine di tutte le guerre. Ma andiamo con ordine.
Che la guerra sia un fenomeno culturale può suonare strano. Per Hobbes la storia dell’umanità è caratterizzata da guerre continue che hanno o avrebbero una causa precisa nella genetica. Secondo Hobbes l’uomo (ominidi, H. erectus, Habilis, Neanderthalensis, Sapiens) sono esseri aggressivi che sono stati costantemente in guerra.
Questa tesi non è però suffragata da evidenti prove. Hobbes partiva dalla sua esperienza e dalle fonti a cui attingeva (per es. a Tucidide): la guerra era per lui una costante nella storia dell’uomo, la triste realtà era: homo homini lupus. Il Sapiens popola la Terra da 250'000 anni, ma notizie attendibili e anche certe sul suo sviluppo si hanno solo a partire dagli ultimi 5000 anni.
Per le epoche precedenti possiamo però avanzare alcune ipotesi basandoci sui ritrovamenti, sull’archeologia e recentemente anche sull’etnografia. Se si eccettuano i casi di violenza individuale, sempre esistiti, il quadro che si può delineare non è proprio quello di una guerra continua tra gli esseri umani.
Il primo omicidio accertato avvenne 430'000 anni fa, ma casi come questo furono sicuramente rari: non vi è alcuna prova di violenza collettiva, cioè di guerre tra gruppi, per il periodo più lungo dell’evoluzione. Il più antico massacro identificato con certezza ebbe luogo 13.400 anni fa sul Nilo a Jebel Sahaba, nell'attuale Sudan, il secondo 10.000 anni fa a Nataruk in Kenya.
Dopo la fine dell’era glaciale cacciatori e raccoglitori cominciano a sfruttare le ricche risorse in riva a laghi e fiumi. Lavoravano la terra, ma ne negavano l’accesso ad altri gruppi.
Si tratta di una innovazione nella storia umana: per la prima volta dei gruppi monopolizzano la terra e la dichiarano di loro proprietà, cosa che irrita gli esclusi che provano invidia e desiderio dei beni accumulati da altri. Il nuovo stile di vita si affermò solo nel Neolitico, iniziato nell’Europa centrale 7.500 anni fa. E con esso arriva la guerra.
Con gli stanziamenti nascono l’agricoltura, l’allevamento del bestiame, la ricchezza e la disuguaglianza. All'improvviso gli umani hanno qualcosa da perdere che devono proteggere. Si formano dei clan e oggi gli archeologi come Harald Meller si imbattono regolarmente in fosse comuni. Il nuovo stile di vita fece aumentare enormemente la popolazione e poiché la terra fertile era scarsa, sorsero rapidamente conflitti.
“La particolarità del nostro approccio – dicono gli studiosi - è che noi tre combiniamo biologia evoluzionistica, archeologia e studi culturali e includiamo anche l'etnografia. Per molto tempo nella storia umana non abbiamo trovato fortificazioni, né armi progettate specificatamente per uccidere altri individui e le pitture rupestri non mostrano scene di violenza. Tutto ciò appare dal Neolitico in poi e diventa normale nei primi stati dispotici che nascono.”
Nel Neolitico appare anche il patriarcato: dominio maschile e guerra si manifestano contemporaneamente e una volta che la guerra si è instaurata come metodo di soluzione dei conflitti non c’è più scampo.
Ma nonostante le guerre attuali, possiamo dire che siamo già sulla strada giusta. Almeno socialmente ed eticamente stiamo diventando di nuovo cacciatori e raccoglitori, cioè più pacifici e cooperativi. Almeno in Occidente c’è più uguaglianza e democrazia.
Fino al XIX secolo inoltrato la schiavitù era considerata del tutto naturale. Ma poi ci si rese conto che era assolutamente disumana. La schiavitù era vantaggiosa solo per i proprietari di schiavi, così come le guerre lo sono per i regnanti e i potenti. Così come il fenomeno culturale della schiavitù è stato cancellato, lo sarà anche il fenomeno culturale della guerra se scacceremo i despoti, gli autocrati e i signori della guerra.
L’enorme sviluppo demografico – siamo passati dai tre miliardi degli Anni Settanta agli otto miliardi attuali, in appena cinquant’anni – potrebbe facilitare paradossalmente uno sviluppo pacifico. Se da un lato l’esplosione demografica ha risvolti preoccupanti per l’ambiente l’interdipendenza di tutti gli Stati può favorire il passaggio a un’era pacifica. Si avvererebbe il detto secondo il quale dove passano le merci non passano gli eserciti. Salvo imprevisti. >>
NEUE ZURCHER ZEITUNG (NZZ)