Visualizzazione post con etichetta Agobit. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Agobit. Mostra tutti i post

sabato 26 ottobre 2013

L'Isola che non c'è

Ci sono tante isole immaginarie nella storia della letteratura: dall’isola del tesoro all’isola di niente, dall’isola misteriosa all’isola nel cielo e molte altre.
Tra tante isole virtuali, ve n’è una che pur non essendo segnata su nessuna  carta geografica, può essere vista ugualmente: è quella, squallida e mostruosa, che galleggia al largo dell’oceano pacifico ed è fatta totalmente di rifiuti.
Un’isola che, oltre ad essere un grave problema ecologico, è anche una metafora del nostro possibile, triste destino.
Ce ne parla l’amico Agobit in questo post, tratto dal suo blog “Un pianeta non basta”.
LUMEN


<< C’è un subcontinente fatto di isole galleggianti sparpagliate e semisommerse che nessuno conosce e che nessuna carta geografica riporta, situato al centro del Pacifico. Ha circa 50 metri di spessore e si estende frastagliato in isolotti, per un’area grande come gli Stati Uniti.
E’ un silenzioso mostro ambientale che si accresce giorno per giorno nel silenzio dei media e nel disinteresse dei governi: è  il subcontinente della spazzatura che ormai intossica gli oceani e altera irreversibilmente la superficie marina. (…)

Sette miliardi e mezzo di umani producono montagne e montagne di rifiuti urbani che non hanno più smaltimento e finiscono per accumularsi sulla terra e nei mari.
La civiltà che si sta sempre più caratterizzando come la civiltà dei rifiuti è quella che sta attualmente globalizzandosi su tutto il pianeta: la civiltà dei consumi.

Ci sono nel mondo sette miliardi e mezzo di consumatori attuali o potenziali. Tutti aspirano a diventarlo, non esistono più differenze di ideologie o di religioni sotto questo aspetto: tutti vogliono consumare e due sono i poteri planetari che dominano e dirigono il fenomeno: la finanza ed il mercato.

Il potere dei consumi si è rivelato in tutta la sua efficacia dopo il 1989. Per decenni il mondo occidentale e l’Unione Sovietica si erano fronteggiati con armi, aerei da guerra, navi e missili nella cosiddetta “guerra fredda”.
Poi inaspettatamente due aspetti della civiltà consumistica, i supermercati e la televisione, hanno in pochi anni distrutto l’ideologia socialista e comunista  che sembrava fino a pochi anni prima inarrestabile e sempre più diffusa.

Il trionfo consumista travolse  la cortina di ferro ed i  regimi dell’est , provocando la fuga, verso l’occidente alla ricerca delle merci e dei consumi,  di milioni di figli del socialismo reale.
Il consumismo ha però come effetto collaterale l’aumento dei costi della crescita  dei figli  ed in genere lo sviluppo economico, dopo alcuni anni, si accompagna ad una minore natalità delle popolazioni interessate.

I paesi sottosviluppati mantengono invece alti tassi di natalità, e lo sviluppo economico - nei casi in cui arriva -  spesso non basta a cambiare la mentalità se non si accompagna a politiche efficaci di rientro demografico.
L’effetto complessivo a livello di demografia planetaria è  quello di un boom demografico inarrestabile che l’ONU nel suo ultimo rapporto quantifica in una previsione di sviluppo della popolazione mondiale fino a  9,6 miliardi nel 2050 e addirittura di 11 miliardi a fine secolo. 

Questa crescita avverrà per la maggior parte nei paesi arretrati o in via di sviluppo. (…)
Accanto a questa esplosione vi è l’imponente processo di urbanizzazione: si prevede che nel 2050, ben  6,5 miliardi di umani vivranno in città mega-metropolitane, più di tutta la popolazione dell’intero pianeta del 1970. (…)

Il problema che si pone al mondo occidentale è drammatico perché non ci sono strategie per affrontare questa situazione che sta ponendo a grave rischio l’ambiente e la sopravvivenza stessa del pianeta: mancano istituzioni che studino il fenomeno, che elaborino strategie, che affrontino i pericoli immediati.
L’ONU latita, perso in diatribe e conflitti di potere su aspetti irrilevanti e secondari. Mancano strategie e politiche adeguate anche a livello dei singoli paesi.

Gli Stati Uniti che al tempo di J.F. Kennedy e L. Johnson avevano affrontato il problema specie in America Latina con interventi volti allo sviluppo economico e al controllo della natalità (ma le iniziative furono interpretate al tempo come colonialismo), dopo l’avvento di Reagan e del liberismo hanno interrotto ogni politica di contenimento demografico anche per favorire le strategie di mercato che considerano la popolazione come target di consumi.
Il commercio e la finanza americana non accetta politiche di controllo delle nascite.

L’UE,da parte sua, non ha più una politica estera, e subisce passivamente gli effetti della globalizzazione e del trionfo della ideologia unica consumista in una afasia disperante priva di idee e di visioni strategiche.
Il mondo sta cambiando in maniera del tutto incontrollata in un caleidoscopio in cui prevalgono interessi finanziari e consumismo che porta a stressare le risorse ambientali e all’esaurimento delle risorse fondamentali  fino a prospettare un prossimo disastro ambientale planetario. (…)

Non vi sono analisi del fenomeno che possano consentirne una regolamentazione. Si assiste inoltre al fatto potenzialmente dirompente della convivenza in queste aree urbane “in via di sviluppo” della stretta vicinanza tra zone ricche e bidonville in cui l’unica cultura unificante è quella di un insensato consumismo senza scopi e senza una guida politica consapevole. (…)

Strutture umane di questo tipo non possono essere assolutamente governate, non esistono istituzioni o mezzi adeguati a regolamentare i fenomeni sociali: unico criterio spontaneo  sono le appartenenze etniche e religiose e un malinteso sfrenato desiderio di consumismo (frutto di una distorta visione dell’occidente ricco)  che si scontra con arretratezza economica e un mercato sregolato. (…)

La produttività di un’area urbana è superiore a quella delle aree rurali ma la povertà urbana è più dura di quella delle campagne.
La povertà dentro le slum e le baraccopoli non è gestibile, a differenza di quella delle aree rurali in cui la produzione del suolo e le minori esigenze delle famiglie riducono il disagio. (…)

La grande spinta dell’Illuminismo che aveva avviato le grandi rivoluzioni sta avviandosi al naufragio sulle sponde del mediterraneo, insieme ai barconi dei figli dell’esplosione demografica.
L’Occidente, proprio nel momento in cui appare a tanti disperati la terra dell’Oro, rivela invece tutta la sua fragilità e inconsistenza. (…)
Scompaiono le tradizioni, le usanze secolari. Scompare la storia, l’appartenenza ai luoghi, l’identità. (…)

Di fatto una assenza di valori forti che si risolve nel trionfo dell’unico valore che dirige tutto: un consumismo fine a se stesso.
Tutto è consumo, tutto si consuma. I prodotti sono tutti a scadenza, proprio per favorirne l’ulteriore consumo.

Si consumano anche le persone che vengono comprate, affittate, spostate, a seconda delle richieste del  mercato. Il valore di un uomo è quello dei suoi consumi.
Ciò che resta da tutto questo è il rifiuto, la spazzatura.
Quella grande immensa isola di spazzatura che staziona al centro  del Pacifico come simbolo del destino cui la Terra è avviata. >>

AGOBIT

sabato 25 febbraio 2012

Sì, viaggiare !

Un breve post di Agobit sul turismo di massa che rischia di distruggere il pianeta – dal blog “Un Pianeta non basta”.
LUMEN


<< Riferisce Giampaolo Pansa nel suo ultimo libro "Poco o niente" che i suoi genitori fecero un unico viaggio in tutta la loro vita: quello di nozze a Riva del Garda, a 260 chilometri di distanza da Casale Monferrato, la loro città. 

Molti nostri nonni o bisnonni avevano fatto un unico viaggio in tutta la loro vita: quello al fronte nella Prima Guerra Mondiale. La moda dei viaggi internazionali o intercontinentali di massa è esplosa negli ultimi decenni. Fino a cinquanta anni fa erano una rarità.

La retorica sull'arricchimento culturale determinato dai viaggi e dal contatto con le varie culture del mondo è gonfiata ad arte.

Come dice Mauro Corona, poeta e scrittore, il quadratino di terra che sta davanti a noi contiene tutto l'Universo, se uno sa vederlo; se uno è cretino, può visitare tutti i luoghi della terra, ma rimarrà cretino.

Martin Heidegger è stato uno dei più importanti filosofi del XX secolo. In vita sua fece solo un paio di viaggi (in Francia e Italia). Elaborò tutto il suo pensiero filosofico essendo rimasto sempre in una piccola cittadina tedesca. Come del resto fece anche Kant. Solo sul finire della sua vita riuscì a realizzare un sogno: vedere la Grecia.

Un viaggio, quando è veramente sentito e fatto magari una sola volta, come rara, unica occasione nella vita, può assumere un valore immenso. Fatto spesso, come svago da supermercato, non serve a niente, se non ad inquinare il pianeta. 

Lo si può vedere dal traffico aereo mondiale nelle 24 ore. E' un impressionante moltitudine di oggetti in movimento altamente inquinanti. 

Ognuno di quei puntini brucia in poche ore tonnellate di cherosene, producendo gas serra e particolato altamente inquinante per l'atmosfera, la biosfera e il clima del pianeta Terra. Sono emissioni direttamente riversate nella parte alta della troposfera e quindi particolarmente devastanti. 

Senza parlare delle centinaia di migliaia di imbarcazioni cariche di idrocarburi e sostanze chimiche tossiche che scorrazzano sui mari. I milioni di motori dei veicoli a combustibile fossile delle auto, dei camion, dei pulman contribuiscono alle emissioni inquinanti dei trasporti in tutto il mondo. 

Il turismo, soprattutto nei paesi ricchi, contribuisce in maniera determinante all'inquinamento generale, e tra pochi anni i cinesi e gli indiani aumenteranno moltissimo i viaggi per turismo. L'atmosfera potrebbe non sopportarlo. 

Forse bisognerebbe tornare a dare valore al viaggio, affinché sia veramente utile e formativo. Farne pochi, ed in maniera sentita, ritrovando quello che era il suo significato originario: la scoperta che ci riguarda e ci cambia. >>

AGOBIT

sabato 18 febbraio 2012

L'Italia travolta

Un Post di Agobit sul difficile futuro del nostro paese, stretto nella morsa tra incremento  demografico  e distruzione del territorio - dal blog “Un pianeta non basta”. Lumen


<< Ciò che minaccia l’Italia non sono le alluvioni e nemmeno i terremoti, che ci sono sempre stati. Ciò che sta distruggendo in maniera definitiva il Bel Paese è la demografia. Dall’ultimo rapporto Istat (gennaio 2012) si apprende infatti che la popolazione dei residenti in Italia è arrivata a quasi 61 milioni (60 milioni 851 mila al primo gennaio). Ogni anno arrivano tra i 400 e i 500 mila stranieri a risiedere in Italia.

La curva della popolazione in Italia è tornata così a impennarsi dopo la relativa stasi degli anni (’80-’90).
Con questi tassi rischiamo di arrivare in pochi anni ai 70 milioni di abitanti. Questo accade in un paese che 100 anni fa aveva 30 milioni di abitanti: uno spaventoso boom demografico. Non stiamo parlando di un contenitore e un contenuto, come molti imbecilli fanno finta di credere. E’ noto il loro ritornello: c’è posto per tutti, ci sono tanti spazi ancora liberi, c’è bisogno di giovani ecc. ecc.

Aumento della densità demografica significa una serie certa di conseguenze:

  1. CONSUMO DI TERRITORIO VERDE E CEMENTIFICAZIONE
  2. NECESSITA’ ABITATIVE CON NUOVE COSTRUZIONI E INFRASTRUTTURE
  3. AUMENTO DI STRUTTURE VIARIE, MOBILITA’, CONSUMI
  4. NECESSITA’ DI INTENSIFICARE PRODUZIONI AGRICOLE CON USO DI PRODOTTI CHIMICI
  5. NECESSITA’ DI ASSICURARE POSTI DI LAVORO INDOTTI (NUOVI IMPIANTI, NUOVE ATTIVITA’, ALTRI PRODOTTI, ALTRI INQUINANTI…)
  6. ULTERIORI POLLUZIONI, RIFIUTI, DISCARICHE, USO SOSTANZE CHIMICHE, EMISSIONI GAS SERRA, CONSUMO DI ACQUE, SCARICHI TOSSICI ECC.
Del resto è quello che è avvenuto negli ultimi anni e che sta avvenendo ogni giorno sotto i nostri occhi. Lo fotografa un rapporto-dossier del Fai e del WWF sul consumo del suolo, intitolato “Terra Rubata”, presentato a Milano. Vi si delinea un’Italia erosa dalle lobby del cemento e del mattone che la fagocitano al ritmo di 75 ettari al giorno.
Tesori naturalistici, terreni agricoli che non saranno più restituiti all’ambiente e alla collettività. Si stima nel rapporto che nei prossimi 20 anni la superficie occupata dalle aree urbane crescerà di  circa 600mila ettari, pari a una conversione urbana di 75 ettari al giorno, come un quadrato di 6400 kmq.

Nel dossier si sostiene che, negli ultimi 50 anni, l’area urbana in Italia si sia moltiplicata di 3,5 volte ed è aumentata, dagli anni ‘50 ai primi anni del 2000, di quasi 600mila ettari. In particolare, in 50 anni persino quei Comuni che si sono svuotati con l’emigrazione sono cresciuti di oltre 800 mq. per ogni abitante perso.
I progetti delle grandi infrastrutture, invece, mettono a rischio 84 aree protette, 192 siti di interesse comunitario e 64 international bird area. «Il risultato: il 70% dei Comuni è interessato da frane che, tra il 1950 e il 2009, hanno provocato 6439 vittime».

Tutto questo non si può arrestare in presenza di un aumento costante annuale della popolazione italiana al ritmo annuale di circa trecentomila-quattrocentomila abitanti. Le persone hanno bisogno di case, di infrastrutture, di lavoro. Le imprese non possono chiudere, ormai l’industria della cementificazione è una delle principali in Italia.

Di fronte a tutto ciò nessuno si preoccupa che nel nostro paese ogni giorno sparisce la campagna, gli alberi, l’acqua pulita, il cielo azzurro, gli animali, i paesaggi, le valli, le coste e i mari trasparenti. Certo, per qualcuno queste cose non valgono niente .
L’Italia è un paese disgraziato, pieno di prefiche che piangono sui pochi giovani, sulle poche nascite. Evidentemente sessantuno milioni di umani sono ancora pochi. Chiedono altra devastazione, la scomparsa del Bel Paese. >>

AGOBIT

sabato 10 settembre 2011

Africa addio !

La parabola temporale dell’umanità potrebbe chiudersi con la precisione geometrica di un cerchio, ritornando là da dove era partita.
L’Homo Sapiens, com’è noto, è nato in Africa, oltre cento migliaia di anni fa, e adesso, con la deriva inarrestabile della nostra civiltà globale, proprio dall’Africa potrebbero venire le spinte decisive per un tramonto che si preannuncia molto triste e doloroso.
Ecco alcune considerazioni sull’argomento dell’amico Agobit, tratte dal suo blog personale “Un Pianeta non basta”. Sono, purtroppo, da brividi.
LUMEN


<< Dopo la fine del colonialismo ci furono grandi speranze. Ma da subito si capì che l'Africa post-coloniale non sarebbe divenuta il promesso paradiso sulla terra. Osservatori disincantati parlarono di un'Africa in preda al disfacimento, alle lotte tribali, alla distruzione ecologica, al massacro degli uomini e degli animali.

Il giornalista Gualtiero Jacopetti, che la conosceva bene, disse che "l'Africa dopo la dominazione bianca sarà molto ma molto peggio di prima". Nel lungometraggio "Africa Addio" girato agli inizi degli anni '60 aveva preconizzato: "nel prossimo secolo si scanneranno". E così è stato. Basti pensare alle stragi in Rwanda, Congo, Nigeria, Sudan, in Etiopia, in Somalia, in Guinea Equatoriale, in Liberia, in Costa d'Avorio.

La corruzione e l'incapacità delle classi dirigenti locali ha accentuato il disastro. Le grandi e medie città del continente cresciute senza regole, le discariche sorte ovunque, la mancanza di qualunque regola verso l'ambiente, l'estrazione senza limiti delle risorse ambientali e del sottosuolo da parte degli ex colonizzatori e delle imprese multinazionali con interessi globalizzati, la deforestazione per uso antropico del territorio, il bracconaggio, l'uso massiccio di inquinanti e tossici (tra cui l'eternit), lo sversamento nei fiumi e corsi d'acqua, l'uso da rapina delle fonti idriche in rapido esaurimento, hanno moltiplicato in pochi decenni la devastazione portando alla perdita di vaste aree di foreste e savana e all'accelerazione del già rilevante fenomeno della desertificazione.

Su tutto si è innestato il problema sovrappopolazione, innescando un problema esplosivo che sta preparando per l'Africa e il mondo una vera e propria bomba. Le proiezioni Onu dicono che la popolazione africana aumenterà di oltre il doppio, salendo dagli 850 milioni di unità del 2003 a 1,8 miliardi (ma c'è chi parla di due miliardi) nel 2050.
 
Quando il Kenia era una colonia britannica aveva cinque milioni di abitanti, oggi ne ha trenta. E quelle terre descritte in maniera sublime da Karen Blixen oggi sono un luogo di sterminio di animali, di aberrazioni ecologiche e umane come la periferia di Nairobi.

Il boom demografico africano ha molte cause. La cultura locale, gli aiuti concessi senza responsabilizzare le popolazioni locali, il disinteresse per una programmazione familiare e uno sviluppo del territorio da parte dei capi di governo africani e delle imprese straniere. Le organizzazioni religiose con la loro lotta alla contraccezione.
 
Un importante argomento demografico è la relazione fra alta fecondità e povertà: può la povertà essere la causa di un alto tasso di natalità? Oppure, può una rapida impennata demografica provocare povertà? Le risposte che emergono, soprattutto grazie al lavoro dell’economista Partha Dasgupta, sembrano affermative in entrambi i casi.

Uno scatto repentino della crescita demografica ostacola la capacità delle istituzioni di soddisfare i bisogni in aumento della popolazione in termini di infrastrutture, scuole, ospedali e produzione alimentare. Questo è particolarmente problematico quando una larga quota della popolazione (in alcuni casi si arriva al 50%) è composta da giovani sotto i 15 anni
 
Quando la popolazione raddoppia in un lasso temporale di 18-25 anni, è molto difficile anche solo mantenere il passo con la crescita demografica; migliorare è praticamente impossibile. Alcuni dei paesi più poveri e meno sviluppati infatti hanno perso terreno negli ultimi decenni.

Il ruolo della povertà sui tassi di fecondità è invece meno netto, anche se è evidente che di solito è accompagnata da analfabetismo e mancanza di accesso ai servizi sociali. La mancanza di lavoro retribuito e di incentivi culturali, insieme alla scarsa scolarizzazione, limitano l’indipendenza delle donne e la loro capacità di fare scelte personali. Tutto questo a sua volta promuove l’alta fecondità. Nelle famiglie rurali povere allo stesso risultato concorre anche il valore dei bambini, preziosi per il rifornimento di acqua e la ricerca di legna da ardere.

Il tasso di natalità per l’Africa sub-sahariana è di 6,5 figli per donna. Nel Niger addirittura 7,6 il più alto tasso di natalità al mondo. In Uganda, Mali e Zambia siamo a livelli di poco inferiori. Questi tassi così alti hanno solo un significato: morte per le specie viventi uniche e preziose dell'ambiente africano, morte per le savane, morte per bacini e corsi idrici, morte per la varietà genetica tipica di una terra rimasta l'ultimo ecosistema per tante specie animali e vegetali che non hanno altri habitat nel pianeta, e infine morte per un'enorme numero di uomini che saranno condannati a perire per conflitti, malattie e mancanza di risorse ambientali.

L’Africa si avvia così verso una catastrofe di dimensioni planetarie. Il boom demografico avviene incontrastato e in presenza di una economia che è poverissima e la più arretrata del pianeta. In presenza di una cultura di deresponsabilizzazione e di impreparazione culturale e materiale al lavoro. Impreparazione, irresponsabilità che, insieme alla corruzione delle classi dirigenti, è figlia delle politiche occidentali verso l’Africa, dal colonialismo all’assistenzialismo fine a se stesso, e poi di quelle politiche di intervento governativo o peggio spontaneo in cui gli aiuti venivano “paracadutati” in territori deserti, senza risorse, tra popolazioni analfabete.

Andiamo verso i due miliardi di umani in una terra devastata dall'AIDS che ha trovato qui il proprio terreno ottimale di endemia nella promiscuità, nella povertà, nell’eccesso demografico rispetto alle risorse.

Le responsabilità dei governi e delle chiese cristiane sono immani in questa tragedia. Si sono dati aiuti senza chiedere sforzi, senza una politica di istruzione al lavoro, di cultura della produzione in agricoltura e nell’artigianato, senza insegnare i metodi per il commercio locale e la piccola intrapresa in aziende anche rudimentali e adatte al contesto. Aiuti dati senza condizioni, senza un discorso sulle politiche demografiche, sul rapporto tra popolazione e territorio, tra natalità e risorse. Non si è mai affrontato il problema ambientale e dei limiti della crescita demografica.

Si è andati lì, prima da parte dei paesi occidentali e dei sovietici, oggi da parte delle nuove economie asiatiche, prospettando un futuro di crescita senza limiti sia dai fautori del mercato che dai socialisti progressisti di ispirazione marxista, a cui hanno dato man forte le chiese di ogni risma con il biblico “andate e prolificate”.

Le organizzazioni religiose e politiche onlus hanno avuto un ruolo grave fino a rasentare il crimine, in questa opera di mistificazione mascherata da propositi umanitari. Si è così deresponsabilizzato, si è instillata la cultura del regalo, delle risorse a pioggia che prima o poi sarebbero arrivate a risolvere tutto. Si è predicato alle tribù nel deserto, in un ambiente privo di risorse per popolazioni in forte crescita demografica. Il danno fatto è gigantesco ed epocale. L’Africa è un continente malato e può intossicare il mondo.

L’Africa, ha paesaggi stupendi, patrimoni naturali e zoologici meravigliosi che però stanno morendo sotto una pressione antropica incontrastata ed esplosiva. Spariranno per sempre specie viventi ormai uniche, già ridotte a poche migliaia di esemplari dal bracconaggio e dal commercio di prodotti animali come l’avorio e le pelli, gli animali stessi usati come fenomeni da baraccone o come "divertissement" domestici.

La distruzione delle foreste e delle savane procede incontrastata e si accentuerà con l'aumento esplosivo della popolazione. Ma la bomba demografica non distruggerà solo il continente africano. Milioni di migranti, spinti dalla fame, dalla povertà, dalla scarsità di risorse e dai miraggi artificiali dei media occidentali si avvieranno con tutti i mezzi verso le coste del Nord Africa che guardano all’Europa.E’ un fenomeno che riguarderà tutto il secolo XXI e che contribuirà al declino economico e alla devastazione ambientale della già sovrappopolata terra europea. >>
 
AGOBIT

sabato 13 agosto 2011

I quattro pregiudizi

Sono numerosi i  pregiudizi che i nemici del controllo della popolazione hanno nei confronti di chi, come noi, si batte per una riduzione  immediata, decisa e possibilmente dolce delle troppe bocche da sfamare.
Ma i più importanti sono sostanzialmente 4 e cioè che noi saremmo:
1 - contrari alla vita,
2 - economicamente ignoranti (più persone = più ricchezza),
3 - un po' razzisti
4 - e, soprattuto, egoisti.
Ovviamente si tratta di pregiudizi falsi, che possono facilmente essere confutati.
Come ha fatto ottimamente l'amico AGOBIT, le cui considerazioni  (tratte dal suo blog UN PIANETA NON BASTA) sottoscrivo in toto.
LUMEN
 

<< La prima leggenda da sfatare è che chi parla di sovrappopolazione ha una posizione contraria ai valori della vita e dell’umanità. Nulla di più falso. Le politiche favorevoli alla denatalità non sono contro l’uomo, tendono invece a rispettarlo per quello che è: una parte della natura. Non vanno contro l’umanità ma contro un certo concetto di umanità: quella di uomo come padrone assoluto del pianeta di cui può fare quello che vuole distruggendo la natura, senza alcun riguardo alle altre specie viventi.
 
Con facili ironie i critici del concetto di sovrappopolazione ci accusano di voler “eliminare” qualche miliardo di persone. Tragicamente sono invece loro i fautori delle vere e proprie stragi determinate dalle carestie, dalle epidemie (tra cui l’AIDS e la SARS) dalle guerre e dalle migrazioni, tutti effetti dell’eccesso demografico.
L’effetto delle ideologie che tendono a favorire la crescita demografica non è quello di valorizzare la vita dell’uomo, ma all’opposto tendono a vedere gli uomini come semplici numeri: secondo costoro infatti più alto è il numero degli uomini, più valore ha l’umanità. 
 
Con questo modo di vedere si sono creati i disastri della sovrappopolazione che abbiamo sotto gli occhi: megalopoli invivibili, degrado urbano e paesaggistico, inquinamento chimico del pianeta, gas serra e surriscaldamento del globo, fame, epidemie, migrazioni di intere popolazioni, guerre, conflitti per l’acqua e le risorse energetiche. Essere passati in 100 anni da uno a sette miliardi di umani non ha valorizzato la vita dell’uomo, al contrario l’ha degradata.

La seconda leggenda è che un maggior numero di uomini significa più lavoro e più ricchezza. Questa è una credenza assolutamente falsa: le aree del pianeta con i più alti tassi di natalità sono anche quelle più arretrate dal punto di vista economico e ambientale. 
 
Le nazioni dell’Africa, alcune regioni dell’India, aree del sudamerica caratterizzate da alti tassi di crescita demografica hanno difficoltà a svilupparsi e sono costrette a concentrare nel cibo e nelle necessità sanitarie per la popolazione sovrabbondante quelle risorse che altrimenti potrebbero essere destinate allo sviluppo industriale, tecnologico e culturale in grado di determinare una crescita economica e sociale. L’impetuoso sviluppo di alcune aree dell’Asia di questi ultimi anni è stato dovuto in misura fondamentale alla riduzione della pressione demografica e al contemporaneo maggior afflusso di risorse sullo sviluppo tecnologico e sociale.

Una terza leggenda da sfatare è che quando qualcuno parla di sovrappopolazione vi sia in lui un fondo di razzismo. Tale sospetto sorge dal fatto che le popolazioni che attualmente sono in forte crescita demografica riguardano l’Africa, il Medioriente e altre aree sottosviluppate del globo. 
 
Il discorso sulla sovrappopolazione non ha assolutamente nulla del razzismo: esso deriva dalla sensibilità verso il valore fondamentale costituito dal pianeta e da tutte le specie viventi che lo abitano. Il rifiuto non riguarda alcune razze ma un modo di concepire l’uomo, quello che lo vede come un animale egoista che sfrutta senza limiti il pianeta come fosse una sua proprietà assoluta. La denatalità non è un mezzo per controllare certe popolazioni, ma un modus vivendi di rispetto di tutta la specie umana verso l’intero pianeta.

L’ultima leggenda è che le persone che parlano di sovrappopolazione siano egoiste e che non vogliono aiutare gli altri per difendere il proprio “giardino”. I critici della sovrappopolazione raggiungono qui l’acme della mistificazione. 
 
Coloro che combattono l’eccessiva crescita demografica della specie umana sono all’opposto dell’egoismo, infatti condannano il vero egoismo: quello antropocentrico che ha portato la nostra specie ad occupare massivamente il pianeta devastando il territorio, avvelenando le acque e l’aria, distruggendo la vegetazione, eliminando gli ambienti di vita di tante altre specie animali e determinandone direttamente o per via indiretta l’estinzione.
 
Quale interesse individuale ha colui che combatte il fenomeno della sovrappopolazione? Le politiche di denatalità sviluppano i loro effetti su archi temporali molto lunghi: prima di avere un effetto misurabile sull’ambiente la riduzione della pressione demografica ha bisogno di almeno 50 anni. Un mondo più vivibile e adatto ad una vita più umana si potrà raggiungere solo tra circa un secolo. 
 
Dunque la visione che è alla base della lotta alla sovrappopolazione non riguarda i nostri piccoli interessi di bottega, riguarda invece una concezione del mondo che fuoriesce dalla meschinità del nostro presente per rivolgersi ad un senso più grande da dare alla vita. >>
 
AGOBIT