mercoledì 27 maggio 2020

L'elitismo nella pratica

Tutte le forme di governo che si sono succedute nella storia della civiltà hanno avuto le loro elités, chiamate con nomi diversi, ma sempre destinate a guidare la società nel loro principale interesse.
Anche le democrazie moderne, quindi, nonostante le differenze formali ed i pregi indiscutibili, finiscono per condividere la stessa sorte.
Ma come funziona, come viene strutturata nella pratica, una società elitaria di tipo democratico ? Ce ne parla Marco Pierfranceschi in questo interessantissimo post, tratto dal suo blog.
LUMEN


<< Col termine Democrazia si indica una forma di governo in cui il potere non è in mano ad una o più figure autoritarie, ma al popolo stesso. La maniera in cui questo potere viene esercitato è per solito in forma rappresentativa: il popolo viene periodicamente chiamato ad esprimersi attraverso il voto e ad eleggere i propri rappresentanti, ai quali viene affidato il governo della nazione.

Di norma, in un sistema di governo democratico vengono identificati tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario, che devono essere esercitati da entità separate e distinte. (…) [Ma] l’accumulo di ricchezza da parte di imprese private rappresenta una sorta di quarto potere, in grado di influenzare da un lato l’opinione pubblica, dall’altro l’operato dei rappresentanti eletti, e in ultima istanza l’efficacia dei poteri collegati.

Per quanto concerne l’influenza sull’opinione pubblica va rilevato che il potere economico controlla, in maniera diretta ed indiretta, gli strumenti di comunicazione di massa. In maniera diretta attraverso il possesso della proprietà, o di quote azionarie, in maniera indiretta per mezzo della pubblicità e dell’investimento nella realizzazione di prodotti di intrattenimento.

Ad esclusione della televisione di stato, i mass media sono essi stessi imprese commerciali, spesso di proprietà di altre imprese. Nel caso della proprietà diretta è evidente che un giornale, posseduto da un’impresa di costruzioni edili, o da un fabbricante di autoveicoli, tenderà a fornire una visione dei fatti perlomeno orientata agli interessi dei propri proprietari (l’indipendenza dei singoli giornalisti non può travalicare le scelte editoriali).

Meno evidente, ma altrettanto concreto, è che gli introiti della stampa ‘indipendente’ (ma il discorso vale per i media in generale) derivino dalla concessione di spazi pubblicitari, mentre il ricavato della vendita delle copie in edicola non basta più nemmeno a coprire i costi di stampa e distribuzione. In un quadro del genere, qualsiasi testata si guarderà bene dal pubblicare contenuti che la sua primaria fonte di sostentamento, gli acquirenti degli spazi pubblicitari, possa ritenere sgraditi.

Questa forma di controllo economico, diretto ed indiretto, ha come ultimo esito una narrazione pubblica totalmente appiattita sui desiderata delle imprese e del mondo finanziario in generale, che a sua volta si riflette in un significativo appiattimento del dibattito pubblico per quanto riguarda i temi micro e macro-economici, ed in un’enfasi del tutto ingiustificata su questioni sostanzialmente secondarie come le identità etniche, politiche o religiose.

L’ultimo tassello del controllo dell’economia sulla comunicazione è rappresentato dai prodotti di intrattenimento e dei circuiti di distribuzione ad essi collegati, solitamente imprese commerciali essi stessi. Il progetto di un film o di una serie televisiva deve individuare dei finanziatori prima di poter partire, andrà a cercarli tra chi dispone delle maggiori quantità di denaro da investire e difficilmente ne troverà se proporrà temi sgraditi agli investitori. (...)

L’esito di questo controllo, diretto ed indiretto, sui mezzi di informazione ed intrattenimento è la diffusione di un ‘pensiero unico’ sui temi economici e sociali; un controllo non dissimile da quanto messo in atto nei sistemi dittatoriali ma molto più sottile, capillare, pervasivo ed in ultima istanza accettabile dalla popolazione. Quello che ha conferito ai mass media la definizione, ironica ma calzante, di “armi di distrazione di massa”.

Da quanto esposto fin qui si individua una prima forma di invadenza del sistema economico nei meccanismi democratici, sotto forma di un orientamento diffuso delle opinioni dei cittadini, che poi troverà espressione nel momento del voto. Ma l’invadenza non si ferma qui.

Ricordiamo che le imprese, al di là dell’avidità di chi le gestisce, si fanno bandiera di una sorta di ‘obbligo morale’ nel produrre ricchezza per sé e per i propri investitori. Ne consegue la necessità, riconosciuta e pubblicamente accettata, di intervenire per orientare a proprio vantaggio le decisioni dei poteri democratici: legislativo, esecutivo e giudiziario.

Da questo punto di vista, il soggetto speculare ai produttori e distributori di contenuti culturali, nell’ambito politico, sono i partiti. Al pari delle grandi testate giornalistiche, i partiti sono in parte espressione diretta di interessi economici (al punto da non doverlo neanche nascondere… Forza Italia di Berlusconi docet), in parte soggetti sedicenti ‘indipendenti’, sorretti da sistemi di finanziamento raramente trasparenti.

La pressione dei potentati economici sulle decisioni delle linee politiche da promuovere si esprime, quindi, anche indipendentemente dai meccanismi corruttivi tradizionali, mentre il caso estremo di invadenza agisce per mezzo di trasferimenti di denaro, a singoli uomini politici o figure tecniche in ruoli di grande responsabilità, effettuati in totale segretezza grazie ai paradisi fiscali. Il trait d’union formale tra mondo economico e mondo politico è rappresentato dai cosiddetti lobbisti, che hanno il ruolo di mediare tra gli interessi delle imprese e quelli della classe politica.

Il controllo dei potentati economici sui partiti si riflette nell’emanazione di leggi che favoriscono interi comparti, quando non singole imprese, e nelle scelte di destinazione di fondi pubblici (ad esempio quelli destinati all’estensione e manutenzione della rete stradale, che favorisce il comparto del trasporto e della mobilità privata ai danni delle reti su ferro e del trasporto pubblico).

Per inciso, non è strettamente necessario che le leggi approvate siano esplicitamente a favore di determinati interessi economici. È infatti sufficiente che tali leggi siano confuse, inapplicabili, farraginose e prive di decreti apllicativi perché portino acqua al mulino di chi ha investito per renderle inefficaci.

Così come non è strettamente necessario che i poteri economici siano legali perché possano prodursi i meccanismi sovra descritti: sistemi economici criminali come quelli legati al narcotraffico, che ha una rilevanza significativa su PIL nazionale, hanno anch’essi canali di accesso ai piani alti della politica. Pecunia non olet, dicevano i latini.

Quali sono le conseguenze ultime di questo quadro? Da diverso tempo una delle mie citazioni preferite è la frase di Mark Twain: “se votare servisse a qualcosa, non ce lo lascerebbero fare”. Più vado avanti ad analizzare i meccanismi sottesi all’esercizio di governo democratico, ed alla loro sostanziale corruttibilità, più mi convinco della veridicità di tale assunto.

Possiamo attenderci, ad esempio, che le esigenze di salute pubblica vengano poste in secondo piano rispetto alla redditività delle imprese. In Italia abbiamo innumerevoli esempi, dall’inquinamento diffuso nelle aree più ‘produttive’ (…), fino all’onnipresente invadenza del trasporto privato causata da scelte urbanistiche e trasportistiche scellerate, con tutto il suo portato di morti e feriti.

Possiamo attenderci che le misure di contrasto al crimine organizzato siano poche ed inefficienti, ed è facilmente verificabile come anche questa situazione si verifichi con frequenza. Possiamo attenderci che la certezza della pena sia messa in discussione da una legislazione eccessivamente garantista, e che l’efficacia degli iter processuali sia minata da una quantità di problemi, lungaggini e questioni tecniche derivanti da norme inutilmente complesse e disfunzionali.

Possiamo attenderci un teatrino della politica in cui i partiti ‘di destra’ promulgano impunemente politiche a favore dei grandi gruppi industriali, mentre i partiti sedicenti ‘di sinistra’ mettono in atto anch’essi politiche di destra anteponendo l’interesse dei grandi gruppi privati a quello pubblico, al più mascherandole da misure necessarie o scegliendo di rinunciarvi e perdere la successiva tornata elettorale per fare in modo che le stesse scelte politiche possano essere portate avanti dai loro teorici oppositori.

Il trucco sta nel mantenere l’apparenza di un sistema democratico, quando sono invece grandi imprese e gruppi finanziari a controllare quello che pensiamo, attraverso i mass media, e quello che decidono di fare i rappresentanti che eleggiamo, attraverso i partiti. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

mercoledì 20 maggio 2020

Il Sacro e la sublimazione della violenza

René Girard è stato un antropologo e filosofo francese del novecento.
Ha scritto diversi libri, sviluppando l'idea che ogni cultura umana è basata sul sacrificio come via d'uscita dalla violenza imitativa tra rivali, grazie al meccanismo rituale del capro espiatorio,
I Vangeli però ribaltano la prospettiva delle società precedenti: essi si presentano, apparentemente, come un mito qualsiasi, con la vittima-dio linciata da una folla unanime, ma la vittima è mostrata chiaramente come innocente e non come colpevole.
I miti arcaici erano costruiti sulla presunzione della colpevolezza della vittima, perché raccontavano l'avvenimento dalla prospettiva dei linciatori unanimi; il che permetteva al meccanismo sacrificale di essere efficace nel produrre o mantenere la pace.
Col personaggio di Gesù, invece, il dio della violenza scompare e si rivela un altro dio, estraneo ad ogni logica di violenza e schierato dalla parte delle vittime innocenti; così, senza più capri espiatori, ciascuno si ritrova solo con le proprie responsabilità
A René Girard è dedicato il post che segue, scritto da Alessia Vignali per il sito di Sollevazione.
LUMEN


<< Il saggio “La violenza e il sacro” dell’antropologo René Girard ci accompagna in una rilettura del complesso rapporto tra il sacro e la società. (…) La sua interpretazione potentemente euristica della genesi e del destino delle società, asserisce che queste ultime nascano e si sviluppino soltanto grazie alla presenza del sacro. Un “sacro” che è visto dall’autore nella specifica accezione di “violenza fondatrice” della cultura. (…)

Secondo Girard i valori, le norme, le credenze, le gerarchie, le differenze, insomma tutti i pensieri su cui si regge la civiltà, non potrebbero resistere alla fatale scoperta della loro “arbitrarietà”, se non grazie alla presenza del “religioso”.Notoriamente le regole, le leggi, i principi sono infatti dovuti al consenso tra uomini, a un “accordo”, dunque non sono necessariamente fondati su “verità naturali”. Sono “arbitrari”, posti dall’esterno per rendere possibile la vita comune.

Da tempo immemore, dunque, un dio collocato “al di fuori” della città [cioè della società stessa], ne garantisce l’intangibilità, previene le trasgressioni e ne comanda esemplare punizione. Ristabilisce l’ordine anche in tempo di crisi, scongiurando la definitiva scoperta dell’aleatorietà di tutti i principi.

Senza quel dio, a detta di Girard, la società imploderebbe a causa del dilagare della violenza al suo interno; essa non sarebbe più contenibile, poiché nell’equivalenza conclamata delle leggi, dunque nel livellamento delle gerarchie e delle differenze condivise, ognuno si sentirebbe legittimato a far valere i “suoi” principi, valori, diritti, a prevalere sull’altro ristabilendo così una differenza a suo vantaggio.

Ma il sacro, che previene la violenza attraverso l’esercizio della “sua” violenza, pretende sin dal principio vittime sacrificali, inizialmente umane, poi animali, infine [solo più] ricordate, in frammenti di ritualità violenta ancora contenuti in feste e celebrazioni rituali. Chiederebbe [di sacrificare] la vita di creature come il pharmakos, ancora presente nella Grecia del V secolo A.C.: uno storpio, un anomalo, un folle, un irregolare mantenuto dalla società e destinato a essere ucciso non appena le sorti della stessa divengano impervie.

Come il pharmakon della medicina, egli è il veleno, dunque anche l’antidoto che, espulso fuori dalla polis, la guarirà dello stesso male che le ha provocato. Anche Edipo è a suo modo un pharmakos, una vittima sacrificale, un capro espiatorio sul cui sacrificio si regge la salute dell’unanimità dei cittadini. Ecco perché, dopo l’Edipo re di Sofocle in cui viene condannato, nell’Edipo a Colono di Euripide egli diventa un eroe, cioè, a sua volta, “sacro”.

La tesi è d’indubbio interesse in una società occidentale in crisi, che continuiamo a definire correttamente “post-moderna” poiché caratterizzata dal relativismo dei valori. In essa il cammino del pensiero critico ci ha insegnato a dubitare delle antiche certezze, a mettere in discussione i nostri principi, a chiedercene il motivo, a liberarci dal giogo d’imposizioni insopportabili. (…)

Ma oggi, all’indomani del crollo di questi valori posti dall’esterno, ciascuno di noi è tenuto alla faticosa impresa di costruzione di un’etica e di un sistema di principi personale, se vuol regolare la sua condotta o educare i suoi figli. Siamo cioè posti di fronte al compito “interminabile” dell’individuazione di una collocazione originale (identità) rispetto alla “Babele dei principi”. (…)

Leggendo Girard ci chiediamo allora se ci sia un modo alternativo a quello posto dalla presenza di un principio “altro”, esterno, “sacro” per mantenere l’ordine nelle nostre città. E ci poniamo criticamente, sebbene affascinati dalle vertiginose suggestioni del testo, davanti alle sue tesi estreme, secondo le quali “la violenza e il sacro coincidono”, poiché all’origine di ogni civiltà ci sarebbe appunto il sacrificio violento, commesso arbitrariamente dall’unanimità dei membri della stessa.

Il rituale, che sposta all’esterno e colloca sul Dio la responsabilità della violenza originaria e la ripete (misconoscendone la reale provenienza) in quella attuale, mantiene l’ordine perché estroflette il male portandolo dall’interno all’esterno della città. La sua ciclica ripetizione consentirebbe una “catarsi” e garantirebbe di nuovo l’ordine anche in quei periodi, che Girard denomina di “crisi sacrificale”, in cui gli uomini cominciano a dubitare della trascendenza delle leggi. Periodi troppo simili al nostro. (…)

La teoresi di Girard è utile non solo in un percorso di lettura e ri-significazione dei miti, dei riti, del linguaggio, dell’arte, della tragedia, del sistema giuridico, delle scienze, ma anche nella riflessione quotidiana sui fattori che rendono più fragile o viceversa rafforzano il nostro vivere in comune.

Se è vero che, come postula, quando il senso del sacro viene meno si afferma una “crisi sacrificale” nella quale l’equivalenza dei valori determina il potenziale dilagare della violenza, allora ci interroghiamo sulla nostra capacità attuale di mantenere sui principi, sulle leggi, sulle consuetudini che informano il nostro stile di vita, il giusto “senso del sacro”, il giusto “rispetto”, il giusto “senso della trascendenza”.

Un tema attuale, in tempi tanto di “società liquide” (Zygmunt Bauman) quanto di “nichilismo” (Umberto Galimberti) quanto ancora di “evaporazione del padre”, dunque della “legge” (Massimo Recalcati). In particolare Recalcati, nel saggio “I tabù del mondo” (…) focalizza come nell’Italia di oggi si sia affermata una sorta di “allergia a ogni genere di tabù”, che nel pensiero comune viene equiparata a un sentirsi uomini davvero liberi.

La libertà dal divieto, dal limite, dunque da quel “trascendente” che si oppone all’onnipotenza del desiderio, è oggi una sorta di “folle comandamento” dai contorni inquietanti anche da un punto di vista psicologico. Se da una parte, ricorda Recalcati, il tabù (che io leggo come forma religiosa del limite) è “luogo di restringimento e di oppressione della vita”, dall’altra esso è “ammonimento e indice simbolico, memoria della Legge della parola, segno che la vita non ci appartiene mai come una semplice presenza di cui siamo proprietari, ma è qualcosa che porta con sé la cifra - trascendente e impossibile da svelare - del mistero”.

Il limite identifica, dà senso all’individuo in seno a un insieme di persone. La crisi degli adolescenti di oggi, che nella mente sono privi di limiti e confini (…), e nella pratica sono limitati, limitatissimi nella tangibile inaccessibilità di mezzi per un’autorealizzazione concreta, forse è in parte anche dovuta all’incapacità dei loro genitori di “ammantare di sacro” le parole che esprimono i loro valori. Il dilagare di psico-patologie depressive, ansiose, attacchi di panico o di nuove forme di dipendenza è sotto gli occhi di tutti.

Infine, la riflessione sul “sacro” e sulla “fiducia” nei propri modelli di pensiero e teorici è un tema importante anche per lo psico-analista, lo psico-terapeuta, lo psichiatra, il medico. La studiosa di psico-analisi Sandra Buechler, nel saggio “Valori clinici”, così come lo psicoanalista Giuseppe Battaglia, pongono tra questi valori la capacità di infondere “speranza” nei propri pazienti.

La speranza fa il paio con la fiducia, con la “fede”: come può il clinico stesso aver fede in qualcosa, foss’anche un modello teorico, in un momento storico che ci ha insegnato a dubitare, a relativizzare, a porre tra parentesi ogni costrutto? E come può dunque trasferire questa flebile fiducia anche ai pazienti? Egli può soltanto ripartire dall’esperienza che fa di sé, nel momento in cui l’efficacia e la forza delle sue teorie vengono validate dalla prassi. >>

ALESSIA VIGNALI

mercoledì 13 maggio 2020

Punti di vista – 18

POTERE POLITICO
Esistono due livelli di potere, il potere degli organismi politici eletti dal popolo e, al di sopra di questi, c’è il potere di una Entità indefinibile che detta le linee guida ai governi.
Funzione del potere politico è l’attivazione dei programmi dell’Entità.
A sua volta l’Entità si adopera con ogni mezzo per garantire la continuità del potere politico, creando privilegi per le persone che ne fanno parte, garantendo loro una immunità totale e un divenire fantasmi alla fine del loro operato.
Come ci riesce? Con attentati, depistaggi, delegittimazione.
È difficile sostenere che tutto è avvenuto come ci hanno raccontato, l’Entità esiste, e rappresenta forti interessi.
WALTER VELTRONI


CASUALITA' BIOLOGICA
[Le alterazioni nel DNA] sono accidentali, avvengono a caso. E poiché esse rappresentano la sola fonte possibile di modificazione del testo genetico, a sua volta unico depositario delle strutture ereditarie dell'organismo, ne consegue necessariamente che soltanto il caso è all'origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera.
Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, alla radice stessa del prodigioso edificio dell'evoluzione: oggi questa nozione centrale della Biologia non è più un'ipotesi fra le molte possibili o perlomeno concepibili, ma è la sola concepibile in quanto è l'unica compatibile con la realtà quale ce la mostrano l'osservazione e l'esperienza. (…)
Fra tutti i concetti di natura scientifica, quello del caso distrugge più degli altri ogni antropocentrismo ed è il più intuitivamente inaccettabile da parte di quegli esseri profondamente teleonomici che siamo noi.
JACQUES MONOD


ABBIGLIAMENTO
I ‘brand’ dell’abbigliamento più attenti alle tematiche ambientali ci informano che sono necessari 2700 litri di acqua per produrre il cotone necessario a fare una maglietta, che normalmente mettiamo un vestito solo 7 volte prima di buttarlo e che circa il 73% della produzione mondiale di abbigliamento finisce in discarica ogni anno. (…)
Ed ogni prodotto non danneggia l’ambiente solo quando lo buttiamo e finisce in discarica, ma ha già provocato la maggior parte dei danni prima che lo vedessimo in uno scaffale di un negozio.
DARIO FACCINI


AGRICOLTURA
Il boom economico degli anni ‘60 cambiò tutto. L’agricoltura meccanizzata e l’allevamento industriale produssero un declino nei prezzi delle derrate alimentari.
Ciò che significò da un lato cibo in abbondanza per tutti, ma sancirono la fine delle economie rurali preesistenti, il progressivo abbandono delle campagne e l’urbanizzazione ‘forzata’ dei giovani, assorbiti dalle nuove produzioni industriali. (…)
Tutto ciò che era stato tipico di una civiltà contadina, povera ma energica e vitale, finì in un lento oblio. I campi lasciati incolti, i frutteti abbandonati, le stalle vuote e fatiscenti, come pure, con la scomparsa degli anziani, la maggior parte delle case. (…)
Quello che spaventa di più, in tutto questo processo, è la scomparsa di saperi, competenze ed abitudini.
Una semplice diminuzione nella disponibilità energetica globale sarà capace di rendere antieconomico l’attuale andirivieni motorizzato, e a quel punto chi sarà nuovamente in grado di prendersi cura dei campi? Chi si occuperà degli animali?
Chi potrà di ridar vita ad un’economia ed un modus vivendi ormai cancellati dalla memoria?
MARCO PIERFRANCESCHI


LA FAMIGLIA DI GESU’
I credenti (…) si offendono all’idea che Giuseppe sia il vero padre di Gesù, anche se due vangeli su quattro – Matteo e Luca – fanno partire la genealogia del presunto Messia da Adamo e arrivano a Giuseppe, “che generò Gesù”.
Nessun accenno allo Spirito Santo. (…)
Se, oltre a far notare ciò che dicono le due genealogie, si fa osservare ai credenti che tutti e quattro i vangeli riconosciuti dalla Chiesa (Marco, III, 31 e VI 1-3; Matteo XII, 46-49; Luca VIII, 19-21; Giovanni II, 12) parlano dei fratelli di Gesù, e Marco ne fornisce addirittura i nomi, i credenti non ne sono turbati e non vanno neppure a controllare i passaggi indicati.
Pensano che le affermazioni del miscredente siano false e che, se proprio fossero vere (nel senso che nei vangeli c’è effettivamente scritto ciò che il miscredente dice) se la cavano presumendo che ci debba essere una spiegazione.
Loro non sanno qual è, ma sono sicuri che esiste, e questo gli basta. Il fatto che la loro convinzione sia letteralmente smentita dai Vangeli non li scuote e non li preoccupa.
GIANNI PARDO

giovedì 7 maggio 2020

Biblioteca che passione !

Diceva il grande biologo Richard Dawkins che i tassonomisti sono più fortunati dei bibliotecari.
Perchè la classificazione delle specie biologiche, che per lunghi secoli ha utilizzato sistemi discussi e discutibili, è ora finalmente divenuta univoca, grazie all'analisi del DNA, che consente, praticamente senza errori, di ricostruire in modo definitivo la corretta discendenza, e quindi collocazione, di tutte le specie.
Con i libri invece siamo sempre a mezzo guado: qualunque sistema si voglia utilizzare (a partire dal famoso metodo Dewey, usato ufficialmente dalle biblioteche italiane), la classificazione lascia sempre delle zone grigie e degli ibridi difficili da collocare.
Ma organizzare al meglio la propria biblioteca, soprattuto se ampia, resta un piacere a sé stante, al quale è difficile rinunciare.
Quelli che seguono sono alcuni consigli in materia, interessanti ma – ovviamente - opinabili, elaborati dallo scrittore Gianni Simoni (dal sito Il Libraio).
LUMEN


<< Libri: un vocabolo che è ad un tempo suggestivo e evocativo. Libri e libreria: due termini inscindibili, perché i libri, a parte quelli che stai leggendo o rileggendo, devono trovare una loro collocazione.

E quando sono tanti (da quelli acquistati in gioventù, a quelli comprati in una libreria, dalla quale è difficile uscire a mani vuote, attirati da una recensione benevola o intrigante o dalla terza di copertina spesso caratterizzata da un’ambiguità che non si differenzia da quella che accompagna qualsiasi altro prodotto e potrai smascherare leggendo il primo capitolo o solo l’incipit) potrai provare un’inevitabile delusione.

Ma un libro non lo si getta, magari lo si mette da parte, per riprenderlo a distanza di tempo e per controllare se quella tua prima sensazione non fosse legata al momento, un momento della tua vita, in cui cercavi qualcosa senza trovarla. Anche perché è difficile staccarsi dalla carta stampata, dal piacere sottile che ti viene dal solo maneggiare un libro, dal saggiarne la copertina, dal profumo misterioso che solo la carta stampata può regalarti.

E quando i libri sono tanti devono necessariamente trovare una loro collocazione, che non può essere che una libreria o più librerie, che riempiranno le pareti della tua casa, rendendola più accogliente.

Ed allora come organizzare la propria libreria, seguendo criteri non puramente estetici? Anche perché i libri non sono dei barattoli di marmellata che possono essere accostati uno all’altro, in base alla loro dimensione o al loro contenuto. Ecco, quindi, qualche piccolo e personale consiglio (o meglio, suggerimento):

1) rifuggire anzitutto da criteri estetici (per edizione, per il colore delle costole, per la copertina rigida o in brossura): solo l’occhio, un occhio superficiale ne potrebbe essere appagato, mentre un libro è qualcosa di particolare, che merita rispetto.

2 ) dividerli per argomento? In un settore la saggistica e in un altro la narrativa? Potrebbe apparire un criterio ragionevole, ma come la mettiamo quando un autore si è provato in entrambe le direzioni?

3) E allora come sistemarli? Ma, prima ancora, come immaginare una libreria destinata ad accoglierli?
Prendiamo le dimensioni di un libro medio. Gli spazi tra un ripiano e l’altro dovrebbero superarla di pochissimi centimetri senza che si scorga il bianco della parete o il colore del legno, volta che la libreria abbia uno schienale. 

Quelli di formato più grande li potremo mettere di traverso, uno sull’altro. La parte inferiore di una libreria che dovrebbe partire, salvo uno “zoccolo”, quasi dal pavimento, è fatta proprio per questo (e non mi soffermo su quelle librerie verticali con delle mensole sporgenti e alternate che sarebbero più adatte a ospitare pappagalli o altri simpatici pennuti, e alle quali si può ricorrere solo quando la casa straripa di libri).

4 ) Ma veniamo al punto critico.
Come collocarli nella libreria? Per autore? Per case editrici? Sono criteri fasulli. Dovranno esserci invece settori destinati agli italiani, ai francesi, agli inglesi, ai russi, agli americani e ai latino-americani, agli scandinavi, e così via,

5) Ma a questo punto, attenzione! Entriamo in un campo che, a mio avviso, non dovrebbe prestarsi a discussioni. Quale l’ordine di collocazione, quello cronologico, non dovrebbero esservi dubbi. Quale che sia l’edizione, Cervantes non potrà mai succedere a
Garcia Lorca o Gadda precedere Svevo (o la Certosa collocarsi prima de Il Rosso e il Nero). Ordine cronologico, quindi. 

E’ un criterio utile e rispettoso, che ti permetterà di andare a colpo sicuro, sempre che tu abbia le idee chiare, ma che può anche servire a chiarirtele, in un universo letterario in cui i libri sono come i pianeti che ruotano intorno a una stella, ognuno secondo la propria evoluzione, che deve rimanere ferma nei secoli, per non cadere nel caos.

E in questo universo letterario potrai muoverti, senza timore di fallire e con la certezza che ogni cosa si trovi al posto giusto, quello che le è stato assegnato dal tempo che scorre e che nessuno dovrebbe permettersi di mutare.

E, per favore, niente dizionari o enciclopedie. Quelli sono solo degli strumenti e il loro posto è altrove.

Buona lettura, dunque, e per chi ha i capelli bianchi, buona rilettura.
Rileggere e un’esperienza unica, che a volte può deludere, altre esaltare. Facciamolo, prima che sia troppo tardi. >>

GIANNI SIMONI

domenica 3 maggio 2020

Pensierini - XLI

PESSIMISMO PROCREATIVO
Mi chiedo se la paura di dover convivere, per un imprecisato periodo, con una pandemia cronica non possa portare, anche solo a livello inconscio, ad una diminuzione della spinta procreativa.
E' noto, infatti, che vi è una discreta correlazione tra ottimismo sociale ed aumento demografico, correlazione che dovrebbe valere anche all'inverso.
E siccome considero la 'ritirata' demografica come l'obbiettivo prioritario del pianeta (e non posso ovviamente augurarmi nessuna soluzione violenta), mi sento di apprezzare questo ipotetico 'pessimismo sociale' come una delle scorciatoie più accettabili.
Sarebbe una sorta di (involontario) rinsavimento della specie. 
LUMEN 


MEGALOPOLI
Le megalopoli dominano ormai il nostro pianeta.
La loro nascita ed il loro rapido sviluppo seguono un percorso che ha, indubbiamente, una sua logica.
Se però qualcuno mi chiedesse di trovargli un pregio, anche uno solo, non saprei proprio cosa rispondergli.
LUMEN 


OMBRELLO BUCATO
Questa UE mi sembra sempre più un ombrello bucato: abbiamo speso dei soldi per comprarlo, ma poi, quando piove, non serve a nulla.
Se c'è una situazione di emergenza e chiediamo aiuto, riceviamo solo degli imbarazzati dinieghi, o al massimo, dei cortesi rinvii.
Quindi, a cosa ci è servito esattamente essere entrati nella UE e nell'Eurozona, visto che, essendo contribuenti netti, ci costano un bel po’ di denaro ogni anno ?
Non è una domanda retorica, la mia. E’ proprio una domanda vera. 
LUMEN 


TASSAZIONE
A proposito delle modalità di tassazione, che gravano sulla nostra esistenza non molto meno del loro ammontare, mi piacerebbe un sistema che prevedesse, per principio, il divieto di addossare al contribuente l’onere di calcolare da sè le proprie tasse (sia per l’an, che per il quantum).
Mi rendo conto che ci sono dei pro e dei contro a questo sistema: tra i pro la facile individuazione degli evasori; tra i contro la difficoltà di calcolo da parte dell’ente pubblico.
Ma dover pagare (salato) per un errore formale o una omissione involontaria è una cosa intollerabile, che dovrebbe essere evitata per legge. 
LUMEN 


PIL INUTILE
Questa crisi ci sta dimostrando che la metà del PIL è costituito da cose inutili, a cui si può facilmente rinunciare senza perdere in ricchezza effettiva.
In fondo quello che ci manca di più in questa quarantena non sono le cose che non possiamo comprare, ma la perdita dei contatti umani.
Il vero problema socio-economico, quindi, non è come recuperare le produzioni inutili, ma come consentire a chi ci lavorava di avere un reddito sostitutivo.
LUMEN


PANDEMIA
Sui media, ormai, si parla di cornavirus quasi 24 ore al giorno, ma mi pare che quasi nessuno abbia il coraggio di evidenziare i due presupposti negativi che esaltano gli effetti della pandemia:
1-l’eccesso di popolazione, soprattutto nelle grandi città, che non consente di ridurre la densità di persone sul territorio in misura adeguata.
2-l’eccesso di inquinamento che, danneggiando cronicamente le nostre difese immunitarie, prepara il terreno all’assalto dei virus.
Ignorare questi due aspetti mi sembra un errore gravissimo, perchè nella gestione del “dopo”, questi dovrebbero essere i due punti fermi da cui ripartire.
LUMEN


PICCOLA IMPRESA
Un imprenditore ha detto: “Viviamo in una società in cui è molto più semplice far lavorare la gente gratis, che pagandola”.
Mi sembra una sintesi perfetta della situazione italiana.
La burocrazia e l’iper-normazione stanno lettteralmente strangolando la piccola impresa, che è sempre stata la spina dorsale dell’Italia.
Possibile che la normativa di impresa non possa prevedere una certa flessibilità per soglie progressive ?
Io credo che moltissimi piccoli imprenditori baratterebbero volentieri meno contributi in cambio di meno vincoli.
LUMEN


VITE UMANE
Sacrificare delle vite umane in nome della ricchezza e del profitto è una costante delle società umane.
A partire dalla schiavitù dei tempi antichi, sino all’esercito di leva dei tempi più recenti, passando per tutte le gradazioni intermedie (lavori obbligati e/o pericolosi).
Oggi, in tempo di coronavirus, assistiamo da parte dei governi ad un tentativo abbastanza nuovo (anche se spesso solo mediatico) di mettere le vite umane al primo posto. Mi sembra un passo avanti.
LUMEN


POPOLO ED ELITES
Molti sostengono che il popolo, con il proprio impegno sociale e politico, può incidere attivamente sulle sue elites ed, entro certi limIti, renderle più disposte al benessere collettivo.
Io sono piuttosto pessimista su questo punto.
E' senz'altro vero che il benessere di una società dipenda in larga misura dall’intelligenza e dalla lungimiranza delle proprie elites, ma è molto difficile dire se queste doti siano collegabili alle virtù della popolazione, oppure soltanto casuali.
LUMEN