sabato 1 giugno 2019

La Sinistra e il Nazionalismo – 2

Le differenze tra il nazionalismo di destra e quello di sinistra, secondo Carlo Formenti (dal sito di Sollevazione - seconda parte di quattro). LUMEN


<< 6 - Che la globalizzazione sia l’esito di una tendenza di sviluppo “oggettiva” del modo di produzione capitalistico (oltre che portatrice di benefici per tutti) è una mistificazione alimentata dalla narrazione liberal-liberista, nonché fatta propria da una sinistra intrisa di progressismo, la quale pensa che ogni balzo evolutivo del capitale, pur comportando spiacevoli “effetti collaterali”, avvicini l’avvento di un mondo migliore.

Accettare questa narrazione significa non saper distinguere fra internazionalizzazione della produzione e degli scambi commerciali – processo da sempre associato al capitale – e globalizzazione come strategia di quella “guerra di classe dall’alto” che il capitalismo ha avviato a partire dalla crisi degli anni Settanta del secolo scorso. Il centro di irradiazione del cosiddetto processo di globalizzazione è stato, non a caso, la potenza egemone degli Stati Uniti che, attraverso la deregulation dei flussi di capitale e di merci, ha messo in atto un progetto di “mercatizzazione del mondo”, in base al principio secondo cui chi domina i mercati domina il mondo.

Il braccio armato di tale progetto sono le grandi imprese transnazionali (in larga maggioranza americane), in ragione della loro capacità di muovere capitali, merci e persone inseguendo le condizioni più favorevoli offerte da mercati del lavoro, politiche fiscali e sistemi giuridici locali. Ma pensare che ciò comporti la fine dello Stato-nazione è un’idiozia.

In primo luogo, le multinazionali non avrebbero potuto espandersi senza il sostegno e l’aiuto dei rispettivi Stati di origine; inoltre, se è vero che sono abbastanza potenti per condizionare le scelte della politica (in misura inversamente proporzionale alla forza degli Stati in cui operano), è altrettanto vero che gli Stati al centro del sistema mondo le utilizzano a loro volta per pompare valore dai Paesi periferici. In conclusione: la globalizzazione è un processo politico non meno che economico, sostenuto e accompagnato dagli Stati più potenti (Stati Uniti su tutti) che se ne servono per ristrutturare l’ordine mondiale con la complicità delle élite nazionali subordinate.

7 - Quanto asserito nella tesi 6 può essere formulato anche così: l’obiettivo della globalizzazione come progetto politico non è liberare il capitale dal giogo degli Stati, bensì da quello della democrazia. Il neoliberismo non vuole distruggere lo Stato, al contrario vuole costruire uno Stato forte ma non democratico.

La battaglia ideologica contro il nazionalismo va di pari passo con quella contro il socialismo e ha l’obiettivo strategico di spezzare il legame fra Stato e democrazia. L’unica forma di democrazia accettabile dal capitalismo globale è quella rispettosa del mercato, vale a dire la democrazia puramente formale garantita dallo Stato liberale. Il nazionalismo di destra cede il passo al cosmopolitismo liberale e allo pseudo internazionalismo di sinistra quali ideologie ufficiali del sistema.

8 - Eventi come l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, la Brexit inglese, i successi elettorali dei populismi di destra e sinistra in vari Paesi del mondo e il ritorno di politiche protezioniste non sono tanto l’esito della controffensiva di settori capitalistici arretrati che tentano di rianimare l’ideologia nazionalista, quanto sintomi del fatto che la macelleria sociale innescata dai processi di globalizzazione ha delegittimato la narrazione globalista che ha a lungo alimentato le speranze di milioni di esseri umani in un futuro migliore. “Trump non è il boia del globalismo ma il medico legale che ne certifica il decesso”.

La crisi della globalizzazione era già in atto prima degli eventi in questione, come certifica il calo degli scambi commerciali che ha anticipato la, più che fatto seguito alla, reintroduzione dei dazi, oltre al riaccendersi del conflitto imperialista fra grandi potenze per la spartizione del mercato mondiale. Tuttavia le cause principali sono sociali e politiche, a partire dalla resistenza crescente delle larghe masse dei perdenti nel gioco della globalizzazione nei confronti delle politiche liberiste.

9 - La crisi della globalizzazione ha colto di sorpresa e gettato nel panico le sinistre convertite al cosmopolitismo, le quali, non disponendo – al contrario dei liberali – di soluzioni politiche di ricambio, reagiscono, se va bene, etichettando come reazionarie, se non fasciste, le idee “sovraniste” (aggettivo che, al pari di populista, viene usato con significato spregiativo, senza distinguere fra le differenti modalità di impostare la questione della sovranità nazionale); se va male, confluendo, con il plauso dei media mainstream, assieme a liberali e socialdemocratici, in un fronte anti-populista e antinazionalista.

Parole come patria e nazione suscitano rabbia e incutono terrore negli eredi di quella cultura politica che, fino agli anni Settanta del secolo scorso, era ancora consapevole del fatto che tutte le rivoluzioni socialiste sono state anche, talvolta soprattutto, rivoluzioni nazional-popolari, che ancora masticava gli insegnamenti di Marx e Lenin sulla questione nazionale. (…) Nei decenni successivi, le sinistre hanno viceversa adottato un internazionalismo astratto che ha finito per somigliare sempre più all’ideale cosmopolita di un mondo pacificato e unificato dagli scambi economici.

Questa ideologia da cittadini d’un mondo senza frontiere rispecchia valori e interessi del ceto medio riflessivo e delle sue aspirazioni di mobilità fisica e sociale, un ceto che ignora interessi e bisogni della stragrande maggioranza della popolazione mondiale che vive inchiodata al luogo di nascita. Per “salvarsi l’anima”, e dimostrare che conservano attenzione nei confronti degli ultimi, costoro sbandierano la propria solidarietà nei confronti dei migranti e difendono una politica ‘no border’ di accoglienza illimitata.

Tale atteggiamento rimuove:
1) il fatto che il principio di libera circolazione delle persone serve a nascondere che tale circolazione non è affatto libera, ma il prodotto di coazione economica e politica;
2) il fatto – ampiamente riconosciuto e analizzato da Marx – che l’immigrazione fa comodo in primo luogo al grande capitale, che può così attingere a un ampio bacino di mano d’opera a basso costo e priva di ogni potere contrattuale;
3) il fatto che il fenomeno accelera e favorisce il processo di smantellamento del welfare, fondato sull’esistenza di una comunità nazionale socialmente e culturalmente sufficientemente omogenea.

Se poi i proletari autoctoni reagiscono all’impatto del fenomeno sui quartieri popolari, e ai suoi effetti di dumping sociale, votando per i movimenti populisti, vengono derisi (si nega l’esistenza stessa del problema, declassato a effetto di propaganda e manipolazione ideologica) ed accusati di razzismo.

10 - La difesa della sovranità nazionale è necessariamente di destra? La risposta negativa è implicita nelle tesi precedenti, ma vale la pena di aggiungere ulteriori considerazioni.

In primo luogo, è evidente che esistono due idee di nazione: la prima “naturalistica”, la quale presume che la nazione esistesse ben prima della nascita degli Stati moderni e delle rivoluzioni borghesi, perché affonda le radici in fattori fisici, climatici, di sangue e suolo ecc.; la seconda è invece consapevole che la nazione (al pari del popolo) è un prodotto storico della vita politica. Per questa seconda visione la patria non è comunità immaginata bensì ‘res publica’, una società concreta di uomini e donne che lottano per l’autogoverno dei cittadini, l’indipendenza nazionale e la sovranità popolare.

È il punto di vista che oggi sostengono i movimenti populisti/socialisti (da Sanders a Podemos, a Mélenchon) e che in passato sostennero autorevoli esponenti della Terza Internazionale come Karl Radek (…), il quale invitava il Partito comunista tedesco ad assumere la guida della resistenza del popolo tedesco alle condizioni neo-coloniali che gli erano state imposte dalle potenze vincitrici della 1° Guerra Mondiale, argomentando che, in caso contrario, sarebbero stati i nazisti ad assumersi il compito e a conquistare il potere (com’è puntualmente avvenuto). È, infine, il punto di vista che afferma che l’internazionalismo può esistere solo come rapporto di solidarietà fra nazioni indipendenti e sovrane, come cooperazione fra uguali.

11 - Il rapporto fra nazioni del centro e nazioni semiperiferiche e periferiche incorpora una relazione di dominio e sfruttamento fra classi straniere e locali. Sia Marx che Lenin avevano ben presente il fatto che il saccheggio perpetrato dai Paesi occidentali ai danni del resto del mondo era la causa fondamentale dell’imborghesimento del proletariato delle nazioni industrialmente avanzate. Autori come Fanon, Amin, Wallerstein e altri hanno arricchito la teoria marxista dimostrando come le nazioni periferiche non ospitino economie pre-capitaliste, ma siano pienamente integrate in un sistema capitalistico mondiale nel quale la loro arretratezza è condizione necessaria per la crescita e lo sviluppo delle nazioni del centro.

Questa verità non vale oggi solo per quei Paesi ex coloniali che stanno rapidamente ricadendo sotto il dominio delle potenze imperialiste occidentali (e di altre potenze emergenti), vale anche per la relazione fra Paesi del Nord e del Sud Europa e in alcuni casi – come quello italiano – vale per il rapporto fra Nord e Sud all’interno di un singolo Paese. Ecco perché la riconquista della sovranità nazionale è l’unica strada percorribile per riottenere il controllo collettivo sulle proprie risorse, sulle politiche economiche e sociali e sui flussi di capitali, merci e persone. >>

CARLO FORMENTI

(continua)

5 commenti:

  1. A proposito dello stato di salute della nostra democrazia, Aldo Giannuli (commentando le ultime elezioni europee) fa la seguente considerazione:

    << Il primo dato evidentissimo è che si conferma l’andamento “ciclonico” dei flussi elettorali che si muovono “a valanga”.
    Nel 2009 il Pdl di Berlusconi ebbe il 35,26% dei voti, ma quattro anni dopo, nelle politiche del 2013, prese solo il 21,56% .
    Nel 2014 il Pd ebbe il 40,8%, ma 4 anni dopo, nelle politiche del 2018, ebbe il 18,76% andando oltre il dimezzamento.
    Nelle stesse politiche del 2018 il M5s ebbe il 32,68% ed oggi, dopo solo un anno (sono stati più bravi degli altri) sono (circa) al 17%. (...)
    Gli italiani sembrano alla costante ricerca di un nuovo pivot del sistema politico e ci provano prima con Forza Italia poi con il Pd, poi con i 5 stelle per poi ritrarsene subito violentemente.
    Un susseguirsi velocissimo di illusioni e delusioni. >>

    A me, questa appare una tendenza anche più grave del crescente astensione, ma posso sbagliare.

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  2. Caro Lumen,

    ho letto controvoglia questa seconda puntata di Formenti avendo capito poco nella prima. A un certo punto però ho provato interesse tanto che me la sono perfino riletta con attenzione. Ma ahimè non so che dire. Qua e là capisco delle frasi, dei passaggi, ma nel complesso mi sento spiazzato, per finire non capisco cosa voglia l'autore. Troppi gli argomenti affrontati, i punti di vista, critiche e ipotesi. Avrei voglia di dire: chi ci capisce è bravo. A questo punto sono andato ad informarmi su Wikipedia su questo Formenti e ... mi arrendo: questo tipo (nato a Zurigo!) sembra un genio o comunque qualcuno che sa tante, troppe cose per il mio cervellino. Non saprei dove cominciare per obiettare qualcosa.
    Fra le cose che ho capito o mi sembra di aver capito c'è per esempio l'osservazione che populista e sovranista sono termini spregiativi con cui "color che sanno" qualificano le plebi incolte e rozze. Poi, forse, che lo Stato nazione è ancora un entità che conta. Credo (sbaglio?) che critichi la globalizzazione.
    Copio un passaggio che mi è piaciuto:
    "Questa ideologia da cittadini d’un mondo senza frontiere rispecchia valori e interessi del ceto medio riflessivo e delle sue aspirazioni di mobilità fisica e sociale, un ceto che ignora interessi e bisogni della stragrande maggioranza della popolazione mondiale che vive inchiodata al luogo di nascita. Per “salvarsi l’anima”, e dimostrare che conservano attenzione nei confronti degli ultimi, costoro sbandierano la propria solidarietà nei confronti dei migranti e difendono una politica ‘no border’ di accoglienza illimitata."

    Ma un mondo senza frontiere e senza Stati (no borders, no nations) è davvero concepibile e auspicabile? Che in un mondo sempre più interdipendente economicamente i confini finiscano per contare sempre meno e in ultima analisi persino sparire - ci arrivo, mi sembra persino un esito logico. A quel punto conterebbero anche meno gli Stati e i loro apparati repressivi con le atomiche. Si avvererebbe il sogno di Obama: un mondo
    senza armi nucleari. Direi comunque che siamo ancora lontani da questo esito e di andarci piano con le accelerazioni in questa direzione. UNA SOLA TERRA, UNA SOLA UMANITA' ?

    P.S. La bomba demografica non sta accelerando il processo di unificazione mondiale? Questa unficazione potrebbe essere considerata sia ineluttabile che positiva.

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  3. Caro Sergio, credo che il valore del pezzo di Formenti – pur oggettivamente complesso - risieda in due particolari aspetti.

    Anzitutto nell’avere dimostrato in modo inequivocabile come tutta l’attuale narrazione ufficiale (politicamente corretta) sul globalismo buono e sul necessario superamento degli Stati nazionali risulti, in realtà, al servizio esclusivo delle elites internazionali (apolidi, come dice qualcuno), che ne trarranno i massimi vantaggi, e non certo della gente comune che ne subirà tutte le tristi conseguenze.

    E poi nell’aver chiarito, come logica conseguenza, che per chi si preoccupa veramente della sorte della gente comune, e quindi si considera di sinistra, il concetto di Stato-Nazione resta l’ultimo possibile baluardo a protezione dei cittadini, e che demonizzarlo come il prodotto malefico della destra più estrema rappresenta un errore gravissimo.

    Non mi pare una cosa da poco, visto che stiamo vivendo in una situazione ideologica quasi rovesciata, in cui i partiti che si dicono di sinistra, stanno in realtà tirando la volata alle suddette elites (immagino, con congruo tornaconto personale).

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  4. " ... in cui i partiti che si dicono di sinistra, stanno in realtà tirando la volata alle suddette elites (immagino, con congruo tornaconto personale)."

    Non la metterei sulla meschinità e grettezza della sinistra ("congruo tornaconto personale"). Con l'implosione dell'URSS la sinistra si è scoperta orfana e fuorigioco: una cosa difficile, anzi impossibile da digerire. Le è rimasto però l'orgoglio di essere stata e di credersi tuttora la "meglio umanità" nonostante le dure repliche della storia.
    E continua perciò a ritenersi decisiva nella lotta al fantomatico fascismo, mai vinto, anzi sempre risorgente come un'idra (vedi l'Urfaschismus di Eco - il fascismo eterno. (ur è una preposizione del tedesco che indica un'antica discendenza - per es. Urgrossvater,
    il bisnonno, o Ureinwohner, gli indigeni, gli antichi abitanti di un paese). Al diavolo anche Eco e il suo Urfaschismus (mi è stato sempre simpatico, ma adesso sto rivedendo il mio giudizio su di lui).

    Che tirino la volata alle famose elites è possibile, ma è un effetto collaterale. L'importante per loro è di sentirsi sempre e comunque dalla parte della ragione, delle magnifiche sorti e progressive. Sono in genere agnostici o atei e non hanno nulla da obiettare alla diffusione dell'islamismo accusando chi non è d'accordo di islamofobia, un reato come l'omofobia (duemila anni di cristianesimo e cattolicesimo non ci sono bastati, adesso dobbiamo vedercela anche con questi trogloditi). Giudizio questo naturalmente razzista, islamofobo ecc.

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    1. << Che tirino la volata alle famose elites è possibile, ma è un effetto collaterale. >>

      In gran parte, probabilmente, è così, ma sono convinto che per alcuni (molti ?) si tratti proprio di tornaconto personale.
      (ma io sono un inguaribile cinico).

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