giovedì 28 luglio 2022

Appunti di Geo-Politica

I rapporti tra le nazioni affondano le loro radici nella storia, anche secolare, ma sono determinati in modo decisivo dalla geografia.
Perchè tante cose possono cambiare nel tempo, ma la geografia dei luoghi rimane, salvo casi eccezionali, sempre la stessa.
Per questo, quando si parla di politica internazionale, si parla spesso di geo-poltica, alla quale è dedicato il post di oggi, con le riflessioni di alcuni autori tratte dal web.
LUMEN


ORDINE DEL MONDO
Non potendo avere un Ordine Mondiale universalmente riconosciuto o imposto, stabilito da un Sovrano e garante con la forza e l’autorevolezza di arbitro sovraordinato a tutti gli Stati, l’unica soluzione realistica è accettare la pluralità del mondo e circoscrivere, riconoscere alcune aree omogenee o spazi vitali – per dirla con la geopolitica, Carl Schmitt o più recentemente Samuel Huntington: l’Europa, gli Stati Uniti, l’America latina, la Russia, la Cina, l’India, il sud-est Asiatico, l’Africa, il Medio Oriente o civiltà islamica, l’Australia.
Le grandi aree naturalmente possono essere intese diversamente, ma queste dieci ci sembrano le più indicative, a loro volta suddivise in altre aree minori. L’ordine mondiale non può che essere governato da rappresentanti di queste dieci realtà principali.
MARCELLO VENEZIANI


IL RITORNO DEL NAZIONALISMO
L’identitarismo nazionale e culturale dei vari fronti geopolitici, da quello russo all’afghano, dal vietnamita all’indiano, dall’iraniano all’ungherese, dal giapponese al brasiliano, farà il suo ingresso anche all’interno dell’Unione Europea, contrapponendosi anche qui all’Anglo-globalismo ormai in ritirata irreversibile ed anche ad ogni nuova eventuale forma di Globalismo, che potrebbe questa volta arrivare dall’Estremo Oriente rosso, con la possibile benedizione del Vaticano universalistico, di fazioni dell’elite finanziaria e militare occidentale e di Davos.
La partita tra Identitari e Globalisti sarà lunga e secolare, è appena iniziata.
SITO di SOLLEVAZIONE


IMPERI E CONFINI
I grandi imperi sono fragili perché le loro dimensioni li pongono dinanzi all’alternativa tra la tirannia e la frammentazione. Se gli Stati Uniti sono in una condizione eccezionalmente felice è, innanzi tutto, per le frontiere.
Ad est e ad ovest, due immensi oceani. A nord un Paese amico che, per certi versi, è la replica degli Stati Uniti. E comunque nessuno dei due ha interesse ad invadere l’altro. A sud un Paese, come il Messico, che se fosse annesso agli Stati Uniti gli procurerebbe più guai che vantaggi. E infatti il vecchio progetto è quello di erigere un muro per difendersi dai migranti in partenza da esso, un po’ come la Cina a suo tempo costruì la Grande Muraglia.
GIANNI PARDO


DE-GLOBALIZZAZIONE
Il decadimento quali/quantitativo dell’input energetico e gli effetti nocivi connessi con la crescente entropia mondiale renderanno le strutture economiche e sociali particolarmente complesse sempre meno sostenibili.
Ciò significa che la de-globalizzazione che sta ora prendendo le mosse, accelererà e diverrà una tendenza inarrestabile nei prossimi decenni.
Prima di festeggiare, consideriamo però che, se con la globalizzazione ci siamo fatti parecchio male, con la de-globalizzazione ci faremo peggio.
JACOPO SIMONETTA


LA CINA DI OGGI
La Cina di oggi è una grande potenza che, a differenza della Russia, non affama la propria popolazione pur di armarsi, ma è abbastanza ricca per avere il burro, i cannoni, e anche le vacanze all’estero.
Il livello di vita, dai tempi di Mao, si è moltiplicato non so più per quale cifra. Ha la serenità della belva che siede al top della scala alimentare. Ed oggi ha già mangiato.
Certo, deve tenersi buoni gli Stati Uniti, perché sono una grande potenza economica, militare e tecnologica. Ma soprattutto perché sono buoni clienti. Anzi, insostituibili clienti.
Né la Cina ha difficoltà, in questo. Perché è estremamente pragmatica. Persegue i suoi scopi con estremo realismo. Non cercherà mai di ottenere ciò che è molto costoso, perché tiene costantemente conto del dare e dell’avere.
All’Europa qualcuno ha potuto illustrare l’impresa delle Crociate come qualcosa di doveroso; la Cina, se fosse stata in Europa, avrebbe chiesto: “E io che ci guadagno?”
GIANNI PARDO


MONDO MULTIPOLARE
Ritengo molto edulcorata la visione che presenta un quadro ‘Occidente vs resto del mondo’. Il quadro semmai è ‘Occidente vs Cina vs Russia vs Resto del mondo’.
Ho la seria impressione, da episodi come questa guerra [in Ucraina] e la condotta di Cina e Russia in Africa, che il ‘mondo multipolare’ di cui si riempiono in tanti la bocca sia lo stesso prima, con la differenza che le 'porcherie' prima prerogativa esclusiva degli USA, ora sono estese a qualche altro pesce grosso.
IGOR GIUSSAN
I

giovedì 21 luglio 2022

Predator

A proposito del problema della sovrappopolazione, di cui abbiamo già parlato molte volte in questo blog, sono ben noti i danni ecologici legati alla devastazione dell'ambiente naturale.

Ma, secondo alcuni studiosi , il problema non si ridurrebbe a questo.

Pare accertato, da approfondite analisi compiute su altre specie animali, che l'eccessiva proliferazione (in genere legata all'assenza di predatori) danneggia le qualità adattative dei singoli individui, facendo emergere le loro caratteristiche peggiori.

Ne consegue, mutatis mutandis, che anche la proliferazione incontrollata dell'homo sapiens (virtuamente privo di predatori che lo minacciano) danneggerebbe seriamente il futuro della nostra specie.

A questo particolare (ma anche inquietante) aspetto è dedicato il post di oggi, scritto da Marco Pierfranceschi per il suo blog 'Mammifero Bipede'.

LUMEN


<< “Universo 25” è il nome dato dal prof. John B. Calhoun ad un famoso studio di etologia condotto all’inizio degli anni ‘60. L’esperimento consisteva nell’osservare le dinamiche di una colonia di topi inseriti in un habitat ‘ideale’ (le virgolette sono d’obbligo), privo di predatori e con cibo e spazio a volontà.

L’habitat era teoricamente in grado di ospitare diverse migliaia di individui, ma non raggiunse mai la saturazione teorica: dopo archi di tempo più o meno lunghi la popolazione al suo interno finiva sistematicamente col degenerare ed estinguersi.

Calhoun provò a dare diverse interpretazioni ai risultati della sua ricerca, arrivando a coniare la definizione di ‘Fogna del comportamento’. (…)

Il declino e relativo collasso delle colonie dell’esperimento è stato attribuito a diversi fattori, ed analizzato sotto diversi approcci, principalmente legati alle scienze sociali. Non ho approfondito più di tanto la letteratura in materia, ma nessuna tra le spiegazioni trovate fin qui chiama in causa l’assenza di predatori all’interno dell’habitat artificiale.

La funzione complessiva dei predatori negli ecosistemi sembrerebbe non pienamente compresa.

Ho avuto modo di visionare un documentario sul ‘Fattore Paura’, connesso alla presenza di predatori. Il documentario descrive come sia stato necessaria la reintroduzione di uno specifico carnivoro (il licaone), in una riserva naturale africana devastata da decenni di guerre, per riequilibrare una popolazione di antilopi d’acqua fuori controllo.

Si è osservato come la presenza dei predatori influenzi a più livelli i comportamenti delle specie predate. Nello specifico, le antilopi che si erano spinte a pascolare nelle pianure, decuplicando ila popolazione della situazione pre-bellica, con la ricomparsa dei licaoni sono tornate a nascondersi nelle boscaglie.

Questo ha influito sia sulla dieta che sulle abitudini riproduttive della specie predata, portando ad una riduzione della popolazione molto maggiore di quella dovuta ai semplici abbattimenti.

Da questa prospettiva, l’assenza di predatori nell’esperimento “Universo 25” appare come uno dei principali fattori di squilibrio nei comportamenti dei roditori.

L’assenza di predazione ha portato all’emergere di profili comportamentali diversi da quelli selezionati in natura, operando una selezione patologica degli individui, in ultima istanza premiando caratteristiche indesiderate che hanno finito col portare la colonia all’estinzione.

La conclusione finale è che nessuna specie vivente esiste ‘a sé stante’, indipendentemente dal contesto ecosistemico. Ogni individuo, e ancor più ogni specie, esiste come parte dell’ecosistema, come tassello di un mosaico più ampio, all’interno del quale svolge il proprio ruolo.

L’alterazione del contesto, l’eliminazione di significative forzanti esterne, genera una condizione in cui il ruolo svolto viene a mancare, e assieme al ruolo viene a mancare la necessità per la specie di esistere. L’evoluzione si occupa poi di rimuovere la specie inutile dall’equazione complessiva.

Se osserviamo quanto messo in atto nei secoli dalla nostra stessa specie, non possiamo evadere uno spiacevole presentimento.

Fin dagli albori della storia umana abbiamo fatto il possibile per contrastare la predazione, divenendo di fatto noi stessi il predatore apicale degli ecosistemi planetari. Questo ha influito sulla selezione naturale, dirottandola verso una selezione artificiale ed alimentando un processo di auto-domesticazione.

Inevitabilmente, l’assenza di predazione sta modificando l’evoluzione della nostra specie. Il trasferimento in habitat sempre più artificiali, l’adozione massiva di abitudini lavorative ripetitive, il sistematico stravolgimento delle modalità sociali, sta finendo col produrre un’umanità totalmente disconnessa da qualsivoglia contesto ambientale naturale.

E, come abbiamo visto, al cessare di una specifica funzione ecosistemica finisce con l’esaurirsi la necessità che una specie esista, col risultato di innescare processi evolutivi degenerativi che, in ultima istanza, ne causano l’estinzione. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

giovedì 14 luglio 2022

Punti di vista – 26

ARMI NUCLEARI
Le armi nucleari hanno un ciclo di vita costosissimo. I materiali fissili decadono, e degradano tutto quello che hanno attorno.
I missili vanno smontati e ricostruiti, combustibile e comburente (quando c’e’) vanno sostituiti periodicamente. Costa un botto.
URIEL FANELLI


IL NUOVO ONNIPOTENTE
Nell’età contemporanea lo Stato è divenuto “il Grande Solutore”, il “Grande Padre”, il “Nuovo Dio”; e per conseguenza anche “il Grande Responsabile”.
Si è creata una situazione paradossale: Dio era considerato onnipotente ma gli si chiedeva poco. Addirittura gli si perdonava di non dare nemmeno il poco che gli era stato chiesto (“Aveva i suoi misteriosi disegni”).
Allo Stato, che non è onnipotente, si chiede tutto e non si perdona niente. Neanche di non avere fatto ciò che era impossibile fare: per esempio modificare il clima e mettere in sicurezza il territorio contro gli eventi catastrofici.
GIANNI PARDO


UOMINI E CANI
Il rapporto tra cane ed essere umano è una delle cose più stupefacenti della natura e dell’evoluzione.
Nella nostra società opulenta, la cosa di cui sentiamo più il bisogno è di avere compagnia e qualcuno che ci faccia sentire speciali. O che ci obblighi ad alzare il sedere dal divano.
Per cui il cane “migliore amico dell’uomo” lo interpretiamo alla lettera. Con un cane ci compriamo un amico più fedele di un amico umano (perché non ha scelta).
Ma in realtà i cani sono stati selezionati nei millenni per fare molto più che gli occhi dolci in cambio di crocchette o i personal trainer di cittadini impigriti: sono stati usati per cacciare, tirare slitte, trovare tartufi (o droga!), alzare le anatre, fare la guardia, combattere (purtroppo), spostare le greggi…
GAIA BARACETTI


INVESTIMENTI ESTERI
Non bisogna mai dimenticare che il capitale non si sposta per portare il cane a spasso, ma per essere remunerato. Questo vale sia per chi acquista un titolo del debito pubblico, sia per chi acquista un'azienda.
Chi si esalta perché "arrivano i capitali esteri" (ad acquistare aziende nazionali) dovrebbe sempre ricordarsi non solo del fatto che i capitali, nel mondo d'oggi, come arrivano ripartono (ed è piuttosto vano tentare di arginare il loro deflusso, con la connessa chiusura di aziende, per decreto).
Andrebbe anche ricordato che mentre i capitali restano, se ne vanno all'estero almeno in parte i loro profitti (perché, appunto, gli imprenditori esteri vogliono essere remunerati).
Gli IDE (i capitali esteri che arrivano) non sono un free lunch: possono anche risolverti un problema, salvarti un'azienda, farti crescere, ma te ne creano un altro: ti piombano sia il conto capitale (perché sono debito) che il conto corrente (perché comportano un deflusso verso l'estero di redditi) della bilancia dei pagamenti.
ALBERTO BAGNAI


GIUDIZI STORICI
Ogni volta che si è voluto giudicare un uomo di Stato come si giudica un cittadino, si è incappati in un’accusa ineludibile: il fatto che sono i vincitori che giudicano i vinti.
I vincitori, non un potere terzo che del resto non è mai esistito.
GIANNI PARDO


DEMOCRAZIA
Ci si chiede spesso se i politici siano / debbano essere migliori del popolo che rappresentano. Alla fine però questa è una discussione sterile che non porta molto lontano. L’unica cosa da fare è cercare di essere i cittadini migliori che possiamo essere.
La democrazia non consiste solo in elezioni e rappresentanza; la democrazia è anche tante altre cose, tra cui partecipazione a tutti i livelli nelle decisioni comuni e libertà di esprimere il proprio pensiero, il che comporta anche la responsabilità di informarsi e ragionare bene.
GAIA BARACETTI


INTELLETTUALI
Negli anni ’70, gli intellettuali hanno ricevuto dalla classe politica una richiesta.
Non dovevano essere molto intelligenti, (nel mondo del sei politico non era un requisito), ma dovevano semplicemente sembrare piu’ intelligenti delle persone comuni.
Il solo risultato che hanno ottenuto è di non essere comprensibili.
URIEL FANELLI

giovedì 7 luglio 2022

Nel nome del padre

La scelta del cognome da attribuire ai figli è un tema di grande attualità sociale e giuridica. Oggi infatti, per una serie di motivi, questo cognome non può più essere solo quello paterno, come da tradizione.
Tra le varie soluzioni possibili, però, non è facile trovare quella ottimale.  
Il pezzo che segue, tratto dal sito 'Il Post', cerca di fare il punto sulla situazone giuridica in essere, con alcune riflessioni più generali sull'argomento. Buona lettura.
LUMEN


<< In Commissione giustizia del Senato è iniziata la discussione sulle proposte di legge per attribuire direttamente ai figli e alle figlie il cognome della madre ed eliminare così l’automatismo dell’assegnazione del cognome paterno, da molte e molti ritenuto discriminatorio non soltanto rispetto ai figli e alle figlie, ma più in generale anche nei rapporti e tra i componenti della coppia.

È da oltre quarant’anni che in Italia si parla di questa possibilità: ci sono state sentenze e convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, ripetuti richiami e raccomandazioni delle istituzioni europee, disegni di legge presentati e mai discussi e altri mai approvati in via definitiva, ma ancora oggi non è possibile attribuire al figlio o alla figlia il solo cognome della madre.

In Italia la norma per dare il cognome paterno ai figli e alle figlie è sempre stata implicita.

Non c’è, insomma, una legge che stabilisce questa prassi esplicitamente, ma una serie di altre norme che la presuppongono: alcuni articoli del codice civile e alcuni decreti del Presidente della Repubblica, come il 396/2000 che prevedeva il divieto di imporre al figlio lo stesso 'nome' del padre, se in vita, per evitare omonimie.

Dal 2017 è invece possibile affiancare il cognome materno a quello del padre se entrambi i genitori sono d’accordo, attraverso una procedura amministrativa stabilita dal ministero dell’Interno. Non è stato dunque riconosciuto un diritto attraverso una legge, il cognome materno deve venire comunque per secondo, non è possibile invertirli e non è possibile nemmeno scegliere solo il cognome materno. In caso di disaccordo, continua a prevalere l’attribuzione del solo cognome paterno.

Questo vale se i genitori sono sposati. Se invece non lo sono è possibile, attraverso una procedura piuttosto complicata, attribuire al bambino il solo cognome materno facendolo riconoscere inizialmente solo alla madre, e poi in seguito anche al padre. La procedura deve essere confermata dal Tribunale dei minori, che deciderà se lasciare il solo cognome materno, aggiungere quello del padre o sostituire quello materno con quello paterno.

In molti altri paesi europei non funziona così. Esistono infatti delle leggi che, pur nelle differenze, sono tutte ispirate allo stesso principio: quello della possibilità di attribuire al proprio figlio o alla propria figlia al momento della nascita il cognome paterno, materno o quello di entrambi i genitori.

In alcuni paesi, in mancanza di un accordo tra i genitori, vengono apposti entrambi i cognomi in ordine alfabetico, come in Francia, mentre in Lussemburgo è previsto un sorteggio. In Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia, se non viene data un’indicazione viene apposto d’ufficio il cognome della madre, così come in Austria. La Spagna (e in generale i paesi dell’America latina, a parte qualcuno), rappresenta a sua volta un’eccezione: c’è infatti la regola del “doppio cognome”, per cui i figli portano il primo cognome di entrambi i genitori.

La costituzionalista Carla Bassu ha spiegato che «in Italia l’apposizione del cognome paterno riflette una struttura sociale storicamente patriarcale in cui il ruolo pubblico era riservato agli uomini “capifamiglia” e le donne passavano dalla tutela del padre a quella dello sposo del quale assumevano, a dimostrazione della “cessione” avvenuta, anche il cognome».

L’automatismo nell’assegnazione del cognome paterno (cioè del “nome di famiglia”) riflette insomma una tradizione giuridica costruita sulla figura del “pater familias” che aveva un potere educativo e correttivo su moglie e figli (il cosiddetto jus corrigendi). Una tradizione giuridica che puniva unicamente l’adulterio della moglie, che dava rilevanza penale alla causa d’onore, all’istituto del “matrimonio riparatore” e che considerava la violenza sessuale un delitto contro la moralità pubblica e il buon costume.

«Il cognome non è solo una scelta tecnica: è una questione di potere, visibilità sociale e autorevolezza, negata alle donne e dalle donne stesse spesso sottovalutata» ha scritto su MicroMega la giornalista femminista Monica Lanfranco. (...) «Pensare che la lotta per il cognome materno sia una questione secondaria significa non vedere il meccanismo omissivo, segregativo, cancellatorio, invisibilizzante delle madri». (...)

Le proposte di legge attualmente in discussione sono sei (…). Tutte introducono per i genitori il principio della libera scelta sul cognome, e prevedono che i genitori decidano, di comune accordo, di attribuire uno solo o entrambi i cognomi ai propri figli, nell’ordine preferito.

Nel caso non ci fosse accordo sul numero dei cognomi o sul loro ordine verrebbero attribuiti entrambi i cognomi seguendo l’ordine alfabetico. Nessuna delle proposte si occupa però di regolamentare i casi in cui i figli siano stati registrati col solo cognome paterno, lasciando dunque come unica strada valida quella di far ricorso al prefetto. (…)

Per protestare contro l’automatismo italiano nell’attribuzione del cognome, negli ultimi anni sono nati diversi gruppi e sono state avviate numerose campagne di sensibilizzazione, animate da giuriste, costituzionaliste e attiviste.

In generale, la modifica che è stata preferita in questa lunga elaborazione è che a essere trasmessi al figlio o alla figlia siano i cognomi di entrambi i genitori, per evitare che di fatto continui a prevalere l’automatismo dell’assegnazione del cognome paterno, per prassi e per cultura.

Bassu spiega che l’impostazione basata esclusivamente sulla discrezionalità dei genitori rischia di tradursi «in una nuova prevalenza della componente maschile per ragioni ancorate alla tradizione ma anche a delicate dinamiche di tipo sociale ed economico che portano ancora la donna a essere, in molti casi, parte debole nella coppia». >>

IL POST