Emanuele Severino (1929 - 2020) è considerato il più importante filosofo italiano contemporaneo. Nelle sue opere, sostiene che la storia dell'Occidente è dominata dal nichilismo, giacché tutte le forme della cultura occidentale parificano l'essere al niente, e quindi, negando l'essere, negano anche la ricerca della verità.
Per uscire dal nichilismo, e salvare l'Occidente, secondo Severino, bisogna tornare alla concezione dei presocratici, e precisamente di Parmenide, che affermava che "l'essere è, e non può non essere" e, per conseguenza, è eterno.
Al pensiero di Severino, ai suoi pregi ed ai suoi limiti, sono dedicate le rifessioni che seguono - appassionate, ma anche critiche, - che mi sono state mandate dall'amico Sergio Pastore (post diviso in tre parti - prima parte).
LUMEN
Per uscire dal nichilismo, e salvare l'Occidente, secondo Severino, bisogna tornare alla concezione dei presocratici, e precisamente di Parmenide, che affermava che "l'essere è, e non può non essere" e, per conseguenza, è eterno.
Al pensiero di Severino, ai suoi pregi ed ai suoi limiti, sono dedicate le rifessioni che seguono - appassionate, ma anche critiche, - che mi sono state mandate dall'amico Sergio Pastore (post diviso in tre parti - prima parte).
LUMEN
<< La maggior parte dei docenti di filosofia svolge tranquillamente il proprio lavoro nelle aule universitarie e pubblica ogni tanto qualche libro. Tra stipendio sicuro e introiti dai libri vive più che modestamente, anzi sopra la media. Poco o niente da eccepire: lavorano spesso sodo e si meritano un salario e magari le lodi (dei colleghi e di alcuni studenti, meno dal grande pubblico che li ignora, deve ignorarli per forza essendo impegnato a procurare da mangiare ai sedicenti filosofi).
Ad alcuni di questi docenti però il salario e il rispetto di studenti e colleghi non bastano. Grazie ai loro studi e al tempo libero (assicurati loro dallo Stato e dal pubblico ignorante ma laborioso) hanno approfondito certe questioni che sono per loro della massima rilevanza e sentono il bisogno, la necessità di beneficare l’umanità col loro impegno diretto in politica. Oltretutto essere visibili è molto gratificante, più gratificante di un onesto lavoro nelle “aule grigie e sorde” delle università.
Un esempio: Marcello Pera. Chi era costui? Uno dei tanti docenti universitari di discreto valore, ma che nessuno considerava fuori da quel circolo ristretto. Ma poi fu fulminato sulla via di Damasco: applaudì Mani Pulite e si buttò in politica, precisamente tra le braccia di Berlusconi. Fece carriera e divenne persino la seconda carica dello Stato come presidente del Senato. Prima della sua entrata in politica si professava “ultimo anticlericale d’Italia” sulla prima pagina del Corriere della sera (mi congratulai con lui per iscritto e ne ebbi un gentile riscontro).
Poi divenne intimo di papa Ratzinger con cui pubblicò persino un libro (oggi non difende più il libero pensiero compreso l’ateismo, ma le radici cristiane della nostra cultura: perbacco, che progressi!). Il richiamo della “foresta” ovvero della fama è fortissimo (è iscritto nei nostri geni, direbbe il nostro amico Lumen).
Che cosa non si fa e non si dice per divenire famosi (oltretutto la fama rende anche monetariamente, anzi forse è questa la molla che fa scattare la sete di protagonismo). Si cambia letteralmente pelle, da ateo anticlericale si diventa defensor fidei e amico del papa! Ma ci era cascato persino Platone che pensò di mettere in pratica le sue idee in Sicilia, ma gli andò male, per poco non ci lasciava la pelle. Dunque per Pera e altri filosofi e filosofastri nonché docenti di filosofia avremo molta comprensione. E tuttavia!
Emanuele Severino era docente di filosofia alla Cattolica di Milano. Ma un giorno la Chiesa si accorse che “la filosofia di Severino costituiva il più radicale ateismo del nostro tempo”, nientemeno! Severino dovette fare le valige, ma l’università di Venezia gli offrì subito un posto (le università cercano di assicurarsi i docenti migliori in tutti i rami per questioni di prestigio e anche o soprattutto di fondi). Severino poteva essere una calamita e lo fu. Perché Emanuele Severino non è uno scemo.
Severino però non entrò in politica, era troppo impegnato a scrivere libri in cui per quarant’anni ripetè la solita solfa (il divenire che non esiste, l’eternità di ogni ente-essente-fenomeno, il peccato originale della filosofia greca che ci ha inguaiati – ma poi venne prima Leopardi, ma soprattutto lui che redense, moderno Cristo, l’umanità dal peccato originale).
Tutto ciò può apparire risibile, ma Severino aveva innegabilmente delle qualità, perciò io lo leggevo e ne ero persino suggestionato – sia negli elzeviri del Corriere che nei suoi libri, invero pesanti, quasi illeggibili, ma qualcosa mi sembrava vero, importante, perciò insistevo.
Severino credeva nella ragione, tanto da curare una collana di filosofia dal titolo “L’uomo e la ragione”. La collana, in un’edizione di pregio di sole 500 copie (che io tapino acquistai per oltre mille euro) comprendeva una scelta antologica di dodici autori scelti naturalmente da Severino e in cui troviamo nomi famosi come Goethe, Manzoni, Rosmini, Tolstoi, Dostoevskij, Bachelard, Papini (!!!) e altri.
Ah, la ragione! Per pensare bene bisogna rispettare certe regole, a cominciare dal principio di non contraddizione. Alla fine del discorso la verità dell’assunto dovrebbe essere evidente, almeno indirettamente.
Certo la realtà è complessa, non tutti hanno l’intelligenza per vedere cosa c’è dietro l’apparenza. I più bravi e intelligenti faranno così opera pia nello spiegare ai meno dotati come stanno veramente le cose – nel proprio e nel generale interesse.
Ebbene, non c’è dubbio che Severino sapesse fare buon uso della ragione. Era di una logica persino spietata, era capace di spaccare il capello in quattro, tanto che io una volta lo ribattezzai Severino Schiacciasassi (glielo scrissi e ne fu divertito).
Ma a me piaceva soprattutto il Severino degli elzeviri nel Corriere: quando ne vedevo uno ne ero subito attratto e cominciavo speranzoso la lettura. Sì, quell’argomento era importante, anzi decisivo, “tua res agitur”. Purtroppo il piacere durava sempre per tre quarti dell’elzeviro: in prossimità delle conclusioni e dello svelamento della verità Severino mi fregava.
Dopo aver ragionato così bene Severino concludeva invariabilmente il suo pezzo rimandando alla sua “filosofia” (e al peccato originale della filosofia greca, all’eternità degli enti-essenti-fenomeni ecc.). Maledizione! Però per tre quarti era godibilissimo, illuminante, logico, razionale, un fenomeno.
Severino non viveva nella torre d’avorio, osservava ciò che succedeva in Italia e nel mondo e commentava gli avvenimenti politici, geo-strategici, la vicenda di Mani Pulite ecc. ecc. Ed era veramente concreto e convincente. Disse la sua sull’aborto (era favorevole), su comunismo e capitalismo (vedi “La fine del capitalismo”).
Insomma , aveva i piedi ben piantati per terra, non era affatto un “filosofo” (nel senso di filosofastro, venditore di fumo). Sia detto a sua lode senza la minima ironia. Severino mi è stato utile, utilissimo: per capire qualcosa, dunque per vivere. Grazie Emanuele. E tuttavia!
Sì, tuttavia! C’è anche l’altra faccia della medaglia. Si possono scrivere e pubblicare una cinquantina di libri con una sola idea fissa? Che tutto è eterno, il divenire non esiste, i greci ci hanno fregato con la follia dell’occidente – consistente nel credere che gli enti o fenomeni sorgano dal nulla e rientrano nel nulla?
Può sembrare strano per non dire impossibile scrivere così tanti libri con quella sola idea in testa – e trovare persino editori che te li pubblicano (pubblicava i suoi libri importanti, cioè più cerebrali e illeggibili da Adelphi, raffinatissimo editore ).
Ma gli editori pubblicavano perché c’erano lettori interessati, fra i quali ahimè anche il sottoscritto. Però c’è un limite a tutto e un bel giorno non ne potei più e mollai Severino. Severino si credeva il più grande filosofo di tutti i tempi, più grande anche di Leopardi (che a dire il vero non compare in nessuna storia della filosofia: Croce non lo considerava minimamente un filosofo sistematico e trovava il sarcasmo di Leopardi malsano).
Alfonso Berardinelli, ex docente universitario, critico letterario e a suo modo pure lui filosofo (come lo siamo tutti, chi più chi meno, come scrivevo in precedenza, come sosteneva il mio insegnante di filosofia, un prete), ha pubblicato vari articoli su Severino in cui lo ridicolizza. Quegli articoli mi sono piaciuti anche perché rispecchiavano l’opinione che mi ero fatto di Severino. E tuttavia! >>
Ad alcuni di questi docenti però il salario e il rispetto di studenti e colleghi non bastano. Grazie ai loro studi e al tempo libero (assicurati loro dallo Stato e dal pubblico ignorante ma laborioso) hanno approfondito certe questioni che sono per loro della massima rilevanza e sentono il bisogno, la necessità di beneficare l’umanità col loro impegno diretto in politica. Oltretutto essere visibili è molto gratificante, più gratificante di un onesto lavoro nelle “aule grigie e sorde” delle università.
Un esempio: Marcello Pera. Chi era costui? Uno dei tanti docenti universitari di discreto valore, ma che nessuno considerava fuori da quel circolo ristretto. Ma poi fu fulminato sulla via di Damasco: applaudì Mani Pulite e si buttò in politica, precisamente tra le braccia di Berlusconi. Fece carriera e divenne persino la seconda carica dello Stato come presidente del Senato. Prima della sua entrata in politica si professava “ultimo anticlericale d’Italia” sulla prima pagina del Corriere della sera (mi congratulai con lui per iscritto e ne ebbi un gentile riscontro).
Poi divenne intimo di papa Ratzinger con cui pubblicò persino un libro (oggi non difende più il libero pensiero compreso l’ateismo, ma le radici cristiane della nostra cultura: perbacco, che progressi!). Il richiamo della “foresta” ovvero della fama è fortissimo (è iscritto nei nostri geni, direbbe il nostro amico Lumen).
Che cosa non si fa e non si dice per divenire famosi (oltretutto la fama rende anche monetariamente, anzi forse è questa la molla che fa scattare la sete di protagonismo). Si cambia letteralmente pelle, da ateo anticlericale si diventa defensor fidei e amico del papa! Ma ci era cascato persino Platone che pensò di mettere in pratica le sue idee in Sicilia, ma gli andò male, per poco non ci lasciava la pelle. Dunque per Pera e altri filosofi e filosofastri nonché docenti di filosofia avremo molta comprensione. E tuttavia!
Emanuele Severino era docente di filosofia alla Cattolica di Milano. Ma un giorno la Chiesa si accorse che “la filosofia di Severino costituiva il più radicale ateismo del nostro tempo”, nientemeno! Severino dovette fare le valige, ma l’università di Venezia gli offrì subito un posto (le università cercano di assicurarsi i docenti migliori in tutti i rami per questioni di prestigio e anche o soprattutto di fondi). Severino poteva essere una calamita e lo fu. Perché Emanuele Severino non è uno scemo.
Severino però non entrò in politica, era troppo impegnato a scrivere libri in cui per quarant’anni ripetè la solita solfa (il divenire che non esiste, l’eternità di ogni ente-essente-fenomeno, il peccato originale della filosofia greca che ci ha inguaiati – ma poi venne prima Leopardi, ma soprattutto lui che redense, moderno Cristo, l’umanità dal peccato originale).
Tutto ciò può apparire risibile, ma Severino aveva innegabilmente delle qualità, perciò io lo leggevo e ne ero persino suggestionato – sia negli elzeviri del Corriere che nei suoi libri, invero pesanti, quasi illeggibili, ma qualcosa mi sembrava vero, importante, perciò insistevo.
Severino credeva nella ragione, tanto da curare una collana di filosofia dal titolo “L’uomo e la ragione”. La collana, in un’edizione di pregio di sole 500 copie (che io tapino acquistai per oltre mille euro) comprendeva una scelta antologica di dodici autori scelti naturalmente da Severino e in cui troviamo nomi famosi come Goethe, Manzoni, Rosmini, Tolstoi, Dostoevskij, Bachelard, Papini (!!!) e altri.
Ah, la ragione! Per pensare bene bisogna rispettare certe regole, a cominciare dal principio di non contraddizione. Alla fine del discorso la verità dell’assunto dovrebbe essere evidente, almeno indirettamente.
Certo la realtà è complessa, non tutti hanno l’intelligenza per vedere cosa c’è dietro l’apparenza. I più bravi e intelligenti faranno così opera pia nello spiegare ai meno dotati come stanno veramente le cose – nel proprio e nel generale interesse.
Ebbene, non c’è dubbio che Severino sapesse fare buon uso della ragione. Era di una logica persino spietata, era capace di spaccare il capello in quattro, tanto che io una volta lo ribattezzai Severino Schiacciasassi (glielo scrissi e ne fu divertito).
Ma a me piaceva soprattutto il Severino degli elzeviri nel Corriere: quando ne vedevo uno ne ero subito attratto e cominciavo speranzoso la lettura. Sì, quell’argomento era importante, anzi decisivo, “tua res agitur”. Purtroppo il piacere durava sempre per tre quarti dell’elzeviro: in prossimità delle conclusioni e dello svelamento della verità Severino mi fregava.
Dopo aver ragionato così bene Severino concludeva invariabilmente il suo pezzo rimandando alla sua “filosofia” (e al peccato originale della filosofia greca, all’eternità degli enti-essenti-fenomeni ecc.). Maledizione! Però per tre quarti era godibilissimo, illuminante, logico, razionale, un fenomeno.
Severino non viveva nella torre d’avorio, osservava ciò che succedeva in Italia e nel mondo e commentava gli avvenimenti politici, geo-strategici, la vicenda di Mani Pulite ecc. ecc. Ed era veramente concreto e convincente. Disse la sua sull’aborto (era favorevole), su comunismo e capitalismo (vedi “La fine del capitalismo”).
Insomma , aveva i piedi ben piantati per terra, non era affatto un “filosofo” (nel senso di filosofastro, venditore di fumo). Sia detto a sua lode senza la minima ironia. Severino mi è stato utile, utilissimo: per capire qualcosa, dunque per vivere. Grazie Emanuele. E tuttavia!
Sì, tuttavia! C’è anche l’altra faccia della medaglia. Si possono scrivere e pubblicare una cinquantina di libri con una sola idea fissa? Che tutto è eterno, il divenire non esiste, i greci ci hanno fregato con la follia dell’occidente – consistente nel credere che gli enti o fenomeni sorgano dal nulla e rientrano nel nulla?
Può sembrare strano per non dire impossibile scrivere così tanti libri con quella sola idea in testa – e trovare persino editori che te li pubblicano (pubblicava i suoi libri importanti, cioè più cerebrali e illeggibili da Adelphi, raffinatissimo editore ).
Ma gli editori pubblicavano perché c’erano lettori interessati, fra i quali ahimè anche il sottoscritto. Però c’è un limite a tutto e un bel giorno non ne potei più e mollai Severino. Severino si credeva il più grande filosofo di tutti i tempi, più grande anche di Leopardi (che a dire il vero non compare in nessuna storia della filosofia: Croce non lo considerava minimamente un filosofo sistematico e trovava il sarcasmo di Leopardi malsano).
Alfonso Berardinelli, ex docente universitario, critico letterario e a suo modo pure lui filosofo (come lo siamo tutti, chi più chi meno, come scrivevo in precedenza, come sosteneva il mio insegnante di filosofia, un prete), ha pubblicato vari articoli su Severino in cui lo ridicolizza. Quegli articoli mi sono piaciuti anche perché rispecchiavano l’opinione che mi ero fatto di Severino. E tuttavia! >>
SERGIO PASTORE
(segue)
Gli elzeviri che Severino scriveva per il Corriere della Sera rappresentavano sicuramente un incarico prestigioso, vista la rilevanza di quel quotidiano.
RispondiEliminaIo purtroppo non li ho mai letti, per cui non ho potuto farmene un'opinione.
Mi chiedo però se affrontava i vari argomenti (che talvolta, da quanto ho capito, erano di stretta attualtà) sempre in una ottica filosofica, ovvero di applicazione delle proprie teorie, o se a volte esprimeva concetti diversi, più legati alla vita sociale.
Forse Sergio mi può dare una risposta.
COMMENTO di SERGIO
EliminaMa cos’è un’ottica filosofica, che cos’è una teoria filosofica?
Ripeto che per me filosofare significa pensare con rigore ovvero
pensare bene. Nei suoi elzeviri Severino affrontava
questioni di attualità facendo uso della ragione, della
logica, e secondo me lo faceva appunto bene, molto
bene (purtroppo sempre con finale deludente, ovvero
rinvio alla sua filosofia). E che cosa era poi questa filosofia
di Severino? Mah, non l’ho ancora capito, a parte la
storia degli eterni, l’eternità del tutto.
Una volta chiesero a Massimo Cacciari se parlando
ai manager tenesse conto del loro livello intellettuale
e si esprimesse perciò in modo per loro comprensibile
(come dire che i filosofi non sono sempre comprensibili …).
Cacciari rispose seccamente che lui parlava come
era solito, non si abbassava al livello dei manager.
E penso che i manager lo capissero almeno in parte.
Severino rivolgendosi ai lettori del Corriere doveva
per forza scendere dalla cattedra e farsi capire
(almeno per buona parte del pezzo). Io leggendoli non
pensavo alla sua filosofia (quale in fondo?): l’argomento
di cui trattava mi sembrava interessante, forse anche
di bruciante attualità (sì, parlava anche di me!), e
lo faceva secondo me in modo egregio. La maggior
parte dei lettori del Corriere, non filosofi in senso
stretto, lo capiva. Come una persona di media cultura
capiva benissimo i testi degli illuministi e enciclopedisti
del Settecento. Ma oggi i discorsi dei filosofi che
occupano le nostre cattedre sono autoreferenziali
e incomprensibili: se la suonano e cantano fra di loro.
E io pago, diceva Totò.
Ti ringrazio per la risposta.
EliminaMi pare di capire, quindi, che Severino, nei suoi elzeviri, cercava di rendere i propri ragionamenti più chiari, o almeno più accessibili, proprio sul presupposto che i suoi lettori non erano dei patiti di filosofia, ma persone comuni, anche se colte ed informate.
Questo, secondo me, è un punto di onore per lui, perchè ti confesso che il ragionamento apodittico di Cacciari (io parlo come voglio e non mi preoccupo degli ascoltatori) sia non solo presuntuoso, ma anche poco produttivo.
L'opinione di Severino su Giacomo Leopardi (breve stralcio da un'intervista trovata sul web):
RispondiElimina= Professor Severino, in che modo è stata considerata e si considera oggi, dal punto di vista filosofico, l’opera di Leopardi?
Che Leopardi fosse un genio e che la sua opera avesse una rilevanza filosofica, apparì subito chiaro a Nietzsche, a Schopenhauer, a Wagner, e, per quanto riguarda la cultura italiana, a De Sanctis.
Nonostante che negli ultimi tempi il pensiero filosofico di Leopardi sia andato incontro ad una consistente rivalutazione, rimaniamo tuttavia ancora ben lontani dal comprendere la sua eccezionale potenza e radicalità. Personalmente, sostengo che si tratti del maggior pensatore della filosofia contemporanea.
Leopardi ha infatti posto anticipatamente le basi di quella distruzione della tradizione occidentale che sarà poi continuata e sviluppata – ma non resa più radicale – dai grandi pensatori del nostro tempo, da Nietzsche, da Wittgenstein e da Heidegger.
Purtroppo, si deve riconoscere – pur non volendo ora sottovalutare i meriti di questa attività culturale – che la critica letteraria ha contribuito a mettere in ombra l’importanza filosofica di Leopardi.
Il critico letterario si è mosso nelle pagine di Leopardi senza rendersi conto che il loro autore è in un grande colloquio con il pensiero greco, ovvero con la grande tradizione filosofica dell’Occidente.
COMMENTO di SERGIO
EliminaSu Leopardi Severino ha scritto due grossi libri:
“Il Nulla e la Poesia”, pp. 348, Rizzoli 1990
“Cosa Arcana e Stupenda”, pp.528, Rizzoli 1997
Il primo l’ho letto, con grande fatica ma
anche interesse e qualche soddisfazione.
Il secondo l’ho acquistato ma non l’ho mai
aperto, non avevo proprio nessuna voglia
di soffrire per giorni e giorni per trovare
forse qualche perla.
Di questo secondo volume però mi
piace la quarta di copertina che riporta
alcuni bei versi di Leopardi che ripropongo
(probabilmente molti non li ricordano):
« … Che fummo?
Che fu quel punto acerbo
Che di vita ebbe nome?
Cosa arcana e stupenda
Oggi è la vita al pensier nostro, e tale
Qual de’ vivi al pensiero
L’ignota morte appare.»
Coro dei morti nello studio di Federico Ruysch
(Operette morali)
Grazie per la citazione.
EliminaTi confesso che quei versi - che sono molto belli - non li avevo proprio mai letti.
Tornando a Severino, penso che chi scrive per pubblicare abbia il dovere morale (oltre che la convenienza) di farsi capire in modo chiaro, semplice e comprensibile.
Lui invece, a quanto mi dici, non lo fa.
Resta da chiedersi se, la sua, sia una scelta (discutibile) o proprio soltanto un limite.
Tu che hai letto molto di lui, forse, puoi darmi una risposta.
Non credo che i Severini e i Cacciari
Eliminalo facciano apposta a scrivere in
modo complicato e semi o del tutto
incomprensibile: sono fatti così,
agere sequitur esse. Questa gente
ha biblioteche immense (quella di
Eco comprendeva 30’000 volumi)
ed è chiaro che hanno mille idee per
la testa che in qualche modo devono
trovare sfogo nei loro scritti che per
una persona normale risulteranno
troppo densi, indigesti. Comunque
i suddetti si rivolgono naturalmente
non alle persone normali, ma a
una ristretta cerchia di persone
(colleghi, studenti, lettori acculturati).
Non è un caso che Severino pubblicasse
dal raffinatissimo Adelphi, l’editore
della gente colta (ho tanti volumi
Adelphi pur non essendo così colto
come Cacciari e Severino).
È chiaro che un elzeviro di un giornale
deve essere per forza più leggero,
se no la testata perde lettori!
Un caso particolare sembra essere
quello di Hegel che dicono facesse
davvero apposta a essere complicato
e illeggibile. Peggio per gli studenti
che facevano fatica a seguirlo o non
capivano: andassero fuori dai piedi,
non erano degni di seguire le lezioni
del sommo trombone.
Nessuno mette in dubbio la cultura enciclopedica di Severino e degli altri signori.
EliminaPerò, secondo me, avere una vasta cultura vuol dire saper fare mille citazioni e collegamenti nel corso delle proprie opere.
Al massimo, li autorizza a buttare lì le citazioni, senza spiegarle troppo (e chi non capisce, si arrangi).
Non li autorizza, invece, a scrivere in modo poco comprensibile, se non per il motivo seguito da Hegel (che mi sembra, però, abbastanza discutibile).
Forse vale la pena di ricordare che Schopenhauer definì Hegel (di cui da giovane era stato poco fortunato collega di docenza universitaria) un immenso ciarlatano...
EliminaCome si vede, anche i grandi pensatori avevano le loro piccole antipatie...
EliminaArgomento stimolante: la potenza logico-speculativa di E.S. appare decisamente fuori discussione, anche se ciò NON implica necessariamente la parziale/totale condivisione delle tesi (ovviamente nella misura in cui si sia prima riusciti a comprenderle adeguatamente...).
RispondiEliminaInteressante il passaggio dedicato a Pera, in effetti repentinamente e "bruscamente"passato da un acuto e moderno liberalismo laico di matrice popperiana a un cupo clerico-conservatorismo di evidente stampo ratzingeriano.
Non vorrei fare il malizioso, ma certe 'conversioni' ideologiche costano poco e rendono molto.
EliminaEd infatti - nel mondo della cultura - non sono poi cosi infrequenti (post-fascismo docet).