Le
considerazioni di Marco Pierfranceschi sul travolgente successo della
nostra specie e le sue terribili conseguenze per l’eco-sistema
(terza parte). LUMEN
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Abbiamo visto come la specie umana sia riuscita, nel corso dei
millenni, a ricavare nuove ed abbondanti forme di nutrimento
aggredendo interi habitat vergini mediante l’allevamento e
l’agricoltura. Molto di questo successo si è realizzato grazie
all’invenzione di macchine semplici.
Le
‘macchine semplici’ nascono assieme alla nostra specie,
caratterizzata dalla capacità di manipolare, per mezzo degli arti
superiori, quanto disponibile nell’ambiente al fine di migliorare
la caccia e la raccolta. Una macchina semplice è l’ascia a mano,
una pietra con un bordo tagliente ricavato per lavorazioni
successive, che consentiva di abbattere animali di medie dimensioni.
Altra macchina semplice è la lancia, evolutasi successivamente in
arco e frecce.
Per
la raccolta si usavano con molta probabilità cesti di vimini, che
consentivano il trasporto di un maggior numero di cibarie. Dalla
tecnica di intrecciare fibre vegetali derivò con molta probabilità
la produzione di tessuti. L’agricoltura divenne più produttiva
grazie all’invenzione dell’aratro, uno strumento in grado di
‘ammorbidire’ il terreno e facilitare l’attecchimento delle
sementi.
L’aratro
fu, molto probabilmente, il primo strumento per mezzo del quale
l’umanità sperimentò l’utilizzo di forze motrici diverse dalle
proprie stesse masse muscolari, aggiogando bovini e cavalli per
utilizzarne l’energia metabolica. Altri esempi sono l’uso del
vento per la propulsione di imbarcazioni, destinate a diventare un
importante strumento per la pesca, il commercio e l’esplorazione di
nuovi habitat.
Un
ulteriore processo fisico, ben presto asservito ad usi pratici,
furono le proprietà esplosive di alcuni composti chimici, esplorate
dapprima in Asia con funzioni ricreative (fuochi d’artificio) e
trasformate quindi in occidente, grazie ai progressi della
metallurgia, in armi da fuoco (fucili e cannoni). Queste nuove armi
svolsero un ruolo chiave nell’invasione e colonizzazione manu
militari
di due nuove masse continentali, le Americhe.
I
due sub continenti americani erano già stati colonizzati dall’homo
sapiens ventimila anni prima, nel corso dell’era glaciale, da
popolazioni spintesi a piedi nei territori dell’attuale stretto di
Bering. Le popolazioni ivi insediate avevano trovato un habitat
intatto ed una macro-fauna totalmente impreparata all’arrivo di un
nuovo predatore. Quest’ultima fu sistematicamente cacciata fino
all’estinzione, con rare eccezioni. Al termine della glaciazione,
le Americhe rimasero isolate dalle altre masse continentali a causa
della risalita del livello dei mari.
Le
popolazioni insediate nel nuovo continente rimasero perciò tagliate
fuori dall’evoluzione tecnologica che stava avvenendo in Eurasia,
col risultato che, all’epoca della loro ‘riscoperta’ da parte
degli europei, civiltà ancora all’età della pietra dovettero
scontrarsi e soccombere al cospetto di invasori muniti di sciabole
d’acciaio, fucili, cannoni e cavalli.
A
metà del diciottesimo secolo la nostra specie si era già diffusa
sulla totalità delle terre emerse (ad esclusione, per ovvi motivi,
dell’Antartide), praticando l’agricoltura su buona parte delle
pianure irrigate, l’allevamento di bestiame nelle praterie, la
pesca nei mari e negli oceani. Quest’ultima attività si estese
alla caccia ai cetacei per ricavarne l’olio da utilizzare
nell’illuminazione notturna, cosa che portò diverse specie di
mammiferi marini sull’orlo della completa estinzione.
La
situazione, vista e considerata col senno di poi, era già
sufficientemente preoccupante. Quello che produsse un’ulteriore
accelerazione al processo fu l’invenzione della macchina a vapore,
un meccanismo complesso che sfruttava la combustione del carbone per
trasformare il calore in movimento, ed il movimento in lavoro. Ben
presto le macchine a vapore vennero impiegate massivamente per la
fabbricazione di tessuti e per i trasporti su terra e mare.
I
motori a vapore erano obbligati a grandi pesi e grandi dimensioni,
trovando facile applicazione principalmente alla propulsione di treni
e navi. Anche così, l’impatto fu enorme, consentendo alle
metropoli occidentali, già all’epoca sovrappopolate, di drenare
ricchezze e derrate alimentari dai quattro angoli del pianeta. L’idea
di utilizzare fonti energetiche fossili per accelerare i processi
produttivi segna il passaggio all’era industriale. L’accelerazione
impressa ai trasporti favorisce la nascita dei grandi imperi
commerciali, che a loro volta alimentano politiche imperialiste e
colonialiste.
Ma
c’è un ulteriore risvolto nella rivoluzione industriale, e
riguarda la necessità di accaparramento di risorse non organiche.
Già in epoche preistoriche l’umanità aveva scoperto le proprietà
di durezza e malleabilità dei metalli che potevano venir estratti
dalla crosta terrestre. L’estrazione e lavorazione dei metalli
aveva però costi molto elevati, che ne relegavano l’impiego ad
oggetti di lusso, oppure a finalità prevalentemente belliche,
restando il grosso dei manufatti di uso comune ancora in legno,
pietra, ceramica ed osso.
Nella
nuova fase ‘industriale’ della storia umana, grazie anche allo
sviluppo della chimica, le risorse inorganiche trovarono applicazioni
in innumerevoli campi, arrivando ad avere un peso via via sempre
maggiore nella produzione di cibi e manufatti. Questo comportò
un’accelerazione nei processi estrattivi, nelle esplorazioni
minerarie, nella ricerca scientifica, ed un’escalation della
potenza militare non più legata al semplice fattore demografico.
Le
macchine a vapore, la scienza e le nuove tecnologie rappresentarono
un’importante rottura col passato, dominato dai testi sacri e dalle
caste sacerdotali. Esse non solo rivoluzionarono le modalità
produttive, ma ebbero un effetto ben più dirompente sul piano
culturale, finendo col dar vita a quella che potremmo definire come
’ideologia del Progresso’.
Nell’ideologia
del progresso, tutto quello che l’uomo fa all’ambiente è
giustificato dal suo essersi dimostrato superiore a Dio, dall’aver
imposto la propria volontà al mondo, dall’aver sottomesso la
Natura al proprio Ego. L’Uomo regna sull’Universo, ne svela le
leggi e le piega ai propri bisogni, accrescendo via via la propria
potenza e ricchezza, e ciò non può essere che buono e giusto.
Se
pensiamo al dettato biblico che è gravato per millenni sulla testa
dei popoli occidentali, quel “lavorerai col sudore della tua
fronte” che rappresentava la condanna divina all’uomo nel momento
in cui quest’ultimo aveva cercato di rendersi più simile a Dio per
mezzo della conoscenza, possiamo ben comprendere quello che la
Rivoluzione Industriale rappresentò per le popolazioni dell’epoca.
Al di là delle condizioni miserrime degli operai del XIX secolo, la
prospettiva di un mondo futuro, nel quale le macchine avrebbero
affrancato l’uomo dalla fatica e dall’immobilità in uno stesso
luogo di residenza, regalando ricchezza e benessere a tutti, dovette
apparire come il tanto atteso riscatto, l’affrancamento finale dal
giogo divino.
Sul
fronte della ricerca di nuove fonti energetiche, dopo il carbone
fossile si trovò il modo di sfruttare i prodotti della raffinazione
del petrolio, composti chimicamente molto attivi in grado di
alimentare motori a scoppio molto più piccoli di quelli a vapore,
quindi applicabili a macchine agricole e veicoli per la mobilità
individuale. Nascevano trattori ed automobili, e con essi un intero
nuovo modello di mondo.
Nel
tempo, col progredire delle conoscenze e delle tecnologie, materiali
sempre nuovi iniziarono a trovare un impiego, dai prodotti fissili in
grado di alimentare l’industria nucleare militare e civile, a
cemento, acciaio, vetro ed alluminio per i nuovi edifici, alle
materie plastiche, sintetizzate a partire dagli idrocarburi, ai
semiconduttori e metalli rari per le tecnologie informatiche. Tutto
questo estrarre, lavorare, consumare ed in ultima istanza abbandonare
materiali inorganici su larga scala ha rappresentato un nuovo
problema per il pianeta, quello dell’inquinamento.
Una
caratteristica dei processi biologici, fin dalla loro comparsa,
consiste nell’incessante riciclaggio delle materie prime necessarie
alla chimica organica, e nel conseguente sequestro, nel sottosuolo,
delle sostanze inutili, tossiche e nocive. Dalla rivoluzione
industriale in poi la nostra specie ha alacremente lavorato a scavar
fuori tutti questi composti, potenzialmente tossici e nocivi per i
processi biologici, finendo col rilasciarne sconsideratamente
nell’ambiente quantità via via crescenti. >>
MARCO
PIERFRANCESCHI
(continua)
Una amara considerazione di Jacopo Simonetta sulla crisi ambientale in essere e la reale consapevolezza della gente:
RispondiElimina<< I movimenti che chiedono provvedimenti drastici e rapidi in materia di clima sono una nicchia molto minoritaria, assurta agli onori della stampa solo in Occidente; nel resto del mondo sono assenti o politicamente insignificanti.
La netta maggioranza della popolazione mondiale rivuole la pacchia che aveva o vuole la pacchia che non ha mai avuto. >>
Che io sappia nessun "gretino" ha fatto finora precise richieste per cambiare sistema e fermare i cambiamenti climatici. Si sciopera, si protesta, ma cosa fare concretamente resta un mistero (buffo). Intanto tutti i paesi del mondo invocano una sola cosa: crescita, crescita e ancora crescita (compreso il neogoverno italiano). Paesi come la Cina e l'India (oltre 2,5 miliardi di individui) vogliono elevare il livello di vita della popolazione, il che significa poi concretamente aumentare i consumi di qualsiasi sorta. Anche l'Africa (1,2 miliardi, 2 miliardi entro il 2050, 4 miliardi entro il 2100) si sta organizzando per svilupparsi davvero (finalmente). Insomma, tutti vogliamo la luna.
RispondiEliminaSviluppo sostenibile o crescita qualitativa sono ossimori, visto che si traducono in più consumi (per tutti ovviamente, ci mancherebbe). Difficile un rinsavimento: chi comincia a rinunciare a qualcosa? Da quando quella povera ragazzina svedese è diventata una star mondiale il traffico aereo è aumentato. Tutti i governanti del pianeta promettono più crescita, cioè più consumi.
Caro Sergio, la situazione in effetti è drammatica, ma forse un piccolo spiraglio di speranza possiamo trovarlo in queste considerazioni della nostra amica Gaia, tratte dal suo ultimo post:
Elimina<< Per quanto riguarda la speranza, personalmente non ne ho molta, ma quella poca che c’è deriva dai bambini che ho visto. (...)
A me sembra di osservare, nei bambini che vedo, che l’attenzione e la meraviglia nei confronti del mondo naturale che i più piccoli spontaneamente hanno si è miracolosamente unita alla preoccupazione per come i gesti e i comportamenti umani possano danneggiare questa natura.
Forse è nell’aria; i bambini assorbono e capiscono cose che gli adulti nemmeno esplicitano, e l’allarme generale è palpabile.
I bambini sanno mentire, è vero, ma non hanno ancora imparato ad essere anche ipocriti, per cui se si preoccupano per l’ambiente si preoccupano e basta, non ci mettono in mezzo la crescita e il pil e come pagare le pensioni.
E qualunque cosa si pensi di Greta Thunberg, è innegabile che abbia smosso moltissimi suoi coetanei, la gran parte dei quali sembra prestare più attenzione ai problemi reali e meno alla vicenda personale della suddetta di quanto facciano invece gli adulti, incapaci di rompere schieramenti già fatti. >>
Ho letto tutto il test di Gaia, mi è piaciuto molto: una boccata d'aria, non tutto è perduto (forse). Lorenzo la trattava troppo male. Ma poi il fatto che intervenisse nel suo blog significa che voleva insegnarle qualcosa, "aprirle gli occhi", influenzarla (segno di interesse).
RispondiEliminaIl tema affrontato da P. in questo lungo Art.lo è di quelli "da far tremare le vene e i polsi", anche perchè ruotante attorno ad un tragicomico paradosso logico-filosofico: gran parte degli attuali guai di Homo S. e del suo ambiente (naturale e sociale) sembra derivare dall'eccesso di successo avuto dalla specie umana stessa e dalle ingegnose e multiformi tecnologie da essa sviluppate nel corso dei millenni, come piuttosto efficacemente sintetizzato nell'Art.lo...
RispondiEliminaIn tale problematico quadro, mi sembra decisamente auspicabile che alla più che sensata critica della 'ideologia del Progresso' NON faccia seguito l'invocazione di un'eguale & contraria 'ideologia del Regresso' (tipo il mitico Buon selvaggio di matrice rousseauviana), di chiara tendenza antiilluministica, antimoderna e antiscientifica...
E se invece di Progresso si parlasse di/si puntasse ad uno Sviluppo il più possibile equilibrato e ragionato (tra ecologia, economia, demografia, tecnologia, ecc. ecc.)??? Naturalmente mi rendo conto di avere appena sfiorato il problema... Saluti
Mah, sviluppo e progresso sono concetti positivi, ma non significano necessariamente crescita (qualitativa o quantitativa non importa, sono più o meno la stessa cosa). Attualmente invece praticamente tutti intendono per sviluppo e progresso la crescita. Ma anche senza crescita (accumulo di oggeti anche inutili, se non addrittura nocivi) si può lo stesso tendere a un continuo miglioramento delle condizioni di vita. È del resto difficilmente immaginabile che si raggiunga un giorno un optimum stabile ed eterno. Ci saranno sempre cambiamenti, voluti dall'uomo o imposti dalla natura. L'evoluzione non è finita col sapiens sapiens (considerato da alcuni un "Irrläufer der Evolution" - un errore evolutivo). Ma forse con possibilità di autocorrezione?!
RispondiElimina"E' del resto (...) stabile ed eterno"
RispondiEliminaDi più: direi che è IMPOSSIBILE (a meno di considerare 'un optimum stabile ed eterno' la morte termica dell'Universo postulata sulla base del Secondo Principio della Termodinamica). Naturalmente ciò NON significa astenersi dal (cercare di) governare le varie situazioni e limitare i danni, dando spesso necessariamente "un colpo al cerchio e uno alla botte": imprese comunque decisamente impegnative...
In effetti la strada è segnata, senza remissione, dalla legge dell'entropia, che regna sovrana su tutto l'universo.
RispondiEliminaPerò la legge dà solo la direzione di marcia (che è poi sostanzialmente la freccia del tempo), non dice nulla sulla sua velocità.
Ed è su questo aspetto che la specie umana può incidere così tanto sull'entropia del nostrao pianeta.
Nel bene e nel male.