giovedì 29 dicembre 2022

Punti di vista - 30

CONTROLLO DIGITALE
Il controllo digitale sulle nostre vite esiste, ed è esercitato in forme talmente diffusive e subdole che praticamente tutti voi, [anche] prima del greenpass, ci convivevate serenamente, tant'è vero che prendevate molto sottogamba i reiterati appelli ad evitare almeno le forme più ingenue di autoviolazione della vostra privacy, quelle che praticavate concionando sui social.
Perché ci siamo rassegnati a questo? Semplice: perché l'oggettiva comodità offerta dai tanti servizi digitali (dal Bancomat in giù) oltrepassa la scomodità soggettiva di studiare per capire come evitare che le nostre vite siano tracciate e dai nostri dati si estragga valore, e li si usi per condizionare le nostre scelte, a nostra insaputa.
Quindi tutti noi, che non ci prendiamo nemmeno il tempo di rifiutare i cookies sui siti dove navighiamo, o di cancellarli dalla cache del nostro PC, o più banalmente di cambiare regolarmente le nostre password, abbiamo accettato per facta concludentia di essere esposti a continue violazioni della nostra identità, della nostra persona, che oggi è anche e soprattutto una persona digitale, un nodo di relazioni (commerciali, affettive, professionali) intermediate dalla rete.
ALBERTO BAGNAI


GRANDI LEADER
Né i soldi né le intimidazioni possono fare molto per controllare i leader di alto livello: stanno cavalcando la tigre, lo sanno bene. Quindi non si possono permettere di apparire deboli o, peggio, come traditori dei loro paesi.
Tutti i leader dei paesi sono normalmente uomini solitari (molto raramente donne) circondati da persone che non hanno alcun interesse e nessuna convenienza a contraddirli.
I leader più anziani possono essere particolarmente sensibili a questo approccio e, sicuramente, invecchiando, le loro capacità mentali non migliorano.
Lev Tolstoj ci ha fornito una descrizione notevole di come Napoleone I abbia commesso errori incredibili semplicemente facendo le cose che aveva sempre fatto e poi scoprendo con orrore che queste cose non funzionavano più.
UGO BARDI


AUTOMOBILI
Domanda: “se tu fossi un dittatore buono, e potessi fare una sola cosa, senza doverne rendere conto, per migliorare il futuro dell’umanità e del pianeta, cosa sarebbe?”
La [mia] risposta è: “semplicemente abolirei l’automobile.” (...)
L’automobile ha trasformato le nostre strade da luoghi di gioco per bambini e d’incontro e festa, in posti così pericolosi che un attimo di distrazione può costarci la vita (…) A volte non si può nemmeno parlare, perché il rumore dei motori copre tutto,
Ci lamentiamo sempre della spesa bellica, che paradossalmente non fa neanche un morto all’anno nel nostro paese, mentre pretendiamo addirittura il sostegno pubblico all’auto che ne fa migliaia.
GAIA BARACETTI


SIMBOLI POLITICI
La fiamma, la falce e martello, il sol dell’avvenire, lo scudo crociato e gli altri simboli politici [del '900] furono simboli di riscatto popolare e di passione ideale e civile e restano segni di memoria storica.
I simboli sono le stimmate di un'epoca in cui la politica era una fede e non solo una carriera; una cosa seria, anche troppo.
MARCELLO VENEZIANI


SCHIAVI DELLO STATO
Cos'è esattamente uno stato? Nella versione moderna, uno stato è definito dalla terra che controlla: i suoi confini.
Ma ciò che tiene davvero unito lo stato è il suo controllo sul denaro. Lo stato emette denaro (in realtà, lo fanno le banche centrali, autorizzando anche le banche ordinarie a fare lo stesso.
Ma è comunque tutto sotto il controllo statale). Poi, lo stato si riprende il denaro che ha emesso sotto forma di tasse, multe e altre forme di estorsione.
È questo circolo vizioso che mantiene i cittadini legati allo stato in una relazione che possiamo solo definire una versione soft della schiavitù (forse nemmeno così soft). Hai bisogno di soldi per sopravvivere e l'unico modo per ottenerli è obbedire allo stato.
UGO BARDI


ELOGIO DELL'OCCIDENTE
Viviamo in un mondo piuttosto bello, almeno noi occidentali. Il piu’ sicuro di sempre, il piu’ ricco di sempre, il piu’ democratico di sempre, il piu’ equo di sempre.
Si potrebbe avere ancora di piu’, ma questo richiederebbe alcuni sacrifici ai ricchi. E i ricchi non vogliono fare sacrifici.
URIEL FANELLI

giovedì 22 dicembre 2022

Formato standard – 2

Si conclude qui il post di Marco Pierfranceschi sul concetto di normalità e di variabilità sociale. (seconda ed ultima parte).
LUMEN



<< Tornando al discorso iniziale, da dove nasce l’idea che la ‘normalità’ sia una condizione talmente desiderabile da renderla un totem, al punto da volerla forzatamente estendere all’intera popolazione? Da quale bias cognitivo emerge il Bias Culturale, promosso da partiti di destra e da molti integralismi religiosi, che bolla tali ‘devianze’ come difetti da dover ricondurre nell’alveo di una non meglio definita ‘normalità’? Nel momento in cui vengono diffuse idee in contrasto con le evidenze fattuali è chiaramente in atto un ‘processo di inganno’ .

Una buona parte dei processi di inganno si fonda su paure irrazionali. Una paura profonda è quella di essere noi stessi dei ‘devianti’, o di poterlo diventare, o che possano diventarlo persone a noi care, che dipendono da noi, o dalle quali noi stessi dipendiamo. Questo è conseguenza del fatto che le ‘atipicità’ comportano un bagaglio di difficoltà per gli individui che ne sono portatori, e nessuno desidera aggiungere ulteriori problemi a quella che è già la normale fatica di vivere. Il fatto stesso che i caratteri ‘atipici’ vengano espressi nel pool genetico in percentuali ridotte evidenzia la difficoltà che essi generano agli individui che ne sono portatori, riducendone l’aspettativa di vita ed il successo riproduttivo.

La normalità, ossia l’assenza di una qualsiasi eccezionalità, rappresenta quindi una ‘comfort-zone’ all’interno della quale le persone trovano rifugio da un’esistenza che non manca di produrre fatica e stress. L’idea di perdere tale condizione privilegiata, o che ciò accada ad una persona cara (trascinando con sé, nel disagio, l’intero nucleo familiare), è una preoccupazione diffusa. Oltre al fatto che forme estreme di scostamento dallo standard possono ben rientrare nella casistica delle patologie.

Se la comparsa di individui portatori di caratteristiche atipiche e svantaggiose ci pare ingiusta, va considerato che i processi di selezione naturale non sono modellati da esigenze etiche. In natura si producono spontaneamente individui con caratteristiche differenti, ed è solo la maniera in cui queste specificità riescono ad adattarsi alla situazione contingente a dettare la sopravvivenza o meno, ed il successo riproduttivo, del singolo individuo. Questo processo, utile e necessario a livello di gruppi e specie, comporta che molte delle ‘eccezionalità’ che si generano spontaneamente finiscano col tradursi in insuccessi, non di rado con conseguenze tragiche per i singoli individui.

Ad aggiungere ulteriore complicazione c’è l’impossibilità di tracciare un confine netto tra le ‘eccezionalità’ destinate al successo e quelle che conducono a forme di autodistruzione. A seconda del contesto sociale, o culturale, in cui vengano a manifestarsi, determinate caratteristiche fisiche e/o mentali possono condurre all’ascesa sociale o alla prematura scomparsa. Forme di irrequietezza intellettuale possono sbocciare in un talento artistico apprezzato da molti, o in una leadership carismatica, con conseguente successo sociale o, per ragioni totalmente fuori dal nostro controllo, deviare verso l’abuso di sostanze psicotrope (alcol e droghe) e addirittura condurre al suicidio.

In conseguenza di ciò, oltre alla naturale fascinazione, esiste un istintivo ed irrazionale ‘fastidio’ nei confronti degli individui con caratteristiche di eccezionalità. Fastidio che si aggrava nel caso di tratti platealmente svantaggiosi, come le disabilità fisiche o mentali, stante il riflesso istintivo ed irrazionale a temere di perdere ciò che riteniamo parte integrante del nostro essere individui, ovvero la salute fisica e mentale. (...)

Va poi considerato un ulteriore fattore di scala, generato dai processi di massificazione che hanno operato negli ultimi secoli. In una piccola comunità, il cui obiettivo è la sopravvivenza spicciola, ogni individuo trova il modo di rendersi utile, anche nella sua diversità. Per contro, in una comunità allargata e scarsamente differenziata le caratteristiche ‘eccezionali’ finiscono col generare più problemi che vantaggi, ai singoli ed alla collettività. Da ultimo, i processi industriali hanno contribuito a mettere in buona luce l’uniformità, in contrasto con l’eterogeneità.

A partire dalla rivoluzione industriale si è compreso come solo i processi ‘normalizzati’ consentano di generare i massimi livelli di produzione, attraverso le economie di scala. Costruire un singolo componente ha un costo che può essere quasi totalmente ammortizzato nel caso se ne producano migliaia, attraverso la realizzazione di processi standardizzati. Una singola vite può essere realizzata al tornio, da un operaio specializzato, e costerà in proporzione al tempo/persona richiesto. Una vite identica può essere prodotta in migliaia di copie da un macchinario (il cui costo finirà spalmato su un numero estremamente alto di esemplari, pressoché azzerandosi) ad un costo infimo, pari a poco più del valore del metallo di cui è composta.

Questi processi hanno inevitabilmente influito sulla nostra percezione del valore delle cose, che viene correlato ai metodi produttivi: ciò che viene fabbricato in serie, in copie tutte identiche, è ritenuto affidabile anche se offerto a prezzi molto bassi, perché questo è lo standard al quale l’industria ci ha abituati. Da qui a trasferire questo giudizio sulle persone il passo è breve: tutto quello che si discosti più di tanto dalla ‘norma’ viene considerato semplicemente ‘difettoso’, come se la natura (o Dio, per chi ci crede) commettesse errori nel tentativo di produrre, con uno stampino, individui tutti perfettamente identici.

Da notare che, in campagna elettorale, alle parole della Destra contro le ‘devianze’, da parte opposta (la Sinistra) si è contrapposto uno slogan parimenti privo di senso, “viva le devianze”, anch’esso frutto di una visione totalmente ideologica delle relazioni umane, ma di segno contrario. Le caratteristiche ‘eccezionali’ devono trovare accoglienza nella collettività, ma tale accoglienza non può ignorare le difficoltà ad esse connesse che ricadono, spesso con conseguenze negative, sui singoli individui e sulla loro cerchia relazionale.

Il linguaggio della politica, inevitabilmente, tende a rispecchiare il generale livello di consapevolezza collettiva. In questo caso risulta sconfortante il grado di semplificazione veicolato nella narrazione pubblica rispetto a tematiche sociali gravi e persistenti, se non addirittura in via di aggravamento. Un ulteriore riflesso di quanto lontano sia il sentire comune rispetto alle evidenze fattuali da tempo acquisite nella letteratura scientifica. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

sabato 17 dicembre 2022

Formato standard – 1

Una società, per funzionare bene, ha bisogno di una notevole uniformità tra i suoi membri; questo è pacifico. Ma ha bisogno anche di una certa variabilità, perchè nelle situazioni di crisi le prospettive possono cambiare.
A questa contrapposizione, ed al concetto di 'normalità sociale', è dedicato il post di oggi, che riporta le riflessioni sull'argomento di Marco Pierfranceschi. Il testo (tratto dal suo blog Mammifero Bipede) è stato diviso in due parti per comodità di lettura.
LUMEN



<< Nel corso dell'ultima campagna elettorale (settembe 2022), la Destra ha suggerito l’idea di intervenire per correggere le ‘devianze’, intendendo con questo termine una serie di ‘derive comportamentali’, contrapposte ad una presunta ‘normalità’. Il punto è che discriminare la popolazione tra ‘normali’ da un lato e ‘devianti’ dall’altro è totalmente sbagliato.

In natura non esiste la normalità, semmai esiste una ‘prevalenza’ di alcuni caratteri su altri. Le caratteristiche prevalenti, in una specie, sono quelle che meglio si adattano alla situazione contingente, consentendo ai singoli individui, ai gruppi ed all’intera specie di prosperare. Tuttavia la natura, per mezzo della riproduzione sessuata e delle mutazioni casuali, si riserva margini di errore, producendo ad ogni generazione individui significativamente diversi dalla versione standard. Sono proprio questi individui che, al mutare delle situazioni contingenti, possono consentire ai gruppi cui appartengono di adattarsi e continuare a prosperare.

Per chiarire meglio il concetto citerò un esempio tratto da “L’Origine delle Specie” di Charles Darwin. La lunghezza del pelo, in una qualunque specie animale, discende in linea diretta dalle condizioni climatiche standard in cui la specie vive e prospera. Un individuo che nasca col pelo più folto soffrirà il caldo, risultando svantaggiato nella competizione per la sopravvivenza e la riproduzione. Analogamente, un individuo dal pelo più corto soffrirà il freddo, con conseguenze simili. Questa forma di svantaggio fa sì che gli individui con caratteristiche difformi dai valori ottimali non abbiano la possibilità di alterare lo standard dell’intera specie.

Tuttavia, nel momento in cui le condizioni climatiche si trovino a variare, come ad esempio all’inizio di una glaciazione, saranno gli individui dal pelo più folto ad essere avvantaggiati, a sopravvivere e a riprodursi con maggior facilità. La loro esistenza rappresenta un margine di adattabilità fondamentale per preservare la specie dal rischio di estinzione. Inoltre, specie che si ritrovino, per un qualunque motivo, a popolare habitat diversi da quello originario, superato un primo periodo di difficoltà finiscono con lo sviluppare adattamenti specifici, locali, che risultano vantaggiosi nel nuovo habitat, diversificandosi dalla linea genetica di partenza.

La diversità fra singoli individui rappresenta pertanto una necessità nei processi evolutivi, e non solo non può essere eliminata, ma è al contrario fondamentale per garantire alle specie la necessaria capacità di adattamento alle eventuali trasformazioni degli habitat ed alla competizione con specie differenti. Basterebbe già questo per bollare determinate ideologie suprematiste, basate su idee come la ‘purezza della razza’, come Bias Culturali, ma c’è dell’altro.

Quando spostiamo l’attenzione dai singoli individui alle specie sociali osserviamo che non è tanto l’efficacia individuale a rappresentare la carta vincente, dato che il gruppo (mandria, stormo, banda, tribù, piccola comunità) agisce come un sovra-individuo, integrando le capacità dei singoli membri. In natura disporre di un ventaglio differenziato di abilità rappresenta un vantaggio. Un gruppo dotato di individui con abilità diverse riesce ad essere più versatile, e meglio adattabile, di un gruppo in cui tutti sanno fare più o meno le stesse cose.

Il vantaggio di mettere a sistema le singole abilità travalica l’appartenenza di specie. Come ho osservato personalmente in Sud Africa, branchi di erbivori di specie diverse pascolano abitualmente insieme, spontaneamente integrando i differenti acumi sensoriali per meglio individuare la presenza di predatori. Animali che hanno una vista scadente (i rinoceronti) possiedono per contro un ottimo olfatto, animali che hanno un olfatto scadente possono avere un ottimo udito, animali che hanno un udito scadente possono avere una vista più acuta. All’avvicinarsi dei predatori, la prima specie ad accorgersene fugge, e in questo modo allerta tutte le altre.

Analogamente, in un gruppo di umani è vantaggioso avere un ampio ventaglio di caratteristiche individuali, con alcuni più alti della media, altri più bassi, alcuni più forti e massicci, altri più veloci, come pure avere individui che metabolizzano meglio alcuni cibi, altri con una vista superiore alla media, o con un ottimo udito, o con un olfatto sensibile. Lo stesso vale per le caratteristiche psicologiche: alcuni individui possono essere più irruenti, altri violenti, altri emotivi, altri calmi, altri razionali. Non esiste una risposta unica ed ottimale a tutti i problemi, per questo è necessario generare e conservare un ventaglio di capacità e propensioni diverse.

Se le abilità di un singolo individuo sono definite dal suo personale patrimonio genetico, le abilità complessive del gruppo sono espressione del pool genetico collettivo. Quelle abilità particolari che nel gruppo risultino carenti, diventano oggetto di attrazione e desiderio sessuale nei confronti di membri di altri gruppi, portando di norma alla formazione di coppie fra individui appartenenti a diverse comunità. (...)

In linea di massima, una collettività comprendente individui con caratteristiche fisiche e mentali disperse su un ampio ventaglio di variabilità risulta più efficiente, compatta e capace di affrontare le difficoltà rispetto ad una composta da individui simili o del tutto identici. Questo discorso vale per tutte le forme viventi.

Un ambito dove risultano evidenti le conseguenze di una ridotta variabilità genetica sono le produzioni agricole industriali, dove la disponibilità di sementi più produttive di altre ha portato all’avvento delle monocolture. La coltivazione su più ettari di terreno di piante geneticamente identiche fa sì che le piante stesse siano tutte identicamente attaccabili da un medesimo parassita, portando alla perdita di interi raccolti laddove la variabilità naturale ne avrebbe salvato una parte, quella diversamente in grado di resistere ai predatori. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

(segue)

domenica 11 dicembre 2022

Pensierini - LII

DIFFERENZE
Che differenza c'è tra uno Scienziato, un Filosofo ed un Teologo ?
Lo Scienziato, anche quando sbaglia, parla di cose che esistono e che lui conosce.
Il Filosofo parla di cose che esistono, ma che lui non conosce (perchè non usa il metodo scientifico);
Il Teologo, infine, parla di cose che non esistono e che quindi nessuno potrà mai conoscere.
Questo non vuol dire che i Filosofi e i Teologi siano meno intelligenti. Ma solo che lavorano in modo sbagliato.
LUMEN


BELLA CIAO
La ballata popolare “Bella Ciao” è sicuramente una delle canzoni più amate dalla Sinistra italiana, che non perde occasioni per intonarla nelle sue manifestazioni, coinvolgendo festosamente tutti i partecipanti.
Il testo però, come risulta chiaramente sin dalla prima strofa, racconta della resistenza contro un invasore straniero, ovvero della difesa armata, sino alla morte, della Patria e dei suoi confini.
Il che rappresenta un ideale molto più di destra, che non di sinistra.
Come la mettiamo ?
LUMEN


ASTENSIONISMO
Riconosco che, in certi casi, ci possono essere delle buone ragioni per astenersi dal voto, ma io continuo a preferire la scheda.
Perchè 'non votare' equivale a concedere un mandato in bianco agi altri elettori, il cui voto finisce per rappresentare (involontariamente) anche me.
E questa non è una cosa che mi piaccia molto.
LUMEN


NUOVE RELIGIONI
E' opinione diffusa che le religioni tradizionali siano in crisi e che ne sorgeranno delle nuove, che però, per essere accettabili dagli uomini di oggi, dovrebbero rinunciare al teismo e ai dogmi della teologia.
Io però non credo che possa esistere una religione senza teismo, cioè senza la credenza in un essere superiore che guida il mondo, perchè la gente, da una religione, si attende proprio quel tipo di consolazione.
Inoltre non credo in una religione universale unica, minimalista, buonista ed irenica, in quanto le religioni finiscono sempre per dividere gli uomini in vari gruppi distinti (coesi all'interno, ma ostili all'esterno) e mai per unirli.
Cambieranno probabimente gli dei, i riti e le credenze, ma i meccanismi profondi, figli della nostra evoluzione, rimarranno gli stessi.
LUMEN


LEGGE ELETTORALE
Ogni legge elettorale ha i suoi pregi e i suoi difetti.
Le leggi di tipo proporzionale danno una buona rappresentatività, ma eccedono nella frammentazione, mentre le leggi di tipo maggioritario portano al difetto opposto, per cui occorre cercare una buona sintesi.
La mia (modesta) proposta è quella di un sistema proporzionale a doppio turno, con premio di maggioranza.
Il meccanismo funzionerebbe così: il 90 % dei seggi viene assegnato al primo turno col proporzionale puro; poi si va al ballottaggio tra i primi 2 partiti ed il vincitore si prende il restante 10 % dei seggi. In aggiunta, per evitare eccessive frammentazioni, si può introdurre una soglia di sbarramento minimo al 3%.
Non ci sono coalizioni forzate, non ci sono pasticci e tutto viene deciso dal voto popolare diretto, sia al primo che al secondo turno.
Mi pare una legge semplice ma efficace. E comunque migliore di quelle che abbiamo avuto in Italia negli ultimi tempi (ma ci vuole poco).
LUMEN


IMMAGINE E SOMIGLIANZA
La Bibbia racconta, nel libro della Genesi, che Dio creò l'uomo “a sua immagine e somiglianza”.
Ma allora perchè la Chiesa ci dice che Dio è puro spirito, ineffabile ed inconoscibile, se nei testi sacri viene affermato che è semplicemente uguale a noi ?
Misteri della fede.
LUMEN


PROVERBI INESISTENTI
= Tanto va la gatta al lardo, che alla fine lo mangia tutto.
= Il primo amore non si scorda mai, soprattutto se l'hai sposato.
= Can che abbaia, non piglia pesci.
= Chi ha pane non ha denti, chi ha denti preferisce i grissini.
LUMEN

domenica 4 dicembre 2022

Sacro e Religione

Sul significato del termine 'Religione' esistono due scuole di pensiero: alcuni sostengono che deve prevedere necessariamente la presenza di esseri superiori (gli Dei); altri, invece, ritengono che questo non è necessario e fanno l'esempio classico del Buddismo.
Io, si parva licet, sto con la prima interpretazione, ed infatti considero il Buddismo non una religione, ma una semplice (ed ammirevole) filosofia di vita.
E' pacifico, invece, che il concetto di 'Sacro' sia molto più ampio di quello di 'Religione', in quanto si riferisce alle radici ideali più profonde delle società umane.
A questi agomenti – di sicuro interesse per tutti - è dedicato il post di oggi, scritto da Jacopo Simonetta per il sito Apocalottimismo.
LUMEN


<< “Sacro” è un concetto che viene raramente chiamato in causa quando si parla di economia, ambiente, sostenibilità, transizione, eccetera, eppure è uno degli elementi principali in gioco ed ignorarlo è probabilmente uno dei numerosi fattori che hanno portato al fallimento di qualunque tentativo di deviare almeno una parte dell’umanità dal binario morto su cui sta rapidamente procedendo.

George Dumezil ha chiarito che, anche se la maggior parte delle fedi fanno riferimento ad una o più divinità, queste non sono essenziali giacché esistono numerose religioni che non ne hanno. Per lui la religione è dunque “una spiegazione generale e coerente dell’universo, che sostiene ed anima la vita delle società e degli individui.” Dunque altro non è che il modello mentale che usiamo per leggere e capire il mondo, decidere cosa sia bene e cosa male, cosa si debba fare in ogni evenienza della vita, anche se siamo totalmente atei.

Un punto di vista che apre molte finestre nella mente, ma cui manca un tassello: su quale fondamento e con quali materiali viene edificato tale modello? La risposta ce la dette Mircea Eliade, un altro importante studioso di mitologia e religioni.

Eliade mise infatti in evidenza il ruolo fondante del “Sacro” che, prima ancora di essere un concetto, è un sentimento, anzi una sensazione: quel misto di rispetto, sgomento e reverenziale ammirazione, talvolta di timore e finanche di pura, talaltra di incondizionata gioia che ci pervade quando ci troviamo al cospetto di qualcosa che sentiamo ci trascende. Qualcosa di fronte a cui avvertiamo con estrema chiarezza la nostra pochezza.

“Sacri” sono quindi oggetti o avvenimenti che, per qualunque ragione, anche del tutto immaginaria, avvertiamo come correlati a qualcosa di incommensurabilmente superiore alle nostre forze ed al nostro comprendonio. Per estensione, Sacro è ciò che abbiamo di più caro o che ci è più indispensabile, anche se non sempre questa identificazione è esplicita o finanche cosciente.

Per esempio, sacro può essere un luogo od un oggetto di culto, ma può essere considerato tale anche qualcosa di assolutamente laico come, ad esempio, il confine politico del proprio paese, una promessa solenne o qualunque altra cosa dia senso alla nostra esistenza. Anzi, direi che proprio il fatto il dare senso all’esistenza di individui e società è la migliore definizione disponibile di “Sacro”.

In ultima analisi, su questa base si edificano infatti non solo i rituali, sia religiosi che laici, destinati a favorirci, ma anche le scale di valore e di priorità che danno struttura ai modelli mentali da cui derivano le organizzazioni sociali ed economiche, così come le decisioni individuali e collettive. Il Sacro è dunque un prodotto dell’animo e della mente umana, ma non è per questo meno reale dal momento che non solo esiste, ma ha anche un ruolo fondamentale nel determinare le nostre scelte e la nostra condotta, di conseguenza il destino del mondo.

Certo è che, specialmente nelle società fondamentalmente atee come la nostra e molte altre, il passaggio dal sentimento del Sacro alle strutture sociali ed ai modelli politico-economici è particolarmente lungo e contorto, quasi sempre subcosciente, ma la chioma è sempre in rapporto con una radice, in una relazione reciproca in quanto non solo ciò che facciamo è influenzato dal sentimento del sacro, ma anche ciò che facciamo modifica tale sentimento e dunque il significato del corrispondente concetto.

Come fu già messo bene in luce da Feuerbach alla metà del XIX secolo, mentre la prima ondata di rivoluzione industriale sconvolgeva l’Europa e gli europei, già l’evoluzione del Cristianesimo aveva gradualmente modificato la concezione di Dio fino a farne, in ultima analisi, un’astrazione di ciò che avremmo voluto essere.

«La personalità di Dio è la personalità dell’uomo liberata da tutte le determinazioni e limitazioni della natura», per dirla con le parole del filosofo tedesco. Con l’esplodere di un progresso tecnologico senza precedenti per velocità e potenza, gli uomini hanno sentito che quelle “determinazioni e limitazioni” andavano perdendo potere e poteva quindi essere immaginato un tempo lontano nel futuro, ma possibile, anzi garantito, in cui sarebbero scomparse, facendo dei noi stessi degli dei.

Quando tutto ciò che più ci affascina, che più amiamo o temiamo, quando tutto ciò che riteniamo identitario ed irrinunciabile è opera nostra, è ovvio che il Sacro diviene qualcosa che si riferisce a noi stessi, non singolarmente come individui, ma collettivamente come “umanità”. Insomma, non è più Dio a creare l’uomo a propria immagine e somiglianza, bensì l’uomo ad immaginare Dio come una sublimazione di sé stesso. “Homo homini Deus est: ecco il principio pratico supremo; ecco la svolta decisiva nella storia del mondo.” Concludeva Feuerbach, poco meno di due secoli or sono.

Il che non significa che Dio, o gli Dei, non esistano; significa che, anche chi pensa di venerare una divinità, quasi sempre sta invece venerando la sua stessa stirpe. Oramai restano solo le grandi catastrofi naturali, come uragani e terremoti, per farci avvertire quel senso di vulnerabilità ed impotenza che i nostri avi chiamavano “Timor di Dio”.

Il “Sacro” è dunque qualcosa di totalmente spirituale, ma gravido di conseguenze molto patiche e materiali perché, se si cessa di avere fede in forze a noi superiori e si ripone ogni speranza nelle “illimitate potenzialità della mente umana”, non solo qualunque azione diviene legittima se porta un beneficio che sia, o possa essere spacciato come utile all’Umanità. Si perde altresì la speranza che una divinità benevola possa salvarci, magari anche solo dopo la Morte ed appunto il totale, isterico rifiuto della Morte (la più evidente di quelle “determinazioni e limitazioni“ di cui parlava Feuerbach) è infatti uno dei segni distintivi della civiltà globalizzata attuale.

Beninteso, morire non è mai piaciuto a nessuno ed il mistero dell’Aldilà ha sempre suscitato inquietudine e finanche terrore, ma noi, a differenza di altri, non abbiamo più neppure la consolazione di immaginarlo un Aldilà, bello o brutto che sia. Alla fine, il nichilismo rimane l’unica consolazione possibile a sé medesimo. >>

JACOPO SIMONETTA