lunedì 27 novembre 2023

La Terra del pianto

Questo post è dedicato all'attuale situazione geo-politica del Vicino Oriente (Palestina e dintorni), un territorio storicamente martoriato, nel quale si ha sempre un'impressione strana: non che tutti abbiano ragione, ma che tutti abbiano torto.
Le considerazioni che ho riportato, opera di diversi autori, sono tratte dal web. 
Non vi auguro 'buona lettura', perché si tratta di un post che avrei di gran lunga preferito non fare.
LUMEN


CONFLITTI SENZA FINE
Perché Israele e’ in conflitto continuo con gli arabi? Perché gli israeliani sono in conflitto perenne al proprio interno.
Sono divisi in gruppi più o meno religiosi che si scannano per le rispettive parrocchie rabbiniche, e non c’è alcun dubbio che il conflitto esterno sia una conseguenza inesorabile. Un popolo stracolmo di conflitti interni non può vivere in pace, con chiunque venga in contatto.
Lo stesso dicasi per il mondo arabo. E’ diviso in nazioni, correnti, tribù, chi più ne ha e più ne metta, in perenne conflitto per il dominio, per cui entrerà inevitabilmente in conflitto con qualsiasi cosa sia diverso.
E’ esattamente la stessa cosa che ho detto per gli israeliani. Nemmeno il mondo arabo e islamico può davvero vivere senza conflitti con l’esterno, perché ne ha troppi al suo interno.
Chiaramente, se metti a contatto due culture stracolme di conflittualità interne, otterrai solo guerra.
URIEL FANELLI


LA TRAGEDIA DEL LIBANO
La situazione del Libano, da alcuni decenni a questa parte, è catastrofica. Un tempo era stato la Svizzera (e la Montercarlo) del Vicino Oriente: tollerante, civile, cosmopolita e, insomma, uno dei posti migliori in cui andare. In seguito è divenuto un autentico, miserabile inferno e nel 2020 ha anche dichiarato fallimento (...)
Tutto cominciò con l’invasione dei profughi palestinesi. I libanesi commisero l’imprudenza di accoglierli (diversamente da quanto sta facendo attualmente l’Egitto) e presto quelli si comportarono da padroni (come prima avevano fatto in Giordania, da dove erano stati scacciati a cannonate).
Tormentarono talmente Israele che alla fine Gerusalemme invase il sud del Libano fino al fiume Litani. Solo per tenerli lontani. E in seguito, come conseguenza di una prodezza di Hezbollah, Israele invase e semidistrusse l’intero Paese. Fino a provocare un intervento per istituire un contingente militare internazionale, di cui fa parte anche l’Italia, che mantenesse la pace.
Il piccolo Stato non si è mai liberato di due croci: i palestinesi e Hezbollah il quale, longa manus di Teheran, è ormai militarmente più forte dello stesso esercito libanese.
GIANNI PARDO


UNO STATO PARTICOLARE
L’ambito fondativo dello Stato ebraico è il sionismo, ed il sionismo è una dottrina politico-religiosa formulata da Theodor Herzl nel pieno dell’età del colonialismo imperialistico europeo, al pari del pangermanesimo e del panslavismo, più o meno coeva alla Conferenza di Berlino del 1878, presieduta da Bismarck che per dirimere la questione balcanica inaugura de facto l’età dell’imperialismo europeo.
Con ciò, si badi bene, non intendiamo dire che il sionismo abbia caratteri omologhi a quelli delle altre ideologie citate, ma che esso pone, in un futuro Stato ebraico (…) come requisito di cittadinanza l’appartenenza religiosa.
Con ciò regredendo, rispetto allo “jus publicum europeum” di alcuni secoli. ‘E noto che l’epoca delle guerre di religione in Francia, che hanno segnato il periodo più sanguinoso della storia europea, si conclude con l’editto di Nantes del 1598 promulgato da Enrico IV di Borbone, che riconosce ai calvinisti francesi, detti ugonotti, il diritto di professare la propria religione senza più discriminazioni e minacce da parte della maggioranza cattolica.
Si stabilisce così (salvo le riserve determinate dalla cultura del tempo, per cui i protestanti potevano disporre all’interno dello stato francese di una propria forza armata a garanzia della propria incolumità, diritto poi revocato in una fase successiva) che il requisito della cittadinanza non è più la confessione religiosa.
In seguito, fatto salvo in Francia e non solo, il principio del monopolio della forza quale condizione della statualità, che fonda l’ordinamento giuridico su territorio, popolazione e potere sanzionatorio, il diritto di cittadinanza viene svincolato dal dato confessionale ed integrato nella successiva dottrina dello Stato giusta i principi razionalisti ed illuministi
Il sionismo fa un obiettivo passo indietro, teorizzando uno Stato in cui la pienezza dei diritti è legata alla religione ebraica.
NELLO DE BELLIS


VIVERE IN UN IMPERO
La sfortuna dei palestinesi (...) si coglie innanzi tutto ripercorrendo la loro storia. Come si sa, l'Impero Ottomano è stato estremamente esteso ed è nato ben prima che nascessero le coscienze nazionali.
In quel tempo era molto più importante che si fosse cristiani o musulmani, cattolici o ortodossi, che si parlasse l’una o l’altra lingua e per il resto era secondario che politicamente si facesse capo all’una o all’altra potenza. Non esisteva ancora il concetto di nazione.
E questo stato di cose era anche in parte l’eredità dell’Impero Romano che riuniva sotto di sé tante regioni, anche molto diverse ma con pari dignità, purché sottoposte a Roma. Prova ne sia che durante l’Impero gli imperatori spesso sono stati di nazionalità (diremmo oggi) diversa da quella romana. Non solo ce ne furono più d’uno spagnoli, ma ce ne fu persino uno arabo.
Nello stesso modo, nell’immenso Impero Ottomano contava più la comune religione musulmana che l’essere nati in Albania, in Iraq o in Palestina. E questo cosmopolitismo estendeva la sua tolleranza anche alle altre religioni: prova ne sia che quando los Reyes Católicos scacciarono gli ebrei dalla Spagna, più o meno al tempo della scoperta dell’America, è nell’Impero Ottomano che essi trovarono rifugio. (…)
Per tutte queste ragioni, salvo che nei decenni recenti, sarebbe stato ozioso chiedersi a chi appartiene – o deve appartenere – la Palestina. Per un tempo lunghissimo la risposta è stata: a Istanbul. E per il resto c’era posto per chiunque volesse abitarci.
E così è stato anche dopo che l’Impero Ottomano si è dissolto, alla fine della Prima Guerra Mondiale. La grande novità che ha creato il nodo gordiano che oggi abbiamo sotto gli occhi si è avuta dopo la Seconda Guerra Mondiale. (…)
Questo dramma che sembra eterno, questo fanatismo religioso, e questo odio che sembra così radicato, sono fenomeni così recenti, immotivati e feroci, che non si riesce affatto a capirli. Ma bisogna prenderne atto.
GIANNI PARDO

lunedì 20 novembre 2023

Pensierini – LXIV

LA NOIA
Una delle categorie di persone più patetiche in assoluto (da intendersi in senso ironico) è rappresentata da coloro che dicono di 'annoiarsi'.
Non solo perchè per annoiarsi è necessario non avere nessuna altra preoccupazione, cosa che dovrebbe già da sola renderci contenti, ma anche perchè, al giorno d'oggi, annoiarsi è praticamente impossibile, visto che con pochi soldi è possibile leggere libri e giornali, guardare film e spettacoli, sentire musica, e molte altre cose.
Ma chi si lamenta per la noia non si riferisce a queste cose, che potrebbe fare facilmente. Si riferisce, ovviamene senza saperlo, alla mancanza di attività sociali che lo facciano sentire superiore.
Ed allora diventano pericolosi, non solo per sé stessi, tanto da dedicarsi a sport estremi od altre attività border-line, ma anche per gli altri, in quanto diventano capaci, pur di ottenere il loro scopo, di offendere, deridere o addirittura maltrattare le persone più deboli.
E questo è davvero molto triste.
LUMEN


ELITES OPPORTUNISTE
In campo socio-politico, io seguo la teoria delle c.d. 'elites opportuniste', cioè che si limitano a sfruttare le nuove tendenze sociali senza determinarle.
Ritengo pertanto che i movimenti popolari di rottura (femminismo, ecologismo, veganismo ecc.), siano effettivamente spontanei e non creati appositamente ex nihilo.
Questi movimenti, cioè, sono nati da istanze autonome della società, per motivi inizialmente libertari, e solo dopo, quando, aumentando di importanza, potevano diventare pericolosi per il potere, le elites sono poi intervenute per manipolarli dall'interno e tenerli sotto controllo.
Alla base di questa teoria c'è la convinzione che le elites possono molto, ma non possono tutto, e che il mantenimento del potere (che è il loro unico vero scopo), è già un'impresa notevolmente impegnativa.
LUMEN


TECNOLOGIA PSEUDO-MAGICA
Molti sono convinti che il progresso continuo della scienza e delle sue scoperte possa rendere sempre più razionale il pensiero umano, anche tra la gente comune.
Io, però, non riesco a sentirmi troppo ottimista.
Ho paura infatti che la scienza, non venga vista come un nuovo 'metodo razionale di pensiero', al quale adeguarsi per ragionare meglio, ma solo come la 'madre' della tecnologia, che tanto apprezziamo.
E che la moderna tecnologia, non potendo più essere compresa (data l'enorme complessità che ha finito per acquisire) venga interpretata soltanto come un nuovo sistema pseudo-magico di risolvere i problemi.
Perchè, per come è strutturata la mente umana, ho la sensazione che il pensiero magico non possa morire mai.
LUMEN


SANGUE BLU
Ma secondo voi, per un occidentale di etnia 'caucasica', è più desiderabile avere la pelle molto chiara, oppure molto abbronzata ?
Dipende. Dipende da quale 'aspetto' della pelle è più utile, secondo i tempi, per rimarcare la propria ricchezza e la propria superiorità.
Una volta, i ricchi cercavano la pelle bianca (da cui l'espressione 'sangue blu' per indicare i nobili, le cui vene erano ben visibili sul corpo pallido) perchè era un segno della loro vita oziosa, che non li obbligava a lavorare all'aperto, come i contadini e tutti gli altri.
Oggi invece va di moda l'abbronzatura, perchè dimostra che la persona è così ricca da potersi permettere molti mesi di vacanza nelle località più soleggiate.
Come vedete, il diavoletto della superiorità si infila proprio dappertutto.
LUMEN


GUERRE
Quando due nazioni entrano in guerra tra loro, è sempre molto difficile (salvo casi particolari) prevedere chi risulterà alla fine il vincitore.
Una previsione sicura, però, la possiamo fare uguamente: quando la guerra sarà finita una delle due Nazioni si ritroverà più povera; e l'altra si ritroverà MOLTO più povera.
LUMEN


PROSELITISMO ATEO
Anche se molti atei si limitano tenere per sé le proprie convinzioni su Dio, ve ne sono altri che, invece, si danno molto da fare per cercare di convincere i credenti religiosi, in una sorta di proselitismo laico.
Forse lo fanno con spirito positivo, nella convinzione che un mondo di atei sia preferibile ad un mondo di credenti.
Io, però, su questo punto, sono molto perplesso; anzi ritengo che nessun ideale laico potrà mai costruire una coesione sociale paragonabile a quella religiosa.
Per conseguenza, ho rinunciato da tempo al proselitismo ateo, preferendo lasciare a ciascuno le proprie illusioni.
LUMEN

mercoledì 15 novembre 2023

La distorsione Identitaria

La difesa dell'ambiente è diventata sempre più difficile, almeno negli USA, perchè viene ostacolata non solo (com'è ovvio) dalla crescita continua della popolazione e dell'immigrazione incontrollata, ma anche dall'attuale cultura 'identitaria', che attacca le proposte ambientaliste con accuse 'ideologiche' assolutamente ingiustificate.
A questo argomento è dedicato il post di oggi, scritto da Karen Shragg per il sito americano 'The Overpopulation Project'; la traduzione dall'inglese è di Google translate.
LUMEN


<< La protezione della natura non dovrebbe essere una questione di parte, eppure lo è diventata. Ciò è particolarmente vero con l’ascesa della politica dell’identità e della cultura dell’annullamento (“cancel culture”).

Gli Stati Uniti ricordano quest’anno il 57° anniversario del Wilderness Act (1966), [che consentì] la creazione di 54 aree selvagge. (...) Da allora, il Congresso ha approvato più di 100 progetti di legge separati che designano più terreni sotto stretta protezione. Ma per quanto grandi siano sulla carta, queste tutele legali vengono indebolite dal nostro continuo impegno per la crescita con la “C” maiuscola.

La crescita della popolazione statunitense, che è già più che raddoppiata nel corso della mia vita, raggiungendo i 335 milioni, significa che abbiamo bisogno di più acqua, più infrastrutture, più assistenza sanitaria, più scuole e così via per accogliere i nuovi arrivati, il che mette a dura prova la fauna selvatica negli angoli insostenibili del nostro paesaggio sempre più al servizio dell’uomo. (…)

Abbiamo bisogno di pensare in grande, e non possiamo affrontare il problema con il pensiero ristretto della politica dell’identità.

Alcune cose semplicemente non dovrebbero essere politicizzate: per un paese o sono buone o cattive. La crescita è dannosa per gli Stati Uniti, che stanno lottando per affrontare gli effetti di tempeste più frequenti e intense, dovute al cambiamento climatico, e alla diffusa povertà sistematicamente radicata da tempo.

Abbiamo ancora leggi che tassano i pagamenti della previdenza sociale dei cittadini comuni, lasciando scappatoie per i ricchi. Indipendentemente dalle leggi, tuttavia, a un certo punto il numero degli esseri umani travolge tutto, compresa la natura selvaggia che abbiamo lottato per proteggere negli anni '60.

Nessun sindaco di nessuna delle nostre 19.000 città, ad eccezione forse di alcune piccole città rurali, potrebbe onestamente dire che più persone risolverebbero i loro problemi di criminalità, di senzatetto, di inquinamento, di acqua o di traffico. Tuttavia, quando arriva il momento di provare ad avere una discussione ragionata da entrambi i lati della navata sulla moderazione al confine, da dove proviene la maggior parte della nostra crescita, tutto ciò che ottieni sono accuse di razzismo.

La politica dell’identità è la tendenza delle persone di una particolare religione, gruppo etnico o background sociale a formare alleanze politiche per portare avanti i propri programmi come una crociata morale. In questo pensiero di gruppo, le questioni diventano in bianco e nero.

I veri conflitti di interessi, come quello tra la conservazione della natura e l’accoglienza di più persone, vengono negati e presentati come una semplice cortina di fumo per il razzismo o peggio. “Eco-fascista” è il nuovo insulto con cui respingere ogni tentativo di portare l’immigrazione nel dibattito sulla sostenibilità.

La fauna selvatica è messa sotto pressione dall’espansione delle città: un’espansione che, come è stato dimostrato, è causata principalmente dalla crescita della popolazione. Coloro che affermano di avere a cuore la fauna selvatica devono capire che continuare a consentire leggi sull’immigrazione permissive o non applicate che impongono la nostra continua crescita significa restare su un terreno ipocrita.

La maggior parte delle persone che si identificano con valori progressisti e favoriscono la giustizia sociale hanno formato un fronte unito, per ascoltare solo le tristi circostanze di coloro che lottano per raggiungere i nostri confini e accedere a una vita migliore.

Queste persone ben intenzionate vogliono abbracciare gli oppressi e si rifiutano di considerare le conseguenze negative delle politiche che sostengono. Se qualcuno osa mettere in discussione le frontiere aperte, è più facile considerarlo xenofobo che vedere se i fatti confermano le sue preoccupazioni.

Associano solo l'idea del controllo dell'immigrazione alla filosofia dell'opposizione e non vogliono ascoltarli. Ascoltare minaccerebbe la loro appartenenza al “club” politico sul quale hanno costruito la propria identità e il senso di autostima. Coloro che sottolineano lo stress che la crescita dell'immigrazione esercita sulle nostre risorse già messe a dura prova non vengono presi in considerazione, perché vengono associati alla parte “sbagliata” del corridoio.

Sono considerati xenofobi perché, quando si tratta di questo tema, i progressisti vedono solo due colori: blu (Democratico) o rosso (Repubblicano). Se sei “blu”, accetti il pensiero a valle di aiutare il mondo a utilizzare e degradare le risorse di cui i futuri cittadini avranno bisogno. Se sei 'rosso' sei associato a coloro che hanno il cuore indurito, soprattutto verso gli stranieri. Nessuno dei due atteggiamenti aiuta la nostra fauna selvatica o i nostri sindaci esausti, soprattutto delle città di confine.

È tempo di chiedere un approccio bipartisan sfumato che riconosca che c’è spazio per una via di mezzo. Esistono opzioni per fermare la nostra crescita insostenibile con politiche di immigrazione sensate. Le realtà climatiche non faranno altro che aumentare la pressione migratoria e prima faremo i conti con il nostro diritto – anzi, la nostra responsabilità – di proteggere le nostre risorse e la fauna selvatica, meglio sarà.

Solo quando noi americani vedremo che il nostro Paese ha già sovraccaricato le risorse nazionali e globali con una domanda eccessiva, saremo in grado di raggiungere l’altra parte del corridoio con un’offerta di pace. Sostenere le restrizioni alle frontiere favorirà non solo la fauna selvatica rimasta, ma anche buoni salari, adeguate reti di sicurezza sociale, infrastrutture essenziali, alloggi accessibili e dignitosi e tutte le cose che ci stanno a cuore.

Non possiamo più permetterci una politica identitaria miope quando si tratta della questione dell’immigrazione. Questo vale sia per l'immigrazione legale che per quella clandestina, perché alla fauna selvatica non interessa chi ha i documenti o chi no. Hanno solo bisogno di spazio per vivere. >>

KAREN SHRAGG

giovedì 9 novembre 2023

La settima Arte - (3)

Torno a parlare di cinema, ma questa volta il post è dedicato a 2 film italiani, sempre scelti fra i miei preferiti.
I testi sono tratti, anche in questo caso, dal sito specializzato 'Gli Spietati'.
LUMEN


PERFETTI SCONOSCIUTI

TRAMA - Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata ed una segreta. Un tempo quella segreta era ben protetta nell’archivio della nostra memoria, oggi nelle nostre Sim. Cosa succederebbe se quella minuscola schedina si mettesse a parlare?

<< L'idea alla base della sceneggiatura (quella del patto tra i convitati di denudarsi emotivamente, attraverso l'uso condiviso del proprio cellulare) non è soltanto molto efficace, ma è soprattutto sviluppata con perizia, assecondando un disegno dei personaggi perfettamente calibrato; i loro caratteri vengono delineati gradualmente, il piano delle rivelazioni non è mai precipitoso, l'assetto dei dialoghi sempre solido, l'alternanza dei punti di vista molto fluida, la partita degli equivoci e degli scambi di ruolo viene condotta con puntualità.

Genovese (...) si muove con sicurezza sul suo terreno congeniale, quello nel quale l'immedesimazione dello spettatore è inevitabile: se i cellulari sono diventati delle scatole nere dell'esistenza, il loro contenuto, svelato, può mettere in pericolo anche gli equilibri in apparenza più saldi; la coscienza di un tale pericolo, insito nella pratica di svelamento della propria privacy, va a toccare, dietro la maschera dello scherzo e del divertimento conviviale, un tabù. E come tabù, la questione, verrà identificata, passo dopo passo, dal film.

L'incantesimo dell'eclisse, (…) ribadisce in realtà il punto: non penserete davvero che delle persone che, come tutte, hanno segreti e bugie da nascondere, possano scientemente arrivare a mettersi in gioco così tanto? Non penserete davvero che una sfida siffatta possa essere accettata? Non penserete davvero che questo tabù (eccolo) possa essere infranto?

No, è l'evento astronomico a stravolgere la normale logica comportamentale e a condurre queste persone a mettersi in gioco, ad affrontare le conseguenze della loro sfida. E quando l'effetto dell'eclisse sarà passato tutto tornerà alla normalità e quel disvelamento si scoprirà mai avvenuto. Le cose sono state viste, per un attimo, sotto una luce diversa: una luce accecante, uniforme, che non permette ombre, chiaroscuri, che rende tutto innaturalmente, mostruosamente chiaro (le opinioni personali, i tradimenti, le considerazioni reciproche, i pregiudizi, le scorrettezze).

Quindi, una volta denudate tutte le piste narrative, il confronto diventa gioco al massacro, l'intreccio rivela problematicità serie, si fa potenzialmente tragico, il film virando improvvisamente (come spesso avviene nei lavori del regista) sul dramma.

Perfetti sconosciuti, insomma, narra consapevolmente di un'ipotesi limite, di uno svelamento impossibile: è un 'what would happen' che, aprendo uno squarcio sulla sostanza reale dei rapporti (tutti), mostra come essi funzionino, come si reggano su menzogne, rassegnazioni, rifiuti ad accettare la realtà, prese d'atto delle altrui inadeguatezze. Nell'intuire questo ambito e nel muoversi in esso con acume e la necessaria accortezza, senza inciampare in facilonerie, nel suo mostrare, anche spietatamente, un nervo scoperto, nella direzione sensibile di un cast ispirato, sta il merito del film, il più maturo ad oggi del regista. (Luca Pacilio) >>



THE PLACE

TRAMA - Un misterioso uomo siede sempre allo stesso tavolo di un ristorante, pronto a esaudire i più grandi desideri di otto visitatori, in cambio di compiti da svolgere. Quanto saranno disposti a spingersi oltre i protagonisti per realizzare i loro desideri?

<< The Place è il 'Posto' in cui le storie non si svolgono, ma si raccontano. Di quanto accade fuori dal 'Posto' non vediamo nulla, possiamo solo supporre che i racconti che ascoltiamo rispondano a eventi reali o che aderiscano perfettamente, nella sostanza, alle parole scelte per descriverli. Più di ciò che si racconta, conta chi lo fa, come lo fa e in che rapporto è con chi sta ascoltando, perché è in questi elementi che risiede la narrazione di primo grado, ovvero quello che stiamo guardando. (...)

Per questo il momento più interessante del film è quello in cui l’anziana moglie del malato di Alzheimer (Giulia Lazzarini) dichiara di voler mettere la bomba in The Place: perché finalmente la narrazione esterna farebbe irruzione all’interno del luogo in cui le storie vengono narrate e le avvalorerebbe (...). Ovviamente l’attentato rimane una pura minaccia, la constatazione dell’evento non ci è data: non sapremo mai se quella bomba è stata effettivamente costruita. (...)

Il film (…) è una raccolta automatica di sipari (la teatralità è già suggerita dall’unità di luogo), di dialoghi a due (eccezionalmente a tre) con cambi regolari di personaggi (pletora di primi piani - stretti e strettissimi), infilati come perle in successione nella collana-film. L’intrecciarsi delle storie fa sì che non ci si perda nessun pezzo, che si ascolti anche l’avventore della cui vicenda ci importa meno perché comunque collegata al disegno generale. (...)

Così lo schema è sempre a vista (apertura, sviluppo, chiusura), la struttura parcellizzata evidente (le micropuntate suggerite dalle dissolvenze), gli automatismi dell’operazione annullando carne e sangue che, se ci sono in potenza, nei fatti non si riscontrano perché l’arido congegno è più forte della sostanza con la quale lo si nutre.

Così, di The Place si apprezza soprattutto (...) la coralità (di qui la sfilata di attori di nome e riconoscibili) che si collega alla molteplicità di storie che si intrecciano (...), la contemporaneità come sfondo e chiave di lettura, l’indagine sulla morale, le puntuali verifiche sul campo del politicamente corretto (se potessi sovvertire l’ordine naturale delle cose, che cosa sarei disposto a fare per ottenere quello che desidero?), il tocco fanta-mystery (...).

La tensione, [però], è tutta posticcia, perché è evidente che alla fine nessuna spiegazione verrà fornita e che quello che vincola lo spettatore alla visione è solo la curiosità di conoscere il finale di ciascun filo narrativo; (...) come un racconto che di misteri si nutre, ma che si guarda bene dallo spiegarli, perché delle due una: a) non saprebbe come; b) ne fornirebbe una soluzione deludente. (...)

Quello che intriga di più, semmai, è il ruolo del personaggio interpretato da Mastandrea, non come diavolo che esaudisce un desiderio e ti chiede l’anima (si parla non a caso di un patto), ma piuttosto come raccoglitore di storie e di stati d’animo, come rigoroso analista di atteggiamenti e reazioni, il che farebbe presupporre che il potere di cui è detentore derivi da un naturale, e molto approfondito (matto, disperatissimo) studio della natura umana.

Ecco, allora, che si può leggere tutto in chiave psicanalitica perché la questione sulla quale il film invita a riflettere non è tanto su dove si spinga ciascun personaggio per ottenere ciò che vuole, ma sul come la sua decisione non nasca mai da un impulso, ma da una riflessione ponderata, lucida, tormentata. (Luca Pacilio) >>


venerdì 3 novembre 2023

La fine della Lotta di Classe

Secondo alcuni studiosi, i movimenti del '68 – pur essendo stati palesemente (e sinceramente) di sinistra - hanno finito per segnare, senza rendersene conto, la fine della Lotta di Classe, con la vittoria del capitalismo.
Ce ne parla Carlo Formenti in questo pezzo (tratto dal sito di Sollevazione) in cui riporta e commenta il pensiero di Carlo Tronti, un altro intellettuale di area marxista,.
LUMEN


<< I giovani del '68, argomenta Tronti, erano radicalmente anti-autoritari, ma ignoravano che abbattere l’autorità non significa automaticamente liberare le potenzialità dell’essere umano: poteva voler dire, e questo è ciò che in effetti ha voluto dire, liberare gli spiriti animali del capitalismo che scalpitavano dentro quella gabbia di acciaio che il sistema politico aveva costruito come rimedio della lunga crisi dei decenni centrali del Novecento, punteggiati da guerre e rivoluzioni scatenate dall’utopia del libero mercato.

Negli anni Settanta può così trionfare (...) “il nuovo spirito del capitalismo”: l’esaltazione della soggettività “desiderante” da parte dei nuovi movimenti, che si allontanano progressivamente dall’impegno per la difesa dei bisogni proletari, diviene adesione inconsapevole a una nuova cultura capitalista che fa leva sulle pulsioni consumiste, sull’edonismo individualista “emancipato” da ogni legame sociale e sulla critica radicale della razionalità del limite in qualsiasi campo dell’esistenza e dell’agire umani.

Nel '68, Tronti non vede una svolta epocale, un grande inizio, bensì la fine, la conclusione del Novecento. Più che di un grande balzo trasformativo, si è trattato, alla fine dei conti, di un banale cambio di ceto politico, in seguito al quale la storia si è progressivamente convertita nello scorrere di “un tempo senza epoca”, nel quale ogni increspatura viene scambiata per una svolta epocale, mentre nessuna vera svolta è più possibile a fronte di una realtà caratterizzata dalla dittatura del presente, un presente che ignora passato e futuro.

Se il grande Novecento è stato l’epoca delle grandi rivoluzioni – grandi anche nel loro tragico fallimento – la sua parte terminale è invece il tempo delle rivoluzioni immaginarie, fallite prima ancora di iniziare.

Paradigmatico, in tal senso, il destino del femminismo, movimento nei confronti del quale Tronti confessa di avere inizialmente nutrito simpatia e interesse, almeno finché il “femminismo della differenza” è stato neutralizzato dal prevalere del proprio lato emancipatorio.

Nel momento in cui l’emancipazione vince, la rivoluzione perde: avanzando verso l’uguaglianza fra generi le donne non sono salite ma scese sulla scala delle libertà; hanno acquisito nuovi diritti, ma i diritti qualsiasi società moderna è più che disposta a concederli, perché è consapevole che si tratta di un altro modo per assicurare il potere a chi comanda.

Nella misura in cui l’emancipazione si è sviluppata in senso contrario alla differenza di genere, la politica della differenza si è piegata alla logica borghese di neutralizzazione e depoliticizzazione; la vittoria dell’emancipazione sancisce l’inclusione senza residui del femminile nel sistema.

Si tratta un destino condiviso da tutti i nuovi movimenti, i quali hanno finito per soccombere, più che di fronte alla repressione o a minacce totalitarie, al trionfo di una democrazia intesa esclusivamente come emancipazione individuale, di un progetto che mira a isolare l’individuo e a impedirgli di entrare in rapporto con altri individui, a costruire una massa atomizzata agevolmente manipolabile.

Giudizi analoghi (...) Tronti esprime nei confronti della deriva post-operaista. Si potrebbe dire, argomenta, che il “peccato originale” dell’operaismo è la sua concezione immanente del processo rivoluzionario, vale a dire l’idea secondo cui il principio del superamento è inscritto nelle dinamiche stesse del modo di produzione capitalistico.

Si tratta di un principio di immanenza che si rovescia perversamente in principio di cattura, sintetizzato nello slogan secondo cui occorre essere dentro-contro il rapporto di capitale, dopodiché, non essendoci più alcun fuori, non c’è alcuna possibilità di fuoriuscita. Da qui l’illusione di poter battere il capitale sul suo stesso terreno, che è quello dell’accelerazione-intensificazione dello sviluppo (sociale, politico e culturale, oltre che economico).

Illusione, argomenta Tronti, perché “nessuno può essere più moderno del capitale”, nessuno può batterlo a un gioco di cui controlla ogni mossa e ogni regola. La critica di Tronti affonda fino al nocciolo duro della teoria operaista (e tocca qui i più espliciti accenti autocritici), vale a dire fino all’idea secondo cui la soggettività operaia rappresenta, al tempo stesso, l’unico vero motore dello sviluppo capitalistico e il principio immanente del suo rovesciamento.

“Abbiamo forse caricato gli operai di un progetto eccessivo”, ammette, e la nostra illusione è svanita nel momento in cui è apparso chiaro che “la rude razza pagana” non ce l’avrebbe fatta a rovesciare il capitale.

Né avrebbe potuto farcela, perché gli operai rappresentano sì una parte, ma una parte interna al capitale; si potrebbe dire (…) che aveva ragione Lenin: la coscienza spontanea degli operai non supera la coscienza trade-unionista [cioè sindacale] e può divenire rivoluzionaria solo attraverso l’organizzazione politica. (…)

Tronti liquida la metafora dell’ “operaio sociale” come un tentativo di “fabbrichizzare” il sociale, di estendere la qualità dell’antagonismo di fabbrica al sociale diffuso, che viene sovraccaricato di coscienza anti-capitalista per compensare il declino di potenza dell’operaio tradizionale.

Quanto alla moltitudine, più che rappresentare una nuova forma di soggettività di classe, rispecchia il processo di atomizzazione sociale generato dalla ristrutturazione capitalistica: (…) visto che il capitale mette oggi al lavoro la vita stessa, il conflitto non è più fra capitale e lavoro, bensì fra capitale e umanità intera. >>

CARLO FORMENTI