Libertà di satira e sentimento religioso in un articolo scritto da Paolo Flores d'Arcais nel 2015, dopo l’attentato contro Charlie Hebdo (traduzione dal francese dell’amico Sergio, che ringrazio). Lumen
<< La libertà deve essere fra uguali, altrimenti è un privilegio. La libertà deve trovare un limite insormontabile nella libertà uguale dell’altro. Una libertà assoluta è contraddittoria, essa esiste soltanto per colui che considera gli altri a lui soggetti. Ma dove porre i limiti di questa libertà uguale? Perché all’interno di questi limiti la libertà di ciascuno non potrebbe ammettere la minima restrizione senza essere interamente rimessa in gioco.
Papa Francesco (…) ha dichiarato: “Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non la si può ridicolizzare.” Parimenti Slimane Chikh, ex rettore dell’Università di Algeri e oggi rappresentante dell’OCI (Organizzazione della cooperazione islamica) a Ginevra: “Qualsiasi libertà deve fermarsi dove comincia la libertà di religione. Gli attacchi ripetuti di Charlie Hebdo contro l’islam sono delle provocazioni.”
Tariq Ramadam, considerato un islamico aperto e riformista, ha parlato di “umorismo dei vigliacchi” con i cadaveri ancora caldi (…). Infine, Tony Barber, redattore capo del Financial Times dichiara il giorno stesso dell’attentato: (…) non si può ammettere la libertà di farsi beffe di ciò che per altrui è sacro. Libertà di critica, d’accordo, libertà di offendere no.
Questa formula sta per diventare egemonica nelle nostre democrazie contemporanee nonostante (e contro) la volontà di milioni di francesi che sono sfilati al motto di “Je suis Charlie”. Questo apparente sillogismo cela un ragionamento fallace che calpesta la logica e mette in pericolo la democrazia. Perché è chiaro: chi deciderà se un’affermazione è semplicemente una critica e non un’offesa?
Wojtyla e Ratzinger si sono spinti più volte fino a rendere i Lumi responsabili dei totalitarismi del XX secolo in quanto volevano rendere l’uomo autonomo da Dio. C’è qualcosa di più fanatico che imputare la responsabilità dei lager e dei gulag a Voltaire e a Hume? Non è questo un insulto per noi tutti ? Si può concepire un oltraggio più grande di questo per la democrazia?
Per Tariq Ramadan “noi non possiamo immaginarci un progresso contro ciò che è stato rivelato”, la stessa cosa afferma Hani Ramadan. Inoltre molti credenti delle tre religioni del Libro (e di più ancora i loro preti, rabbini e imam) considerano gli atei come dei malati mentali o degli invalidi poiché senza fede: sono esistenzialmente atrofizzati perché incapaci di elevarsi al trascendente.
Io potrei essere indignato per le affermazioni dei papi e dei fratelli musulmani. Potrei sentirmi offeso per essere considerato un handicappato spirituale, esattamente come un credente potrebbe sentirsi offeso dalla mia sicura e incrollabile convinzione che tutte le religioni non sono nient’altro che un’accozzaglia di superstizioni.
Prendiamo l’eucaristia: che alcuni immaginino che un profeta ebreo giustiziato sotto l’imperatore Tiberio sia presente in carne e ossa in alcune cialde di pane distribuite ogni domenica durante la messa mi appare come un insulto alla ragione, più allucinante che credere agli oroscopi, alle congiunzioni astrali e alla stregoneria. E spesso ancora più pericoloso, come testimoniano i roghi degli eretici o le numerose notti di San Bartolomeo.
Se il criterio dell’offesa diventa il paradigma della libertà sarà allora la suscettibilità a dirimere. Ma la tua libertà ha un limite nella mia libertà, non nella mia suscettibilità che è per definizione soggettiva e varia da una persona all’altra. Sono libero di farmi beffe della tua religione perché le mie beffe non ti impediranno mai di praticarla, e tu sei libero di ridere delle mie convinzioni atee, ma non puoi impedirmi di dichiararle ad alta voce pretendendo che esse sono un’offesa alla tua sensibilità. Questa è la simmetria della libertà.
Se non fosse così ogni credente sarebbe titolare di un diritto di censura; di conseguenza i fondamentalismi di ogni confessione fisserebbero i limiti della libertà. Sembra un paradosso, ma non lo è affatto. Ragioniamo con calma. Se tu accetti che è proibito farsi beffe di ciò che ciascuno considera sacro allora ne consegue come corollario: quanto più grande è la sua fede, tanto più numerose saranno le espressioni e le azioni che per lui costituiscono non solo un’offesa, ma un sacrilegio.
Quanto più grande è la suscettibilità di un credente (che tocca il suo acme nel fanatismo), tanto più grande sarà il suo diritto di far tacere gli altri: è il risultato logico delle parole di papa Francesco che a tutta prima sembrano ragionevoli, ma anche grondanti tolleranza ecumenica (sono riprese continuamente da tutti i rabbini e gli imam).
Ma c’è di peggio: il criterio della suscettibilità, inerente alla categoria dell’offesa, crea un meccanismo sociale che incoraggia il rilancio: quanto più sono intollerante, tanto più ho diritto di farti tacere, per cui acquisisco sempre più potere allorché allento le redini della mia allergia alle offese, allergia che si trasformerà in risentimento, poi in rabbia, infine fanatismo. Le pulsioni di onnipotenza che sonnecchiano in ciascuno di noi rischiano così di risvegliarsi selvaggiamente.
Aggiungiamo ancora questo: se è giusto censurare ciò che offende le religioni, allora dovremo legiferare in funzione dell’ipersensibilità degli ebrei, dei cristiani, dei musulmani, ma anche dell’idiosincrasia dei testimoni di Geova, dei mormoni, degli adoratori di Manitù (sembra che gli Amerindi desiderino tornare alle origini), senza dimenticare gli scientologi ed altri ancora. Tutto ciò che agli occhi di questa o quella religione, di questa o quella credenza è considerato oggetto di fede sarà colpito da ostracismo.
Che cosa resterà della libertà di critica quando avremo abolito la libertà di offendere? Ogni pretesa di Verità avrà diritto di mettere la museruola a ciò che considera ingiuria. Ma per centinaia di milioni di persone furono sacri Stalin e Mao o anche la “supremazia della razza bianca” secondo il Ku Klux Klan: guai a criticarli ! La logica secondo cui “non si può offendere” è feroce. Una volta affermatasi non potremo premere il pulsante «on-off» a nostro piacere.
E infine: per le religioni non solo la satira è una provocazione, ma anche certe leggi democratiche. Infatti per centinaia di musulmani la legge francese che vieta il velo integrale in pubblico è risentita come offensiva, e milioni di cristiani in Occidente s’indignano delle leggi che permettono alle donne di abortire.
Negli Stati Uniti medici e infermieri che hanno applicato queste leggi sono stati assassinati (e molto probabilmente ne saranno uccisi altri). Dei fanatici? Senza dubbio. Ma erano cristiani che si sentivano mortalmente offesi dalla legge sull’aborto. In sintonia con i monarchi vaticani, Ratzinger e San Giovanni Paolo, che hanno condannato l’aborto come «genocidio dei nostri tempi» paragonando logicamente medici e infermieri che applicano la legge alle SS.
Ma Francesco non si è solo allineato a quanti vogliono proibire l’offesa alla religione degli altri. Ha meglio chiarito il suo pensiero aggiungendo: “Se qualcuno parla male di mia madre deve aspettarsi un pugno in faccia, è normale.” Normale, certo, per un mascalzone o uno di quei machos di una volta. Ma il pugno di Francesco si trasforma facilmente in un revolver in mano a un militante di Pro-Life o in un kalashnikov nelle mani di un islamico. Perché se è la suscettibilità a fissare i limiti della libertà, sarà ancora la suscettibilità a decidere della punizione.
Questa logica oscurantista rimette dunque alla discrezione del fanatico di decidere se il bestemmiatore si prenderà un pugno in faccia o subirà una migliaio di frustate, come il blogger saudita Raif Badawi o magari una mitragliata. In ogni caso il bestemmiatore se la sarà andata a cercare. Del resto questa è l’opinione maggioritaria in non poche scuole di periferia, come riportano degli insegnanti giustamente allarmati.
Ma torniamo alla libertà di espressione che – per essere libertà tra uguali – non può essere assoluta, come abbiamo visto. Ora poiché il razzismo rende impossibile concepire l’uguale dignità degli altri membri della specie «homo sapiens» non può essere ammesso nello spazio pubblico. Ma non dimentichiamo mai questa distinzione: l’antisemitismo è espressione di razzismo e deve essere vietato, la critica dell’ebraismo in quanto religione e l’antisionismo, critica di una politica, devono avere diritto di cittadinanza.
In secondo luogo: i fascismi, cioè quei regimi che in perfetta coerenza con la loro ideologia hanno fatto strame di tutte le libertà democratiche, non possono essere tollerati. Sarebbe assurdo – e persino masochistico - che, dopo aver vissuto la prova tragica del fascismo, corressimo il rischio che altre generazioni siano costrette a “dissotterrare dalla paglia fucili e mitraglie” per riconquistare la libertà al prezzo di sangue e sofferenze.
Conosciamo l’obiezione: e allora i comunisti ? Non sono contro la libertà ? Nell’URSS, in Cina ecc. è così: contraddicono con le loro azioni ciò che proclamano in teoria. Ma io non proclamo in generale “nessuna libertà per i nemici della libertà” (l’espressione è di Saint-Just!): su questa strada c’incammineremmo verso l’arbitrarietà.
Ma dico che è dovere dell’Europa di non dimenticare i morti e i calpestati dai fascismi, di impedire i brodi di cultura in cui possano svilupparsi di nuovo i virus dei fascismi. Ciò si può ottenere con leggi ad hoc e/o con un tabù morale e sociale molto più esteso e dunque più efficace.
Oltre questi interdetti ci sono le leggi ordinarie che puniscono la diffamazione personale (di cittadini reali, non di idee e articoli di fede) e l’incitazione all’assassinio, dunque il terrorismo omicida. Dire “Je suis Colibaly” il giorno dopo che un Coulibaly ha ucciso, è un’incitazione all’assassinio, non libertà d’espressione. È così difficile notare l’abisso di differenza?
Dunque diciamolo senza sfumature e in breve: tra la libertà dei Lumi proclamata dalla folla che gridava «Je suis Charlie» e la laicità «castrata» del papa, dei fratelli Ramadan e del Financial Times, l’Europa deve scegliere perché queste libertà sono inconciliabili. È uno choc delle culture che dobbiamo affrontare, unitamente alla lotta per l’uguaglianza materiale e sociale, con lo stesso impegno: una libertà che non si fondi sull’uguaglianza e la fraternità, non è una libertà repubblicana. > >
PAOLO FLORES D’ARCAIS