mercoledì 10 luglio 2024

Spengler e l'Occidente

Una delle opere più importanti di Oswald Spengler è il famoso saggio 'Il tramonto dell'Occidente', pubblicato poco dopo la fine della prima guerra mondiale.
Il post di oggi, scritto da Marcello Veneziani (e tratto dal suo sito personale), cerca di riesaminare il testo di Spengler a distanza di un secolo, per verificare se, e come, le sue previsioni si sono avverate.
LUMEN


<< La denuncia del declino dell’Occidente che si annuncia ormai da cent’anni, nacque da un’opera dal titolo grandioso e bugiardo, 'Tramonto dell’Occidente'.

Grandioso non solo per il successo che ebbe, né solo per il tempismo con cui venne alla luce, dopo la prima guerra mondiale; ma per la visione del mondo, l’impianto storico e drammaturgico, le analogie e i raffronti, la vasta morfologia delle civiltà che disegnò il suo autore, Oswald Spengler.

Ma fu titolo bugiardo perché l’Occidente dopo la prima guerra mondiale non tramontò; tramontò l’Europa come ombelico del mondo, tramontarono gli imperi centrali, ma non tramontò l’Occidente.

Anzi da allora prese corpo quel che fu poi definito il Secolo Americano, consacrato da due guerre e da una pervasiva colonizzazione culturale e commerciale, prima che militare, del pianeta. Il Novecento è stato il secolo dell’occidentalizzazione del mondo, che poi coincide con l’americanizzazione del globo.

Con la fine del Novecento, la globalizzazione prese il posto dell’occidentalizzazione. Oggi si ha la percezione che la globalizzazione stia andando in frantumi: ovvero prosegue sul piano della tecnologia, s’incrina sul piano del mercato tra economie in conflitto, e arretra sul piano politico-militare in una guerra fredda multipolare, tra varie potenze e più varie impotenze.

Era il 1914 quando Oswald Spengler concluse il 'Tramonto dell'Occidente'; poi quel titolo divenne l’epigrafe del dopoguerra e il sottofondo del kultur pessimismus o pensiero della crisi. L’opera vide la luce sul finire della prima guerra mondiale e fu un trionfo di vendite e commenti. Uscì in ritardo per via della guerra, e questo permise a Spengler di ritoccare il testo.

Per l’avvenire Spengler prevedeva lo scontro finale tra la dittatura del denaro, della tecnica e della finanza e la civiltà del sangue, del lavoro e del socialismo. Alla fine, vaticinava, la spada trionferà sul denaro perché una potenza può essere rovesciata solo da una potenza.

La profezia fu azzeccata nel breve periodo: di lì a poco andarono al potere comunismo, fascismo e nazionalsocialismo. Spengler aveva visto lontano; ma non lontanissimo. La rivolta del sangue contro l’oro, del lavoro contro il capitale, fu spazzata via in Occidente da guerre, tragedie e fallimenti.

Dopo il conflitto tra politica ed economia, il denaro restò a dominare incontrastato. Ma dietro il denaro, notava Spengler, è la tecnica che prima serve l’uomo faustiano ma poi lo assoggetta. Il dominio della tecnica, previde Spengler, “detronizzerà pure Dio”.

All’uomo e la tecnica Spengler dedicò un penetrante saggio, parallelo e divergente rispetto all’Operaio di Ernst Junger che vide la luce poco dopo, e alle riflessioni sulla tecnica di Heidegger.

Fu profetico Spengler quando intuì un conflitto finale tra il sistema finanziario dittatoriale e il cesarismo della volontà politica, ma non nascose l’ammirazione per il cesarismo tecnico-finanziario e i suoi militi: ingegneri, inventori, imprenditori, finanzieri.

A suo dire i filosofi sono misera cosa rispetto ai manager e ai signori della finanza; “ogni riga che non è stata scritta per servire all’azione mi pare superflua”. Si spinse a dire che preferiva “un acquedotto romano a tutti i templi e le statue di Roma”.

La storia per Spengler è una costellazione di mondi conclusi chiamati civiltà, ciascuna obbedisce al suo sistema di valori e al suo fato, in un determinismo ferreo; ma ciascun sistema è poi relativo rispetto agli altri e ai tempi; e ha una parabola: l’alba, l’apice e il tramonto.

Una civiltà è assoluta al suo interno, ma non è eterna. Così il senso del destino si capovolge nel suo inverso, in relativismo storico e in darwinismo sociale, l’etica della fedeltà si rovescia in titanismo, il vitalismo anti-razionalistico si fa puro attivismo, il cesarismo separato dal sacro impero si fa solo volontà di potenza.

Come per i marxisti, anche per Spengler la teoria è al servizio della prassi, il pensiero è al servizio della storia. La comune matrice è nel Faust di Goethe: In principio fu l’azione. In Marx prende corpo il soggettivismo rivoluzionario nel nome di Prometeo, in Spengler il soggettivismo eroico nel nome di Faust e della sua civiltà.

Ma quando la rivolta del sangue contro l’oro prese corpo in Germania col nazionalsocialismo Spengler prese le distanze da Hitler e dal suo partito: “Volevamo liberarci dei partiti ma è rimasto il peggiore”. Il razzismo per lui è “un’ideologia del risentimento verso la superiorità ebraica” e denota “povertà spirituale”, stroncò l’opera di Rosenberg. Si perse il seguito perché morì nel ’36. (…)

Spengler ricordava ai suoi critici che Tramonto non significava apocalissi ma compimento: l’Occidente tramonta compiendosi, nella braccia della globalizzazione. Egli concluse la sua opera nel segno del fatalismo eroico (ducunt fata volentem, nolentem trahunt, sono le parole conclusive del Tramonto). (…)

Spengler fu un pensatore tragico e al pessimismo dedicò un intenso saggio; un pessimismo storico preludio al fatalismo eroico. Spengler era pessimista nell’indole prima che nel pensiero.

Dietro la durezza prussiana e l’elogio dell’acciaio batteva un cuore delicato, incline alle lacrime, di salute cagionevole, come rivela il suo scritto autobiografico 'A me stesso'. Spengler fu un solitario melanconico. Restò il profeta della decadenza dell’Occidente, cantò la gloria dei tramonti e l’onore delle sconfitte. >>

MARCELLO VENEZIANI

18 commenti:

  1. Non conosco questa famosa opera di Spengler, non ho mai sentito il bisogno di leggerla, anche se è sicuramente suggestiva e posso immagirnarmi perché ebbe tanto successo (fu pubblicata al momento giusto).
    Può forse interessare il parere di un altro filosofo che l'opera la lesse e non ne fu soggiogato. Ortega y Gasset scrisse persino un prologo a un'edizione del libro nel 1923. Altrove parla di un "libro straordinario", ma se non ricordo male con qualche riserva. Ortega era una persona coi piedi per terra, di forte tempra morale, a cui non poteva piacere il pessimismo, l'«apocaliptismo» di Spengler.
    Andrò a rileggermi i giudizi di Ortega s8u Spenger nelle sue opere e se del caso riferirò.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Allora, attendiamo fiduciosi.

      Elimina
    2. Ho riletto tutti i passaggi in cui Ortega cita Spengler, sono tanti, ma non mi sono sembrati degni di nota. Ortega loda Spengler, ma lo critica pure, scrive persino:
      "Se l'opera di Spengler fosse veramente seria, ciò che non è ..." Sostiene Ortega che le idee di Spengler non erano nemmeno originali, le riprese da altri o erano idee correnti all'epoca. Il merito di Spengler fu di aver ordinato quelle idee, di aver dato loro una forma adeguata.

      Elimina
    3. E' rarissimo che qualcuno esponga idee del tutto originali, perchè tutti sono, in qualche modo, figli del loro tempo e delle idee che circolano nella società.
      Lo stesso Darwin - per fare un esempio a me caro - ebbe sicuramente una idea geniale, con l'evoluzionismo, ma raccolse anche parecchi spunti che si erano già manifestati.

      Quindi, il fatto di aver dato sistematicità e forma adeguata ad ideee non originali, può rientrare sicuramente tra i meriti di Spengler.
      Ed il grande dibattito politico-culturale che è seguto alla sua opera nè è la prova migliore.

      Elimina
  2. Il malaticcio ed insicuro Spengler, afflitto da crisi depressive, ebbe il merito di prevedere, all'ingrosso, il futuro del quadrante occidentale. Rimediava alla congenita ottusità teutonica leggendo autori francesi ed ascoltando buona musica. Buon per lui che spirò qualche anno prima del secondo conflitto mondiale, ché altrimenti avrebbe fatto una brutta fine a cagione della sua presa di distanza dal Terzo Reich.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. << ebbe il merito di prevedere, all'ingrosso, il futuro del quadrante occidentale. >>

      Il che mi pare un merito non da poco, in un epoca in cui tutti davano per scontate "le maglifiche sorti e progressive" di Leopardiana memoria.

      Elimina
  3. Non era un religioso, non era un Askenhazi, ne' di sinistra,non se lo filava, non se lo fila più nessuno, o quasi. Non dimentichiamoci che il pensiero di Mao accellerava la bollitura del riso.....

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Scusa, ma quella di Mao che faceva bollire il riso me la devi spiegare meglio.

      Elimina
  4. Fine anni 60, rivoluzione culturale in Cina. Le guardie rosse giravano per il paese agitando il famoso libretto coi pensieri di Mao, tipo contadini ad insegnare nelle università, insegnanti a raccattare broccoli in campagna. Fra le varie lepidezze del libercolo pure quella del riso, ovvero connettendosi allo spirito guida. Il dio
    incarnato Mao Zedong, pure l'acqua per bollire il riso avrebbe raggiunto prima i 100 gradi.

    In realtà fu un progrom komunista e parecchie milionate di cinesi di ogni ceto finirono accoppati...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E' il solito vecchio trucco di divinizzare il capo per rendere più indiscutibili le sue decisioni.
      Una volta, nell'antichità, era la regola (dai Faraoni agli Imperatori romani, ecc.).
      Poi, per fortuna, le cose sono cambiate e funzionava soltanto in alcuni casi (a occhio, direi nelle società meno istruite).

      Elimina
  5. Fare filosofia della storia è notoriamente impresa ardua e tendenzialmente votata al fallimento; nel suo impegnativo librone S. (con tutti i suoi limiti, a cominciare da schematismi un po' troppo rigidi) quantomeno ci ha provato. Da una diversa prospettiva culturale recentemente anche M.Cacciari ha riflettuto a lungo su tematiche similari.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ed a quali conclusioni è giunto Cacciari ?
      Immagino che siano diverse da quelle di Spengler, anche solo per il lungo tempo trascorso (quasi un secolo).
      Puoi dirci qualcosa di più al riguardo ?

      Elimina
    2. In sintesi: C. sostiene che l'Occidente e in particolare l'Europa siano da parecchio tempo avviati al tramonto ma con la fondamentale precisazione che quest'ultimo concetto/processo non va inteso come definitivo e totale bensì come parziale, provvisorio e costantemente in qualche modo destinato a capovolgersi nel suo opposto (come accade al tramonto del Sole). C. ha inoltre opportunamente ricordato che il dibattito sul tramonto dell'O. ha impegnato (naturalmente con diversi accenti) non solo S. ma altri importanti esponenti della cultura euro-occidentale contemporanea: ad es. Husserl, maestro di Heidegger poi "tradito" dall'illustre allievo. Notoriamente le riflessioni di C. risultano molto spesso discutibili e infatti vengono costantemente discusse, ma non se ne può disconoscere quantomeno un rilevante fascino intellettuale. Saluti

      Elimina
    3. Interessante.
      Quindi, se ben ho compreso, sarebbe in atto un tramonto temporaneo, in attesa di una nuova alba.
      Mi sembra una cosa possibile.
      Tutto sta a vedere in quali tempi (la storia a volte accelera, a volte rallenta).

      Elimina
  6. Vale la pena di aggiungere che la tesi di C. comprende una definizione "aperta" e "plastica" di Europa/Occidente che ne accentua il carattere metamorfico sebbene pur sempre fedele a determinate caratteristiche di fondo: quelle che hanno storicamente distinto l'O. dal resto del mondo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Giusto anche questo.
      Il problema ovviamente non è etnico, ma culturale.
      Anche il Giappone, oggi, può essere considerato 'occidente'.

      Elimina
  7. Caro Lumen,
    una domanda forse indiscreta (o maliziosa): ma tu il "capolavoro" di Spengler l'hai letto? Scommetto di no, ma non ha grande importanza, forse basta conoscere bene il contenuto (via Wikipedia ...).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. No, non l'ho mai letto.
      Però l'argomento è interessante (e di grande attualità), per cui quando ho trovato l'articolo di Veneziani, che dà del libro e del suo autore un'idea chiara ed esplicativa, ho deciso di farne un post.
      Pensando che magari poteva uscirne una bella discussione (cosa che mi pare sia avvenuta).

      Purtroppo i saggi famosi ed interessanti sono tantissimi ed il tempo è quello che è.
      Il web aiuta anche a riempire queste lacune.

      Elimina