Eppure, nel suo nome, continuano periodicamente ad essere sollevate furiose polemiche, ora di fiera e rinnovata condanna, ora di parziale rilettura.
A questo apparente paradosso è dedicato il post di oggi, scritto da Uriel Fanelli per il suo blog (prima parte di due).
LUMEN
Il problema viene quando andiamo ad investigare gli aspetti che [oggi] consideriamo di sinistra. Prendiamo per esempio i sindacati. Tutti voi sarete portati a pensare che il sindacato come lo conosciamo sia una cosa “di sinistra”, ovvero che sia figlio del mondo del comunismo o dei partiti di sinistra. Questo non e’ evidentemente vero.
Nel mondo comunista o “di sinistra”, il sindacato e’ un ente in lotta, e ha lo scopo finale di espropriare la proprieta’ ed il plusvalore delle aziende – dette mezzi di produzione – a favore dei lavoratori. Esso propone una forma cooperativa di gestione, ove l’azienda e’ una cooperativa di lavoratori. E non prevede affatto alcun patronato, che e’ nemico per definizione, e contro il quale la lotta e la mobilitazione sono permanenti.
Non e’ prevista l’idea di pace o di convergenza di obiettivi tra “padroni” e “lavoratori”. L’idea di base e’ che la stessa proprieta’ dei mezzi di produzione, e l’appropriazione del plusvalore (oggi diremmo EBT) delle aziende sia un crimine contro i lavoratori, che invece meritano tutto il vantaggio economico dell’azienda. Dal momento che il sindacato e’ rivoluzionario , ovvero parte di una rivoluzione, si comporta come un ente clandestino , che ottiene i propri risultati obtorto collo, e non e’ interessato particolarmente al riconoscimento da parte dello stato, che subira’ l’immancabile rivoluzione.
Il fascismo ha una sua idea parallela. Esso riconosce l’esistenza di classi sociali, come il comunismo (per il capitalismo tutti hanno un’opportunita’ e non esistono classi ma solo merito) , ma a differenza di capitalismo e comunismo propone una societa’ pacificata.Le corporazioni, tra cui quelle dei lavoratori, esistono e devono lavorare per migliorare le condizioni di tutti, ma non devono lottare tra loro ne’ produrre tensioni sociali o lotte, tantomeno scontri.
Esse sono riconosciute dallo stato con il quale cooperano alla pacificazione sociale, e non ottengono quanto vogliono obtorto collo, bensi’ mediante un accordo corporativo con le corporazioni degli industriali, delle quali accettano la legittimita’ costituzionale. Col fascismo compaiono, come forma tipica di istituzioni pubbliche, le parti sociali. Che NON sono enti rivoluzionari, che sono riconosciute dallo stato, che svolgono una funzione riconosciuta dallo stato, e che lavorano a spegnere le tensioni sociali anziche’ alla lotta e alla rivoluzione.
Stabilito questo, appare chiara una cosa. I sindacati europei sono stati inizialmente comunisti, ovvero di sinistra, ma poi si sono “evoluti”. E quello che viene considerato un sindacalismo “moderno”, altro non e’ che l’idea fascista di sindacato. Se i sindacati moderni non parlano di rivoluzione, sono riconosciuti da leggi e costituzioni, riconoscono la controparte dei “padroni” e dialogano al fine di spegnere le tensioni, qualcuno potra’ parlare di concertazione ed altri di socialdemocrazia, ma cio’ che si sta facendo e’ di riapplicare, tale e quale, l’idea fascista di sindacato, ovvero la camera del lavoro, o corporazione che dir si voglia.
I sindacati europei moderni sono, cioe’, entita’ ideate esplicitamente dal fascismo, operano cosi’ come il fascismo le aveva pensate, e possono essere considerate entita’ fasciste a tutto tondo. Non c’e’ alcuna differenza tra il sindacato “moderno”, che agisce esattamente come pensato dal fascismo mussoliniano, e il sistema fascista, se non la struttura politica ove si inserisce.
Nella sostanza, il sindacato originale “di sinistra” appare oggi vecchio, con una terminologia obsoleta e rivoluzionaria, estremista e violento, per la semplice ragione che il sindacato moderno e’ suo naturale nemico, essendo essenzialmente un sindacato disegnato dal fascismo per pacificare la societa’. L’idea di dare legittimita’ ad ogni parte sociale chiedendo alle parti stesse di abbandonare propositi di lotta, violenza o rivoluzione per una pacificazione sociale e’ , essenzialmente, l’ideologia fascista. Tale idea nasce col fascismo ed e’ originale del fascismo stesso.
Il secondo discorso e’ quello del welfare. Checche’ se ne dica, i sistemi comunisti non hanno alcun “welfare” all’interno, per la semplice ragione che il welfare nasce – sin dal tempo romano – con l’idea di aiutare le persone in difficolta’. Che si tratti di distribuzioni di pane di fronte al Colosseo, o di ospedali pubblici o enti caritatevoli, sino agli Opifici dell’ottocento, il punto e’ che si tratta di soluzioni pensate per aiutare chi si trova in difficolta’.
Ma le difficolta’, secondo il marxismo, nascono perche’ le risorse non sono tutte di proprieta’ dello stato, che le distribuisce equalmente. Nel mondo sovietico, come in tutti i paesi comunisti, lo stato possiede tutto e lo ridistriubuisce. Questa non e’ una forma di welfare, perche’ non si tratta di un aiuto ai bisgnosi: si tratta semplicemente di appropriazione delle risorse da parte del popolo.
L’idea di welfare , ovvero di ammortizzatori sociali volti ad agire – come reazione – a favore di chi soffre di un destino peggiore e’ piu’ vecchia del fascismo, ma solo col fascismo essa diventa una forma di pacificazione sociale. E’ Mussolini il primo a pensare al welfare come ad una forma invasiva di ridistribuzione sociale su scala globale, il cui risultato e’ la pacificazione totale della societa’. Solo con Mussolini il welfare viene esteso non solo oltre l’elemosina, ovvero all’aiuto degli ultimi, ma all’intera societa’.
E’ con Mussolini che il sistema delle pensioni investe TUTTI, non solo gli anziani in difficolta’ economiche. E’ con Mussolini che improvvisamente le camere del lavoro vietano il lavoro minorile, aiutano gli studenti ad andare a scuola e premiano QUALSIASI famiglia abbia piu’ di un certo numero i figli. E’ con Mussolini che l’ideologia di welfare investe campagne , il mondo della casa, in maniera pervasiva, onniscente e senza distinzioni di classe.
Il risultato di questo e’, per la prima volta, di un welfare che senza espropriare i beni invade ogni aspetto della vita economica senza essere specifico delle classi diseredate in situazione di palese emergenza.
Se prima il welfare aiutava gli ultimi ed era indirizzato solo a loro, il welfare mussoliniano investe l’intera societa’, anche chi apparentemente ha un lavoro e non ne abbisognerebbe e’ teoricamente tutelato, e specialmente interviene laddove esistono i grandi conflitti sociali del mondo industriale, ovvero le famiglie industriali e le famiglie inurbate nelle nascenti citta’, che faticano a sostenere il peso degli anziani, per i quali viene inventato il sistema pensionistico universale.
Mussolini offre alla borghesia una societa’ pacificata dai conflitti sociali. Per fare questo, crea per la prima volta in Europa un welfare cosi’ possente da essere universale, cioe’ da coinvolgere tutti. I borghesi accettano di pagare tasse per le pensioni dei meno abbienti, perche’ sanno che questo allentera’ le pressioni sociali di quelle famiglie che non hanno piu’ un reddito agricolo sufficiente a mantenere anziani, e spegnere il crescente malcontento delle famiglie inurbate.
Chiunque, e non solo gli straccioni, beneficia di sanita’ e ammortizzatori sociali. La nascita delle camere del lavoro si occupa del problema di trovare lavoro senza per questo rivolgersi solo a disperati e barboni. >>
URIEL FANELLI
(segue)