Le
considerazioni di Marco Pierfranceschi sul travolgente successo della
nostra specie e le sue terribili conseguenze per l’eco-sistema
(seconda parte). LUMEN
<<
Prima di proseguire, (…) dobbiamo avere chiaro perché il successo
senza precedenti della nostra specie rappresenti un problema.
Di
fatto abbiamo ottenuto quanto desideravamo: cibo a sazietà, agi e
comodità, la sconfitta di numerose malattie che affliggevano la
nostra specie dalla notte dei tempi, oltre a conquiste strabilianti
dal punto di vista tecnologico… cosa c’è di male in tutto
questo? Per comprenderlo dovremo fare un passo indietro, comprendere
come funziona la biosfera ed il suo principale motore: la catena
alimentare.
La
catena alimentare non è altro che il meccanismo in grado di
riciclare la materia organica. La Vita si nutre di sé stessa, ed
ogni individuo che nasce e cresce finisce prima o poi per diventare
il nutrimento di qualche altra creatura. I vegetali vengono mangiati
dagli erbivori, che a loro volta sono predati dai carnivori, che
finiscono vittime di altri carnivori o muoiono finendo decomposti dai
vermi, in un processo che mira al riutilizzo di tutta la materia
organica disponibile, ed all’occupazione di ogni possibile ‘nicchia
ecologica’.
Gli
organismi autotrofi (le piante) sono anche in grado di costruire
materia organica a partire dal carbonio presente nell’aria (sotto
forma di CO2) e di materia inorganica, avendo a disposizione la
giusta quantità di acqua e di luce solare. Dove è in grado di
svilupparsi vegetazione non tardano a comparire erbivori e carnivori.
Perché
il processo funzioni è però necessario instaurare un equilibrio,
affinché la predazione non sia eccessiva e non conduca
all’estinzione la specie predata. In genere questo equilibrio si
trova da sé: ad un aumento della popolazione nella specie predata
(per esempio a causa di una trasformazione climatica favorevole)
corrisponde un aumento dei predatori, il cui numero cresce finché la
popolazione predata non si riduce al di sotto della soglia di
sostentamento dei predatori.
Cosa
accade quando questo equilibrio non riesce ad instaurarsi ce lo
racconta la vicenda di un branco di bovini abbandonati su un’isola
disabitata del Pacifico all’epoca dei grandi viaggi di esplorazione
oceanica. Pochi capi di mucche e vitelli vennero abbandonati su
un’isola ricca di erba. Al successivo passaggio della nave, diversi
anni dopo, in assenza di predatori e con abbondante cibo a
disposizione i bovini si erano moltiplicati, ed assommavano ad alcune
decine.
Al
terzo passaggio, trascorsi altri anni, i bovini erano ormai oltre un
centinaio ed avevano colonizzato ogni angolo dell’isola. Al quarto
passaggio, tuttavia, i marinai non trovarono traccia di bovini vivi:
l’isola era coperta di ossa e non si vedeva più nemmeno un filo
d’erba. La proliferazione di un predatore ‘alieno’ troppo
massiccio ed efficiente per il microscopico habitat insulare aveva
condotto all’esaurimento delle risorse e, in ultima istanza,
all’estinzione del predatore stesso.
Purtroppo
non sono riuscito a rintracciare la fonte di questo racconto, ma ho
trovato un articolo in rete che racconta dell’abitudine
settecentesca di lasciare capre sulle isole oceaniche per fornire
cibo ad eventuali naufraghi. L’articolo racconta anche i danni
ambientali prodotti dalle capre, e di come si siano dovuti investire
fondi ingenti per eradicarle nuovamente in modo da preservare i
delicati equilibri ecologici di habitat unici.
Il
punto è che, come spiega bene Charles Darwin, l’evoluzione viaggia
a velocità diverse e su scale diverse nelle masse continentali
rispetto alle piccole isole. Un grande continente ha spazi e risorse
molto maggiori, tali da consentire il processo di ‘gigantismo’
che ha dato vita ai dinosauri prima, ed all’attuale macro-fauna
mammifera poi: gli erbivori crescono di dimensioni come difesa
rispetto ai carnivori, che a loro volta devono seguire un percorso
analogo per risultare predatori efficaci.
Tutto
questo è in relazione alle risorse disponibili ed agli spazi. I casi
di gigantismo nelle piccole isole sono relativamente rari: le
tartarughe giganti delle isole Galapagos, i Draghi di Komodo e le
palme giganti, ora estinte, dell’isola di Pasqua, per quello che
riesco a rammentare su due piedi.
Nelle
isole avviene anzi un processo inverso, in cui animali
originariamente di grandi dimensioni rimpiccioliscono per adattarsi
ad habitat meno ricchi di quelli dove si erano precedentemente
sviluppati. È il caso degli elefanti nani del Mediterraneo, ridotti,
dalla necessità di adattarsi ad ecosistemi meno ricchi rispetto a
quelli originari, ad un’altezza di poco superiore al metro.
L’atipicità
della nostra specie consiste nell’aver ideato strumenti che ci
hanno consentito da un lato di raggiungere l’apice della catena
alimentare, dall’altro di diversificare il nutrimento aggredendo
più nicchie ecologiche simultaneamente. Mentre ogni specie animale
ha un ventaglio di risorse alimentari limitato alle specie di cui si
nutre, la nostra ha fatto in modo di metabolizzare non solo più
varietà (siamo onnivori, possiamo nutrirci di carne, vegetali,
frutta) ma, attraverso il fuoco, l’allevamento e l’agricoltura,
di convertire in forme alimentari anche ciò che originariamente non
era per noi commestibile.
Quindi,
fin dall’antichità, siamo una specie inconsapevolmente votata
all’obiettivo di divorare l’intero pianeta, eliminando
selettivamente le forme di vita non commestibili per lasciare spazio
solo a quelle edibili. (…) Cosa poteva andare peggio? Semplicemente
che trovassimo il modo di trasformare in nutrimento anche la materia
inerte. Cosa avvenuta, su larga scala, con la Rivoluzione
Industriale. >>
MARCO
PIERFRANCESCHI
(continua)
Un precisazione tecnica.
RispondiEliminaA proposito del nome scientifico della nostra specie, che io ho riportato nella versione tradizionale di Homo Sapiens, so che alcuni utilizzano la denominazione estesa di Homo Sapiens Sapiens, ma, stando a Wikipedia, si trattarebbe di una sotto-specificazione utilizzata solo da alcuni antropologi.
<< L'Homo sapiens è una specie monotipica.
Alcuni antropologi invece la considerano costituita da due diverse sottospecie:
- Homo sapiens sapiens, l'uomo moderno
- Homo sapiens idaltu, paleo-sottospecie estinta >>
Io non me ne intendo, ma uso sempre h. sapiens sapiens per la nostra specie, ma constato che non è usato da nessuno, si parla sempre dell'h. sapiens. Pensavo, e penso tuttora, che h. sapiens e sapiens sapiens non siano la stessa cosa. Ho scaricato il file di Wikipedia che mi leggero con attenzione.
RispondiEliminaRivolgo poi per la milionesima volta la domanda a cui nessuno risponde, non vuole rispondere e che pur mi pare di rilievo: il cervello del Neanderthaler era di dimensioni maggiori del sapiens o sapiens sapiens. Forse la corteccia del sapiens sapiens era (è) più evoluta? Fu per questo che il Neanderthaler si estinse? Ci vorrebbe Lorenzo!
Caro Sergio,
Eliminapare che sui rapporti (culturali e genetici) tra il Neanderthal e l'Homo Sapiens ne sappiamo molto meno di quanto vorremmo.
Per quanto riguarda invece la sua scomparsa, sul web ho trovato questa breve sintesi:
<< La scomparsa di una specie umana a noi così vicina alimenta da sempre la ricerca scientifica per cercare di capire quanto accadde poco meno di 40.000 anni fa.
Le certezze non ci sono, ma si va dalla persecuzione diretta da parte della nostra specie, i sapiens, al cambiamento climatico (e quindi ambientale) che avrebbe decimato le prede di cui i neandertaliani si nutrivano, fino alla lenta sostituzione ecologica da parte dei sapiens, più fertili del cugino europeo.
Un'altra ipotesi ancora attribuisce la scomparsa dei neanderthal alla maggior complessità culturale dell'Homo sapiens, che già aveva una comunicazione più efficace e società più ampie e complesse. >>
Di nuovo non hai risposto alla questione
Eliminache mi appassiona: il cervello del Neandertal
era di dimensioni maggiori del nostro, come
mai li abbiamo sconfitti o siamo loro sopravvissuti?
Io penso che la corteccia del sapiens sapiens
fosse più sviluppata (non conterebbero dunque
solo le dimensioni) e quindi il sapiens fosse
superiore. Ma finora non ho avuto conferme
in merito alla corteccia.
Ho visto una volta un lungo documentario
sul Neandertal, molto interessante. C’era
una scena in cui Neandertal e sapiens
pescavano. Il Neandertal cercava di acchiappare
i salmoni con le mani (!), il sapiens li infilzava
con una lancia.
Un’altra cosa mi ha colpito (chissà se è vera):
i Neandertal praticavano il controllo della
popolazione uccidendo anche i bambini
(e non solo i neonati, anche bambini di
tre o quattro anni!). Non so come abbiano
potuto formulare questa ipotesi, non credo
però che sia campata in aria (non sarebbe serio!).
"Non conterebbero dunque solo le dimensioni"
RispondiEliminaPer quanto ne so, è corretto: la corteccia del Sapiens sembra effettivamente più/meglio sviluppata (dimensionalmente maggiore e più ricca di circonvoluzioni, interconnessioni, pieghe, ecc.) rispetto al Neanderthal.
Senza contare che oggi sempre più spesso si parla del (ruolo del) "secondo cervello": l'intestino...
Il secondo cervello - l'intestino - è in realtà il primo nella storia dell'evoluzione: una macchina per assumere e digerire cibo, attività primaria del vivente. Il secondo cervello, quello che consideriamo nobile, si è sviluppato in seguito. Ma i due sistemi - primo e secondo cervello - sono tuttora strettamente "collegati": malumori e depressione influenzano la digestione e una cattiva digestione influenza il nostro umore ... Da non dimenticare che l'intestino ha un sistema immunitario proprio: noblesse oblige.
Elimina"I due sistemi (...) sono tuttora strettamente collegati"
EliminaInfatti il classico dualismo ontologico Corpo-Mente (di matrice platonico-cristiana e poi rilanciato da Descartes) ormai risulta scientificamente insostenibile, anche se non soltanto i credenti ufficiali tuttora non sono disposti a rinunciarvi ma pure a livello di senso comune esso tende a restare piuttosto profondamente radicato...
A proposito del rapporto tra le dimensioni del cervello e l'intelligenza effettiva (sia nell'uomo che nelle varie specie animali), vi segnalo questo articolo piuttosto interessante che ho trovato sul web:
RispondiEliminahttps://www.wired.it/scienza/medicina/2015/08/05/cervello-grande-no-intelligenza/