giovedì 24 febbraio 2022

La trappola dell'aggressività - 1

Un interessante articolo di Marco Pierfranceschi sul tema, sempre scabroso ma irrinunciabile, dell'aggressività umana. Il post è tratto dal suo blog Mammifero Bipede (prima parte di due).  
LUMEN


<< Nel corso di 'Biologia del comportamento umano' tenuto dal prof. Robert Sapolsky alla Stanford University (…), viene descritto il meccanismo dell' aggressività dislocata. In sostanza, quando siamo infuriati o frustrati per situazioni che non siamo in grado di gestire o contrastare, sfoghiamo la nostra rabbia su quello che abbiamo a tiro in prossimità. Tipicamente sulle persone che ci vivono accanto.

« L'idea è che l’aggressività sia in definitiva tutta una questione di frustrazione, dolore, stress, paura, ansia. Un punto di vista fortemente spinto dai ricercatori russi nel periodo dell’Unione Sovietica. Una visione molto marxista perché, essenzialmente, ciò che si conclude alla fine è che l’amigdala ha qualcosa a che fare sia con l’aggressività che con la paura. E che in un mondo in cui nessun neurone amigdaloide ha bisogno di avere un potenziale d’azione per paura, non ci sarà aggressività. 

Questa è la versione estrema del modello di dislocamento della frustrazione. Quando i livelli di disoccupazione salgono, anche i livelli di abuso coniugale aumentano, e ugualmente aumentano i livelli di abuso sui minori. Quando l’economia va male avviene la stessa identica cosa. Negli animali da laboratorio: procura uno shock ad un topo e otterrai che morderà l’animale che ha accanto. Tutte queste sono forme di aggressività dislocata. In una tribù di babbuini, ad esempio, quasi il 50% delle aggressioni sono dovute ad aggressività dislocata, ed avvengono dopo che un individuo ha perso un combattimento o l’accesso a una risorsa. 

Questo meccanismo è in grado di spiegare due aspetti davvero deprimenti sulle società diseguali. Il primo è che più sei povero, più è probabile che tu sia violento, più è probabile che tu commetta atti criminali. E quando l’economia va male il problema si aggrava. Tutto diventa più distorto. L’altro aspetto tragicamente ironico di questo processo è che quando la criminalità sale negli strati socioeconomici più bassi, gli atti criminali sono rivolti in modo schiacciante verso gli altri poveri. 

Quando il crimine aumenta durante i periodi di frustrazione e maltrattamento delle classi socioeconomiche inferiori, non assume la forma in cui, improvvisamente, tutti decidano di scalare il muro fino al palazzo lì accanto e distruggere alcuni dei vasi Ming. Invece si tende ad aggredire le persone che sono vittime proprio accanto a noi. Durante i periodi di recessione economica, i tassi di criminalità nei quartieri più poveri salgono, ed è quasi sempre violenza rivolta agli abitanti del vicinato. » 

Mi è stato relativamente immediato collegare questa modalità comportamentale con quanto già esposto in una precedente lezione, sempre in relazione all’aggressività, dove veniva illustrato un esperimento effettuato su cinque macachi. 

« Prendi cinque macachi maschi (questo è stato uno studio classico). Mettili insieme e formeranno una gerarchia di dominanza. Il numero uno picchia da due a cinque, il numero due da tre a cinque, e così via. Prendi il numero tre e pompalo con il testosterone. Pompalo con quantità folli di testosterone. Quello che vedrai è che sarà coinvolto in un maggior numero di combattimenti. 

Significa che il numero tre ora sta minacciando il numero due e il numero uno? Assolutamente no, quello che sta succedendo è che il numero tre diventa un incubo per i numeri quattro e cinque. Il testosterone sta cambiando la struttura dell’aggressività in questo gruppo? No, sta esagerando la struttura sociale preesistente. »

Lo studio evidenzia quindi una propensione a scaricare l’aggressività sui soggetti più deboli. Un simile comportamento ha, molto verosimilmente, radici nei processi evolutivi. La selezione naturale premia gli individui propensi a scaricare l’aggressività sui più deboli, mentre danneggia quelli che tenderebbero ad attaccare avversari più forti di loro, che avranno elevate probabilità di fare precocemente una brutta fine.

Emergerebbe perciò una propensione biologica a prendersela coi più deboli, in comune con tutto il resto del regno animale. Benissimo, anzi, malissimo. L’esistenza stessa di automatismi psichici di questa natura contrasta con buona parte delle architetture morali ed etiche sviluppate nei millenni dal pensiero umano. Nondimeno, in quanto evidenze scientifiche, occorre tenerne conto.

Prima di proseguire oltre devo chiarire un punto: prendere atto di una fenomenologia comportamentale non presuppone alcun tipo di approvazione morale, di accettazione o di giustificazione della stessa. Attiene alla nostra condizione di individui consapevoli, ed al nostro senso di giustizia, cercare e trovare soluzioni ed equilibri migliori.

E tuttavia occorre prendere atto di meccanismi psicologici che in natura esistono, che interessano la gran parte delle specie viventi capaci di comportamenti relazionali e sociali complessi, e che non possono essere semplicemente ignorati, né pretendere che bastino educazione e modellazione sociale delle abitudini a farli sparire.

L’aggressività dislocata, nello specifico, può dar conto dei maltrattamenti che avvengono all’interno della sfera familiare. In una cultura dominata dalla competizione economica è facile che l’ambito lavorativo produca un accumulo di frustrazioni che finiscono con lo scaricarsi al di fuori di esso. E nella società moderna gli individui trascorrono la maggior parte del proprio tempo in due ambiti relazionali ben distinti: l’ambito lavorativo e quello domestico.

Lo stress e le frustrazioni accumulate nell’ambito lavorativo, dal quale dipendono la retribuzione e il sostentamento, possono scaricarsi in parte sui colleghi, in particolare i sottoposti, ma finiscono più facilmente a proiettarsi nell’ambito familiare, dov’è azzerato il rischio di perdita dell’impiego e della retribuzione relativa.

Aggressività che assume forme e modalità diverse, fisiche e/o psicologiche, a seconda delle modalità individuali di gestione delle dinamiche relazionali. Individui anatomicamente più forti tenderanno ad esercitare di preferenza modalità aggressive di tipo fisico, mentre individui fragili, se intellettivamente dotati, tenderanno più facilmente ad esercitare forme di aggressività di natura psicologica. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

(segue)

giovedì 17 febbraio 2022

La satira di Trilussa

Carlo Alberto Salustri, in arte Trilussa, è vissuto tra la fine dell'800 e la prima metà del '900. Pur avendo scritto in dialetto romanesco, può essere considerato uno dei maggiori poeti satirici italiani, anche perchè i suoi versi sono sempre facilmente compensibili.

Quelle che seguono, sono solo quattro fra le infinite perle uscite dalla sua penna corrosiva. Buon divertimento.

LUMEN


LA LIBBERTA' DE PENSIERO

Un Gatto bianco, ch'era presidente
der circolo der Libbero Pensiero,
sentì che un Gatto nero,
libbero pensatore come lui,
je faceva la critica
riguardo a la politica
ch'era contraria a li principi sui.
― Giacché num badi a li fattacci tui,
― je disse er Gatto bianco inviperito ―
rassegnerai le propie dimissione
e uscirai da le file der partito:
ché qui la pôi pensà libberamente
come te pare a te, ma a condizzione
che t'associ a l'idee der presidente
e a le proposte de la commissione!
― E' vero, ho torto, ho aggito malamente... ―
rispose er Gatto nero.
E pe' restà ner Libbero Pensiero
da quela vorta nun pensò più gnente.


ER COMPAGNO SCOMPAGNO

Un gatto, che faceva er socialista
solo a lo scopo d’arivà in un posto,
se stava lavoranno un pollo arosto
ne la cucina d’un capitalista.

Quanno da un finestrino su per aria
s’affacciò un antro gatto: – Amico mio,
pensa – je disse – che ce so’ pur’io
ch’appartengo a la classe proletaria!

Io che conosco bene l’idee tue
so’ certo che quer pollo che te magni,
se vengo giù, sarà diviso in due:
mezzo a te, mezzo a me… Semo compagni!

No, no: – rispose er gatto senza core
io nun divido gnente co’ nessuno:
fo er socialista quanno sto a diggiuno,
ma quanno magno so’ conservatore!


L'UGUAGLIANZA

Fissato ne l'idea de l'uguajanza
un Gallo scrisse all'Aquila: - Compagna,
siccome te ne stai su la montagna
bisogna che abbolimo 'sta distanza:
perché nun è né giusto né civile
ch'io stia fra la monnezza d'un cortile,
ma sarebbe più commodo e più bello
de vive ner medesimo livello.-
L'Aquila je rispose: - Caro mio,
accetto volentieri la proposta:
volemo fa' amicizzia? So' disposta:
ma nun pretenne che m'abbassi io.
Se te senti la forza necessaria
spalanca l'ale e viettene per aria:
se nun t'abbasta l'anima de fallo
io seguito a fa' l'Aquila e tu er Gallo.


ER SOMARO E EL LEONE

Un Somaro diceva: – Anticamente,
quanno nun c’era la democrazzia,
la classe nostra nun valeva gnente.
Mi’ nonno, infatti, per avé raggione
se coprì co’ la pelle d’un Leone
e fu trattato rispettosamente.

So’ cambiati li tempi, amico caro:
– fece el Leone – ormai la pelle mia
nun serve più nemmeno da riparo.
Oggi, purtroppo, ho perso l’infruenza,
e ogni tanto so’ io che pe’ prudenza
me copro co’ la pelle de somaro!


giovedì 10 febbraio 2022

Vangeli e misteri - 3

I misteri, le imprecisioni e le contraddizioni dei Vangeli canonici, nell'analisi di un grande esperto come Bart Erhman (terza ed ultima parte).

LUMEN


<< Dov’era Gesù il giorno dopo il suo battesimo?

In Matteo, Marco e Luca – i cosiddetti Vangeli Sinottici – Gesù, dopo il suo battesimo, se ne va nel deserto dove viene tentato dal diavolo. Marco in particolare è abbastanza chiaro sulla questione, perché afferma, dopo aver raccontato del battesimo, che Gesù partì “immediatamente” per il deserto.

E Giovanni? In Giovanni non c’è nessun resoconto di Gesù tentato dal diavolo nel deserto. Il giorno dopo che Giovanni Battista ha testimoniato che lo Spirito è sceso su Gesù come una colomba al battesimo (Giovanni 1:29-34), egli vede di nuovo Gesù e lo dichiara essere l’Agnello di Dio (Giovanni è esplicito, affermando che questo è avvenuto “il giorno dopo”).

Gesù inizia quindi a radunare i suoi discepoli intorno a sé (1:35-52) e si lancia nel suo ministero pubblico compiendo il miracolo di trasformare l’acqua in vino (2:1-11). Quindi dov’era Gesù il giorno dopo? Dipende da quale Vangelo si legge.[…]


I racconti della risurrezione

In nessun punto le differenze tra i Vangeli sono più chiare che nei racconti della risurrezione di Gesù. […] Ci sono moltissime differenze tra i quattro racconti, e alcune di queste differenze sono discrepanze che non possono essere facilmente (o mai) riconciliate. […]

Permettetemi qui di sottolineare quanto ho affermato nel mio libro “Gesù non l'ha mai detto”: non abbiamo gli originali di nessuno di questi Vangeli, solo copie fatte dopo, nella maggior parte dei casi molti secoli dopo. Queste copie differiscono tutte l’una dall’altra, molto spesso nei racconti della resurrezione di Gesù. Gli studiosi devono determinare cosa dicevano gli originali sulla base di questi manoscritti successivi. In alcuni punti le decisioni sono abbastanza semplici; in altri c’è molto dibattito.

Su un aspetto in particolare dei racconti della resurrezione c’è poco dibattito: sembra che i dodici versi finali del Vangelo di Marco non siano originali ma siano stati aggiunti da uno scriba di una generazione successiva. Marco concluse il suo Vangelo a quello che ora è 16,8, con le donne che fuggono dalla tomba e non dicono a nessuno quello che hanno visto. Io accetto il consenso degli studiosi sul fatto che i versetti 16:9-21 furono un’aggiunta successiva al Vangelo.

Chiarito questo dettaglio, cosa possiamo dire delle narrazioni della risurrezione nei quattro racconti canonici? Tutti e quattro i Vangeli concordano sul fatto che il terzo giorno dopo la crocifissione e la sepoltura di Gesù, Maria Maddalena andò alla tomba e la trovò vuota. Ma praticamente su ogni dettaglio non sono d’accordo.

Chi andò effettivamente alla tomba? Fu Maria da sola (Giovanni 20:1)? Maria e un’altra Maria (Matteo 28:1)? Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo e Salome (Marco 16:1)? O le donne che avevano accompagnato Gesù dalla Galilea a Gerusalemme – forse Maria Maddalena, Giovanna, Maria madre di Giacomo e “altre donne” (Luca 24:1; vedere 23:55)? La pietra era già stata rotolata via dalla tomba (come in Marco 16:4) o fu rotolata via da un angelo mentre le donne erano lì (Matteo 28:2)?

Chi o cosa videro lì? Un angelo (Matteo 28:5)? Un giovane uomo (Marco 16:5)? Due uomini (Luca 24:4)? O niente e nessuno (Giovanni)? E cosa fu detto loro? Di dire ai discepoli di “andare in Galilea”, dove Gesù li incontrerà (Marco 16:7)? O di ricordare ciò che Gesù aveva detto loro “mentre era in Galilea”, che doveva morire e risorgere (Luca 24:7)?

Poi, le donne dicono ai discepoli ciò che hanno visto e sentito (Matteo 28:8), o non lo dicono a nessuno (Marco 16:8)? Se lo dicono a qualcuno, a chi lo dicono? Agli undici discepoli (Matteo 28:8)? Gli undici discepoli e altre persone (Luca 24:8)? Simon Pietro e un altro discepolo senza nome (Giovanni 20:2)?

Cosa fanno i discepoli in risposta? Non hanno risposta perché Gesù stesso appare loro immediatamente (Matteo 20:9)? Non credono al donne perché sembra essere “un racconto ozioso” (Luca 24:11)? O vanno alla tomba per vedere con i propri occhi (Giovanni 20:3)? […]

Un punto in particolare sembra essere inconciliabile. Nel racconto di Marco le donne sono istruite a dire ai discepoli di andare ad incontrare Gesù in Galilea, ma per paura non dicono una parola a nessuno su questo. Nella versione di Matteo ai discepoli viene detto di andare in Galilea per incontrare Gesù, e lo fanno immediatamente. Egli appare loro lì e dà loro le ultime istruzioni. Ma in Luca ai discepoli non viene detto di andare in Galilea. Viene detto loro che Gesù aveva predetto la sua resurrezione lui mentre era in Galilea (durante il suo ministero pubblico).

E non lasciano mai Gerusalemme – la parte meridionale di Israele, una regione diversa dalla Galilea, al nord. Il giorno della risurrezione Gesù appare a due discepoli sulla “strada di Emmaus” (24:13-35); più tardi quel giorno questi discepoli raccontano agli altri ciò che hanno visto, e Gesù appare a tutti loro (24:36-49);
poi Gesù li porta a Betania, alla periferia di Gerusalemme, dà loro le istruzioni e ascende al cielo.

Nel volume successivo di Luca, Atti, ci viene detto che ai discepoli viene infatti esplicitamente detto da Gesù dopo la sua resurrezione di non lasciare Gerusalemme (Atti 1:4), ma di rimanere lì fino a quando non ricevono lo Spirito Santo il giorno di Pentecoste, cinquanta giorni dopo la Pasqua. Dopo aver dato le sue istruzioni, Gesù ascende al cielo. I discepoli rimangono a Gerusalemme fino alla venuta dello Spirito Santo (Atti 2).

Ed ecco così la discrepanza: se Matteo ha ragione, che i discepoli vanno immediatamente in Galilea e vedono Gesù ascendere da lì, come può avere ragione Luca quando afferma che i discepoli rimangono a Gerusalemme tutto il tempo, vedono Gesù ascendere da lì, e lì rimangono fino al giorno di Pentecoste? […]


Cosa disse il centurione quando Gesù morì?

Anche in questo caso la risposta può sembrare ovvia, specialmente per coloro che ricordano la grande epopea biblica sul grande schermo, La più grande storia mai raccontata, e le parole immortali del centurione interpretato da John Wayne: “Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio”. E questo è, infatti, ciò che il centurione dice nel Vangelo di Marco (15:39).

Ma vale la pena notare che Luca ha cambiato le parole. Nel suo racconto il centurione dice: “In verità quest’uomo era innocente” (23,47). Ci sono sempre stati interpreti che hanno voluto insistere che si tratta della stessa cosa: certo che se è il Figlio di Dio è innocente. Ma le parole sono diverse e hanno significati diversi.

Se un potenziale criminale viene dichiarato “non colpevole” dal tribunale, non è certo la stessa cosa che essere dichiarato Figlio di Dio. Il centurione ha detto entrambe le cose? Si potrebbe dire di sì se l’obiettivo fosse quello di conciliare i Vangeli, e quindi creare ancora una terza versione della scena, a differenza di Marco o Luca. Ma probabilmente è meglio considerare perché il successivo Luca potrebbe aver cambiato le parole.

Per Luca era importante sottolineare che Gesù era completamente innocente delle accuse contro di lui. In Giovanni, per esempio, come in Luca, per tre volte Pilato cerca di liberare Gesù dichiarandolo innocente (a differenza di Marco). E alla fine lo fa anche il centurione. I romani sono tutti d’accordo sull’innocenza di Gesù. Chi è allora colpevole della sua morte? Non i romani, ma le autorità ebraiche, o il popolo ebraico stesso. >>

BART ERHMAN

venerdì 4 febbraio 2022

Vangeli e misteri – 2

I misteri, le imprecisioni e le contraddizioni dei Vangeli canonici, nell'analisi di un grande esperto come Bart Erhman (seconda parte).

LUMEN


<< La nascita di Gesù

Ci sono solo due racconti della nascita di Gesù nel Nuovo Testamento, i capitoli iniziali di Matteo e di Luca. Marco e Giovanni non dicono nulla della sua nascita (la nascita virginale, il suo essere nato a Betlemme e altri elementi della storia di Natale); in Marco e Giovanni, egli appare sulla scena come un adulto. Né i dettagli della sua nascita sono menzionati da Paolo o da qualsiasi altro scrittore del Nuovo Testamento. Quello che la gente sa – o pensa di sapere – sulla storia di Natale viene quindi esclusivamente da Matteo e Luca.

E la storia che viene raccontata ogni dicembre è di fatto una fusione dei racconti di questi due Vangeli, una combinazione dei dettagli di uno con i dettagli dell’altro, al fine di creare un unico grande e armonioso racconto. In realtà, i racconti stessi non sono affatto armoniosi. Non solo raccontano storie completamente diverse su come è nato Gesù, ma alcune delle differenze sembrano essere inconciliabili […]. Il modo più semplice per evidenziare le differenze tra i resoconti è riassumerli entrambi.

Matteo 1:18-2:23 fa così: Maria e Giuseppe sono promessi sposi quando si scopre che Maria è incinta. Giuseppe, sospettando naturalmente il peggio, progetta di divorziare da lei, ma gli viene detto in sogno che Maria ha concepito per mezzo dello Spirito Santo. Si sposano e nasce Gesù.

Dei saggi arrivano dall’est, seguendo una stella che li ha condotti a Gerusalemme, dove chiedono dove nascerà il Re dei Giudei. Il re Erode si informa e viene a sapere dagli studiosi ebrei che è stato predetto che il re verrà da Betlemme. Egli informa i saggi, che procedono verso Betlemme – ancora una volta guidati dalla stella, che si ferma sulla casa dove risiede la famiglia di Gesù.

I saggi gli offrono dei doni e poi, avvertiti in sogno, non tornano a informare Erode, come lui aveva chiesto, ma tornano a casa per un’altra strada. Erode, dato che lui stesso è il re, ha paura di questo nato per essere re e manda le sue truppe a massacrare ogni bambino maschio di due anni e più giovane a Betlemme e dintorni.

Ma Giuseppe viene avvertito del pericolo in un sogno. Lui, Maria e Gesù fuggono dalla città prima del massacro e vanno in Egitto. Più tardi, in Egitto, Giuseppe apprende in sogno che Erode è morto e ora possono tornare. Ma quando scoprono che Archelao, il figlio di Erode, è il governatore della Giudea, decidono di non tornare indietro, ma di andare nel distretto settentrionale della Galilea, nella città di Nazareth. È qui che Gesù viene cresciuto.

Una caratteristica di Matteo che lo distingue da Luca è il modo in cui l’autore sottolinea continuamente che i vari eventi erano “per adempiere ciò che il profeta aveva detto” (Matteo 1:22, 2:6, 2:18, 2:23). Cioè, la nascita di Gesù è un adempimento delle profezie della Scrittura. Luca probabilmente non avrebbe negato questo, ma non dice nulla al riguardo. Ci sono però due punti su cui è d’accordo con Matteo: la madre di Gesù era vergine e lui è nato a Betlemme.

Ma è sorprendente quanto la narrazione di Luca sia diversa da quella di Matteo nel modo in cui afferma questi due punti. La versione molto più lunga di Luca (Luca 1:4-2:40) inizia con un lungo resoconto dell’annuncio dell’angelo a una donna sterile, Elisabetta, che darà alla luce Giovanni (il Battista), che, secondo Luca, è in realtà il cugino di Gesù (Elisabetta e Maria sono parenti; Luca è l’unico scrittore del Nuovo Testamento a dirlo). Luca dice che Maria è una vergine sposata con Giuseppe.

Più tardi un angelo le appare per informarla che anche lei concepirà, per mezzo dello Spirito Santo, e darà alla luce il Figlio di Dio. Ella visita Elisabetta incinta di sei mesi, il cui bambino salta nel grembo per la gioia di essere visitato dalla “madre del [Signore]”. Maria esplode poi in un canto. Giovanni Battista nasce e suo padre, Zaccaria, si lancia in una profezia. E poi arriviamo alla storia della nascita di Gesù. […]

Per quanto riguarda la documentazione storica, dovrei anche sottolineare che non c’è nessun resoconto in nessuna fonte antica di re Erode che massacri i bambini a Betlemme o nei dintorni, Betlemme o qualsiasi altro luogo. Nessun altro autore, biblico o altro, menziona l’evento. È, come il racconto di Giovanni sulla morte di Gesù, un dettaglio inventato da Matteo per dimostrare una specie di punto teologico? I problemi storici con Luca sono ancora più pronunciati.

Per prima cosa, possediamo documenti relativamente buoni per il regno di Cesare Augusto, e non c’è menzione da nessuna parte in nessuno di essi di un censimento in tutto l’impero per il quale tutti dovevano registrarsi tornando alla loro casa ancestrale. E come si potrebbe anche solo immaginare una cosa del genere?

Giuseppe torna a Betlemme perché il suo antenato Davide è nato lì. Ma Davide è vissuto mille anni prima di Giuseppe. Dobbiamo immaginare che tutti nell’Impero Romano fossero tenuti a tornare alle case dei loro antenati di mille anni prima?

Se oggi ci fosse un nuovo censimento mondiale e ognuno di noi dovesse tornare nelle città dei suoi antenati di mille anni prima, dove andrebbe? Riuscite a immaginare lo sconvolgimento totale della vita umana che questo tipo di esodo universale richiederebbe? E potete immaginare che un tale progetto non verrebbe mai menzionato in nessun giornale?

Non c’è un solo riferimento a un tale censimento in nessuna fonte antica, a parte Luca. Perché allora Luca dice che ci fu un tale censimento? La risposta può sembrarvi ovvia. Voleva che Gesù nascesse a Betlemme, anche se sapeva che veniva da Nazareth. Anche Matteo lo voleva, ma lo fece nascere lì in un modo diverso.

Le differenze tra i racconti sono abbastanza evidenti. Praticamente tutto ciò che viene detto in Matteo manca in Luca, e tutti i racconti di Luca mancano in Matteo. Matteo menziona sogni che vennero a Giuseppe che sono assenti in Luca; Luca menziona visite angeliche a Elisabetta e Maria che sono assenti in Matteo. Matteo ha i saggi, il massacro dei bambini da parte di Erode, la fuga in Egitto, la Sacra Famiglia che aggira la Giudea per tornare a Nazareth – tutto questo manca in Luca.

Luca ha la nascita di Giovanni Battista, il censimento di Cesare, il viaggio a Betlemme, la mangiatoia e la locanda, i pastori, la circoncisione, la presentazione al Tempio e il ritorno e subito dopo torna a casa – tutto ciò che manca in Matteo. Ora può essere che Matteo stia semplicemente raccontando una parte della storia e che Luca stia raccontando il resto, così che siamo giustificati ogni dicembre nel combinare i due racconti in una recita di Natale dove si hanno sia i pastori che i saggi, sia il viaggio da Nazareth che la fuga in Egitto.

Il problema è che quando si comincia a guardare i racconti da vicino, non ci sono solo differenze ma anche discrepanze che sembrano difficili se non impossibili da conciliare. Se i Vangeli hanno ragione sul fatto che la nascita di Gesù avvenne durante il regno di Erode, allora Luca non può avere ragione anche sul fatto che avvenne quando Quirinio era governatore della Siria. Sappiamo da una serie di altre fonti storiche, tra cui lo storico romano Tacito, lo storico ebreo Flavio Giuseppe e diverse iscrizioni antiche, che Quirinio non divenne governatore della Siria fino al 6 d.C., dieci anni dopo la morte di Erode.

Un attento confronto dei due racconti evidenzia anche discrepanze interne. Un modo per arrivare al problema è chiedere questo: Secondo Matteo, qual era la città natale di Giuseppe e Maria? La reazione naturale è dire “Nazareth”. Ma solo Luca dice questo. Matteo non dice nulla del genere.

Egli menziona per la prima volta Giuseppe e Maria non in relazione a Nazareth ma a Betlemme. I saggi, che stanno seguendo una stella (presumibilmente ci è voluto del tempo), vengono ad adorare Gesù nella sua casa di Betlemme. Giuseppe e Maria evidentemente vivono lì. Non c’è nulla di una locanda e di una mangiatoia in Matteo. Inoltre, quando Erode massacra i bambini, ordina ai suoi soldati di uccidere tutti i maschi di due anni e meno.

Questo deve indicare che Gesù era nato qualche tempo prima dell’arrivo dei saggi. Altrimenti l’istruzione non ha molto senso: sicuramente anche i soldati romani potrebbero riconoscere che un bambino che cammina nel parco giochi non è un neonato nato una settimana prima.

Quindi Giuseppe e Maria vivono ancora a Betlemme mesi o addirittura un anno o più dopo la nascita di Gesù. Come può avere dunque ragione Luca quando dice che sono di Nazareth e sono tornati lì solo un mese o poco più dopo la nascita di Gesù?

Inoltre, secondo Matteo, dopo che la famiglia fugge in Egitto e poi ritorna alla morte di Erode, inizialmente progettano di tornare in Giudea, dove si trova Betlemme. Non possono farlo, però, perché ora Archelao è il sovrano, e così si trasferiscono a Nazareth. Nel racconto di Matteo non sono originari di Nazareth ma di Betlemme. Ancora più evidente, però, è la discrepanza che riguarda gli eventi successivi alla nascita di Gesù.

Se Matteo ha ragione sul fatto che la famiglia fuggì in Egitto, come può Luca avere ragione sul fatto che tornarono direttamente a Nazareth? In breve, ci sono enormi problemi con i racconti di nascita se visti da una prospettiva storica. Ci sono implausibilità storiche e discrepanze che difficilmente possono essere conciliate.

Perché queste differenze? La risposta potrebbe sembrare ovvia ad alcuni lettori. Quello che i critici storici hanno detto a lungo su questi racconti evangelici è che entrambi cercano di enfatizzare gli stessi due punti: che la madre di Gesù era vergine e che è nato in Betlemme. E perché doveva nascere a Betlemme? Matteo colpisce nel segno: c’è una profezia nel libro vetero-testamentario di Michea che un salvatore sarebbe venuto da Betlemme.

Cosa dovevano fare questi scrittori di vangeli con il fatto che era ampiamente noto che Gesù veniva da Nazareth? Dovevano inventarsi una narrazione che spiegasse come egli venisse da Nazareth, in Galilea, un paesino che nessuno aveva mai sentito nominare, ma che fosse nato a Betlemme, la casa del re Davide, antenato reale del Messia.

Per avere Gesù nato a Betlemme ma cresciuto a Nazareth, Matteo e Luca hanno trovato indipendentemente delle soluzioni che senza dubbio hanno convinto ciascuno di loro come plausibili. […] >>

BART ERHMAN

(segue)