sabato 8 giugno 2019

La Sinistra e il Nazionalismo – 3

Le differenze tra il nazionalismo di destra e quello di sinistra, secondo Carlo Formenti (dal sito di Sollevazione - terza parte di quattro). LUMEN


<< 12 - L’obiezione più ricorrente al sovranismo di sinistra consiste nell’affermare che, nel contesto dell’attuale sistema capitalistico globalizzato, ogni velleità di sganciamento dal mercato mondiale è illusoria. Tuttavia autori come Hosea Jaffe e Samir Amin hanno contestato questa affermazione, dimostrando che il ‘de-linking’ dal mercato globale è una via percorribile; di più: è l’unica via percorribile per compiere qualsiasi passo verso il socialismo.

Solo gli Stati sovrani possono negare agli strozzini della finanza globale il pagamento dei debiti imposti da Fmi, Banca mondiale, Bce e consimili istituzioni sovranazionali, prive di legittimazione democratica. ‘De-linking’ non significa autarchia: vuol dire ridurre al minimo indispensabile le importazioni, massimizzare e ottimizzare l’uso delle risorse locali, conquistare la sovranità alimentare; vuol dire accentrare il surplus economico nelle mani dello Stato e ridistribuirlo in funzione dei bisogni settoriali di crescita, promuovendo la piena occupazione e la difesa degli interessi delle classi subalterne; vuol dire sfruttare i confini nazionali e la sovranità monetaria per regolare i flussi commerciali e di capitale.

Chi sostiene che tutto ciò è impossibile concepisce la storia come un processo lineare e irreversibile, sovradeterminato da ferree leggi economiche rispetto alle quali la politica non può fare altro che adattarsi.

13 - L’economicismo e l’idea di necessità storica che regnano a sinistra si manifestano chiaramente non appena si affronta il problema dell’Unione Europea: ignorando le prove inconfutabili della sua irriformabilità, la palese impossibilità di democratizzarne le istituzioni, gli europeisti “critici” ripetono ottusamente la tesi che la globalizzazione ha prodotto trasformazioni politiche e socioeconomiche tali da non poter essere più gestite dagli Stati-nazione.

Dal presupposto secondo cui il campo di azione e organizzazione politica deve necessariamente coincidere con il livello di strutturazione più elevato del capitale, deducono che il piano sovranazionale è oggi l’unico sul quale si possono rappresentare gli interessi delle classi lavoratrici. Si argomenta che la sovranità nazionale, nell’attuale contesto economico e geopolitico, possono permettersela solo gli Stati-continente come Stati Uniti, Cina e Russia, mentre i Paesi europei devono integrarsi se non vogliono finire schiacciati dalla concorrenza di quei colossi.

Per inciso, questa tesi coincide – non a caso! – con quella delle élite industriali e finanziarie del Vecchio Continente, così come, analogamente, sinistre e settori capitalistici più avanzati convergono nel bollare come conservatrice e reazionaria ogni rivendicazione di indipendenza nazionale. Anche i filosofi portano il loro contributo, tentando di evocare un improbabile “patriottismo europeo” le cui radici risalirebbero millenni addietro, a partire dallo scontro fra democrazie greche e imperi asiatici e dalla successiva cristianizzazione dell’Impero romano, eventi nei quali sarebbe già stata presente in nuce l’idea di uno spazio geopolitico unitario, congiuntamente a una rappresentazione ideale di tale spazio.

Ma la verità è un’altra, ed è contenuta nel celebre detto che definisce l’Europa come una mera espressione geografica. L’Europa non è mai esistita come entità politica e culturale unitaria, e l’utopia di farne un unico Stato (utopia che tanto Marx quanto Lenin denunciarono come il sogno reazionario del capitalismo occidentale, il quale aspirava così a rafforzare il proprio dominio sul resto del mondo) si scontra con barriere sociali, linguistiche e culturali che nemmeno l’istituzione di un sistema fiscale, di un esercito e di una polizia comuni sarebbe in grado di superare.

14 - Ma se la UE non è, né mai potrà diventare, uno Stato unitario o una federazione di Stati, come possiamo definirla?

La risposta è che si tratta di un mostruoso esperimento istituzionale che tenta di mettere in pratica l’utopia del fondatore del liberalismo moderno, von Hayek. Muovendo dalla constatazione che il capitalismo non conosce frontiere né radicamento territoriale – mentre la gabbia dello Stato-nazione lo costringe a tener conto degli interessi delle classi subordinate, nella misura in cui queste si organizzano nei corpi intermedi fra Stato e mercato – l’utopia di von Hayek si propone di spezzare il rapporto biunivoco fra politica e territorio neutralizzando, assieme alla sovranità nazionale, i conflitti sociali e la possibilità di offrire loro rappresentanza democratica.

Indebolendo l’autonomia decisionale degli Stati membri e integrandoli in un nuovo ordine di mercato, la Ue crea una superstruttura che opera come una sorta di polizia economica, sfruttando l’euro e il principio di concorrenza per sterilizzare i conflitti e condizionare i comportamenti individuali e collettivi. Il sistema dei trattati assume valore costituzionale, agisce di fatto come una costituzione senza Stato e senza popolo e rimpiazza la democrazia con la ‘governance’, vale a dire con un processo decisionale di tipo negoziale (nel quale però non tutti i negoziatori hanno lo stesso peso!) che produce regole con il consenso dei destinatari, i quali le accettano “volontariamente” conservando – ma solo sul piano formale! – le loro sfere di facoltà e poteri.

L’impianto filosofico che ispira questo esperimento è l’ordo-liberalismo che, contrariamente al liberismo classico basato sul ‘laissez faire’, non dà per scontata la capacità dei mercati di autoregolarsi, ma affida a un potere politico forte il compito di garantire la stabilità dei prezzi – a partire da quello della forza lavoro – e di vegliare sul fatto che il principio di concorrenza non venga messo in questione da oligopoli, corpi intermedi e interventi statali diretti in campo economico.

15 - Si insiste spesso sul fatto che le regole della UE vengono decise e imposte dalla nazione egemone: è l’interesse nazionale della Germania a prevalere su quelli di tutti gli altri partner europei. La linea dell’austerità, all’interno della Germania, ha infatti favorito il contenimento dei livelli salariali e, assieme all’alto tasso di produttività del sistema industriale tedesco, ha sostenuto il modello mercantilista dell’economia di quel Paese; viceversa per i Paesi del Sud Europa ha voluto dire milioni di posti di lavoro e migliaia di imprese in meno, deindustrializzazione e declassamento al ruolo di subfornitori delle imprese tedesche.

Tutto vero, ma è altrettanto vero che questa relazione asimmetrica è stata, non solo accettata, ma addirittura promossa dagli Stati periferici. Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, vanno ricordate le scelte dei vari Andreatta, Ciampi, Padoa Schioppa e Prodi, a partire dalla promozione dell’indipendenza della banca centrale dal potere politico, decisione che ha messo il nostro debito pubblico nelle mani della finanza privata internazionale, favorendone la levitazione e ponendoci in condizioni di subordinazione nei confronti dei Paesi che controllano le linee di credito.

Già Guido Carli auspicava un mutamento costituzionale (…) che avrebbe dovuto ridefinire la composizione della spesa pubblica (penalizzando la spesa sociale) e promuovere la ridistribuzione del potere politico a favore dell’esecutivo e a danno del legislativo. I suoi eredi “di sinistra”, preoccupati per gli alti livelli di conflittualità sociale e per l’uso “spregiudicato” del bilancio pubblico, hanno pensato bene di importare dall’esterno nuove regole.

L’ingresso nello SME, prima, e nella UE, poi, hanno avuto proprio questa funzione. A partire da quel momento, il richiamo al vincolo esterno (“non lo vogliamo noi, ma l’Europa”) è servito sistematicamente a legittimare le riforme neoliberali: tagli alla spesa sociale, privatizzazione di tutto il privatizzabile, precarizzazione del lavoro e, last but not least, l’implementazione nella nostra Costituzione (attraverso il famigerato articolo 81) del Fiscal Compact, cioè del divieto costituzionale di adottare politiche economiche keynesiane.

16 - La speculazione finanziaria colpisce soprattutto quei Paesi che non possono contare su una banca centrale come prestatore di ultima istanza, ecco perché la UE espone sistematicamente i propri membri a tale rischio. Trattati e regole costringono i Paesi che hanno bisogno di denaro a rivolgersi al mercato, il quale assume così una funzione disciplinare nei confronti delle politiche economiche dei governi: l’assistenza finanziaria viene concessa in cambio di “riforme”, cioè dell’impegno a tagliare spesa sociale e salari, privatizzare i servizi pubblici e contenere drasticamente il costo del lavoro.

La macelleria sociale imposta alla Grecia dopo la capitolazione del suo governo nei confronti dei diktat della Troika (Commissione Europea, Bce e Fmi) è un esempio del destino tragico che incombe sulle nazioni e sui popoli che aderiscono all’area dell’euro. È vero che le borghesie dei Paesi europei periferici si sono volontariamente assoggettate a vincoli esterni, pur di conservare il potere sulle proprie classi subalterne, ma è altresì vero che la moneta unica ha consentito alla Germania di costruire il proprio successo economico sulla miseria altrui: l’euro ha diviso l’Europa fra un centro esportatore e una periferia dipendente, ha “sud-americanizzato” le nazioni dell’Est e del Sud Europa.

Ecco perché il principio di de-linking teorizzato da Samir Amin a proposito della relazione fra potenze imperiali e Paesi ex coloniali può e deve essere fatto proprio anche dai Paesi euro-mediterranei. Solo uscendo dall’euro e riconquistando la sovranità monetaria sarà possibile ridare spazio al conflitto ridistributivo, invertire la tendenza alla privatizzazione, nazionalizzando banche ed imprese in crisi e rinazionalizzando i servizi pubblici, e infine adottare politiche fiscali progressive.

Solo gli Stati sovrani dispongono degli strumenti per realizzare giustizia sociale e piena occupazione, e per gestire il debito sovrano e gli effetti delle crisi senza cadere nelle mani degli strozzini della finanza privata. Certamente i costi dell’uscita dall’euro non sarebbero trascurabili – benché non tragici, come ventilato dalla propaganda dei media di regime e come smentito dal caso della Brexit –, ma ben peggiori sono i costi della permanenza in termini di democrazia, sovranità popolare, povertà e disuguaglianza sociale. >>

CARLO FORMENTI

(continua)

8 commenti:

  1. Dice Alessandro Gilioli, a proposito del sovranismo, che
    << gli stati nazionali sono al tramonto, anzi sono solo dei morti che camminano.
    Uccisi dalla realtà, dalle cose, più che dalla politica: dalle tecnologie, dall'economia, dall'interazione ormai totale tra tutti e tutti (pensate solo al tema dell'ambiente!).
    Uccisi, semplicemente, dai viaggi, dal fatto che ci incontriamo tra cittadini di diversi paesi assai più che in passato, che studiamo all'estero, che abbiamo il mondo intero nel nostro device digitale. (...)
    Questa violenta reazione nazionalista è un rabbioso colpo di coda di un'identità - quella nazionale - che non ha più senso nelle cose. >>

    Può darsi che Gilioli abbia ragione (anche se spero di no), però si dimentica di un dettaglio, per nulla trascurabile.
    E cioè che con la morte degli stati nazionali morirà anche la democrazia sostanziale, perchè le dimensioni sovranazionali sono troppo ampie per questo sistema di governo.
    Che verrà sostituito da una vacua democrazia elettorale, in cui ci faranno votare di tanto in tanto, mentre altri (non eletti) decideranno le cose da fare (come attualmente in Europa).

    Ma a me tutto questo non piace.

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  2. Caro Lumen,

    non ho ancora letto l'articolo (ho cominciato dal tuo commento o aggiunta). Direi che qualcosa di vero c'è in quel che dice Giannuli. Vi ho accennato anch'io recentemente (al fatto che la crescente interdipendenza economica rende i confini sempre più labili finendo probabilmente per renderli obsoleti in un futuro nemmeno lontano).
    Niente confini, niente Stati superarmati, niente atomiche e guerre distruttive. Solo scambi, benessero diffuso, anzi la cornucopia universale. Sarà, chissà. Ma per intanto gli Stati nazionali hanno ancora una funzione a mio parere. E importante. Basta solo immaginare cosa significherebbe spalancare le frontiere, cancellarle.
    Cosa dicono gli antisovranisti? La terra e le sue risorse sono di tutti, è "solo" una questione di organizzazione e distribuzione. In fondo, in questa logica, anche l'individuo è superato. Lui si crede sovrano e "proprietario" (di una terra, un territorio, una casa). Povero illuso. L'Italia non è degli Italiani, secondo la filosofa Donatella de Cesare: volere impedire a qualcuno di trasferirsi e stabilirsi in Italia è "illegittimo" (anche se attualmente ancora legale). Illegittimo significa immorale. Qui siamo alla follia pura.
    Quale sarebbe l'alternativa agli Stati nazionali? Forse le macroregioni economiche? Costituirebbero anche queste delle individualità che si opporrebbero ad altre entità e difenderebbero i propri interessi.

    Comunque è vero che l'esplosione demografica sta rivoluzionando le nostre vite. L'interconnessione globale modifica il nostro modo di pensare e di agire. Quasi impossibile ormai raccapezzarsi. Cosa leggere ancora se "tutti" scrivono e pubblicano? Probabimente un mare di chiacchiere inutili. Vero è che già Leopardi osservava che "ormai sono più gli scrittori che i lettori". Ma siamo passati dal miliardio circa di abitanti dei suoi tempi agli attuali quasi otto miliardi.
    E a un certo punto la quantità crea una nuova realtà.

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    1. << Quale sarebbe l'alternativa agli Stati nazionali? Forse le macroregioni economiche? >>

      E' probabile, in fondo la geografia non l'ha ancora abolita nessuno.
      Ma - in tal caso - il problema dei confini non sarebbe superato, ma solo spostato.
      E quindi saremmo da capo.

      D'altra parte, è la stessa biologia, con il concetto di cellula, che insegna che senza confini non ci puà essere organizzazione e quindi vita (biologica o sociale).
      E quando si va contro alle leggi fondamentali della natura ci si fa sempre molto male.

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  3. Le tesi di Formenti mostrano chiaramente (casomai ce ne fosse stato bisogno) che il Nazionalismo di Sinistra NON è meno dogmatico, irrazionale (anti-illuminista) e pericoloso di quello di Destra, e anzi in accordo con il principio cusaniano della 'coincidentia oppositorum' finisce per costituire l'altra faccia della medesima medaglia (o patacca)... Saluti

    PS: So bene che questo commento va contro lo straripante "spirito del tempo" e quindi è destinato alla demonizzazione, ma (dopo breve ma attenta riflessione) per un minimo di onestà intellettuale non posso fare a meno di inviarlo

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    1. Tranquillo, Claude, nessuna demonizzazione per le tue idee, almeno qui nel mio blog (e ci mancherebbe !).

      Però giro anche a te la domanda che mi facevo sopra: tu ti senti davvero tranquillo circa il mantenimento di una vera democrazia sostanziale, anche nel caso di un governo sempre più globale ed allargato ?
      Perchè in fondo è questo il mio vero timore.

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    2. Egregio L.,
      premesso che una vera democrazia sostanziale mi sembra molto spesso pesantemente rischio anche nei beneamati Stati nazionali (non credo siano necessari riferimenti espliciti...), ricordo sommessamente che due principi teorico-pratici quali Federalismo e Sussidiarietà potrebbero garantire una feconda coesistenza di quella molteplice "gerarchia" di livelli decisionali politico-amministrativi in grado di contemperare nella maniera più armonica e ragionevole possibile la dimensione locale-regionale, quella nazionale e quella continentale, nel complesso mondo contemporaneo egualmente importanti e cmq. abbastanza strettamente e inevitabilmente interconnesse.
      Attualmente noto invece (in Italia e non solo) i preoccupanti segnali di una rinnovata 'assolutizzazione' della dimensione sette-ottocentesca Stato-nazionalista e protezionista, romanticamente idolatrata come un clone "laico" del Dio delle Religioni monoteiste (cfr. il Leviathan di Hobbes) e a totale detrimento delle altre due, con le pesanti conseguenze socio-economiche e ambientali facilmente immaginabili (ad es. rispetto al problema della gestione dei flussi migratori afro-asiatici)... Saluti

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  4. Caro Lumen,

    ho letto anche la terza puntata, persino con molto interesse, condividendo molte cose (anche se non ho capito tutto). Ovviamente non sono, non posso essere d'accordo su tutto (per es. sul fatto che "solo lo Stato può garantire la «piena occupazione»"), però nel complesso le tesi di Formenti mi confortano. E mi ritrovo dunque, secondo Diaz e il filosofo, tra i nazionalisti-fascisti-reazionari-ottocenteschi e in ultima analisi imbecilli. Come sai io sono un ex sessantottino, sono sempre stato di sinistra, poi sono passato al verde per la questione ecologica e demografica - che alla sinistra ufficiale non interessava considerandola addirittura borghese e reazionaria (ora, buon ultimi come la Chiesa, si scoprono anche loro ecologi - ma di demografia manco a parlarne). Poi mi sono reso conto, un po' tardi lo ammetto (non so se sono tra i mai cresciuti o gli idioti assistiti) dell'assurdità dell'utopia comunista o socialista e oggi mi considero, come un po' tutti (compresi gli ex comunisti) liberale (parola abusatissima ormai). Il mio chiodo fisso resta la demografia ovvero l'esplosione demografica che quasi tutti continuano a negare (anche non parlandone), mentre per Sartori (e si parva licet per il sottoscritto) è il problema dei problemi, il problema che sta alla base di tutti gli altri - e che ormai dobbiamo ahimè considerare insolubile.
    Ma, tanto per dire, perché questo passaggio nel testo di Formenti non merita un'attenta disamina sine ira et studio, senza passare subito agli insulti e alle condanne:

    "Solo gli Stati sovrani possono negare agli strozzini della finanza globale il pagamento dei debiti imposti da Fmi, Banca mondiale, Bce e consimili istituzioni sovranazionali, prive di legittimazione democratica. ‘De-linking’ non significa autarchia: vuol dire ridurre al minimo indispensabile le importazioni, massimizzare e ottimizzare l’uso delle risorse locali, conquistare la sovranità alimentare; vuol dire accentrare il surplus economico nelle mani dello Stato e ridistribuirlo in funzione dei bisogni settoriali di crescita, promuovendo la piena occupazione e la difesa degli interessi delle classi subalterne; vuol dire sfruttare i confini nazionali e la sovranità monetaria per regolare i flussi commerciali e di capitale."

    Interdipendenza economica non solo inevitabile bensì anche auspicabile (niente autarchia), ma conservando almeno un minimo di sovranità individuale e nazionale. Io non mi dico nazionalista, ormai un insulto, ma non capisco questa luciferina avversione verso lo Stato, considerato un ferrovecchio, anzi peggio. Anche gli Stati Uniti d'Europa (con un esercito proprio, non più dipendente da Nato e USA) formerebbero una entità, una individualità che si opporrà o almeno si differenzierà da altre.
    Non escluderei in un lontano (o forse non così lontano) futuro un governo mondiale (UNA SOLA TERRA, UNA SOLA UMANITA'), ma non siamo ancora a quel punto (che poi non so se sarà il paradiso, la pace e la fratellanza universali).

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  5. Caro Sergio, quello della demografia non è solo un chiodo fisso (tuo, mio e di chiunque altro abbia un minimo di raziocinio) ma è proprio il problema dei problemi.
    Quello che sta 'a monte' di tutte le altre difficoltà che ci tormentano oggi, e senza la cui soluzione PREVENTIVA tutti gli altri rimedi risultano vani.
    Ma pare che non si riesca a combinare nulla.
    E per questo, come ben sai, io do la colpa non tanto alle varie ideologie e religioni che girano per il mondo, ma alla nostra dipendenza ancestrale dal gene egoista.

    Quanto al pezzo di Formenti, avrai notato come, da buon marxista, ogni volta che cerca la soluzione ad un problema la trova nell'intervento dello Stato, visto come un deus ex machina quasi perfetto, che di tutto di occupa e tutto risolve.
    E' la solita ingenuità della sinistra.
    Marx diceva che la religione è l'oppio dei popoli, ma anche loro, con la loro trascendenza laica, non sono poi così diversi.

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