venerdì 28 giugno 2019

Tra istruzione e cultura

In un articolo su Micro-Mega, Edoardo Lombardi Vallauri sostiene che “forse la cosa più di sinistra è l'istruzione, [perché] dove la maggioranza degli elettori è abbastanza attrezzata intellettualmente e culturalmente, i pifferai non vincono le elezioni.“
A parte il fatto che i pifferai abbondano ovunque, a ‘sinistra’ come a ‘destra’, è indiscutibile che l’istruzione, e quindi la scuola (nei suoi vari gradi), rappresenti uno dei problemi principali nella gestione dello Stato.
Quelle che seguono sono le riflessioni di Aldo Giannuli (tratte dal suo sito), sulla difficile “mission” della scuola moderna, sempre in bilico tra la necessità di fornire una semplice istruzione e l’opportunità di formare una vera e propria cultura. 
LUMEN


<< Nella società più recente, si è affacciata una figura socio culturale poco osservata o al massimo considerata alla stregua di una macchietta di cui ridere: il semi-acculturato che, invece, merita di essere studiato, anche perché il fenomeno tende ad estendersi. E vale la pena di prendere il discorso dall’inizio.

La scolarizzazione di massa, storicamente, ha avuto più successo sul piano dell’istruzione professionale che su quello della diffusione della cultura. Anche la formazione culturale di base è stata tradizionalmente affidata alla scuola media e, segnatamente quella superiore, mentre cessa quasi del tutto nell’Università (salvo che per quei corsi di laurea in cui professione e cultura coincidono come per la formazione degli insegnanti) e questa tendenza è andata via via accentuandosi.

Ad esempio, il corso di laurea di Legge ha via via rinunciato o molto ridimensionato insegnamenti quali Filosofia del diritto, Diritto canonico, Storia del diritto, per non dire del gruppo romanistico che, sino mezzo secolo fa, era ritenuto il fulcro formativo dell’intero corso. Il tutto a vantaggio dei “diritti” immediatamente operativi (commerciale, del lavoro, penale, amministrativo e relative specificazioni ed ibridazioni). Quindi sempre più scuola di istruzione professionale, che scuola di formazione generale.

Il risultato è stato quello di produrre operatori più o meno buoni del diritto, dell’economia, dell’ingegneria o della medicina e così via, muniti di una sommaria infarinatura culturale negli altri campi (talvolta anche contigui: quanto capiscono di economia e finanza i laureati in legge? E quanto spazio ricevono gli insegnamenti di psicologia a Medicina?).

Ovviamente ci sono precise ragioni di ordine economico che spingono in questa direzione: gli studi universitari costano tanto allo Stato quanto agli studenti, per cui è giusto contenere la durata dei corsi con materie non strettamente utili all’impiego lavorativo. Questo, però, ha avuto una serie di ricadute non sempre positive, per cui, più che giuristi, si è finito per produrre “idraulici del diritto”, al posto di economisti “ragionieri di lusso” e così via.

Probabilmente, qualche ritocco (neanche troppo insistito) tanto a livello di medie superiori quanto a livello universitario, potrebbe ottenere risultati diversi. Il problema è quello di fornire allo studente una dose sufficiente di curiosità e mezzi culturali adeguati ad una vita di costanti aggiornamenti ed approfondimenti. In fondo, che un medico legga di tanto in tanto un romanzo, che un avvocato visiti una mostra di pittura o un architetto cerchi di capire il contesto politico, economico ed anche teologico-filosofico del barocco, alla fine, può produrre anche migliori risultati in clinica, in tribunale e nel recupero di una piazza.

E, per la verità, non mancano (anche se sono troppo pochi) avvocati, medici ed architetti che dedicano qualche pezzo del proprio tempo ad attività di questo genere. Il guaio è che questo avviene molto a casaccio, senza alcuna “struttura di insieme” che organizzi le acquisizioni culturali man mano realizzate e su tutto si abbatte il bombardamento mediatico (di giornali, radio, Tv, cinema e, più di recente, il web) che dà vita ad un costante rumore di fondo, magari “rimbalzato” dalle conversazioni che un po’ nutre e di più confonde.

E tutto questo ha una crescita esponenziale per la crescita tumultuosa dell’offerta culturale sempre più diversificata, ma spezzettata. Ottant’anni fa, il bagaglio di conoscenze letterarie di una persona di media cultura includeva necessariamente i grandi classici della letteratura italiana (Dante, Petrarca, Leopardi, Manzoni, ecc.), qualche rudimento di letteratura Latina (almeno Virgilio), e greca (soprattutto per quelli che avevano fatto il classico) e poi - non era obbligatorio, ma non guastava - la conoscenza di qualche testo francese (ad esempio Balzac), russo (ad es. Tolstoj) o inglese (Shakespeare).

Già fra gli anni cinquanta ed i sessanta, questo sarebbe stato ritenuto un bagaglio meramente scolastico, al di sotto di uno standard medio e autori come Pirandello, Pavese, Calvino, Gadda, Ibsen, Kafka, Lorca, Proust, Joice, Mann o Sartre o classici di altre letterature come Shakespeare iniziavano ad affacciarsi fra quanti non potevano essere ignorati. Fra i settanta e i novanta si imponevano all’attenzione altri importantissimi come Sciascia, Bufalino, Morselli, Yourcenar, Saramago, Borges, Garcia Marques, Schnitzler, Roth, ecc. ecc. E non è difficile immaginare che nei prossimi anni assisteremo alla scoperta di almeno alcuni classici cinesi, indiani, egiziani ecc.

Quindi il bagaglio base si è fatto ben più pesante, ma a questo ha sopperito una offerta mediatica sempre più invadente e disordinata. E pazienza se ci sono persone che, fra una trasmissione di Rai Storia ed una conferenza di Alessandro Barbero su ‘You tube’ (prodotti culturali molto buoni in sé, ma fuori “cornice”), si convincono di essere un esperto di storia: magari si tratta di una formazione un po’ confusa, ma pur sempre basata su roba buona.

Il guaio è quando la gente si abbevera alle fonti più che inquinate di tanto web o a trasmissionacce di questa o quella rete. E qui comincia a nascere la figura del mezzo acculturato: l’orecchiante che ha sommato alla sua formazione professionale un po’ di chiacchiericcio televisivo, qualche titolo di quotidiano, mezza trasmissione radio ascoltata in auto eccetera e si convince di essere una persona acculturata.

Le stimmate sicure dell’acculturato recente e parziale sono nel linguaggio: capita sempre più spesso di sentire persone che sdottoreggiano di politica, diritto, economia o quel che vi pare, usando in modo del tutto improprio espressioni tecniche. Ora, il guaio di questa “divulgazione alle vongole” è la nascita di un robusto strato di semi-acculturati che poi votano e votano male, comprano con effetti disastrosi sul mercato culturale, parlano diffondendo idee sempre più confuse. Ed è in questo spazio che si profila il fenomeno del semi-acculturato che diventa un castigo di Dio e produce involuzione culturale.

Ovviamente la soluzione non è mettere il bavaglio ai mass media o costringere la gente a corsi scolastici di richiamo. La soluzione sta nel dare una robusta base culturale, che esige una didattica scolastica molto più adatta ai nostri tempi e dall’altro ripensare la divulgazione dandogli più spessore metodologico: fare divulgazione nel 2020 non è la stessa cosa di farla nel 1960 al tempo di “Non è mai troppo tardi”. >>

ALDO GIANNULI

6 commenti:

  1. Io non mi ritrovo più in questo mondo. Avendo frequentato la scuola negli Anni Cinquanta e Sessanta ho subito appunto l'influsso di quella scuola e di quella società. La scuola aveva il compito di formare i cittadini di domani ed era incredibilmente repressiva (che schiaffoni mi presi da don Lioy, oggi subirebbe un processo - ma poi anche don Lioy divenne umano dopo il Sessantotto). Ma era ovunque così, non solo dai salesiani. Stefan Zweig racconta le stesse esperienze vissute nell'Austria felix nel suo ancora godibilissimo "Il mondo di ieri" uscito postumo dopo il suo suicidio in Brasile. Insegnanti lontani e autoritari che umiliavano gli allievi. Cosa imparavi a scuola? Soprattutto la disciplina, l'ordine, il rispetto dell'autorità. E anch'io sono stato programmato in quel modo per diventare un cittadino normale. Eppure qualcosa di positivo ho imparato lo stesso: non rubo, non uccido, non dico il falso in nessuna circostanza (come ammoniva il teologo - finto filosofo - di Königsberg). Ma il mondo sembra davvero essere cambiato, io non mi ci ritrovo più, ho perso la strada. Non ho niente da insegnare ai giovani (figuriamoci), non so cosa si possa salvare. Niente ha più senso e ciò mi deprime. Ma ogni tanto provo ancora gioia e mi sembra che ci sia lo stesso qualcosa di prezioso da salvare, insomma ci sono ancora valori. Dire valore è dire senso (almeno per me) e allora mi sento un po' meglio. Credo di essere andato fuori tema (il tema era la scuola di domani), ai tempi andare fuori tema era il peggiore dei delitti, un quattro garantito.

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  2. " ... la Scuola in Italia serve a due scopi, dare lavoro agli insegnanti nel rapporto clientelare e nello storpiare i ragazzi per renderli conformi."

    Non solo in Italia, ovunque. È questa la ragione per cui lo Stato paga lautamente (non in Italia, è vero) insegnanti e docenti universitari per "intrattenere" il popolo. Un vero filosofo come Schopenhauer considerava con disprezzo lo "statale" Hegel (anche se aveva cercato di fargli concorrenza, ma solo per un breve periodo, anche perché non ebbe successo). Chi pensa, quel che si dice pensare, è per definizione un rivoluzionario, non può rimasticare il già pensato e detto. Abbiamo dunque un intrattenimento per i più scemi (calcio, San Remo, Grande fratello ecc.) e un intrattenimento per i meno scemi (università, "studi umanistici", concorsi per cattedre e posticini e pensioncine). Basta che sia tutto sotto controllo. La Cina ha tutta la popolazione sotto controllo grazie allo smartphone. La stessa sorte è riservata a noi, non ci scapperemo. Il potere, quello vero, deve sapere quello che pensiamo e sentiamo. Gouverner, c'est prévoir, è logico, naturale. La repubblica di Venezia assoldava un erotomane come Casanova per saperne qualcosa sui dissidenti. Oggi i mezzi per saperne di più su chiunque sono infinitamente più raffinati. Vent'anni fa scoppiò in Svizzera lo scandalo delle "fiches" (schede). Lo Stato aveva sguinzagliato spioni per raccogliere informazioni su certi soggetti e dissidenti (ci finì anche Max Frisch). Questi informatori riferivano allo Stato i comportamenti sospetti di certi personaggi. E annotavano per es. nelle schede: il tale ha bevuto ieri una birra nel tal locale. Da ridere se si pensa alle possibilità che ha oggi lo Stato o il potere di sapere tutto di noi. Dal tono di una telefonata il potere può arguire il nostro stato d'animo e fare un identikit per tenerci sotto controllo. Qualcuno dubita forse che Lumen, Lorenzo e il sottoscritto siano schedati come pericolosi eversori (almeno in potenza)?
    Claudio invece non corre questo pericoloso: è un innocuo filosofo alla Hegel, un puntello del sistema.

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  3. A proposito di scuola leggo questo in parte interessante articolo, una recensione di un libro di Galli della Loggia:
    http://www.simofin.com/simofin/index.php/cultura/18011-bndito-scuola-storia

    Non ho mai capito l'esecrazione del cosiddetto "nozionismo". Le nozioni sono elementi di base per poter pensare (io la vedo così). Oggi bando al nozionismo e via alle "competenze" - l'allievo deve essere in grado di applicare le conoscenze apprese (e cosa sono le conoscenze?). A cosa servivano il latino e il greco? Difficilmente a far soldi e difatti ora sono stati eliminati. Fra una o due generazioni non ci saranno più inutili e supponenti latinisti e grecisti: Roma addio, in compenso saremo tutti interconnessi per scambiarci messaggini e altre idiozie.
    Il mondo cambia, il mondo è cambiato. Non vorremo mica continuare a perdere tempo con l'Eneide. E anche della Commedia di quel sadico e omofobo di Dante possiamo fare a meno. Ho sentito poco tempo fa Asor Rosa raccomandare almeno la lettura dell'Odissea, della Commedia e di Guerra e Pace. Non mi è sembrato un brutto consiglio.

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  4. Asor Rosa è un ex docente universitario, un italianista. E marxista, comunista. Un romano de' Roma, residente vicino al Vaticano e con seconda casa non so più dove.
    Sostiene di essere l'unico al mondo ad aver letto "tutto Dante" (anche il De monarchia, De vulgari eloquentia ecc. ecc.). Avrà letto migliaia di libri, ne avrà consultati decine di migliaia. Ne ha scritti pure alcuni che possiedo (mannaggia a lui). Uno che voleva il colpo di stato per eliminare Berlusconi (senza scherzi, si era appellato a Napolitano per farlo fuori - e difatti l'ex comunista Napolitano gli ha fatto poi il piacere). Ma anche il signor Palindromo (Asor Rosa) è in crisi. A che cosa serve ancora la letteratura? A cosa servono tutti questi ridicoli premi letterari? All'intrattenimento, ovvio. Una volta uno Strega era uno Strega, la gente ci credeva (al valore letterario), comprava. Oggi tutti scrivono libri (a parte me, non sono dotato, non mi è mai passato p'a capa di scrivere non dico un romanzo, ma nemmeno un racconto, una poesia - invece Gaia scrive, scrive). Se tutti scrivono non ha senso leggere. Tutto non si può leggere, scegliere è difficile per non dire impossibile. Forse ti capiterà pure di leggere un capolavoro o almeno qualcosa di decente, ma sarà un caso. Abbiamo una ricchissima tradizione con autentici capolavori (per es. le Metamorfosi di Ovidio). Ma la tradizione è ormai schifata (costa anche tempo e fatica a conoscerla), meglio "Volevo i pantaloni". Tutti scrivono cose autobiografiche, ma ne leggi uno di questi libri e li hai letti tutti, non ha senso volerli leggere tutti, cosa del resto impossibile. Leggere poi può essere piacevole, ma è anche una fatica, devi isolarti, concentrarti, cercare anche di capire, non è sempre facile. Meglio una soap opera. E del resto l'Odissea non era la soap opera di quei tempi? Sia come sia, la raccomandazione di Asor Rosa - leggete almeno l'Odissea, la Divina Commedia e Guerra e Pace - mi è piaciuta. Anche il vecchio marxista ha un ... cuore.

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  5. "Ma il "magazzino di idee" di per sé rimane LETTERA MORTA fintanto che tu non lo adoperi per realizzare qualcosa CON LE MANI, cioè lo scritto ha senso solo se è funzione dell'AGIRE.

    Infatti la antica filosofia non era mera speculazione, riguardava l'esistere nel mondo fisico, serviva il FARE."

    Ma la lettura dei Promessi Sposi a scuola e poi di tanti altri bei libri dopo, magari dei capolavori, non si traduce in azione, in fare (almeno immediatamente). I tedeschi hanno una bella espressione, Herzensbildung (letteralmente la formazione del cuore, ma potremmo tradurla con educazione sentimentale). Specie i giovani, ma anche sperabilmente gli adulti, assorbono informazioni di varia natura non tutte "monetizzabili". L'utilitarismo spinto porta poi appunto all'eliminazione del latino e del greco (a che servono?). Ci si guarda intorno, si leggono libri anche per piacere, divertimento. Già il piacere è un incentivo: a riprovarlo, ad apprendere altro (quindi ha un utilità intrinseca). Moravia diceva che l'arte non ha nessun senso pratico e solo l'uomo produce arte. Non sono tanto d'accordo. Gli "artisti" di Lascaux producevano arte e senso, la loro arte aveva dunque un'utilità (persino immediata, sembra che quelle pitture fossero propiziatorie).

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  6. Mi permetto di consigliare anch'io questo post che avevo già letto. Ma ne sconsiglio vivamente la lettura ai mondialisti, europeisti, immigrazionisti, antifascisti, antirazzisti, omofili, comunisti, socialisti, sedicenti filantropi, pseudofilosofi ecc. ecc.

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