venerdì 26 aprile 2019

Il paradosso del potere

E opinione abbastanza diffusa che, per avere successo nella vita ed arrivare ai vertici del potere, sia molto utile avere un carattere non solo deciso ed ambizioso, ma anche privo di debolezze o di particolare empatia per gli altri.
Alcuni studiosi, però, sostengono che può valere anche il discorso inverso, e cioè che coloro i quali, per una serie di motivi (magari anche casuali), arrivano ai vertici del potere, finiscono per “peggiorare” il proprio carattere, modificando addirittura la propria personalità.
Ce ne parla Annamaria Testa in questo interessante pezzo tratto dal sito “Internazionale”. 
 LUMEN


<< Che cosa frulla nella mente delle persone di potere? Ce lo domandiamo – e capita non di rado – quando i loro comportamenti ci appaiono contraddittori, o poco comprensibili, o così arroganti da essere difficili da sopportare. Un recentissimo articolo uscito sull’Atlantic ci invita a porci la domanda in termini più radicali: che cosa succede al cervello delle persone di potere?

L’Atlantic cita un paio di pareri autorevoli. Secondo Dacher Keltner, docente di psicologia all’università di Berkeley, due decenni di ricerca e di esperimenti sul campo convergono su un’evidenza: i soggetti in posizione di potere agiscono come se avessero subìto un trauma cerebrale. Diventano più impulsivi, meno consapevoli dei rischi e, soprattutto, meno capaci di considerare i fatti assumendo il punto di vista delle altre persone.

Sukhvinder Obhi è un neuro-scienziato dell’università dell’Ontario. Non studia i comportamenti, ma il cervello. Quando mette alcuni studenti in una condizione di potere, scopre che questa influisce su uno specifico processo neurale: il rispecchiamento, una delle componenti fondamentali della capacità di provare empatia.

Ed eccoci alla possibile causa di quello che Keltner definisce paradosso del potere. Quando le persone acquisiscono potere, perdono (o meglio: il loro cervello perde) alcune capacità fondamentali. Diventano meno empatiche, cioè meno percettive. Meno pronte a capire gli altri. E, probabilmente, meno interessate o disposte a riuscirci.

Inoltre. Spesso le persone di potere sono circondate da una corte di subordinati che tendono a rispecchiare il loro capo per ingraziarselo, cosa che non aiuta certo a mantenere un sano rapporto con la realtà. E ancora: è il ruolo stesso a chiedere che le persone di potere siano veloci a decidere (anche se non hanno elementi sufficienti per farlo, né tempo per pensarci), assertive (anche quando non sanno bene che cosa asserire. O quando sarebbe meglio prestare attenzione alle sfumature) e sicure di sé al limite dell’insolenza.

I top manager delle multinazionali girano freneticamente per il mondo come polli decapitati: decidono guidati dall’ansia, senza pensare, senza capire, senza vedere e senza confrontarsi. L’ho sentito dire nel corso di una riunione riservata ai partner di un’assai nota società internazionale di consulenza, dal relatore più anziano e autorevole. Mi sarei aspettata qualche brusio di sconcerto tra gli astanti, e invece: ampi segni di assenso.

Ho il sospetto che la sindrome del pollo possa appartenere non solo a chi guida le imprese, ma anche a chi governa le istituzioni e le nazioni. Il fatto è che le persone di potere “devono” andare dritte per la loro strada, infischiandosene di tutto quanto sta attorno. Questo può aiutarle a raggiungere i loro obiettivi (il che è molto vantaggioso a breve termine), ma ne danneggia le capacità di decisione, di interazione e di comunicazione, che nel lungo termine sono strategiche.

Il potere logora chi non ce l’ha, diceva Andreotti, che di potere sapeva abbastanza, citando Maurice de Talleyrand. Ma la citazione medesima contiene una dose consistente di protervia. C’è una parola molto antica che descrive bene tutto ciò: hỳbris. Indica la tracotanza presuntuosa di chi ha raggiunto una posizione eminente e si sopravvaluta. È notevole il fatto che nel termine greco sia implicita anche la fatalità di una successiva punizione, divina o terrena: il fallimento, la caduta.

Si stima che il 47 per cento dei manager falliscano, scrive Adrian Furnham, docente di psicologia all’University College di Londra. È una percentuale molto alta. Uno dei principali motivi di fallimento è il narcisismo: un cocktail deteriore di arroganza, freddezza emozionale e ipocrisia.

C’è un paradosso: è facile ammirare e rispettare le persone carismatiche e fiduciose in se stesse. Ma non è così semplice distinguere il carisma dal narcisismo, che per molti versi ne è il lato oscuro. Sappiamo davvero individuare il confine che c’è tra assertività e prepotenza? Tra sicurezza e ostinazione? Tra fascino e manipolazione? Tra pragmatismo e cinismo?

C’è un ulteriore paradosso: prepotenza, ostinazione, manipolazione e cinismo possono perfino rivelarsi utili nelle battaglie per la conquista del potere, che sono spesso logoranti, sleali e feroci. Ma, una volta ottenuto il potere, per mantenerlo servirebbe proprio quella visione più aperta ed equilibrata che – l’abbiamo visto prima – il ruolo stesso sembra rendere difficilissima da procurarsi e mantenere. Il potere è l’afrodisiaco supremo, diceva Henry Kissinger.

Ma “difficilissimo” non vuol dire “impossibile”. D’altra parte, almeno nelle democrazie occidentali e nelle imprese moderne, il potere si conserva nel lungo termine solo attraverso il consenso. E la capacità di mantenere il consenso è direttamente proporzionale alla capacità di comunicare, di ascoltare e di interagire mettendosi a confronto.

Ehi, si può fare! Persone di potere dotate di un carisma privo di narcisismo esistono. In oltre quarant’anni, mi è perfino capitato di incontrarne alcune, tra politica e impresa, ma posso contarle sulle dita di una mano. Ce ne vorrebbero molte di più. >>

ANNAMARIA TESTA

venerdì 19 aprile 2019

Punti di vista - 6

CAPITALISMO – 1
Il capitalismo non è stato inventato dagli economisti classici. Essi lo hanno soltanto “constatato” e “descritto”, cercando di capirne le regole.
Marx invece non si è limitato ad osservarlo: ha sostenuto che andava cambiato. Bisognava sostituire il capitalismo privato col capitalismo di Stato. (…)
Il capitalismo privato non è una “teoria”, come il marxismo: è la posizione di “default” dell’economia, il suo equilibrio stabile.
Gli esseri umani, lasciati liberi, si comportano da capitalisti.
Il sistema non è esente da difetti, ma la differenza è che il socialismo, volendo la perfezione, alla lunga crea miseria, mentre la libertà economica, col suo “irragionevole edonismo competitivo”, crea ricchezza.
GIANNI PARDO


CAPITALISMO - 2
Il capitalismo è un sistema in cui l’investimento di capitale privato è il motore della crescita.
L’investimento privato avviene se, e solo se, reputa che alla fine di ciascun ciclo produttivo il profitto supererà significativamente quanto investito inizialmente. La crescita del profitto esige la crescita della produzione (vendibile) in rapporto all’investimento.
La crescita della produzione implica la crescita di processi di trasformazione e consumo di risorse.
Per quanto non ogni crescita in ogni settore implichi necessariamente incrementi significativi di trasformazione e consumo, la tendenza generale è inevitabilmente quella.
La competizione di mercato incentiva la mobilità di merci e forza lavoro, che amplifica a sua volta tutti i processi di trasformazione e consumo delle risorse. Il sistema si fonda sulla concorrenza tra capitalisti in competizione per margini di profitto.
Tale concorrenza plurale rende il sistema intrinsecamente decentrato e privo di supervisione, dunque essenzialmente anarchico e ingovernabile.
Date queste premesse, il sistema capitalistico entra necessariamente in rotta di collisione con gli equilibri ambientali.
Questo, va da sé, non implica che un sistema non-capitalista debba automaticamente rispettare gli equilibri ambientali. Tuttavia esso è nelle condizioni di decidere se farlo.
ANDREA ZHOK


PADRI E MADRI
La condivisione della genitorialità non pone fine alla battaglia fra i sessi.
Non necessariamente elimina la tensione fra gli interessi della madre e quelli del padre, che sorge dal loro diverso investimento di sforzo prima della nascita.
Anche nelle specie di mammiferi e di uccelli che praticano la cura della prole da parte del padre, i maschi cercano di minimizzare la cura che possono prestare in modo che la prole rimanga comunque in vita grazie agli sforzi della madre.
I maschi cercano anche di fecondare le compagne di altri maschi, cosicché lo sfortunato cornuto si prenda cura della prole di chi l’ha reso tale.
Quindi hanno buone ragioni per diventare paranoici sul comportamento della compagna.
JARED DIAMOND


SOVRANITA’ ITALIANA
Se c'è una cosa che è diventata palese dopo le ultime elezioni è che l'Italia non ha alcuna sovranità, non esiste più come Stato nazionale.
Le elezioni sono come il corteo storico del Palio, una simpatica rappresentazione in costume, folkloristica. (…)
La Costituzione italiana (…) da diversi anni è stata subordinata a quella che doveva essere la Costituzione europea e poi è diventata una più generale "normativa comunitaria".
Significa che una direttiva europea ha la precedenza sulla Costituzione italiana e quindi su qualsiasi pronunciamento del Parlamento italiano e quindi prevale sulla volontà degli Italiani.
LORENZO CELSI


TERRITORIO E CEMENTO
In Italia l’intero spettro politico, il coro dei media, gli industriali, e persino buona parte della popolazione sono uniti nel chiedere più cemento: si dividono solo sul dove e come.
C’è chi vuole più infrastrutture, le quali pare non bastino mai, mai, mai.
C’è chi invece propone di fare manutenzione (senza porsi il problema di cosa è utile e cosa sovradimensionato), chi chiede più edilizia popolare, chi concessioni all’edilizia privata, e poi case, scuole, ricostruzioni varie, dighe, centralone e centraline elettriche e, capolavoro del pseudo-ambientalismo, la “messa in sicurezza del territorio”, dimenticando che non è il territorio che è insicuro, ma noi, perché siamo andati a vivere e a costruire in posti in cui era meglio non farlo, e che, con alcune eccezioni, fiumi e versanti di montagne lasciati in pace non creano problemi a nessuno.
GAIA BARACETTI

sabato 13 aprile 2019

I giganti della fede – Papa Bergoglio

Il pezzo di oggi mi è stato mandato dall’amico Sergio e lo pubblico con molto piacere, visto il tema di grande attualità. Vi si parla infatti della crisi profonda che sta attraversando la Chiesa Cattolica e del ruolo svolto dall’attuale pontefice, Papa Francesco (al secolo Jorge Bergoglio), che di questa crisi può essere visto, a seconda delle prospettive, come una delle cause o come un effetto. Un ringraziamento a Sergio per il contributo. 
LUMEN


<< Chi ha eletto Jorge Bergoglio papa ? Lo Spirito Santo, i cardinali in conclave, la massoneria o altri poteri che agiscono nell’ombra? Probabilmente tutti insieme questi protagonisti (ma il meno decisivo è stato sicuramente lo Spirito Santo). In altre parole: Bergoglio non è stato eletto per caso, la sua elezione rispondeva ai desiderata di personaggi noti e meno noti.

Che il suo pontificato rappresenti una rottura l’abbiamo capito fin dalle prime parole che ha rivolto ai fedeli in piazza San Pietro. Mentre Wojtyla aveva salutato i fedeli con un plumbeo “Sia lodato Gesù Cristo” stile anni Cinquanta, l’argentino ha pronunciato un cordiale “buona sera” che non poteva non sorprendere e piacere: si chiama captatio benevolentiae. Una vera autorità non ha bisogno di ricorrere a questi trucchi. Con quelle due parole il papa annunciò un radicale cambiamento.

Il tradizionalista Wojtyla voleva riportate la Chiesa all’ordine antico. Cercò di far rimettere la talare ai preti a cui ormai andava stretta. Ma non ci riuscì, i preti erano stufi d’indossare l’abito ecclesiastico e femmineo. Oggi essi schifano persino il clergyman, si presentano in maglione, uomini fra gli uomini (come del resto erano gli apostoli che non si vestivano da pagliacci per marcare la distanza tra sé e gli altri: inizialmente i credenti erano tutti più o meno alla pari, anche se riconoscevano l’autorità dei pastori.)

Un’autorità vera non può essere popolare. L’autorità emana sempre un po’ di mistero per essere tale ed è per questo che incute rispetto e riverenza. L’ultimo vero papa, forse o probabilmente l’ultimo papa della Chiesa cattolica, è stato lo ieratico Pio XII. Qualunque cosa si pensi di lui, specie in relazione al nazismo e alla persecuzione degli ebrei, indubbiamente fu una figura che incuteva rispetto persino ai non credenti. Già il successore invece familiarizzò un po’ troppo con le sue pecorelle. Il papa buono, Giovanni Roncalli, in arte Giovanni XXIII, piaceva alle persone semplici, un po’ meno a chi conosce gli arcani del potere.

Non doveva essere una persona davvero intelligente. Convocò infatti un concilio, il Vaticano II, con cui diede il primo colpo di piccone all’edificio bimillenario della Chiesa. Il suo intento dichiarato era un «aggiornamento» che si sarebbe concluso con la canonizzazione del papa reazionario per eccellenza, Pio IX. Ma il concilio prese una piega inaspettata: invece di un modesto aggiornamento, una piccola cosmesi, fu l’inizio di una rivoluzione.

Alcuni dicono che la grandezza di Roncalli consisté proprio nel non opporsi alla drammatica evoluzione dell’assise. In realtà lasciò correre sia perché non aveva l’autorità per impedire lo sfascio, sia perché forse non aveva nemmeno più le forze, era ormai malato. Morì infatti un anno dopo l’apertura del concilio, nel 1963, lasciando la patata bollente al suo successore, il povero Amleto Montini, che non poté far altro che chiudere l’assemblea del rinnovo, in realtà dello sfascio, anche se cercò d’impuntarsi con l’Humanae vitae che suscitò rammarico e disappunto sia all’interno della Chiesa che nel mondo laico.

A Montini successe il reazionario polacco che s’illuse di porre un freno allo sfacelo causato dal concilio (preti e suore si spretavano e smonacavano, i conventi si vuotavano, i religiosi rimasti si liberarono persino dell’abito). Wojtyla non mancava di carisma e di vigore e parve inizialmente poter arrestare l’emorragia dell’istituzione. Fu anche tra i protagonisti dell’abbattimento del comunismo in Europa occidentale (Reagan ringraziò).

Ma il suo lunghissimo e apparentemente trionfale pontificato, uno dei più lunghi della storia, si concluse in tono minore: nella sua amata Polonia al comunismo successe il consumismo, invece del trionfo della religione; il suo regno si concluse con l’esibizione ostentata della sua malattia che gli impediva persino di parlare, alla fine farfugliava parole incomprensibili, uno spettacolo penoso. Ma non mollò, un po’ per attaccamento al suo ruolo, un po’ identificandosi col Cristo sofferente. Penso che avrebbe dovuto dimettersi o che si sarebbe dovuto obbligarlo a dimettersi (se il papa non può più esercitare le sue funzioni per manifesti impedimenti – per es. malattia o pazzia – deve essere sostituito come prevede il diritto canonico: l’istituzione non lascia niente al caso).

A Wojtyla è succeduto uno strano personaggio, il mite Joseph Ratzinger, che assunse il nome di Benedetto XVI, appellativo già assunto da un altro pontefice nel XX secolo: Giacomo della Chiesa ovvero Benedetto XV. Indubbiamente Ratzinger intendeva continuare l’opera di restaurazione di Wojtyla, essendo anche lui un tradizionalista. Ma non poteva cadere nel ridicolo assumendo il nome di Giovanni Paolo III. Assumendo il nome di Giovanni Paolo II Wojtyla aveva voluto insistere sul concetto di continuità con la tradizione e il Vaticano II dopo l’«incidente» di papa Luciani che aveva assunto per primo il doppio nome di Giovanni Paolo per far intendere o credere che i predecessori – Roncalli e Montini – erano le sue guide spirituali e intellettuali.

È caratteristico della Chiesa ribadire la continuità del magistero: nessun papa può abolire un dogma, la Chiesa si autodistruggerebbe considerato che il dogma è controfirmato nientemeno che dal Padre Eterno in persona (così asserisce la Chiesa: un dogma è un dogma, non si scherza, molti sono stati gli eretici torturati e uccisi, non per avere esplicitamente messo in dubbio un dogma, ma per aver fatto affermazioni azzardate che potevano mettere in discussione l’autorità, il potere). Galileo, che era un buon cattolico, passò i suoi guai per aver negato il geocentrismo, ciò che contrastava con una frase del Vecchio Testamento.

Ammettiamo pure che a quell’epoca l’affermazione di Galileo turbasse l’ordine costituito: come si poteva contraddire in effetti una frase della Bibbia? Nel libro sacro si sosteneva che era il sole che girava intorno alla Terra e non viceversa. Ciò avvenne appena quattro secoli fa (Galileo muore nel 1642), cioè l’altro ieri. Ma poi l’universo è “esploso”, come conferma anche la specola di Castel Gandolfo. Il sistema solare non è che uno dei tanti sistemi di una galassia, la Via Lattea, che contiene trecento miliardi di stelle e un numero sterminato di pianeti. La Terra si è rivelata non il centro dell’universo, ma un “granel di sabbia” (Leopardi) nell’immensità dell’universo, un quasi-niente.

Eppure stranamente la Chiesa cattolica non si è dissolta nel ridicolo, esiste ancora anche se moribonda o persino morta in occidente (l’ateismo e/o l’agnosticismo dilagano ormai in Europa, specie in alcuni paesi come Svezia, Danimarca, Cechia, Svizzera – e ormai anche in Italia). Non è semplicemente più possibile credere nei dogmi del cristianesimo, in cosiddette verità rivelate che a ben vedere sono solo antiche credenze: il peccato originale, il piano di redenzione del Padre Eterno, la nascita verginale di Cristo, la sua passione morte e risurrezione e tutte le altre verità rivelate aggiunte, fino al dogma dell’Assunzione di Maria in pieno secolo ventesimo sotto Pio XII (1950).

Perché la Chiesa è sopravvissuta all’Illuminismo ed esiste ancora? Chiaramente perché il binomio trono-altare serviva e serve ancora per tenere a freno il popolo. Il potere, quello vero, aveva ed ha ancora oggi in parte bisogno del sostegno della Chiesa. Perciò le scappellate tra atei professi come Napolitano-Bonino-Scalfari e il papa regnante che arriva a dire di preferire gli atei ai credenti tiepidi o pieni di odio verso gli altri, verso gli immigrati. Ancor oggi un rappresentante del governo, magari lo stesso presidente della repubblica, accoglie all’aeroporto il papa al ritorno da uno dei suoi viaggi.

Tutti vedono, devono vedere che il potere civile e quello religioso vanno d’amore e d’accordo. In tutti gli incontri importanti delle alte cariche statali non manca la presenza di un alto prelato ben visibile in prima fila: ciò che si vede conta, è indubitabile, è vero. Perciò le processioni, le funzioni religiose magnifiche e suggestive, le solenni esequie in mondovisione dei pontefici a cui assiste tutto l’establishment mondiale (…). Ciò che si vede esiste davvero, è appunto evidente, non deve essere spiegato. E non è un caso che le processioni stiano oggi scomparendo salvo in qualche paese dove sono forme di folklore.

La religione è in declino e lo sono anche le funzioni e i riti religiosi. La processione del Corpus Domini non si fa più nel paese svizzero in cui ho vissuto. Ai miei tempi era un evento a cui tutto il paese, addobbato con fiori, partecipava. La benedizione con l’ostensorio era il clou della manifestazione religiosa: tutti s’inginocchiavano nella piazza del paese, gli occhi rivolti all’ostia consacrata (quanta energia psichica in quello sguardo!). Un momento altamente suggestivo. Non si fa più, siamo ormai nel XXI secolo e la fede – in Dio, nell’aldilà, nel paradiso e nell’inferno – è tramontata per sempre (ci sono ancora sacche di resistenza, ma ormai isolate e destinate all’estinzione).

Il pontificato era appannaggio degli Italiani fino a qualche decennio fa, era roba loro (pochissimi i papi stranieri, l’ultimo prima di Wojtyla fu eletto mezzo millennio fa (papa Adriano). È finita, gli Italiani se lo possono scordare il soglio pontificio. Wojtyla, Ratzinger, Bergoglio – il prossimo sarà quasi sicuramente un negro perché il mondo intero veda che la Chiesa di Cristo si è evoluta ed è davvero cattolica, cioè universale. Un papa negro nel 1950 non era nemmeno concepibile.

Joseph de Maistre, il grande reazionario dell’Ottocento (“Du pape”), sosteneva l’eurocentrismo della Chiesa anche a causa dell’espansione mondiale del cristianesimo: non era ormai più possibile convocare a Roma tutti i grandi prelati della Terra in un’epoca in cui i viaggi duravano settimane e mesi. De Maistre non poteva ovviamente immaginare aerei, telefonia, informatica, interconnessione globale. È così diventato papa un oriundo italiano che non ama l’Italia e la vuole anzi distrutta, papa Buona Sera.

Bergoglio figurava già da molto tempo fra i papabili, non sappiamo perché. Ma come dice qualcuno (…) niente avviene per caso: papa Buona Sera è il papa giusto al momento giusto per la rivoluzione globale voluta dalle élites mondiali e a cui l’italo-argentino partecipa da coprotagonista, sperando che così sopravviva anche la sua istituzione, la Chiesa Cattolica, protagonista della storia da ben due millenni, ma che ha ormai esaurito la sua funzione: è ormai solo tollerata dalle élite mondiali, a cui comunque fa ancora comodo.

Il cristianesimo è ormai morto, nessuno più crede nella resurrezione di Cristo, nella propria resurrezione e la vita eterna. Il cristianesimo sarà verosimilmente soppiantato da una religione più pratica, non imbevuta di teologia, persino più razionale del cristianesimo, con un sodo dogma: Allah è Dio e Maometto è il suo profeta. Chi negherà questo dogma sarà annientato, come faceva la Chiesa una volta (vedi Bruno e Galileo o Vanini). >>

SERGIO PASTORE

venerdì 5 aprile 2019

Il grande Ammiraglio

Un piccolo pezzo di bravura di Aldo Maria Valli, che nello scorso febbraio ha pubblicato sul suo blog una “intervista virtuale” assolutamente deliziosa. Impossibile non sorridere di fronte al prode Ammiraglio del Vaticano, tanto pieno di buone intenzioni, quanto, ahimè, completamente privo di navi. Buona lettura. LUMEN


INTERVISTATORE - Buongiorno ammiraglio.
AMMIRAGLIO – Buongiorno a lei.

INT. – Complimenti per la sua divisa, è bellissima.
AMMIRAGLIO – Grazie, grazie.

INT. – Dunque lei è ammiraglio del Vaticano, giusto?
AMMIRAGLIO – Giusto.

INT. – E quanti navi ha il Vaticano?
AMMIRAGLIO – Nessuna.

INT. – Nessuna?
AMMIRAGLIO – Esatto.

INT. – Ma allora lei che ammiraglio è?
AMMIRAGLIO – Ammiraglio a tutti gli effetti, mio caro. Forse lei non sa che noi abbiamo un diritto marittimo vaticano e negli ‘Acta Apostolicae Sedis’ c’è un decreto che regola “la navigazione marittima sotto bandiera dello Stato della Città del Vaticano”.

INT. – Ma se non avete navi, a che vi serve un diritto marittimo?
AMMIRAGLIO – Beh, non si sa mai. Meglio essere pronti.

INT. – A che?
AMMIRAGLIO – Per quando avremo le navi.

INT. – Mah, non capisco. Comunque le volevo chiedere: ha visto la foto del papa con la spilla che dice “Apriamo i porti”?
AMMIRAGLIO – Sì, sì, ho visto.

INT. – E che ne pensa?
AMMIRAGLIO – Molto bene! Molto bella la spilla, e molto opportuna la scritta.

INT. – Ma il Vaticano ha porti?
AMMIRAGLIO – Certo che no. Non avendo navi, non abbiamo neanche porti, mi sembra logico.

INT. – Già. Ma allora, scusi, perché il papa dice “Apriamo i porti”?
AMMIRAGLIO – Beh, è una richiesta in generale. E anche in questo caso è meglio organizzarsi…

INT. – In che senso?
AMMIRAGLIO – Non so se lo sa, ma fin dal 1951 noi, in Vaticano, ci siamo attrezzati prevedendo la possibilità di avere navi appartenenti allo Stato, per trasportare sia merci sia persone, sia verso il Vaticano sia dal Vaticano verso altre destinazioni.

INT. – Ma se non avete navi né porti…
AMMIRAGLIO – Oh, ma lei è proprio fiscale. Mi lasci dire: nel decreto si specifica che il Governatorato è il porto d’iscrizione delle navi vaticane e, in quanto porto, ha l’obbligo di tenere un registro navale.

INT. – Scusi se insisto, ma tutto questo, in assenza di navi, e di porti, che senso ha ?
AMMIRAGLIO – Deve capire che noi, ripeto, amiamo essere previdenti, anzi lungimiranti. Ora porti e navi non ci sono, ma in futuro chissà. E così ci siamo attrezzati. D’altra parte…

INT. – D’altra parte?
AMMIRAGLIO – Pietro era un pescatore, andava in barca. E la Chiesa è spesso chiamata la barca di Pietro.

INT. – Ha ragione, ma…
AMMIRAGLIO – E poi ci sono anche riferimenti storici più recenti.

INT. – Cioè?
AMMIRAGLIO – Nel 1927 la questione fu discussa da noi con il governo Mussolini e si individuarono due località per eventuali porti vaticani.

INT. – Davvero?
AMMIRAGLIO – Certo! Una località fu Fiumicino, nei pressi della Torre Clementina, e l’altra Torre Flavia, tra Ladispoli e Civitavecchia. Poi nei Patti lateranensi la questione dei porti non fu affrontata, ma in seguito…

INT. – In seguito?
AMMIRAGLIO – Un missionario che stava a Hong Kong chiese al Vaticano il permesso di utilizzare la bandiera bianca e gialla su un’imbarcazione. Sicuro che quella bandiera potesse facilitare la sua missione, inviò la richiesta scritta all’“Ammiragliato vaticano”.

INT. – E come andò a finire?
AMMIRAGLIO – Noi rispondemmo che non ci sembrava il caso. Non era opportuno, spiegammo, “coinvolgere la sede di Pietro nei traffici che con grande facilità si intrecciano nei mari d’Oriente”.

INT. – Per cui?
AMMIRAGLIO – Per cui il missionario non poté usare la nostra bandiera sulla sua imbarcazione, per “non coinvolgere la sede di Pietro…”

INT. – Ho capito. E invece adesso il papa dice “Apriamo i porti”…
AMMIRAGLIO – Certo, e ne ha tutto il diritto.

INT. – Continuo a non capire…
AMMIRAGLIO – Ne ha tutto il diritto perché ora i porti non li abbiamo, ma li potremo avere. E quando li avremo li apriremo.

INT. – D’accordo. Ma intanto la richiesta di aprire i porti è rivolta ai porti degli altri. E se gli altri non li vogliono aprire?
AMMIRAGLIO – Oh, beh, questo è un altro problema. Ma sul piano del diritto…

INT. – Ancora con questo diritto…
AMMIRAGLIO – Esatto: sul piano del diritto il papa ha tutto il diritto (scusi il gioco di parole) di dire “Apriamo i porti”.

INT. – Va bene, signor ammiraglio. Vedo che la conversazione si sta un po’ avvitando su se stessa.
AMMIRAGLIO – Ma non per colpa mia. Sul piano del diritto…

INT. – Basta così, grazie. Solo un’ultima domanda…
AMMIRAGLIO – Dica…

INT. – Ma lei i porti del Vaticano, dico gli ipotetici porti, li aprirebbe?
AMMIRAGLIO – Io obbedisco al papa. Se il papa dice di aprire i porti, i porti vanno aperti.

INT. – Ma aprire i porti vuol dire far passare le persone. E poi le persone dove si mettono?
AMMIRAGLIO – Oh, ma non è un problema nostro!

INT. – Cioè?
AMMIRAGLIO – Noi i porti mica li abbiamo.

INT. – Va bene, basta così. La ringrazio per l’intervista.
AMMIRAGLIO – Grazie a lei. E buon vento!