giovedì 30 giugno 2022

Il problema di Taiwan

Dopo la prima guerra sino–giapponese, combattuta sul finire dell’800 e vinta dai nipponici, l’isola di Taiwan (Formosa) passò sotto il dominio giapponese. La guerra segnò anche la fine dell’impero cinese, che cadde dopo duemila anni lasciando il posto alla Repubblica di Cina, con a capo il partito nazionalista Kuomintang. 

Al termine della 2° guerra mondiale, con la resa del Giappone, Taiwan tornò sotto il controllo cinese. Il paese, però, era alle prese con una sanguinosa guerra civile tra il partito comunista e quello nazionalist. Il Kuomintang venne sconfitto, e Mao Zedong proclamò la nascita della Repubblica Popolare Cinese.

Il leader nazionalista Chiang Kai-shek si rifugiò a Taiwan, portando con sé tutte le risorse del paese e trasformandola nella Repubblica di Cina. La sua legittimità, però, non venne mai riconosciuta dal governo di Pechino, che considera l'isola parte integrante del proprio territorio. 

A questa lunga controversia ed ai suoi possibili sviluppi futuri, è dedicato il post di oggi, scritto da Giorgio Cuscito e tratto dal sito di Limes.

LUMEN


<< Sin dall’epoca imperiale, Taiwan ha sempre avuto un valore strategico per il potere centrale cinese. L’isola, che dista solo 180 chilometri dalla Cina continentale, è oggi percepita da Pechino sia come una barriera a protezione della costa (lungo cui si concentra il nucleo geopolitico del paese), sia come una minaccia alla sicurezza del paese qualora cadesse in mani nemiche. (...)

L’area tra le isole di Formosa e Hainan formerebbe una fascia protettiva per la florida economia sudorientale del paese. La riunificazione di Taiwan inoltre amplierebbe la portata dell’assertività militare di Pechino nel Mar Cinese Meridionale, bacino d’acqua di cui Pechino rivendica la sovranità per circa il 90%, e romperebbe la c.d. “prima catena di isole”. Infatti, l’antagonismo con il Giappone, la presenza Usa nelle Filippine e il complesso rapporto con Taipei ostacolano l’accesso della Repubblica Popolare all’Oceano Pacifico.

La riunificazione avrebbe anche un forte impatto sull’identità nazionale della Repubblica Popolare. Questa cicatrizzerebbe le ferite subite ad opera dal Giappone e dalle potenze straniere nei “cento anni d’umiliazione nazionale”. Inoltre, l’evento si tradurrebbe nel successo del Partito comunista, a cui il Kuomintang ha impedito di prendere Formosa nel 1949. (…) Insomma, per Pechino riconquistare Taiwan significa restituire la statura imperiale all’odierna Cina.

Taipei non è per ora disposta alla riunificazione, ma allo stesso tempo sa che annunciando ufficialmente la sua indipendenza potrebbe innescare la reazione della Repubblica Popolare. Non solo economica (la Cina continentale è il primo partner commerciale taiwanese), ma anche militare. (...) Xi Jinping ha detto che qualunque tentativo di mettere in discussione la politica “una sola Cina” è destinato a fallire, incontrando la “punizione della storia”.

Dalla prospettiva di Pechino, l’ideale sarebbe una riunificazione “morbida”, sulla falsa riga della politica “un paese, due sistemi”. Dal 1997, questo assetto regola i rapporti con Hong Kong, la quale tuttavia sta diventando progressivamente sempre più dipendente dalla Cina continentale sul fronte politico ed economico.

Tale impostazione sancirebbe ufficialmente la sovranità della Repubblica Popolare sull’isola e allo stesso tempo preserverebbe – per un tempo probabilmente limitato – le libertà politiche, economiche e sociali dei taiwanesi che i dirimpettai continentali non hanno. Taiwan, però, non gradisce questa soluzione e i sondaggi [d'opinione lo confermano]. (...)

La Repubblica Popolare cerca di lavorare ai fianchi Taiwan in tre modi. Primo, approfondisce i rapporti economici a cavallo dello Stretto. La dipendenza economica può ridurre il margine d’azione di Taipei e persuadere la popolazione della rilevanza dei rapporti con Pechino. Soprattutto se abbinata a un lavoro mediatico volto a ricordare che gli abitanti del Continente e di Formosa appartengono alla stessa nazione.

Secondo, Pechino cerca di indebolire la politica estera di Taiwan. Ad oggi Taipei intrattiene rapporti diplomatici con venti paesi, tra cui spicca la Santa Sede. Nel corso degli anni, diversi governi stranieri hanno deciso di non riconoscere più la sovranità taiwanese per consolidare i rapporti con Pechino. Non è da escludere che l’accordo in fase di sviluppo tra Repubblica Popolare e Vaticano spinga anche quest’ultima ad allentare i rapporti con Taipei.

Terzo, Pechino sta potenziando le sue Forze armate, con lo scopo di trasformarsi in una potenza marittima. L’Esercito popolare di liberazione non può ancora competere con gli Usa, ma ha intensificato le manovre militari in prossimità dello Stretto per mandare un segnale a Taipei. Il messaggio veicolato è chiaro: Pechino è tecnicamente in grado di prendersi Formosa. (...)

La Repubblica Popolare potrebbe prendere Taiwan in tre giorni. (…) La conquista avverrebbe combinando “sei tipi di combattimento”. Il primo è la “potenza di fuoco”, che prevede tre ondate di assalti con missili d’artiglieria più tre di attacchi aerei. Il secondo prevede di colpire le strutture militari taiwanesi, che sono concentrate in pochi luoghi e molto esposte. [Seguirebbero] poi la “battaglia a tre dimensioni” (terra, mare, aria), la guerra informatica, le operazioni speciali e la guerra psicologica, che include la manipolazione dell’opinione pubblica.

Eppure, un conflitto a cavallo dello Stretto sarebbe controproducente per Pechino su almeno tre livelli. Il primo riguarda le perdite umane, i danni infrastrutturali e psicologici subiti da Formosa, di cui Pechino dovrebbe poi prendersi carico.

In secondo luogo, l’intervento militare innescherebbe la reazione degli Stati Uniti e del Giappone, che vedono proprio nel rinnovato rapporto con Formosa una soluzione per estendere il raggio d’azione della loro politica estera nel Mar Cinese Meridionale. Difficilmente Washington e Tokyo lasceranno che Pechino acquisisca il vantaggio strategico di prendersi Taiwan.

Infine, il conflitto danneggerebbe l’immagine della Repubblica Popolare nel mondo e soprattutto in Asia-Pacifico. Ciò alzerebbe il livello di allerta anche dei paesi vicini, inclusi i partner di Pechino.

La riunificazione pacifica resta quindi la prima alternativa di Pechino per perseguire l’obiettivo prefissato. In tale contesto, colmare il margine con gli Usa sul piano militare sarebbe comunque essenziale, poiché potrebbe scoraggiare l’opposizione di Washington e togliere certezze a Taipei. Invogliandola a trovare un accordo. Parafrasando l’Arte della Guerra di Sunzi, in questo scenario dagli esiti affatto scontati, Pechino preferirebbe vincere senza combattere. >>

GIORGIO CUSCITO

7 commenti:

  1. Se è vero che la Cina è il partner commerciale più importante di Taiwan sarebbe forse possibile e auspicabile un ricongiungimento pacifico alla madrepatria, nonostante i diversi sistemi politici. Taiwan faceva in fondo parte della Cina. È vero che l'autodeterminazione di un popolo e territorio è un principio sacrosanto del diritto internazionale, ma si pensi come la Spagna si opponga con ogni mezzo all'autoderminazione della Catalogna. E dubito che Johnson dia via libera all'adesione della Scozi all'UE. Come sempre due pesi e due misure. Al ricongiungimento di Taiwan alla madrepatria si oppongono naturalmente i taiwanesi (ma quanti?) e soprattutto la potenza egemonica del pianeta, gli USA. Ma sarà vero che i cinesi vogliono dominare il mondo, forti del loro potenziale demografico: 1,4 miliardi di fronte ai 330 milioni di americani? Economicamente supereranno presto gli USA e stanno occupando l'Africa, ma pacificamente.
    I cinesi sono dei geni nel commercio e fortemente nazionalisti (il nazionalismo è probabilmente un fattore di coesione sociale), ma sono anche pragmatici. Secondo me si riprenderanno Taiwan pacificamente, a meno che gli USA non aizzino Taiwan e si oppongano al ricongiungimento, intervenendo militarmente e scatenando una guerra contro la Cina. Ma la Cina ha anch'essa l'atomica e con paesi possessori dell'arma di distruzione di massa non si scherza
    (vedi il conflitto Russia-Ucraina: gli USA e l'occidente vorrebbero spazzar via la Russia, ma il rischio di guerra atomica sussiste, per quanto improbabile: Mosca sparirebbe, ma anche Londra e New York).
    P.S. A ottant'anni dal fine della seconda guerra mondiale, gli USA occupano ancora militarmente Giappone, Germania e Italia. In Italia hanno 120 basi militari note più altre segrete e hanno armi nucleari nonché arsenali militari pazzeschi (per es. a Camp Darby presso Pisa). Come mai gli italiani hanno accettato di essere occupati? Per difendersi dall'Unione Sovietica?

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    1. Caro Sergio, come hai detto tu, i cinesi sono abili e pragmatici, e quindi non ce li vedo a scatenare una guerra vera e propria contro gl USA per riprendersi Taiwan.
      Secondo me cercheranno di manovrare sullo scacchiere mondiale in modo da poter offrire agli USA qualcosa di molto appetibile, in cambio della mano libera con Taiwan, da riassorbire comunque pacificamente alla Hong-Kong.
      E prima o poi troveranno l'occasione (sanno essere molto pazienti).

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  2. COMMENTO di GP VALLA

    Anch'io credo che Pechino preferirebbe la riunificazione pacifica di Taiwan; purtroppo, come osserva Sergio, ci sono anche gli USA, che da tempo hanno identificato la Cina (Pechino) come "il nemico" numero uno. Si tratta, parrebbe, di una scelta condivisa da entrambi i partiti - repubblicano e democratico - per cui credo che non servirebbero a nulla eventuali concessioni da parte di Pechino: è in gioco l'egemonia degli Stati Uniti, e Taiwan è solo una pedina, se del caso sacrificabile.

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  3. COMMENTO di GP VALLA (segue)

    Gli americani stanno da tempo muovendosi per indebolire la Cina "disconnettendola" dai mercati occidentali, com'è avvenuto alla Russia con le sanzioni conseguenti all'intervento in Ucraina. Il modo migliore per ottenere questo risultato sarebbe quello di provocare Pechino fino a costringerla ad attaccare Taiwan, per poi imporre le sanzioni. E pazienza per Formosa, che certo gli USA non potrebbero difendere efficacemente (salvo scatenare una guerra atomica).
    Paradossalmente la situazione sarebbe l'opposto di quella ucraina, con gli Stati Uniti ad appoggiare un'entità non riconosciuta dalla gran maggioranza degli Stati mondiali, e Pechino a difendere e ripristinare l'integrità del Paese; ma queste contraddizioni non creerebbero certo un problema per gli USA...
    Un'ultima considerazione: si parla spesso, anche da noi, di un "pericolo cinese". Ma negli ultimi decenni la Cina non ha invaso alcuno Stato, non ha organizzato alcun colpo di Stato, non h fomentato alcuna "rivoluzione colorata ". Dall'altra parte, invece...

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  4. Caro Beppe, l'importanza oggettiva di Taiwan è sicuramente modesta, di gran lunga inferiore a quella simbolica.
    E questo vale non solo per gli USA (ai quali, come dicevi giustamente tu, di questa isola e dei suoi abitanti non importa nulla), ma in fondo anche per la Cina, che è già una grande potenza (militare, economica e politica) anche senza il possesso politico di Taiwan (con cui già commerciano alla grande).
    Ma gli USA hanno deciso (non so con quanta lungimianza) che la Cina è il loro grande nemico di domani (anche più pericoloso della Russia) e Taiwan diventa un'ottima scusa per farli soffrire.

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  5. "Ma gli USA hanno deciso (non so con quanta lungimiranza) che la Cina è il loro grande nemico di domani (anche più pericoloso della Russia) ..."

    Sembrerebbe che un nemico sia necessario, magari anche solo per mantenere in piedi il complesso militare-industriale. Dal punto di vista militare mi chiedo a che punto sia la Cina, soprattutto in merito all'armamento nucleare. USA e Russia sembrano ancora surclassare gli altri paesi provvisti di atomiche (la Francia ne avrebbe solo una ventina, la Gran Bretagna 200, Pakistan India e Israele non so).
    E se invece disarmassero tutti, come auspica Bergoglio e in fondo l'intera umanità - perché una guerra nucleare sarebbe la fine? Il disarmo atomico è in questo momento utopico, ma potrebbe nascere un movimento popolare che esige il disarmo. Un disarmo totale è lo stesso difficilmente concepibile. Se si rinunciasse davvero all'atomica occorrerebbe potenziare l'armamento "convenzionale" che potrebbe far paura anch'esso. L'eliminazione totale di armi di distruzione di massa o di armi letali rivaluterebbe ... la forza muscolare: si farebbe a pugni e vincerebbe naturalmente il gruppo più numeroso.

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    1. Caro Sergio, non credo che le armi nucleari verranno mai abbandonate e smantellate.
      Forse nessuna potenza le userà mai, limitandosi alle armi convenzionali (come sta dimostrando, per ora, la guerra in Ucraina) ma a livello di deterrenza sono insostituibili.
      Come dicevi giustamente tu alla fine, chi è più piccolo e numericamente più debole (es. Israele), non può rinunciare alla sua unica fonte di superiorità.

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