Non
credo che ci possano essere dubbi sul grande successo evolutivo della
nostra specie, l‘homo sapiens’.
Passo
dopo passo, millennio dopo millennio, abbiamo riempito
(letteralmente) ogni angolo della terra, sottomesso tutti gli altri
animali e modificato la struttura stessa dell’eco-sistema
planetario.
La
nostra vittoria, pertanto, è un dato di fatto, incontestabile; ma
potrebbe trattarsi di una ingannevole vittoria di Pirro ? Uno di quei
successi effimeri che portano poi alla disfatta ?
Quella
che segue è la ricostruzione della parabola dell’homo sapiens, con
tutte le sue luci e le sue ombre, raccontata da Marco Pierfranceschi
sul suo blog (Mammifero bipede). Il
testo, molto lungo, è suddiviso in 4 parti, per comodità di
lettura.
LUMEN
<<
Dopo esser stati sepolti sotto il tappeto per qualcosa come tre
decenni, i nodi legati allo sfruttamento eccessivo del pianeta stanno
tornando al centro del dibattito pubblico. Per gli ambientalisti di
vecchia data, che hanno monitorato impotenti l’evoluzione delle
vicende umane fino ad oggi, si tratta di un fatto inevitabile quanto
necessario. Il punto, ormai, non è ‘se’ stiamo danneggiando il
pianeta, ma semplicemente quanto possiamo ancora andare avanti a
farlo e cosa ne resterà nel momento in cui, eventualmente,
decideremo di smettere.
Il
saccheggio delle risorse globali è una costante dell’azione umana
fin dalla notte dei tempi, al punto che la nostra specie si è giunta
ad identificare con tale processo, costruendo nei millenni mitologie
fondate sul successo nell’antropizzare il mondo naturale, e
giungendo in ultima istanza a modellare la divinità totemica del
‘progresso’, cui sacrificare, come ad un moderno Moloch, gli
ultimi residui di foreste vergini, gli animali che le popolano ed in
ultima istanza noi stessi.
Ripercorrendo
la storia dell’umanità in questa chiave di lettura possiamo
identificare il momento di inizio con la scoperta del fuoco. Non è
un caso che questo evento sia stato mitizzato e personificato nella
figura di Prometeo che, nella leggenda, ruba il fuoco agli Dei per
donarlo agli uomini. La scoperta del fuoco fu il primo vero passo
nell’evoluzione tecnologica della nostra specie, perché portò con
sé non solo un accorciamento dei tempi necessari alla digestione,
quindi un maggior periodo di operatività, ma anche una miglior
difesa contro i predatori e, non da ultimo, la possibilità di
incendiare le foreste.
Quest’ultima
divenne un fattore chiave col successivo passaggio tecnologico: il
controllo della produzione alimentare attraverso allevamento ed
agricoltura, che sostituirono le attività di caccia e raccolta
ponendo termine al nomadismo e consentendo la nascita di comunità
stanziali, che portarono allo sviluppo delle prime città.
Le
risorse intellettuali del cervello umano, prima necessarie alla
sopravvivenza nomade (caccia, raccolta, orientamento, difesa dai
predatori, fabbricazione di utensili), vennero quindi messe al
servizio dello sviluppo di ulteriori nuove tecnologie. Nacquero
quindi da un lato i sistemi di regimentazione idraulica, necessari a
garantire una efficiente irrigazione delle colture, dall’altro la
costruzione di edifici per ospitare la crescita della popolazione
generata dall’aumentata disponibilità di cibo.
La
nascita delle prime città comportò un netto salto di qualità
nell’organizzazione della conflittualità nella nostra specie. Le
scaramucce tra tribù caratteristiche dei piccoli nuclei di
cacciatori/raccoglitori, a fronte dell’incremento demografico, si
trasformarono in vere e proprie guerre per il controllo di territori
e risorse. Le città stesse, dal canto loro, tendevano spontaneamente
al controllo del territorio circostante mediante la creazione di
insediamenti coloniali e, con essi, l’avvio di ulteriori attività
di allevamento ed agricoltura.
Un
ulteriore portato della scoperta del fuoco fu la metallurgia, che
consentì la realizzazione di armi via via più potenti e micidiali.
L’età del bronzo vide la nascita dei primi imperi.
Dal
punto di vista ambientale, le trasformazioni avviate già all’alba
della storia dell’uomo potranno apparire insignificanti, ma nel
complesso non vanno sottovalutate. Come fa notare Jared Diamond in
“Collasso, come le società scelgono di morire o vivere”, le
terre che furono un tempo la culla dell’agricoltura e delle prime
civiltà, la ‘mezzaluna fertile’ compresa fra i fiumi Tigri ed
Eufrate, sono oggi ridotte a deserti. Molto probabilmente questo non
è dovuto, al caso ma semplicemente il risultato di secoli di
agricoltura.
Ciò
che sappiamo oggi non è ancora sufficiente a dirimere la questione
(secondo altri pareri la desertificazione del Medio Oriente sarebbe
dipesa da fluttuazioni climatiche di lungo periodo), ma a supporto
della prima tesi esistono evidenze che non possono essere
sottovalutate.
La
prima, un’acquisizione relativamente recente, è che le foreste
pluviali generano da sé il proprio microclima: la pioggia che cade
quotidianamente non fa che restituire alla foresta l’umidità che
essa stessa ha emesso, per evaporazione, col riscaldamento diurno.
Questo consente un rigoglioso sviluppo della vegetazione, che
marcendo si deposita al suolo formando un substrato fertilissimo, che
a sua volta si accumula nel corso dei secoli.
L’azione
umana [invece], da qualche millennio a questa parte, consiste nella
distruzione delle foreste, mediante abbattimento degli alberi o
incendi, e nella successiva esposizione e coltivazione del suolo con
varietà vegetali commestibili o variamente utilizzabili (come
mangimi o per la produzione di tessuti).
Ciò
causa una trasformazione drammatica dal punto di vista ambientale. Da
un lato la scomparsa della foresta elimina il frequente ricambio
d’acqua, che deve essere appositamente trasportata da fiumi e
laghi, con opere idriche imponenti. Dall’altro il suolo, privato
dello strato protettivo rappresentato dalla vegetazione permanente, è
soggetto alle aggressioni degli elementi: lo strato superficiale
secca e si polverizza, ed il vento ha facile gioco nel soffiarlo via.
Questo
potrà apparire un problema minore sul breve periodo, ma su un arco
temporale di secoli, quando non di millenni, diventa un meccanismo
devastante, perfettamente in grado di dar luogo alla desertificazione
di intere porzioni di pianeta. A ciò va aggiunto che i deserti,
privi di uno strato di vegetazione in grado di assorbire la
radiazione solare, si surriscaldano molto più delle foreste
preesistenti, creando condizioni atmosferiche di alta pressione che
ostacolano le piogge, in un processo molto difficile da invertire.
Le
foreste stesse, da un punto di vista sistemico, si comportano come
dei macro-organismi viventi: catturano l’acqua e la utilizzano per
prosperare e creare le condizioni per la propria stessa
sopravvivenza. Distruggere una foresta per sfruttarne il suolo
sottostante significa uccidere l’entità che ha prodotto quel
suolo. Cosa non diversa dall’uccidere un animale per nutrirsi della
sua carcassa. Una volta completata l’opera, l’animale non c’è
più.
Come
se non bastasse, l’aumentata disponibilità di cibo innesca un
processo di crescita della popolazione, con un progressivo aumento
della domanda di terre coltivabili, o da destinare all’allevamento.
La crescita della popolazione ha come riflesso l’aumento della
potenza militare, quindi è impensabile che una singola nazione possa
porre un argine a tale tendenza, pena essere attaccata e sconfitta
dalle nazioni confinanti.
Il
risultato è una corsa alla distruzione delle foreste ed alla
coltivazione di terre fertili, quindi, in ultima istanza, al consumo
di suolo. Cosa poteva accadere di peggio a questo punto ? Inutile
dirlo: la Rivoluzione Industriale e la nascita dell’agricoltura
meccanizzata. >>
MARCO
PIERFRANCESCHI
(continua)
Quindi, secondo te, se uno è preoccupato per l'ambiente, non dovrebbe usare il computer ?
RispondiEliminaMi sembra un po' eccessivo.
"Potrebbe trattarsi di un'ingannevole vittoria di Pirro?"
RispondiEliminaNo, a patto di (ri)trovare un corretto equilibrio (ai vari livelli: locale-regionale, statuale e transnazionale) tra economia, ecologia, demografia e tecnologia: impresa indubbiamente tutt'altro che semplice e rapida ma ormai (sempre più) necessaria... Saluti
In effetti, la corretta sussidiarietà tra i vari livelli territoriali è un aspetto sempre molto importante.
EliminaMa nel campo specifico della tutela ambientale e del controllo demografico mi sembra ancora più importante; ed al tempo stesso non facile da gestire.
Speriamo che la gravità della situazione convinca tutti della necessità di una collaborazione concreta e leale.