sabato 24 novembre 2012

C'era una volta l'America

Non ho nessuna difficoltà ad ammettere di essere nato e cresciuto all’ombra del grande sogno americano.
Film, fumetti, personaggi, sport e così via: tutto sembrava splendere in eterno nel firmamento più luminoso. Ma anche il sogno americano potrebbe essere tragicamente alla fine, lasciandoci tutti un po’ orfani.
Ecco cosa dice in proposito Dimitri Orlov (da Effetto Cassandra).
LUMEN


<< La mia previsione è che gli Stati Uniti collasseranno finanziariamente, economicamente e politicamente in un prevedibile futuro. (…)

Il governo federale statunitense sta attualmente spendendo 300 milioni di dollari al mese. Per far questo, “prende in prestito” circa 100 milioni di dollari al mese. Il termine “prendere in prestito” è fra virgolette perché gran parte di quel nuovo debito è creato dal Tesoro e comprato dalla Federal Reserve, così, in essenza, il governo scrive solo un assegno di 100 milioni di dollari a sé stesso ogni mese.

Se questo continuasse per sempre, allora il dollaro americano diventerebbe senza valore, quindi è in atto una pressione per portare le banche centrali straniere ad assumersi loro stesse una parte di questo debito.
Lo possono fare, naturalmente, ma, vedendo che il dollaro americano è sulla strada per diventare senza valore, hanno ridotto le loro partecipazioni del Tesoro americano piuttosto che aumentarle. Nessuno può dire quanto a lungo possa durare il dispiegamento di questo scenario. (…)

Di recente c'è stata attività a raffica intorno alla Cina, (…) con una notevole cortina fumogena. Che cosa stavano nascondendo? Bene, un paio di problemi interessanti.

Primo, esce fuori che la Cina ora può monetizzare il debito statunitense direttamente. Giusto, la capacità di stampare moneta statunitense ora è distribuita fra Stati Uniti e Cina. C'è una linea privata speciale fra Pechino ed il Tesoro americano e la Cina può comprare il Titoli del Tesoro americano senza passare da nessun meccanismo di mercato o rendere il prezzo pubblico.

Secondo, ora la Cina può comprare direttamente le banche americane. Ai bei tempi, i tentativi da parte di forze straniere di usare i Titoli del Tesoro americani per comprare azioni nelle imprese negli Stati uniti era considerato come un atto di guerra. Oggigiorno, pare, non tanto. (…)

Gli Stati Uniti stanno sanguinando di soldi in altri modi: i singoli ricchi si stanno spostando all'estero e rinunciano alla cittadinanza americana in numero sempre maggiore, come i topi che abbandonano la nave che affonda. (…) Il congresso è occupato a redigere leggi che fermino questo tipo di cose, o almeno di renderle un enorme spreco dal punto di vista fiscale. (…)

Il sistema finanziario americano è andato e da ora è chiaro che non sarà ripristinato. (…) JP Morgan ha appena riportato una perdita negli scambi di 2 miliardi di dollari. Si sta facendo niente per questo? Naturalmente no!
La JP Morgan ha una lunga e orgogliosa storia di cattiva gestione dei rischi,   (…) il tutto fatto coi fondi bloccati dei contribuenti, [perché] come altre grandi banche americane, JP Morgan dipende dal sostegno vitale del governo. (…)

E questo ci porta al sistema politico. I politici sono anche soltanto vagamente interessati a riformare il sistema finanziario? No, ne sono troppo spaventati.
La legislazione di riforma finanziaria, così com'è, è stata abbozzata dalle compagnie finanziarie stesse e dai loro lobbisti. I politici avrebbero paura di avvicinarvisi, per timore di mettere a rischio i loro contributi per la campagna elettorale.
Finché i fondi per le elezioni scorrono nei loro scrigni e finché nessuno dei loro amici banchieri va mai in galera, rimarranno indifferenti alla finanza.

Il petrolio importato, naturalmente, è il tallone d'Achille del commercio americano. L'economia americana è stata costruita intorno al principio che i costi di trasporto non contano.
Ogni cosa percorre lunghe distanze sempre, prevalentemente su gomma, alimentate da benzina o diesel: la gente va al lavoro, guida per andare a fare spesa, accompagna i propri figli da e per diverse attività; i beni vengono spostati in magazzini coi camion e il prodotto finale di tutte queste attività – l’immondizia – viene a sua volta trasportata in camion per lunghe distanze.

Tutti questi costi di trasporto non sono più trascurabili. Piuttosto, stanno rapidamente diventando una grande limitazione dell'attività economica. Lo schema ricorrente degli anni scorsi è un picco del prezzo del petrolio seguito da un altro giro di recessione. Potreste pensare che questo schema possa continuare all'infinito, ma stareste semplicemente estrapolando. Molto più importante, c'è ragione di pensare che quello schema arrivi a una fine piuttosto improvvisa.  (…)

Nell'economia americana sempre più risorse sono state allocate in salvataggi, progetti pasticciati di “stimolo economico” e sicurezza nazionale; sempre più inquinamento (e costi associati) dall'estrazione petrolifera offshore e dallo sviluppo di risorse energetiche marginali e sporche come il petrolio da scisti è le sabbie bituminose.
Mentre la parte produttiva dell'economia comincia a fallire, i burocrati aumentano la disperazione ma, essendo burocrati, tutto ciò che possono fare è aumentare all'infinito il fardello burocratico, accelerando la scivolata verso il basso.

Diamo un'occhiata all'esempio della vendita al dettaglio negli Stati Uniti. C'era una volta l'industria locale, che vendeva prodotti in piccoli negozi.
Nel corso di pochi decenni, l'industria si è spostata in altri paesi, prevalentemente in Cina e i piccoli negozi sono stati messi fuori mercato dai grandi magazzini, poi dai centri commerciali, il cui culmine è Walmart, che praticano il “taglia e brucia al dettaglio”.  (…)
Se il dettaglio non esiste più, l'ultima spiaggia è il ricorso agli acquisti su Internet, grazie a UPS e FedEx. E una volta che questi servizi saranno inaccessibili per l'aumento dei prezzi dell'energia, o indisponibili per il mancato mantenimento di strade e ponti, l'accesso locale ai beni di importazione sarà perduto.  (…)

La rete elettrica negli Stati Uniti (…) è pesantemente sovraccarica di vecchie linee di trasmissione e centrali di trasformazione, alcune delle quali risalgono agli anni 50.  (…) 

Ci sono oltre 100 centrali nucleari, che stanno diventando vecchie e pericolose, ma le vite di servizio sono state artificialmente allungate attraverso l'estensione delle licenze.
Non ci sono piani e non ci sono soldi per smantellarle e per sequestrare i rifiuti ad alta radioattività in una località sotterranea geologicamente stabile. Se privati sia di elettricità di rete, sia dal diesel per un lungo periodo di tempo, questi impianti andrebbero in fusione à la Fukushima.
Vale la pena di accennare che i disastri nucleari, tipo Chernobyl, sono un ingrediente potente nel precipitare i collassi politici. Ciò che impedisce ad una tale serie di disastri di avvenire è la rete elettrica, seguita dal diesel. (…)

L'incidenza di grandi interruzioni di potenza [nella rete elettrica] è stata recentemente vista raddoppiare ogni anno. (…). Non molto, negli Stati Uniti, continua a funzionare una volta che la rete elettrica sia inattiva (…).
Senza corrente, non c'è riscaldamento o acqua calda, non c'è acqua corrente o, più spaventoso, non c'è depurazione delle acque reflue, non c'è aria condizionata, il che è fatale in certi posti. (…)
I sistemi di sicurezza e i sistemi di punti vendita smettono di funzionare. I cellulari e i computer portatili non possono essere ricaricati.
I tunnel autostradali e della metro si allagano e i ponti levatoi non si aprono per far passare il traffico navale, come ad esempio le chiatte cariche di diesel.

Possiamo essere sicuri che il diesel continuerà ad essere fornito a tutti gli impianti nucleari attivi anche se tutto il resto crolla? >>

DIMITRI ORLOV

sabato 17 novembre 2012

Odifreddure

Piergiorgio Odifreddi è principalmente un matematico, ma è anche un eccellente scrittore, saggista e polemista.
Per cui ha scritto molto, non solo di matematica o di scienza, ma anche, per esempio, di religione.
Ecco alcune delle sue frasi più argute sull’argomento.
LUMEN



<< Perché mai chi dettava [le Sacre Scritture] avrebbe voluto che si scrivessero così tante cose che (…) sono sbagliate scientificamente, contraddittorie logicamente, false storicamente, sciocche umanamente, riprovevoli eticamente, brutte letterariamente e raffazzonate stilisticamente, invece di ispirare semplicemente un'opera corretta, consistente, vera, intelligente, giusta, bella e lineare ?


Chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni.


Borges diceva che la religione (…) è un ramo della letteratura fantastica. E infatti, come questa, essa richiede una sospensione del principio di realtà.
Lo si fa quotidianamente, quando si leggono romanzi o si guardano film non realisti ed io credo addirittura che proprio qui stia uno dei motivi per cui la gente ancora crede: perchè è abituata fin da sempre ad accettare storie inverosimili per il solo gusto di sentirsele raccontare, e di lasciarsene stupire ed emozionare.


Il Dio Tappabuchi fu introdotto dal fisico Robert Boyle nel secolo XVII, e in seguito è stato variamente e comodamente invocato come la spiegazione di tutto ciò che la scienza lascia ancora inspiegato, dalla stabilità del sistema solare nel Settecento, alla nascita della vita nell'Ottocento.
Le fortune di questo Dio sono però, ovviamente, inversamente proporzionali a quelle della scienza: più essa avanza, spiegando ciò che in precedenza sembrava inspiegabile, più egli indietreggia.


Se Gesù credeva che la sua seconda venuta fosse imminente, non avrebbe certo fondato una Chiesa. E se non l'ha fatto, questa e quelli [i preti] sono evidentemente soltanto un'associazione di usurpatori.


Se dovessi convincere qualcuno a non credere, gli direi di leggere la Bibbia... ma con attenzione.


Non si può avere allo stesso tempo il calice pieno e la perpetua ubriaca, e cioè abbracciare una fede per i beati poveri di spirito, pretendendo poi allo stesso tempo di non esserlo.


Il rifiuto dell'evoluzionismo e l'esaltazione della razza e della famiglia sono i comandamenti della fede anti-scientista. Essi infiammano i fanatismi religiosi e politici delle Chiese e delle Leghe del mondo intero, perché le differenze culturali sono più importanti della variabilità biologica.


Se la logica e la matematica prendessero il posto della religione e dell'astrologia nelle scuole e in televisione, il mondo diventerebbe gradualmente un luogo più sensato, e la vita più degna di essere vissuta.


Si può credere a ciò che non si capisce ? I sedicenti "misteri della fede" sono appunto cose che per definizione non si possono capire, se no che misteri sarebbero ?
Ma se non si capiscono, come si possono credere ?


Molti malati, mentali o spirituali, non vogliono affatto guarire, e stanno benissimo come sono, cioè malati. E' un paradosso, ovviamente, (…) ma è precisamente quello che succede ai religiosi: i quali, io credo, non desiderano altro se non prolungare per tutta la vita i "piaceri dei tormenti" infantili.
Perchè, per come la vedo io, le religioni rispondono appunto a esigenze tipicamente infantili: il volere, cioè, dare un senso al mondo e alla vita in generale. (…)


Da giovani sentiamo che il mondo è diverso da noi, e pretendiamo di cambiare il mondo.
Da maturi, sentiamo che il mondo è diverso da noi, ma ci accontentiamo di cambiare noi stessi.
Da saggi, infine, sentiamo che il mondo è diverso da noi, e che va bene così. >>


PIERGIORGIO ODIFREDDI

sabato 10 novembre 2012

La trappola della complessità - 2

(Completiamo qui di seguito il testo di Joseph Tainter sui problemi delle società complesse. La traduzione è sempre di Carpanix, per Oil Crash Italia).

(seconda parte)

<< Un risultato della diminuzione dei profitti dovuta alla complessità viene illustrato dal collasso dell’Impero Romano d’Occidente.
Come società basata sull’energia solare dall’elevata tassazione, l’Impero aveva poche riserve fiscali. Quando si trovarono di fronte alle crisi militari, gli imperatori romani dovettero spesso reagire svalutando la moneta d’argento e cercando di trovare nuovi fondi.
Nel terzo secolo d.C. le continue crisi costrinsero gli imperatori a raddoppiare le dimensioni dell’esercito e ad incrementare tanto le dimensioni quanto la complessità degli apparati di governo.

Per pagare tutto questo, vennero prodotte grandi quantità di moneta priva di valore, i prodotti furono requisiti ai contadini e il livello di tassazione venne reso ancor più oppressivo (fino a due terzi del raccolto netto).
L’inflazione devastò l’economia. I territori e la popolazione furono censiti e tassati in tutto l’impero. Le comunità erano ritenute responsabili nel loro complesso per ogni eventuale evasione fiscale.
Mentre i contadini diventavano sempre più affamati o vendevano i propri figli come schiavi, si costruivano massicce fortificazioni, le dimensioni dell’apparato burocratico raddoppiavano, l’amministrazione provinciale veniva resa più complessa, si pagavano forti sussidi in oro alle tribù germaniche e si fondavano nuove città e corti imperiali.

Con il crescere delle tasse, le terre marginali vennero abbandonate e la popolazione calò. I contadini non erano più in grado di mantenere famiglie numerose.
Per evitare gli obblighi civili oppressivi, i ricchi fuggirono dalle città per fondare proprietà rurali autosufficienti. Alla fine, per sfuggire alla tassazione, i contadini accettarono volontariamente un rapporto feudale con questi proprietari terrieri. Poche famiglie ricche finirono per possedere gran parte della terra nell’Impero d’Occidente, e furono in grado di sfidare il governo imperiale.
L’Impero si ritrovò a doversi mantenere consumando le proprie risorse di capitali: i terreni produttivi e la popolazione contadina

L’Impero Romano fornisce il più documentato esempio della storia di come aumentare la complessità per risolvere i problemi porta a maggiori costi, minori profitti, disaffezione della popolazione produttiva, debolezza economica e collasso. Alla fine, l’Impero Romano non sarebbe più stato in grado di risolvere i problemi derivanti dalla sua stessa esistenza.

Ma il destino dell’Impero Romano non è il destino inevitabile delle società complesse. È utile discutere un caso storico che è finito diversamente. (…)
Nell’Inghilterra tardo medievale e post-medievale, la crescita della popolazione e la deforestazione stimolarono lo sviluppo economico e furono almeno parzialmente responsabili della Rivoluzione Industriale.
Grandi aumenti della popolazione, verso il 1300, il 1600 e sul finire del XVIII secolo, condussero a una intensificazione dell’agricoltura e dell’industria. Man mano che le foreste venivano tagliate per fornire terreno agricolo e combustibili per una popolazione sempre più numerosa, le esigenze di riscaldamento, cottura e fabbricazione dell’Inghilterra non poterono più essere soddisfatte bruciando legna.

Il carbone divenne sempre più importante, sebbene venisse adottato con riluttanza. Rispetto alla legna, il carbone era più costoso da ricavare e da distribuire, e meno diffuso. Richiedeva un nuovo, costoso sistema di distribuzione.
Quando il carbone divenne importante per l’economia, i depositi più accessibili furono esauriti. Si dovettero mandare i minatori sempre più in profondità, fino al punto in cui l’acqua sotterranea divenne un problema.  Alla fine, venne sviluppato e usato il motore a vapore per pompare l’acqua fuori dalle miniere.

Con lo sviluppo dell’economia basata sul carbone, divennero disponibili un sistema di distribuzione e il motore a vapore, due degli elementi tecnici più importanti della Rivoluzione Industriale.
L’industrializzazione, quel grande generatore di benessere economico, proveniva in parte dai passi messi in atto per contrastare le conseguenze dell’impoverimento delle risorse, presumibilmente una causa di povertà e collasso.
Eppure si trattava di un sistema di incremento della complessità che non avrebbe richiesto molto per mostrare ritorni in calo in alcuni settori. (…)

La scienza attuale costituisce il più grande esercizio di soluzione dei problemi mai messo in atto dall’Umanità. La scienza è un aspetto istituzionale della società, e la ricerca è un’attività che ci piace pensare porti a grandi ritorni.
Eppure, come le conoscenze generali vengono determinate presto nella storia di una disciplina, così il lavoro che resta da fare è via via sempre più specializzato.
Questi tipi di problemi tendono a essere sempre più costosi e difficili da risolvere e, in media, la conoscenza avanza solo a piccoli passi. Aumentare gli investimenti nella ricerca comporta ritorni marginali e in calo. (…)

Man mano che le domande più semplici trovano una risposta, la scienza si rivolge inevitabilmente verso aree di ricerca più complesse e verso organizzazioni più grandi e costose (…) Gli scienziati raramente pensano al rapporto tra costi e benefici per quanto riguarda gli investimenti nelle loro ricerche. 
Eppure, se ci occupiamo in un qualche modo della produttività del nostro investimento nella scienza, ad esempio prendendo in considerazione i nuovi brevetti, la produttività di alcuni tipi di ricerca mostra un declino. (…)
Nelle scienze naturali, siamo coinvolti in una corsa agli armamenti tecnologica: ad ogni vittoria sulla natura, la difficoltà di compiere il passo successivo aumenta.
La produttività in declino della medicina è dovuta al fatto che i rimedi meno costosi per le malattie sono stati raggiunti per primi (…), così che trovare quelli che rimangono è più difficile e costoso. (…)

Questa discussione storica fornisce una prospettiva su ciò che significa essere concreti e sostenibili. (…)
In nessun caso risulta evidente, né solo probabile, che una società sia collassata poiché i suoi membri o dirigenti non hanno preso provvedimenti concreti per risolverne i problemi.

L’esperienza dell’Impero Romano è, ancora una volta, istruttiva. La maggior parte dei provvedimenti che il governo Romano prese per reagire alle crisi – quali svalutare la moneta, innalzare le tasse, ampliare l’esercito e coscrivere il lavoro – furono soluzioni pratiche per problemi immediati.
Sarebbe stato impensabile non adottare tali misure. Nell’insieme, però, questi provvedimenti pratici resero l’impero sempre più debole, man mano che le riserve di capitale (i terreni agricoli e i contadini) venivano impoverite per mezzo della tassazione e della coscrizione.
Con l’andar del tempo, l’escogitare soluzioni pratiche portò l’Impero Romano a ritorni sempre minori e, alla fine, negativi, nei confronti della complessità.

L’implicazione è che incentrare un sistema di risoluzione dei problemi, quale l’economia ecologica, su applicazioni pratiche, non ne accresce automaticamente valore per la società, né incrementa la sostenibilità. (…)

La maggior parte di coloro che studiano i problemi contemporanei sarebbero certamente d’accordo sul fatto che risolvere problemi ambientali ed economici richiede tanto conoscenze quanto formazione.
Una parte importante della nostra risposta ai problemi attuali è consistita nell’accrescere il nostro livello di ricerca nelle materie ambientali, compreso il cambiamento globale. Col crescere della nostra conoscenza e con l’emergere di soluzioni pratiche, i governi implementeranno quelle soluzioni e le burocrazie le faranno rispettare. Saranno sviluppate nuove tecnologie.
Ognuno di questi provvedimenti sembrerà costituire una soluzione pratica per un qualche problema specifico.
Eppure, nell’insieme, questi provvedimenti pratici porteranno probabilmente ad un incremento della complessità, a maggiori costi, e a una minore risposta ai tentativi di risoluzione dei problemi. (…)

Anche la regolazione burocratica in sé genera ulteriore complessità e ulteriori costi. Quando vengono imposte delle regole e imposte delle tasse, coloro che vengono regolamentati o tassati vanno in cerca di scappatoie, mentre i legislatori si sforzano di impedirlo.
Si sviluppa così una spirale di scoperta di scappatoie e di eliminazione delle stesse che porta ad una continua crescita della complessità (…)

Non è che la ricerca, la formazione, la regolamentazione e le nuove tecnologie non possano potenzialmente alleviare i nostri problemi. Con investimenti sufficienti, probabilmente ne sono in grado.
La difficoltà consiste nel fatto che questi investimenti sono costosi, e richiedono una parte sempre crescente del prodotto nazionale lordo di ogni Stato. Con ritorni sempre minori derivanti dalle strategie di risoluzione dei problemi, affrontare la questione ambientale in modo convenzionale significa che sempre maggiori risorse dovranno essere destinate alla scienza, all’ingegneria e al governo.
In assenza di una forte crescita economica questo richiederebbe un declino almeno un temporaneo degli standard di vita, poiché alla gente rimarrebbe meno da spendere per il cibo, per la casa, per l’abbigliamento, per le cure mediche, per i trasporti e per i divertimenti.  (…)

Il fatto che i sistemi di risoluzione dei problemi sembrino evolversi verso una maggiore complessità, verso costi più elevati e verso profitti minori ha implicazioni significative per quanto riguarda la sostenibilità.
Nel tempo, i sistemi che si sviluppano in questa direzione o vengono privati di ulteriori finanziamenti, falliscono nel risolvere i problemi e collassano, o finiscono per richiedere grandi sussidi energetici.

Questo è stato il percorso storico in casi quali quello dell’Impero Romano, dei Maya, (…) delle guerre nell’Europa del Medioevo e del Rinascimento, e di alcuni aspetti della risoluzione dei problemi contemporanea (…)
Questi percorsi storici suggeriscono che una delle caratteristiche di una società sostenibile è l’avere un sistema sostenibile di risoluzione dei problemi — uno caratterizzato da profitti crescenti o stabili, o da profitti in calo che possano essere finanziati per mezzo di sussidi energetici affidabili dal punto di vista della reperibilità, del costo e della qualità.

L’industrializzazione illustra questo punto. Essa ha generato da sé i propri problemi di complessità e di costi. Questi comprendono ferrovie e canali per distribuire il carbone e i prodotti finiti, lo sviluppo di un’economia sempre più basata sui soldi e sul salario, e lo sviluppo di nuove tecnologie.
Mentre solitamente si pensa che tali elementi di complessità facilitino la crescita economica, nei fatti ciò risulta possibile solo quando viene loro fornita energia dall’esterno. Alcune delle nuove tecnologie, quale quella del motore a vapore, diedero segno relativamente presto del fatto che l’innovazione nel loro sviluppo portava benefici sempre minori.

Ciò che ha differenziato l’industrializzazione dalla storia precedente della nostra specie è stato il suo basarsi su un’energia abbondante, concentrata e di alta qualità: i combustibili fossili. (…)
Quando i costi dell’energia possono essere sostenuti con facilità e senza particolare impegno, il rapporto costi/benefici degli investimenti sociali può essere sostanzialmente ignorato (…).
I combustibili fossili resero l’industrializzazione (…) un sistema di risoluzione dei problemi sostenibile per diverse generazioni.

L’energia ha sempre costituito e sempre costituirà la base della complessità culturale.  
Se i nostri sforzi per capire e risolvere i problemi del cambiamento (…) comprendono l’aumentare della complessità politica, tecnologica, economica e scientifica, allora la disponibilità di energia pro-capite sarà un fattore limitante. >>

JOSEPH TAINTER

sabato 3 novembre 2012

La trappola della complessità - 1

Sono riuscito a reperire sul web altre pagine in italiano relative a Joseph Tainter ed alle sue teorie sui problemi delle società complesse.
Si tratta di una lunga relazione scritta dallo stesso Tainter in occasione di un convegno (la traduzione è di Carpanix per Oil Crash Italia).
Ne riporto qui di seguito i passi più interessanti (divisi in due parti), a completamento dei post precedenti su questo autore.
LUMEN


<< Un limite ricorrente incontrato dalle società del passato è stata la complessità nella risoluzione dei problemi. Si tratta di un limite che di solito non viene riconosciuto nell’analisi economica contemporanea.
Per i trascorsi 12.000 anni, le società umane sono sembrate divenire inesorabilmente sempre più complesse. Nella maggior parte dei casi, ciò è si è rivelato un successo: la complessità comporta vantaggi, e una delle ragioni del nostro successo come specie è stata la nostra capacità di accrescere rapidamente la complessità del nostro comportamento.
Eppure la complessità può anche rivelarsi dannosa in termini di sostenibilità. (…)

La complessità viene solitamente intesa come qualcosa che si riferisce a elementi quali le dimensioni di una società, il numero e la differenziazione delle sue parti, la varietà dei ruoli sociali specializzati che comprende, il numero delle distinte personalità sociali presenti, e la varietà dei meccanismi per organizzare tutto ciò in un complesso coerente e funzionale.
Aumentare una qualsiasi di queste dimensioni, incrementa la complessità di una società.
Le società di cacciatori-raccoglitori (…) non contengono più di poche dozzine di personalità sociali distinte, mentre i censimenti europei moderni riconoscono da 10.000 a 20.000 ruoli occupazionali distinti, e le società industriali possono comprendere complessivamente oltre 1.000.000 di tipi differenti di personalità sociali. (…)

La complessità è quantificabile. Per oltre il 99% della storia dell’umanità, abbiamo vissuto come raccoglitori o coltivatori a bassa densità, in comunità egualitarie di non più di alcune dozzine di persone (…)
Da questa base di società indifferenziate che richiedevano piccole quantità di energia, lo sviluppo di sistemi culturali complessi era, a priori, improbabile.
Il punto di vista convenzionale è stato che le società umane hanno una tendenza latente verso una maggiore complessità. Si presuppose che la complessità sia una cosa desiderabile e che sia la conseguenza logica di un eccesso di cibo, di tempo libero e di creatività umana.

Sebbene questo scenario sia popolare, non è adatto a spiegare l’evoluzione della complessità. Nel mondo della complessità culturale, per usare un’espressione colloquiale, non si mangia gratis.
Le società complesse sono più costose da mantenere di quelle semplici e richiedono livelli di sostentamento pro-capite maggiori.
Una società più complessa ha più sottogruppi e ruoli sociali, più reti tra gruppi e individui, più controllo orizzontale e verticale, un maggiore flusso di informazioni, una maggiore centralizzazione delle informazioni, più specializzazione e maggiore interdipendenza delle parti. Accrescere una qualsiasi di queste dimensioni richiede energia biologica, meccanica o chimica. (…)

Molti aspetti del comportamento umano sembrano opporsi alla complessità. La cosiddetta “complessità della vita moderna” è una lamentela ricorrente nei discorsi popolari. Parte dello scontento dell’opinione pubblica nei confronti dei governi nasce dal fatto che questi aggiungono complessità alla vita della gente.
Nelle scienze, il principio del Rasoio di Occam continua ad essere apprezzato poiché afferma che la semplicità in una spiegazione è preferibile alla complessità.
La complessità è sempre stata inibita dai carichi di tempo ed energia che impone, e dalla opposizione alla complessità (senza dubbio legata ai costi).

Per questo, spiegare come mai le società umane sono divenute sempre più complesse rappresenta una sfida più di quanto comunemente si creda.
La ragione per la quale la complessità aumenta è che, per la maggior parte del tempo, essa funziona. La complessità è una strategia di risoluzione dei problemi che emerge in condizioni di necessità impellenti o di benefici evidenti.
Per l’intero corso della storia, le tensioni e le sfide che hanno dovuto affrontare le popolazioni umane, sono spesso state risolte incrementando la complessità. (…)

La complessità cresce per mezzo di maggiore differenziazione, specializzazione e integrazione (…): riduce i costi e apporta benefici.
È un investimento, e restituisce profitti variabili. La complessità può apportare benefici o danni. Il suo potenziale distruttivo è evidente nei casi storici nei quali le accresciute spese per la complessità socioeconomica hanno determinato profitti sempre minori e, alla fine e in alcuni casi, profitti negativi.
Questo risultato emerge da un normale processo economico: le soluzioni semplici e non costose vengono adottate prima di quelle più complesse e costose.

Così, col crescere della popolazione umana, la caccia e la raccolta hanno lasciato spazio a una agricoltura sempre più intensiva e ad una produzione alimentare industrializzata che consuma più energia di quanta ne produca.
Allo stesso modo, la produzione di minerali e di energia si sposta dalle riserve più facilmente accessibili e sfruttabili con poca spesa a quelle che sono più costose da trovare, estrarre, lavorare e distribuire.
L’organizzazione socioeconomica si è evoluta da una reciprocità egalitaria, a una dirigenza a breve termine dai ruoli generici, a complesse gerarchie con sempre maggiore specializzazione.

Quando una società diviene più complessa, espande gli investimenti in cose quali la produzione delle risorse, l’elaborazione delle informazioni, l’amministrazione e la difesa.
La curva del rapporto tra i costi e i benefici di queste spese può dapprima evolvere favorevolmente, quando vengono adottate le soluzioni più semplici, generiche e non costose (…). Non appena la società incontra nuovi problemi e le soluzioni poco costose non sono più sufficienti, la sua evoluzione procede in una direzione che comporta maggiori investimenti.
Alla fine, una società in crescita raggiunge un punto nel quale ulteriori investimenti nella complessità comportano sì maggiori profitti, ma in misura sempre più marginale e in graduale riduzione. Giunti ad un certo punto, una società (…) inizia ad essere vulnerabile nei confronti del collasso

A questo punto, due cose rendono una società soggetta al collasso.
Primo: nuove emergenze premono su un popolo che sta investendo in una strategia che apporta sempre meno profitti.
Man mano che tale società viene economicamente indebolita, ha meno riserve alle quali ricorrere per affrontare gravi avversità. Una crisi alla quale essa sarebbe potuta sopravvivere ai suoi inizi, diviene ora insormontabile.

Secondo, i profitti sempre minori rendono la complessità meno attraente e moltiplicano la disaffezione.
Man mano che le tasse e gli altri costi crescono e i benefici a livello locale calano, sempre più gente viene attratta dall’idea di essere indipendente. La società si “decompone” poiché la gente persegue i propri bisogni immediati piuttosto che i traguardi a lungo termine dei propri dirigenti.

Man mano che una società (…) procede lungo la curva dei profitti marginali fino a superare i punti critici, (…) i costi sono sempre maggiori, mentre i benefici scendono ad un livello già disponibile con un minor livello di complessità.
Questo è il regno dei profitti negativi che derivano dall’investimento nella complessità. Una società, a questo punto, scoprirebbe che, in caso di tracollo, i profitti derivanti dagli investimenti nella complessità crescerebbero notevolmente. Una società che si trovi in queste condizioni è estremamente vulnerabile nei confronti del collasso.

La storia della complessità culturale è la storia della soluzione dei problemi da parte degli uomini. (…) Con l’esaurirsi delle soluzioni semplici, la soluzione dei problemi volge inesorabilmente verso maggiore complessità, costi più elevati e profitti minori. Questo non conduce necessariamente al collasso, ma è importante capire in quali condizioni potrebbe.
Per illustrare queste condizioni, è utile analizzare tre esempi di complessità e onerosità crescenti nella soluzione dei problemi: il collasso dell’Impero Romano, lo sviluppo dell’industrializzazione e le tendenze della scienza contemporanea. >>

JOSEPH TAINTER

(continua)