venerdì 14 giugno 2019

La Sinistra e il Nazionalismo – 4

Le differenze tra il nazionalismo di destra e quello di sinistra, secondo Carlo Formenti (quarta ed ultima parte). LUMEN


<< 17 - Lo scetticismo nei confronti della nazione va di pari passo con lo scetticismo nei confronti dello Stato. Il ripudio delle esperienze storiche del socialismo reale e l’ideologia “orizzontalista” che, dopo la svolta libertaria dei nuovi movimenti, accomuna tutte le componenti della sinistra radicale, hanno fatto sì che il vecchio principio marxista, secondo cui la macchina statale borghese non può essere ereditata e usata così com’è da parte delle classi subalterne, si sia trasformato nel dogma secondo cui lo Stato in quanto tale non può più essere usato.

Per questa ideologia neo-anarchica lo Stato, qualsiasi classe o forza politica ne detenga il controllo, è sempre e comunque il nemico del popolo; di conseguenza, il concetto stesso di presa del potere è sparito dal suo orizzonte culturale. La logica del controllo subentra alla logica della conquista, la speranza di costruire un’alternativa globale al modo di produzione capitalistico e alle istituzioni dello Stato borghese lascia il posto a pratiche di contestazione permanente, alle manifestazioni sistematiche di sfiducia nei confronti del potere, a una sorta di democrazia dell’opinione che ha come protagonista un popolo che diffida ma non aspira a governare.

Tale atteggiamento rispecchia un punto di vista che non mira ad abolire il capitalismo bensì, nella migliore delle ipotesi, ad addomesticarne la ferocia. Ne è prova evidente il ruolo svolto da Terzo settore, ONG e volontariato, i quali collaborano attivamente allo smantellamento del welfare in sintonia con la logica ordo-liberale del “capitalismo sociale”. Ne è inoltre prova quel patetico surrogato dell’utopia comunista che è l’ideologia “bene-comunista”, che invita a voltare le spalle al comunismo statale, a immaginare nuove istituzioni estranee alla logica della sovranità e al principio di autorità, che dà per scontato infine che un partito rivoluzionario che pretenda di essere autonomo dai movimenti non solo non serve, ma è controproducente.

Siamo dunque di fronte a discorsi che assumono come obiettivo una radicale spoliticizzazione della società civile. Come se non bastasse, a evidenziare la sostanziale convergenza fra liberalismo e “bene-comunismo” è lo slogan, in sintonia con le tesi dell’economista liberale Elinor Ostrom, secondo cui la gestione dei beni comuni non dovrebbe essere ”né pubblica né privata”: si tratta d’una doppia negazione apparente, nel senso che la vera negazione è solo quella che ripudia il pubblico, mentre la negazione del privato è mistificatoria, ove si consideri che, una volta sottratto al controllo pubblico, qualsiasi bene è inesorabilmente destinato a diventare privato.

18 - Le ideologie criticate nelle tesi precedenti possono essere sintetizzate con la formula “cambiare il mondo senza prendere il potere”, che potremmo ironicamente accostare al detto di Cristo “il mio regno non è di questo mondo”, e la storia insegna che il detto cristiano che invita a tenersi alla larga dal potere non ha particolarmente contribuito a cambiare i rapporti di forza fra potenti e sudditi... Del resto, nella formulazione gramsciana, le classi subordinate non “prendono” il potere, si fanno Stato; il punto non è dunque abolire lo Stato in quanto ente distinto dalla società, bensì abolirne il carattere di classe.

Questo è il programma massimo, ma anche in situazioni in cui conservava il proprio carattere di classe, lo Stato si è dimostrato capace di funzionare come strumento di emancipazione: dopo la crisi del 1929, ha interpretato la reazione di autodifesa della società civile nei confronti di un sistema capitalistico senza regole, tornando a governare terra, lavoro e capitale; dal 1930 al 1980 la logica del mercato ha dovuto piegarsi alle esigenze di ridistribuzione sociale del reddito e gli Stati-nazione non apparivano impotenti di fronte agli interessi del capitalismo globale.

Il vero problema quindi – appurato che il potere politico può, a determinate condizioni, garantire reali miglioramenti delle condizioni di lavoro e di vita dei cittadini – non è Stato sì Stato no, bensì quale tipo di organizzazione del potere può favorire la transizione a una società post-capitalista. Prima di affrontare tale nodo, occorre prendere congedo dal mito dell’estinzione dello Stato, mito che si basa su una visione salvifico-religiosa di un futuro in cui la società sarà liberata da qualsiasi tipo di conflitto. Una società del genere non può esistere né mai esisterà, perché anche dopo l’eliminazione delle classi sociali continueranno a sussistere contraddizioni e quindi conflitti, e perché anche la “semplice amministrazione delle cose” (…) non potrà fare a meno di specialismi e gerarchie burocratiche.

19 - Le rivoluzioni bolivariane, assieme al concetto di “socialismo del XXI secolo” da esse introdotto, hanno indotto i marxisti latino-americani a riprendere lo storico dibattito sull’alternativa riforme/rivoluzione. Engels e la Luxemburg avevano by-passato tale contrapposizione sostenendo che nulla impedisce alle classi subalterne di conquistare il potere attraverso riforme radicali, a condizione che tali riforme non siano fini a se stesse bensì un mezzo per arrivare alla rivoluzione socialista.

Ora è evidente che nessuna delle rivoluzioni in questione può essere definita socialista: pur avendo introdotto costituzioni avanzate che prevedono la possibilità del superamento dell’economia capitalista e delle istituzioni politiche borghesi, i governi bolivariani di Venezuela, Bolivia ed Ecuador non hanno abolito la proprietà privata, né hanno avviato un processo di trasformazione radicale della matrice produttiva. Tuttavia la dicotomia secca fra socialismo e capitalismo pecca di euro-centrismo. Si tratta piuttosto di capire in quale misura queste rivoluzioni hanno messo in moto un processo di democratizzazione dello Stato e creato i presupposti per l’indipendenza nazionale di questi Paesi dall’imperialismo occidentale.

Questo perché non va dimenticato che la lotta di classe in certe circostanze assume forma geo-politica, e che il conflitto fra nazioni del centro e nazioni periferiche ha di per sé la natura di un conflitto di classe, per cui schierarsi dalla parte delle seconde è più importante che tracciare un confine astratto fra rivoluzione nazional-democratica e rivoluzione socialista. Che poi la rivoluzione nazional-democratica possa evolvere in rivoluzione socialista dipende da fattori economici, sociali, geopolitici in larga misura contingenti e imprevedibili.

20 - La novità storica è che oggi, a causa degli effetti che la rivoluzione liberale degli ultimi decenni ha avuto sulla composizione di classe all’interno dei singoli Paesi e sulle relazioni di subordinazione fra centri e periferie, sorte anche nel campo capitalista occidentale, nemmeno eventuali rivoluzioni anti-liberiste all’interno di tale campo potrebbero evitare di attraversare una fase nazional-democratica e riformista.

In primo luogo, perché è da un secolo abbondante che il proletariato occidentale non vuole fare la rivoluzione, ma preferisce seguire le forze politiche che gli promettono miglioramenti graduali. Inoltre, dal momento che tutti i mercati del lavoro mantengono carattere locale, le solidarietà politico-sociali devono essere costruite su basi geografiche (ma non etniche!), il che significa:
1) che la resistenza dei luoghi nei confronti delle potenze sconvolgenti scatenate dai processi di globalizzazione assume il significato di una lotta anti-capitalista;
2) che anche qui in Occidente i singoli Stati-nazione sono chiamati a rivendicare la propria autonomia per rendere possibili politiche di ridistribuzione e tutela dei diritti sociali;
3) che lo smarrimento delle identità e la forma populista del conflitto fanno sì che la lotta anticapitalista si presenti sotto le spoglie neo-giacobine di lotta dei cittadini contro l’uso capitalistico dello Stato (il cittadino ribelle rimpiazza il proletario).

Ecco perché tutti i programmi politici dei movimenti populisti di sinistra (da Sanders a Corbyn, da Mélenchon a Podemos) sono programmi “riformisti” che non presentano chiari caratteri anticapitalisti: ricondurre i settori strategici dell’economia (banche, trasporti, comunicazione, tecnologie avanzate ecc.) sotto mano pubblica, rinazionalizzare i servizi pubblici (sanità, trasporti, educazione ecc.), piena occupazione, sostegno alle piccole medie imprese ecc.

Si tratta di programmi che cercano il sostegno di blocchi sociali maggioritari e trasversali e che, qualche decennio fa, sarebbero stati definiti socialdemocratici, ma oggi, nell’epoca del totalitarismo liberal-liberista, suonano sovversivi, nella misura in cui possono rappresentare un primo passo verso la trasformazione delle lotte del cittadino ribelle in lotta di classe.

21 - Nelle attuali condizioni storiche, una rivoluzione nazional-popolare che si ponga l’obiettivo di conquistare il potere per avviare il processo costituente di un regime politico democratico non appare meno difficile da realizzare di quanto non lo siano state le rivoluzioni socialiste del passato.

Oggi come ieri essa può avvenire solo in presenza di una profonda crisi dello Stato, della società e dell’economia; di più: può avvenire solo se a tali condizioni si aggiunge una diffusa sensazione di insicurezza, paura e minaccia, la sensazione che un cambiamento radicale sia necessario per difendere il proprio mondo vitale. Oggi come ieri il verificarsi di tali condizioni non è prevedibile né programmabile, si potrebbe dire che la rivoluzione è sempre matura e non lo è mai, o che la rivoluzione avviene dove e quando avviene. >>

CARLO FORMENTI

3 commenti:

  1. Non ci ho capito un accidente! E pensare che mi ero rallegrato di leggere l'ultima puntata (nelle ultime due avevo trovato infatti qualcosa di comprensibile e anche di mio gusto). Non so cosa voglia davvero Formenti, non l'ho capito. Prendiamo la "piena occupazione" - cosa è? Una giornata lavorativa di 8-10 ore che frutti al "lavoratore" (anche questa parola vecchia, forse converebbe dire oggi semplicemente persona) una paga che permetta a lui e alla sua famiglia una "vita dignitosa" come sta scritto nella gloriosa costituzione postbellica (in cui secondo il Vaticano bisognava inserire anche l'indissolubilità del matrimonio)? Quando l'economia marcia c'è forse lavoro per tutti (forse, non è sicuro). Come garantire a tutti (a tutti!) una vita tranquilla e dignitosa? Come definire poi questa vita (di cosa ha bisogno davvero la gente, anzi tutta la collettività - lo Stato semisocialista attuale garantisce effettivamente già ora molte cose impensabili un tempo - un indigente ha diritto a tutte le cure immaginabili e costosissime (che arricchiscono industrie farmaceutiche e medici). Altro che pane e giochi! Ma non sembra funzionare (basti pensare ai milioni di disoccupati e poveri in Italia, la settima o ottava potenza industriale del mondo!). Cosa non funziona, che fare? Le parole - avrei voglia di dire: le chiacchiere di Formenti non mi aiutano, sono astrazioni che pochi capiscono. Se in occidente si lavora fino a giugno per lo Stato abbiamo già un 50% di socialismo (soffocante). Lo Stato dilapida, non ha mentalità imprenditoriale ed è sempre più invadente. Certo che gestire 61 milioni di persone (tanti sarebbero in Italia) o i 6-700 milioni di cittadini dell'UE, o il miliardo e passa di Cinesi e Indiani e i prossimi 2 miliardi di Africani (4 miliardi a fine secolo) sarà un'impresa gigantesca (ma forse l'innovazione tecnologica sempflificherà la questione - come sembra sia già avvenuto in Cina e presto - inevitabilmente - avverrà da noi).
    Tutti i santi giorni leggo nei giornali cose interessanti. Anche nei blog (io ne frequento tre o quattro e mi tengo lontano da Facebook o da Twitter) si leggono continuamente cose intelligenti, condivisibili (come i commenti giornalieri di Pardo). Troppi i discorsi, le idee, le proposte spesso anche contraddittori. Un eterno "surplace", tutto resta più o meno come prima, come sempre. Inoltre ormai tutti vogliono dire la propria (anche il sottoscritto) e si finisce nella cacofonia.
    Come uscire da questa situazione di disagio? Intanto staccando la spina, almeno per qualche tempo, e scegliendosi poi magari un libro e qualche interlocutore con cui è possibile ragionare o semplicemente scambiare qualche idea. Diceva Ortega: uno con una sola idea in testa diventa pazzo (sarà un fissato!). Ma centomila idee non possono che creare confusione. Sciascia, deluso della politica e forse della vita, diceva: non ci resta che la letteratura - per capire noi stessi. All'epoca mi sembrò una resa, rimasi deluso. Ma adesso lo penso anch'io. Comincerò col rileggere La città del sole di Campanella. Perché proprio questo testo ora? A cosa puo servirmi? Mah, una spiegazione ci sarà. La città del sole è la la società perfetta, quella forse a cui tende Formenti. In un certo senso è un testo attuale!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. << Se in occidente si lavora fino a giugno per lo Stato abbiamo già un 50% di socialismo (soffocante). Lo Stato dilapida, non ha mentalità imprenditoriale ed è sempre più invadente. >>

      Purtroppo è così, ed è per questo che il culto dello Stato onnipresente, vagheggiato dai socialisti duri e puri, è un po' patetico.
      Già è troppo l'attuale 50 e 50, figuriamoci un rapporto maggiore.
      Ma queste cose, anche in democrazia, raramente sono frutto di una scelta ponderata; spesso sono solo le conseguenze a posteriori di tutta una serie di decisioni casuali.

      Vedremo, con la prossima crisi energetico-ambientale, se finiremo per andare verso 'più stato' o verso 'meno stato'.
      Non è una previsione così ovvia.

      Elimina
  2. Caro Sergio, dopo aver parlato seriosamente di nazionalismo per 4 settimane, forse è il momento di concederci un sorriso, con questo ironico pensiero di Bill Elliott:

    << Il paradiso è un poliziotto inglese, un cuoco francese, un tecnico tedesco, un amante italiano: il tutto organizzato dagli svizzeri.
    L'inferno è un cuoco inglese, un tecnico francese, un poliziotto tedesco, un amante svizzero, e l'organizzazione affidata agli italiani. >>

    RispondiElimina