Le
differenze tra il nazionalismo di destra e quello di sinistra,
secondo Carlo Formenti (dal sito di Sollevazione - terza parte di quattro). LUMEN
<<
12 - L’obiezione più ricorrente al sovranismo di sinistra consiste
nell’affermare che, nel contesto dell’attuale sistema
capitalistico globalizzato, ogni velleità di sganciamento dal
mercato mondiale è illusoria. Tuttavia autori come Hosea Jaffe e
Samir Amin hanno contestato questa affermazione, dimostrando che il
‘de-linking’ dal mercato globale è una via percorribile; di più:
è l’unica via percorribile per compiere qualsiasi passo verso il
socialismo.
Solo
gli Stati sovrani possono negare agli strozzini della finanza globale
il pagamento dei debiti imposti da Fmi, Banca mondiale, Bce e
consimili istituzioni sovranazionali, prive di legittimazione
democratica. ‘De-linking’ non significa autarchia: vuol dire
ridurre al minimo indispensabile le importazioni, massimizzare e
ottimizzare l’uso delle risorse locali, conquistare la sovranità
alimentare; vuol dire accentrare il surplus economico nelle mani
dello Stato e ridistribuirlo in funzione dei bisogni settoriali di
crescita, promuovendo la piena occupazione e la difesa degli
interessi delle classi subalterne; vuol dire sfruttare i confini
nazionali e la sovranità monetaria per regolare i flussi commerciali
e di capitale.
Chi
sostiene che tutto ciò è impossibile concepisce la storia come un
processo lineare e irreversibile, sovradeterminato da ferree leggi
economiche rispetto alle quali la politica non può fare altro che
adattarsi.
13
- L’economicismo e l’idea di necessità storica che regnano a
sinistra si manifestano chiaramente non appena si affronta il
problema dell’Unione Europea: ignorando le prove inconfutabili
della sua irriformabilità, la palese impossibilità di
democratizzarne le istituzioni, gli europeisti “critici” ripetono
ottusamente la tesi che la globalizzazione ha prodotto trasformazioni
politiche e socioeconomiche tali da non poter essere più gestite
dagli Stati-nazione.
Dal
presupposto secondo cui il campo di azione e organizzazione politica
deve necessariamente coincidere con il livello di strutturazione più
elevato del capitale, deducono che il piano sovranazionale è oggi
l’unico sul quale si possono rappresentare gli interessi delle
classi lavoratrici. Si argomenta che la sovranità nazionale,
nell’attuale contesto economico e geopolitico, possono
permettersela solo gli Stati-continente come Stati Uniti, Cina e
Russia, mentre i Paesi europei devono integrarsi se non vogliono
finire schiacciati dalla concorrenza di quei colossi.
Per
inciso, questa tesi coincide – non a caso! – con quella delle
élite industriali e finanziarie del Vecchio Continente, così come,
analogamente, sinistre e settori capitalistici più avanzati
convergono nel bollare come conservatrice e reazionaria ogni
rivendicazione di indipendenza nazionale. Anche i filosofi portano il
loro contributo, tentando di evocare un improbabile “patriottismo
europeo” le cui radici risalirebbero millenni addietro, a partire
dallo scontro fra democrazie greche e imperi asiatici e dalla
successiva cristianizzazione dell’Impero romano, eventi nei quali
sarebbe già stata presente in nuce l’idea di uno spazio
geopolitico unitario, congiuntamente a una rappresentazione ideale di
tale spazio.
Ma
la verità è un’altra, ed è contenuta nel celebre detto che
definisce l’Europa come una mera espressione geografica. L’Europa
non è mai esistita come entità politica e culturale unitaria, e
l’utopia di farne un unico Stato (utopia che tanto Marx quanto
Lenin denunciarono come il sogno reazionario del capitalismo
occidentale, il quale aspirava così a rafforzare il proprio dominio
sul resto del mondo) si scontra con barriere sociali, linguistiche e
culturali che nemmeno l’istituzione di un sistema fiscale, di un
esercito e di una polizia comuni sarebbe in grado di superare.
14
- Ma se la UE non è, né mai potrà diventare, uno Stato unitario o
una federazione di Stati, come possiamo definirla?
La
risposta è che si tratta di un mostruoso esperimento istituzionale
che tenta di mettere in pratica l’utopia del fondatore del
liberalismo moderno, von Hayek. Muovendo dalla constatazione che il
capitalismo non conosce frontiere né radicamento territoriale –
mentre la gabbia dello Stato-nazione lo costringe a tener conto degli
interessi delle classi subordinate, nella misura in cui queste si
organizzano nei corpi intermedi fra Stato e mercato – l’utopia di
von Hayek si propone di spezzare il rapporto biunivoco fra politica e
territorio neutralizzando, assieme alla sovranità nazionale, i
conflitti sociali e la possibilità di offrire loro rappresentanza
democratica.
Indebolendo
l’autonomia decisionale degli Stati membri e integrandoli in un
nuovo ordine di mercato, la Ue crea una superstruttura che opera come
una sorta di polizia economica, sfruttando l’euro e il principio di
concorrenza per sterilizzare i conflitti e condizionare i
comportamenti individuali e collettivi. Il sistema dei trattati
assume valore costituzionale, agisce di fatto come una costituzione
senza Stato e senza popolo e rimpiazza la democrazia con la
‘governance’, vale a dire con un processo decisionale di tipo
negoziale (nel quale però non tutti i negoziatori hanno lo stesso
peso!) che produce regole con il consenso dei destinatari, i quali le
accettano “volontariamente” conservando – ma solo sul piano
formale! – le loro sfere di facoltà e poteri.
L’impianto
filosofico che ispira questo esperimento è l’ordo-liberalismo che,
contrariamente al liberismo classico basato sul ‘laissez faire’,
non dà per scontata la capacità dei mercati di autoregolarsi, ma
affida a un potere politico forte il compito di garantire la
stabilità dei prezzi – a partire da quello della forza lavoro –
e di vegliare sul fatto che il principio di concorrenza non venga
messo in questione da oligopoli, corpi intermedi e interventi statali
diretti in campo economico.
15
- Si insiste spesso sul fatto che le regole della UE vengono decise e
imposte dalla nazione egemone: è l’interesse nazionale della
Germania a prevalere su quelli di tutti gli altri partner europei. La
linea dell’austerità, all’interno della Germania, ha infatti
favorito il contenimento dei livelli salariali e, assieme all’alto
tasso di produttività del sistema industriale tedesco, ha sostenuto
il modello mercantilista dell’economia di quel Paese; viceversa per
i Paesi del Sud Europa ha voluto dire milioni di posti di lavoro e
migliaia di imprese in meno, deindustrializzazione e declassamento al
ruolo di subfornitori delle imprese tedesche.
Tutto
vero, ma è altrettanto vero che questa relazione asimmetrica è
stata, non solo accettata, ma addirittura promossa dagli Stati
periferici. Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, vanno
ricordate le scelte dei vari Andreatta, Ciampi, Padoa Schioppa e
Prodi, a partire dalla promozione dell’indipendenza della banca
centrale dal potere politico, decisione che ha messo il nostro debito
pubblico nelle mani della finanza privata internazionale, favorendone
la levitazione e ponendoci in condizioni di subordinazione nei
confronti dei Paesi che controllano le linee di credito.
Già
Guido Carli auspicava un mutamento costituzionale (…) che avrebbe
dovuto ridefinire la composizione della spesa pubblica (penalizzando
la spesa sociale) e promuovere la ridistribuzione del potere politico
a favore dell’esecutivo e a danno del legislativo. I suoi eredi “di
sinistra”, preoccupati per gli alti livelli di conflittualità
sociale e per l’uso “spregiudicato” del bilancio pubblico,
hanno pensato bene di importare dall’esterno nuove regole.
L’ingresso
nello SME, prima, e nella UE, poi, hanno avuto proprio questa
funzione. A partire da quel momento, il richiamo al vincolo esterno
(“non lo vogliamo noi, ma l’Europa”) è servito
sistematicamente a legittimare le riforme neoliberali: tagli alla
spesa sociale, privatizzazione di tutto il privatizzabile,
precarizzazione del lavoro e, last but not least, l’implementazione
nella nostra Costituzione (attraverso il famigerato articolo 81) del
Fiscal Compact, cioè del divieto costituzionale di adottare
politiche economiche keynesiane.
16
- La speculazione finanziaria colpisce soprattutto quei Paesi che non
possono contare su una banca centrale come prestatore di ultima
istanza, ecco perché la UE espone sistematicamente i propri membri a
tale rischio. Trattati e regole costringono i Paesi che hanno bisogno
di denaro a rivolgersi al mercato, il quale assume così una funzione
disciplinare nei confronti delle politiche economiche dei governi:
l’assistenza finanziaria viene concessa in cambio di “riforme”,
cioè dell’impegno a tagliare spesa sociale e salari, privatizzare
i servizi pubblici e contenere drasticamente il costo del lavoro.
La
macelleria sociale imposta alla Grecia dopo la capitolazione del suo
governo nei confronti dei diktat della Troika (Commissione Europea,
Bce e Fmi) è un esempio del destino tragico che incombe sulle
nazioni e sui popoli che aderiscono all’area dell’euro. È vero
che le borghesie dei Paesi europei periferici si sono volontariamente
assoggettate a vincoli esterni, pur di conservare il potere sulle
proprie classi subalterne, ma è altresì vero che la moneta unica ha
consentito alla Germania di costruire il proprio successo economico
sulla miseria altrui: l’euro ha diviso l’Europa fra un centro
esportatore e una periferia dipendente, ha “sud-americanizzato”
le nazioni dell’Est e del Sud Europa.
Ecco
perché il principio di de-linking teorizzato da Samir Amin a
proposito della relazione fra potenze imperiali e Paesi ex coloniali
può e deve essere fatto proprio anche dai Paesi euro-mediterranei.
Solo uscendo dall’euro e riconquistando la sovranità monetaria
sarà possibile ridare spazio al conflitto ridistributivo, invertire
la tendenza alla privatizzazione, nazionalizzando banche ed imprese
in crisi e rinazionalizzando i servizi pubblici, e infine adottare
politiche fiscali progressive.
Solo
gli Stati sovrani dispongono degli strumenti per realizzare giustizia
sociale e piena occupazione, e per gestire il debito sovrano e gli
effetti delle crisi senza cadere nelle mani degli strozzini della
finanza privata. Certamente i costi dell’uscita dall’euro non
sarebbero trascurabili – benché non tragici, come ventilato dalla
propaganda dei media di regime e come smentito dal caso della Brexit
–, ma ben peggiori sono i costi della permanenza in termini di
democrazia, sovranità popolare, povertà e disuguaglianza sociale.
>>
CARLO
FORMENTI
(continua)
Dice Alessandro Gilioli, a proposito del sovranismo, che
RispondiElimina<< gli stati nazionali sono al tramonto, anzi sono solo dei morti che camminano.
Uccisi dalla realtà, dalle cose, più che dalla politica: dalle tecnologie, dall'economia, dall'interazione ormai totale tra tutti e tutti (pensate solo al tema dell'ambiente!).
Uccisi, semplicemente, dai viaggi, dal fatto che ci incontriamo tra cittadini di diversi paesi assai più che in passato, che studiamo all'estero, che abbiamo il mondo intero nel nostro device digitale. (...)
Questa violenta reazione nazionalista è un rabbioso colpo di coda di un'identità - quella nazionale - che non ha più senso nelle cose. >>
Può darsi che Gilioli abbia ragione (anche se spero di no), però si dimentica di un dettaglio, per nulla trascurabile.
E cioè che con la morte degli stati nazionali morirà anche la democrazia sostanziale, perchè le dimensioni sovranazionali sono troppo ampie per questo sistema di governo.
Che verrà sostituito da una vacua democrazia elettorale, in cui ci faranno votare di tanto in tanto, mentre altri (non eletti) decideranno le cose da fare (come attualmente in Europa).
Ma a me tutto questo non piace.
Caro Lumen,
RispondiEliminanon ho ancora letto l'articolo (ho cominciato dal tuo commento o aggiunta). Direi che qualcosa di vero c'è in quel che dice Giannuli. Vi ho accennato anch'io recentemente (al fatto che la crescente interdipendenza economica rende i confini sempre più labili finendo probabilmente per renderli obsoleti in un futuro nemmeno lontano).
Niente confini, niente Stati superarmati, niente atomiche e guerre distruttive. Solo scambi, benessero diffuso, anzi la cornucopia universale. Sarà, chissà. Ma per intanto gli Stati nazionali hanno ancora una funzione a mio parere. E importante. Basta solo immaginare cosa significherebbe spalancare le frontiere, cancellarle.
Cosa dicono gli antisovranisti? La terra e le sue risorse sono di tutti, è "solo" una questione di organizzazione e distribuzione. In fondo, in questa logica, anche l'individuo è superato. Lui si crede sovrano e "proprietario" (di una terra, un territorio, una casa). Povero illuso. L'Italia non è degli Italiani, secondo la filosofa Donatella de Cesare: volere impedire a qualcuno di trasferirsi e stabilirsi in Italia è "illegittimo" (anche se attualmente ancora legale). Illegittimo significa immorale. Qui siamo alla follia pura.
Quale sarebbe l'alternativa agli Stati nazionali? Forse le macroregioni economiche? Costituirebbero anche queste delle individualità che si opporrebbero ad altre entità e difenderebbero i propri interessi.
Comunque è vero che l'esplosione demografica sta rivoluzionando le nostre vite. L'interconnessione globale modifica il nostro modo di pensare e di agire. Quasi impossibile ormai raccapezzarsi. Cosa leggere ancora se "tutti" scrivono e pubblicano? Probabimente un mare di chiacchiere inutili. Vero è che già Leopardi osservava che "ormai sono più gli scrittori che i lettori". Ma siamo passati dal miliardio circa di abitanti dei suoi tempi agli attuali quasi otto miliardi.
E a un certo punto la quantità crea una nuova realtà.
<< Quale sarebbe l'alternativa agli Stati nazionali? Forse le macroregioni economiche? >>
EliminaE' probabile, in fondo la geografia non l'ha ancora abolita nessuno.
Ma - in tal caso - il problema dei confini non sarebbe superato, ma solo spostato.
E quindi saremmo da capo.
D'altra parte, è la stessa biologia, con il concetto di cellula, che insegna che senza confini non ci puà essere organizzazione e quindi vita (biologica o sociale).
E quando si va contro alle leggi fondamentali della natura ci si fa sempre molto male.
Le tesi di Formenti mostrano chiaramente (casomai ce ne fosse stato bisogno) che il Nazionalismo di Sinistra NON è meno dogmatico, irrazionale (anti-illuminista) e pericoloso di quello di Destra, e anzi in accordo con il principio cusaniano della 'coincidentia oppositorum' finisce per costituire l'altra faccia della medesima medaglia (o patacca)... Saluti
RispondiEliminaPS: So bene che questo commento va contro lo straripante "spirito del tempo" e quindi è destinato alla demonizzazione, ma (dopo breve ma attenta riflessione) per un minimo di onestà intellettuale non posso fare a meno di inviarlo
Tranquillo, Claude, nessuna demonizzazione per le tue idee, almeno qui nel mio blog (e ci mancherebbe !).
EliminaPerò giro anche a te la domanda che mi facevo sopra: tu ti senti davvero tranquillo circa il mantenimento di una vera democrazia sostanziale, anche nel caso di un governo sempre più globale ed allargato ?
Perchè in fondo è questo il mio vero timore.
Egregio L.,
Eliminapremesso che una vera democrazia sostanziale mi sembra molto spesso pesantemente rischio anche nei beneamati Stati nazionali (non credo siano necessari riferimenti espliciti...), ricordo sommessamente che due principi teorico-pratici quali Federalismo e Sussidiarietà potrebbero garantire una feconda coesistenza di quella molteplice "gerarchia" di livelli decisionali politico-amministrativi in grado di contemperare nella maniera più armonica e ragionevole possibile la dimensione locale-regionale, quella nazionale e quella continentale, nel complesso mondo contemporaneo egualmente importanti e cmq. abbastanza strettamente e inevitabilmente interconnesse.
Attualmente noto invece (in Italia e non solo) i preoccupanti segnali di una rinnovata 'assolutizzazione' della dimensione sette-ottocentesca Stato-nazionalista e protezionista, romanticamente idolatrata come un clone "laico" del Dio delle Religioni monoteiste (cfr. il Leviathan di Hobbes) e a totale detrimento delle altre due, con le pesanti conseguenze socio-economiche e ambientali facilmente immaginabili (ad es. rispetto al problema della gestione dei flussi migratori afro-asiatici)... Saluti
Caro Lumen,
RispondiEliminaho letto anche la terza puntata, persino con molto interesse, condividendo molte cose (anche se non ho capito tutto). Ovviamente non sono, non posso essere d'accordo su tutto (per es. sul fatto che "solo lo Stato può garantire la «piena occupazione»"), però nel complesso le tesi di Formenti mi confortano. E mi ritrovo dunque, secondo Diaz e il filosofo, tra i nazionalisti-fascisti-reazionari-ottocenteschi e in ultima analisi imbecilli. Come sai io sono un ex sessantottino, sono sempre stato di sinistra, poi sono passato al verde per la questione ecologica e demografica - che alla sinistra ufficiale non interessava considerandola addirittura borghese e reazionaria (ora, buon ultimi come la Chiesa, si scoprono anche loro ecologi - ma di demografia manco a parlarne). Poi mi sono reso conto, un po' tardi lo ammetto (non so se sono tra i mai cresciuti o gli idioti assistiti) dell'assurdità dell'utopia comunista o socialista e oggi mi considero, come un po' tutti (compresi gli ex comunisti) liberale (parola abusatissima ormai). Il mio chiodo fisso resta la demografia ovvero l'esplosione demografica che quasi tutti continuano a negare (anche non parlandone), mentre per Sartori (e si parva licet per il sottoscritto) è il problema dei problemi, il problema che sta alla base di tutti gli altri - e che ormai dobbiamo ahimè considerare insolubile.
Ma, tanto per dire, perché questo passaggio nel testo di Formenti non merita un'attenta disamina sine ira et studio, senza passare subito agli insulti e alle condanne:
"Solo gli Stati sovrani possono negare agli strozzini della finanza globale il pagamento dei debiti imposti da Fmi, Banca mondiale, Bce e consimili istituzioni sovranazionali, prive di legittimazione democratica. ‘De-linking’ non significa autarchia: vuol dire ridurre al minimo indispensabile le importazioni, massimizzare e ottimizzare l’uso delle risorse locali, conquistare la sovranità alimentare; vuol dire accentrare il surplus economico nelle mani dello Stato e ridistribuirlo in funzione dei bisogni settoriali di crescita, promuovendo la piena occupazione e la difesa degli interessi delle classi subalterne; vuol dire sfruttare i confini nazionali e la sovranità monetaria per regolare i flussi commerciali e di capitale."
Interdipendenza economica non solo inevitabile bensì anche auspicabile (niente autarchia), ma conservando almeno un minimo di sovranità individuale e nazionale. Io non mi dico nazionalista, ormai un insulto, ma non capisco questa luciferina avversione verso lo Stato, considerato un ferrovecchio, anzi peggio. Anche gli Stati Uniti d'Europa (con un esercito proprio, non più dipendente da Nato e USA) formerebbero una entità, una individualità che si opporrà o almeno si differenzierà da altre.
Non escluderei in un lontano (o forse non così lontano) futuro un governo mondiale (UNA SOLA TERRA, UNA SOLA UMANITA'), ma non siamo ancora a quel punto (che poi non so se sarà il paradiso, la pace e la fratellanza universali).
Caro Sergio, quello della demografia non è solo un chiodo fisso (tuo, mio e di chiunque altro abbia un minimo di raziocinio) ma è proprio il problema dei problemi.
RispondiEliminaQuello che sta 'a monte' di tutte le altre difficoltà che ci tormentano oggi, e senza la cui soluzione PREVENTIVA tutti gli altri rimedi risultano vani.
Ma pare che non si riesca a combinare nulla.
E per questo, come ben sai, io do la colpa non tanto alle varie ideologie e religioni che girano per il mondo, ma alla nostra dipendenza ancestrale dal gene egoista.
Quanto al pezzo di Formenti, avrai notato come, da buon marxista, ogni volta che cerca la soluzione ad un problema la trova nell'intervento dello Stato, visto come un deus ex machina quasi perfetto, che di tutto di occupa e tutto risolve.
E' la solita ingenuità della sinistra.
Marx diceva che la religione è l'oppio dei popoli, ma anche loro, con la loro trascendenza laica, non sono poi così diversi.