Continuano le riflessioni di Sergio Pastore sul filosofo Emanuele Severino (seconda parte di tre). LUMEN
<< Tuttavia, mi sembra tuttora che di Severino si possa salvare qualcosa, qualcosa di importante. Severino chiama Platone il vero “salvatore del mondo” perché “salva” gli enti (tutti, dal più semplice e apparentemente insignificante al più grande e maestoso). Ma cosa significa salvare? Appunto non considerare gli enti un niente: perché un ente che viene dal nulla (in precedenza non c’era) e ricade dopo qualche tempo nel nulla (magari dopo un miliardo di anni come una galassia), è in definitiva niente.
Ricadendo nel nulla scompare per sempre, è dunque in definitiva un nulla. L’ente è un attimo tra due nulla: se ricade nel nulla, se scompare per sempre, è in un certo senso come non fosse mai esistito. Errore, dice Severino: tutto, assolutamente tutto – da uno scarafaggio, uno sputo, all’homo sapiens sapiens – è eterno.
Una persona normale, che non ha studiato filosofia, dirà: ma che dice, questo è pazzo! Tutti vediamo, constatiamo, che cose e persone decadono, muoiono, scompaiono per sempre. È l’estrema evidenza: persone e cose (comprese le galassie e forse l’intero universo) muoiono, scompaiono. Ma se non ricadono nel nulla dove sono?
È forse questa la questione dirimente: dove sono le cose e le persone distrutte, morte, dissolte, non più visibili cioè evidenti? Ebbene, anche dopo aver letto tanti libri di Severino io non so dove vadano a finire i quasi infiniti esseri dell’universo. Perché, se come dice Severino, gli enti “sono” – non possono essere venuti dal nulla e ricadere nel nulla – da “qualche parte” devono essere (sono per così dire “parcheggiati”), e se non li vediamo più “sono” comunque per sempre e “torneranno” a farsi vedere.
L’idea dell’eterno ritorno non è nuova, non l’ha inventata o trovata Severino. Anche Nietzsche fantasticava di un eterno ritorno (ma mi sembra che Severino non volesse essere confuso con quel matto di Nietzsche e il suo eterno ritorno). Chiedo lumi ai filosofanti che ne sanno più di me: qual è la differenza tra l’eterno ritorno nicciano e l’eterno ritorno severiniano?
Tutto ciò può apparire strano, strambo, follia. Nietzsche impazzì davvero dopo una vita randagia e quasi misera (usufruiva di una pensioncina assegnatagli dall’università già in giovane età per la sua salute cagionevole che non gli consentiva più di tenere corsi).
I suoi libri non interessavano, li doveva pubblicare a sue spese (probabilmente in poche copie per risparmiare). Croce litigò con Laterza per la pubblicazione di un libro su Nietzsche, autore o filosofo secondo lui che non interessava più nessuno. Severino non finì al manicomio, ma forse era un po’ matto anche lui: aveva un’idea fissa a cui rimase fedele fino alla morte.
E tuttavia! L’idea fissa di Severino non potrebbe essere l’alternativa alla religione, specie quella cattolica? Le verità della fede cattolica sono contenute quasi tutte nel Credo (ne sono state aggiunte poi altre: l’infallibilità pontificia, i dogmi mariani). I fedeli ripetono tutti i giorni queste verità a pappagallo, cioè senza capirle o crederle davvero.
Perché cosa significa in fin dei conti credere? Ritenere vere cose non evidenti o visibili (Dio è l’autore visibilium et invisibilium, recitiamo nel Credo). Il fatto però è che il vero credente non crede, ma sa, afferma risoluto che ciò in cui lui crede è vero. I credenti in effetti sono tutt’altro che modesti: loro “sanno” che Dio è uno e trino, che la Madonna è stata assunta in cielo in carne e ossa ecc.
Sono talmente convinti di questo che furono una volta disposti a farsi ammazzare per queste credenze alias verità (oggi il desiderio di martirio è quasi scomparso – per fortuna). Si può credere a pappagallo (semplicemente proferire parole senza riflettere troppo) oppure recitarle con profonda convinzione e adesione, cioè col sentimento.
In tempi normali il Potere si accontenta che si dicano le preghiere o formule a pappagallo, ma nei momenti cruciali bisogna recitarle con sentimento se no sono guai, allora non si scherza! Noi ci vogliamo essere razionali e ragionevoli, ma sono probabilmente soprattutto gli istinti a governare il nostro comportamento (i geni, eh Lumen?). L’istinto è decisivo per la sopravvivenza: si reagisce senza pensarci su (se no sarebbe troppo tardi). Si fugge dal pericolo evidente, si attacca e si preda al momento giusto.
Solo che la natura ha creato anche questo strano essere, l’homo sapiens sapiens, che ha scoperto e inventato così tante cose da smarrire talvolta l’istinto più profondo, sembra situato nell’amigdala (il martire è un esempio di istinto deviato o pervertito: ovviamente il martire “crede” – gli hanno fatto credere – che accettando il martirio guadagnerà la vita eterna, farà cioè il massimo guadagno, il grande affare dei gesuiti – e il disgraziato ci crede davvero fino a sacrificare la propria vita).
La religione, penso soprattutto al cristianesimo (le altre religioni le conosco poco o male o per niente), è una risposta al dramma della vita che è stata quasi sempre per gli umani una valle di lacrime (sono mai davvero esistite le epoche auree, di pace e benessere, le paci augustee?).
La fede nell’aldilà è stata la risposta al malessere esistenziale, ma soprattutto il mezzo del potere per fare accettare alla massa lo statu quo (“io son’ io, e voi non siete un c…!”). La ricompensa è rimandata all’aldilà. Ma nell’aldilà ci aspetta anche l’inferno, un’eternità di pene, se non ci saremo comportati come esige il potere in Terra. Il Papa gesuita ha abolito l’inferno, ma promette ancora il paradiso ai buoni, anche se non si sa bene in che cosa consista l’eterna beatitudine (gli islamici invece hanno settanta vergini ad aspettarli).
La religione è istrumentum regni, ma anche spiegazione dell’avventura umana. In quanto spiegazione fa appello ai nostri sentimenti, e ciò è molto importante. Il Principe deve regnare col terrore per sopravvivere, ma deve anche saper far uso della religione che parla al cuore. Il terrore non basta, serve anche – e forse anche di più del potere brutale – il sentimento, la convinzione che tutto è come deve essere e giusto.
Chi crede con sentimento, cioè con tutto il proprio essere, farà sempre la volontà del potere, fino a immolarsi. Perciò l’importanza dell’educazione in generale e dell’educazione religiosa in particolare. Io in collegio sono andato tutte le mattine a messa fino a vent’anni! L’educazione deve indurre comportamenti accettabili senza riflettere, indurre cioè degli automatismi (si veda anche l’organizzazione o religione comunista!).
Fra le cose più importanti, anzi la più importante, è stata per i credenti la fede nella vita eterna (e sperabilmente nel paradiso). La morte non piace a nessuno in condizioni normali. E la perdita definitiva di un essere caro è dura da accettare, come anche la propria morte. L’evidenza – l’estrema evidenza – è che la morte è definitiva e irreparabile. Ma non per il credente: la vita continua in forma diversa (e per i cristiani in forma inimmaginabile o solo vagamente: sai che bello cantare nel coro degli angeli per l’eternità!).
Il cristianesimo si fonda sulla credenza nell’immortalità: questa credenza è sicuramente una delle ragioni più profonde del suo successo strepitoso. Cristo è davvero risorto e ha così “vinto la morte”. Credendo in lui vivremo per sempre anche noi. Cosa resta del cristianesimo se cancelliamo la fede nella vita eterna e nel paradiso? Non molto, un vago sentimentalismo.
C’è chi dice che senza questa fede l’umana e pacifica convivenza sarebbe impossibile: senza il timore dell’inferno si potrebbe fare quel che si vuole, anche rubare e uccidere. Ma non è affatto vero: la società si dà delle regole, delle leggi, per poter esistere come tale e sopravvivere. Io non rubo e uccido perché altrimenti sarei punito, anche con la condanna a morte.
Però con l’educazione, religiosa e civica, accetterò le norme e le leggi, vi aderirò “sentimentalmente”, cioè profondamente. Per cui se oggi non rubo o uccido, come l’istinto vorrebbe, lo faccio spontaneamente, senza pensarci su. Senza l’adesione spontanea alla pubblica morale la società non potrebbe esistere.
Non è dunque vero che senza la fede in Dio e il timore dell’inferno posso fare quel che voglio, come afferma Dostoevskij ne “I demoni”. Il potere ti dice: “Timor Dei initium sapientiae”. Il timore di Dio è in realtà il timore del potere. >>
Ricadendo nel nulla scompare per sempre, è dunque in definitiva un nulla. L’ente è un attimo tra due nulla: se ricade nel nulla, se scompare per sempre, è in un certo senso come non fosse mai esistito. Errore, dice Severino: tutto, assolutamente tutto – da uno scarafaggio, uno sputo, all’homo sapiens sapiens – è eterno.
Una persona normale, che non ha studiato filosofia, dirà: ma che dice, questo è pazzo! Tutti vediamo, constatiamo, che cose e persone decadono, muoiono, scompaiono per sempre. È l’estrema evidenza: persone e cose (comprese le galassie e forse l’intero universo) muoiono, scompaiono. Ma se non ricadono nel nulla dove sono?
È forse questa la questione dirimente: dove sono le cose e le persone distrutte, morte, dissolte, non più visibili cioè evidenti? Ebbene, anche dopo aver letto tanti libri di Severino io non so dove vadano a finire i quasi infiniti esseri dell’universo. Perché, se come dice Severino, gli enti “sono” – non possono essere venuti dal nulla e ricadere nel nulla – da “qualche parte” devono essere (sono per così dire “parcheggiati”), e se non li vediamo più “sono” comunque per sempre e “torneranno” a farsi vedere.
L’idea dell’eterno ritorno non è nuova, non l’ha inventata o trovata Severino. Anche Nietzsche fantasticava di un eterno ritorno (ma mi sembra che Severino non volesse essere confuso con quel matto di Nietzsche e il suo eterno ritorno). Chiedo lumi ai filosofanti che ne sanno più di me: qual è la differenza tra l’eterno ritorno nicciano e l’eterno ritorno severiniano?
Tutto ciò può apparire strano, strambo, follia. Nietzsche impazzì davvero dopo una vita randagia e quasi misera (usufruiva di una pensioncina assegnatagli dall’università già in giovane età per la sua salute cagionevole che non gli consentiva più di tenere corsi).
I suoi libri non interessavano, li doveva pubblicare a sue spese (probabilmente in poche copie per risparmiare). Croce litigò con Laterza per la pubblicazione di un libro su Nietzsche, autore o filosofo secondo lui che non interessava più nessuno. Severino non finì al manicomio, ma forse era un po’ matto anche lui: aveva un’idea fissa a cui rimase fedele fino alla morte.
E tuttavia! L’idea fissa di Severino non potrebbe essere l’alternativa alla religione, specie quella cattolica? Le verità della fede cattolica sono contenute quasi tutte nel Credo (ne sono state aggiunte poi altre: l’infallibilità pontificia, i dogmi mariani). I fedeli ripetono tutti i giorni queste verità a pappagallo, cioè senza capirle o crederle davvero.
Perché cosa significa in fin dei conti credere? Ritenere vere cose non evidenti o visibili (Dio è l’autore visibilium et invisibilium, recitiamo nel Credo). Il fatto però è che il vero credente non crede, ma sa, afferma risoluto che ciò in cui lui crede è vero. I credenti in effetti sono tutt’altro che modesti: loro “sanno” che Dio è uno e trino, che la Madonna è stata assunta in cielo in carne e ossa ecc.
Sono talmente convinti di questo che furono una volta disposti a farsi ammazzare per queste credenze alias verità (oggi il desiderio di martirio è quasi scomparso – per fortuna). Si può credere a pappagallo (semplicemente proferire parole senza riflettere troppo) oppure recitarle con profonda convinzione e adesione, cioè col sentimento.
In tempi normali il Potere si accontenta che si dicano le preghiere o formule a pappagallo, ma nei momenti cruciali bisogna recitarle con sentimento se no sono guai, allora non si scherza! Noi ci vogliamo essere razionali e ragionevoli, ma sono probabilmente soprattutto gli istinti a governare il nostro comportamento (i geni, eh Lumen?). L’istinto è decisivo per la sopravvivenza: si reagisce senza pensarci su (se no sarebbe troppo tardi). Si fugge dal pericolo evidente, si attacca e si preda al momento giusto.
Solo che la natura ha creato anche questo strano essere, l’homo sapiens sapiens, che ha scoperto e inventato così tante cose da smarrire talvolta l’istinto più profondo, sembra situato nell’amigdala (il martire è un esempio di istinto deviato o pervertito: ovviamente il martire “crede” – gli hanno fatto credere – che accettando il martirio guadagnerà la vita eterna, farà cioè il massimo guadagno, il grande affare dei gesuiti – e il disgraziato ci crede davvero fino a sacrificare la propria vita).
La religione, penso soprattutto al cristianesimo (le altre religioni le conosco poco o male o per niente), è una risposta al dramma della vita che è stata quasi sempre per gli umani una valle di lacrime (sono mai davvero esistite le epoche auree, di pace e benessere, le paci augustee?).
La fede nell’aldilà è stata la risposta al malessere esistenziale, ma soprattutto il mezzo del potere per fare accettare alla massa lo statu quo (“io son’ io, e voi non siete un c…!”). La ricompensa è rimandata all’aldilà. Ma nell’aldilà ci aspetta anche l’inferno, un’eternità di pene, se non ci saremo comportati come esige il potere in Terra. Il Papa gesuita ha abolito l’inferno, ma promette ancora il paradiso ai buoni, anche se non si sa bene in che cosa consista l’eterna beatitudine (gli islamici invece hanno settanta vergini ad aspettarli).
La religione è istrumentum regni, ma anche spiegazione dell’avventura umana. In quanto spiegazione fa appello ai nostri sentimenti, e ciò è molto importante. Il Principe deve regnare col terrore per sopravvivere, ma deve anche saper far uso della religione che parla al cuore. Il terrore non basta, serve anche – e forse anche di più del potere brutale – il sentimento, la convinzione che tutto è come deve essere e giusto.
Chi crede con sentimento, cioè con tutto il proprio essere, farà sempre la volontà del potere, fino a immolarsi. Perciò l’importanza dell’educazione in generale e dell’educazione religiosa in particolare. Io in collegio sono andato tutte le mattine a messa fino a vent’anni! L’educazione deve indurre comportamenti accettabili senza riflettere, indurre cioè degli automatismi (si veda anche l’organizzazione o religione comunista!).
Fra le cose più importanti, anzi la più importante, è stata per i credenti la fede nella vita eterna (e sperabilmente nel paradiso). La morte non piace a nessuno in condizioni normali. E la perdita definitiva di un essere caro è dura da accettare, come anche la propria morte. L’evidenza – l’estrema evidenza – è che la morte è definitiva e irreparabile. Ma non per il credente: la vita continua in forma diversa (e per i cristiani in forma inimmaginabile o solo vagamente: sai che bello cantare nel coro degli angeli per l’eternità!).
Il cristianesimo si fonda sulla credenza nell’immortalità: questa credenza è sicuramente una delle ragioni più profonde del suo successo strepitoso. Cristo è davvero risorto e ha così “vinto la morte”. Credendo in lui vivremo per sempre anche noi. Cosa resta del cristianesimo se cancelliamo la fede nella vita eterna e nel paradiso? Non molto, un vago sentimentalismo.
C’è chi dice che senza questa fede l’umana e pacifica convivenza sarebbe impossibile: senza il timore dell’inferno si potrebbe fare quel che si vuole, anche rubare e uccidere. Ma non è affatto vero: la società si dà delle regole, delle leggi, per poter esistere come tale e sopravvivere. Io non rubo e uccido perché altrimenti sarei punito, anche con la condanna a morte.
Però con l’educazione, religiosa e civica, accetterò le norme e le leggi, vi aderirò “sentimentalmente”, cioè profondamente. Per cui se oggi non rubo o uccido, come l’istinto vorrebbe, lo faccio spontaneamente, senza pensarci su. Senza l’adesione spontanea alla pubblica morale la società non potrebbe esistere.
Non è dunque vero che senza la fede in Dio e il timore dell’inferno posso fare quel che voglio, come afferma Dostoevskij ne “I demoni”. Il potere ti dice: “Timor Dei initium sapientiae”. Il timore di Dio è in realtà il timore del potere. >>
SERGIO PASTORE
(segue)
A mio modesto parere, è possibile che Severino abbia fatto un po' di confusione tra gli 'enti' semplici e gli 'enti' complessi, e quindi non abbia tenuto conto delle profonde differenze che esistono tra loro.
RispondiEliminaUna volta ammesso, infatti, che gli enti semplici, cioè le particelle di materia e di energia, sono eterni (ma questo ce lo possono dire anche i fisici), lo stesso non vale necessariamente anche per gli esseri complessi.
E, soprattutto, non può valere per gli esseri viventi, che hanno invece un inizio, uno sviluppo ed una fine, e che quindi – ad un certo punto - perdono per sempre la propria individualità ed unicità.
Sapere che i miei atomi finiranno da qualche altra parte nel cosmo o nella biosfera, ma senza nessuna memoria di me, in cosa mi è di aiuto o di conforto?
Loro saranno anche eterni, ma io no.
Caro Sergio, forse ho esagerato un poco nella mia critica a Severino e sono stato ingeneroso nei suoi confronti, ma l'eternità degli esseri complessi continua a lasciarmi perplesso.
RispondiEliminaAffermare l'eternità degli esseri umani, di tutti gli uomini e quindi di ciascuno di loro, può avere un senso se si rimane nell'ambito della religione, che parte da presupposti spirituali e non materialisti.
Ma per un filosofo laico, come Severino, che deve conformare il suo pensiero alla logica materiale più rigorosa, come è possibile giungere ad una tale convinzione ?
Ma forse sono io che, non avendo letto le sue opere, non sono in grado di seguire il suo ragionamento.
Il "convitato di pietra" del lungo ragionamento severiniano (se vogliamo) e' il Tempo: secondo il pensatore bresciano, che notoriamente prende le mosse dal vecchio Parnenide, l'Essere (tutto ciò che e' e non può
RispondiEliminanon essere) si colloca al di fuori del divenire temporale, ritenuto una (tenace ma perniciosa) illusione.
In fin dei conti, anche Einstein credeva in un Universo atemporale, fondamentalmente statico e in un certo qual modo eterno, al di là/al di sopra della tradizionale scansione tra Passato Presente e Futuro (vedasi la lettera scritta alla vedova dell'amico Besso da poco scomparso)... Saluti
In effetti anche i fisici hanno qualche perplessità di fronte al concetto, apparentemente ovvio, di 'tempo'.
EliminaRicordo di aver letto, molti anni fa, un saggio di Julian Barbour intitolato per l'appunto 'La fine del tempo', secondo cui il tempo non esisterebbe come concetto fisico.
Purtroppo le mie scarsissime conoscenze di fisica mi impedirono di apprezzarlo (e forse anche di capirlo) come meritava.
Riporto qui di seguito la presentazione del libro scritta dall'editore:
Elimina<< Con La fine del tempo Barbour mostra le prove della non-esistenza del tempo, spiegando la costituzione di un universo atemporale e mostrandoci come nonostante ciò noi continuiamo a percepire il mondo come se il tempo esistesse. È un libro che colpisce al cuore la fisica moderna, sollevando dubbi sul piú importante contributo di Einstein – il continuum dello spaziotempo -, ma che indica anche la soluzione di uno dei piú grandi paradossi della scienza contemporanea: la distanza apparentemente incolmabile tra fisica classica e fisica quantistica. Un libro rivoluzionario che capovolge la nostra comprensione della realtà. >>
COMMENTO di SERGIO
EliminaLeggo nel catalogo BOL questa presentazione del libro di Barbour:
"Un saggio che arriva al cuore della fisica moderna, che solleva dubbi sul maggiore contributo di Einstein (il continuo dello spaziotempo) ma che propone anche una soluzione a uno dei più grandi paradossi della scienza contemporanea: la distanza tra la fisica classica e la fisica quantistica. Barbour sostiene che l'unificazione della relatività generale di Einstein con la meccanica quantistica può determinare la fine del tempo. Il tempo non avrà più un ruolo centrale nei fondamenti della fisica. In questo testo rivoluzionario si aprono squarci affascinanti sui misteri dell'universo: i mondi multipli, i viaggi nel tempo, l'immortalità e, soprattutto, l'illusione del moto. Prima edizione nei "Saggi", 2003."
Che dire? Sono senza parole ovvero non ci capisco niente.
E me ne torno a coltivare il mio giardino. Sono questioni
troppo grandi per la gente comune. Forse ci vorrebbe
un traduttore, uno che spieghi a noi poveracci queste cose.
Eppure Einstein insisteva sulla necessità di spiegare,
di essere chiari.
<< Come la perestrojka proposta da Gorbacev per "ammodernare" il comunismo produsse il suo scioglimento nel capitalismo, così la modernizzazione combattuta da Ratzinger e difesa da Bergoglio non porta il cristianesimo alla sopravvivenza, ma alla dissoluzione. >>
RispondiEliminaUna consderazione molto acuta, che condivido.
Le religioni (ed anche il comunismo lo era) non si possono modernizzare se non in minima parte e solo esteriormente.
Chi prova a farlo in maniera profonda, le distrugge.
Cosa diversa è la sorte del capitalismo, che, essendo strettamente connessa agli istinti umani più profondi, può cambiare la sua forma esteriore per adattarsi ai tempi, senza bisogno di cambiare la propria essenza.
Acute osservazioni, che, sostanzialmente. condivido. Per quanto riguarda la "nostra" religione, io non mi preoccuperei più di tanto. Essa non scomparirà, ahimè. Confluira' in un fideistico contenitore, insieme all'ebraismo, all'Islam, le tre religioni abramitiche. La prima Casa di Abramo è stata inaugurata in Abu Dabi una mesata fa...
RispondiEliminaCome sempre la cara vecchia saggezza popolare ci è di conforto, di aiuto : "diceva l'oste al vino, tu mi diventi vecchio... ti debbo maritare con l'acqua di quel secchio....."
La confluenza delle 3 religioni abramitiche è una ipotesi di cui ho già letto altrove e che ha una sua logica (di sopravvivenza per le religioni in crisi).
EliminaIl fatto è che al momento l'islam non mi sembra per nulla in crisi (e l'ebraismo forse nemmeno)
Per questo l'ipotesi mi lascia perplesso.
COMMENTO di SERGIO
EliminaIndubbiamente l’islam è una religione ancora
viva (e malefica) e l’ebraismo degli ortodossi
gode anch’esso di buona salute (la stragrande
maggioranza degli israeliti sono pero agnostici
o non credenti alias atei).
Il cristianesimo invece è davvero moribondo
e Bergoglio gli sta dando il colpo di grazia.
Un cardinale di altissimo livello, non ricordo
adesso il nome, parla di “nuova teologia”.
Quanto dire: al diavolo tutti i ridicoli dogmi,
in cui del resto non crede quasi più nessuno,
e facciamo causa comune con islamici ed ebrei.
Cancellare la Trinità, la divinità di Cristo,
la sua resurrezione, la verginità di Maria e
la sua assunzione in cielo e tutto il resto
significa decretare la morte non solo della
teologia, ma della religione cattolica.
Immagina se Galileo avesse messo in dubbio
la Trinità o la verginità di Maria …
Ormai ci dicono che la Trinità è la formula
di Nicea ormai superata, domani ci diranno
che la resurrezione, suvvia, non è da intendere
alla lettera, è una metafora ecc. ecc.
La Chiesa cattolica tenta di sopravvivere alleandosi
con le altre religioni del libro, anzi con tutte le
religioni: sono tutte vie volute da Dio, ogni
religione ha diritto di cittadinanza, l’extra
ecclesiam nulla salus appartiene al passato
(già Dante aveva dei problemi con l’extra
ecclesiam). Di un Dio tricefalo islamici ed
ebrei non vogliono sentir parlare.
È probabile che la Chiesa cattolica sopravviva,
ma in condominio. Un solo dogma: l’esistenza
di Dio, un vago amore del prossimo come
etica. E poi naturalmente molto folklore, ogni
religione pratichi i propri riti, le carnevalate
sollazzano e distraggono.
P.S. Anche Hans Küng ha relativizzato la
Trinità, ma non apertamente (come del resto
non osa farlo apertamente nemmeno Bergoglio:
i tempi non sono ancora maturi per mandare
definitivamente al diavolo Gesù e la Madonna).
Caro Sergio, il Cristianesimo è una religione politeistica, non tanto per la Trinità, quanto per la venerazione dei Santi e della Madonna, ed a questa caratteristica non potrà mai rinunciare.
EliminaIl Dio unico degli islamici (e degli ebrei) è sicuramente più più razionale, ma il cristianesimo è nato nell'occidente greco-romano classico e certe caratteristiche fanno parte della sua natura più profonda.
Esatto, la religione cristiana è una religione fideistico- politeistica, con la differenza che il "nostro" Olimpo è molto più affollato del greco-romano precedente.
EliminaPiù affollato anche per motivi pratici: quando il cristianesimo si incrociava con un'altro culto, finiva spesso per accettare (astutamente) il sincretismo, limitandosi ad assegnare dei nomi nuovi (di Santi) alle divinità preesistenti.
EliminaA quanto è dato comprendere, dietro al linguaggio altisonante, ispirato e pseudo-profetico di Fusaro, sta l'ennesima riproposizione (ovviamente "mutatis mutandis") del vecchio Catto-comunismo implacabilmente anti-illuminista, anti-liberale e anti-occidentale tipico ad es. del suo maestro Vattimo, importante studioso di Nietzsche e di Heidegger che egli tentò di trasferire dal pantheon politico-culturale della Destra a quello della Sinistra riscuotendo peraltro un successo abbastanza limitato (basti pensare all'acceso dibattito sul filo-nazismo heideggeriano recentemente rinfocolato dalla pubblicazione dei suoi 'Quaderni neri').
RispondiEliminaCome scrive anche Mauro B., il Cristianesimo (come ahinoi solitamente succede, anche dal giovane, iperattivo e rampante filosofo piemontese piuttosto sbrigativamente identificato tout court con la sola Chiesa cattolica) almeno in tempi medio-brevi NON scomparirà affatto ma porterà a compimento il proprio ennesimo e abilmente opportunistico processo quasi-darwiniano (!) di parziale "adattamento" al mutato ambiente socio-culturale complessivo.
Insomma: di fronte alla "minestra riscaldata" fusariana tutto sommato risulta ampiamente preferibile l'indiscutibile solidità logica dell'articolato impianto speculativo di matrice neo-parmenidea elaborato da Severino (parere del tutto personale, sorry).
Caro Claude, sicuramente il Cristianesimo non scomparirà in tempi brevi (riciclando una vecchia battuta, si potrebbe dire che ha... i secoli contati) anche grazie al suo abile processo di adattamento ai tempi nuovi
EliminaMa nel fare questo subirà una contrazione notevole, determinata, tra le altre cose, anche da una sensibile riduzione delle entrate finanziarie da parte della Chiesa Cattolica.
Perchè - anche se nessuno ne parla - i soldi sono importanti ed una diminuzione delle ricchezze porta con se anche una diminuzione del potere, della penetrazione sociale, e di tante altre cose.
Loro lo sanno e, da quanto ho letto, ne sono seriamente preoccupati.