domenica 31 dicembre 2023

Appunti di Ecologia

Questo post riporta alcune considerazioni sullo stato attuale del nostro pianeta. Il cui sistema ambientale non se la sta passando molto bene, anche perché le (modeste) decisioni che vengono prese nei vari consessi internazionali, rimangono spesso lettera morta.
Speriamo che il pensiero ecologico 'a lungo termine' possa finalmente prevalere su quello economico, 'a breve termine'.
LUMEN


SMANTELLARE IL NUCLEARE
La necessità di gestire le scorie e di smantellare le centrali fuori servizio (de-commissioning) rappresentano fardelli non da poco per i nuclearisti di vecchia data, anche perché in passato si è nutrita troppa fiducia sugli sviluppi tecnologici che consentissero di arginare tali criticità.
Per farsi un’idea della portata del problema, si pensi che la Sogin nel 2022 dovrebbe aver completato il de-commissioning dei reattori italiani [solo] al 45 %, malgrado la nostra esperienza nucleare sia terminata nel 1987 e riguardasse solo quattro unità.
Oppure si consideri il caso britannico, dove il costo per lo smantellamento di 14 reattori di vecchia generazione è stimato in 23,5 miliardi di sterline).
Secondo l'AIEA, l’unica centrale atomica commerciale ‘de-commissioning completed’ è quella tedesca di Kahl, che impiegava una piccola unità sperimentale da 15 MW ed è rimasta attiva solo quindici anni.
Per ovviare a tutte queste incognite, la strategia universalmente adottata in Occidente è consistita nel prolungare la vita operativa dei reattori esistenti dai 35-40 anni previsti a 60 o addirittura 80, operazione però che richiede aggiornamenti tecnici continui. (…) 
[E] la manutenzione delle vecchie unità si è rivelata più lunga e complessa del previsto.
IGOR GIUSSANI


AMBIENTE E POPOLAZIONE
Limitare il numero degli esseri umani deve far parte dell'impegno [ecologico].
Eppure gli ambientalisti raramente lo riconoscono, o perché pensano che la crescita della popolazione non sia più un problema, o perché pensano che il problema si risolverà da solo. Nessuno dei due è vero.
Le dimensioni eccessive delle famiglie mandano decine di milioni di bambini a letto affamati ogni notte nei paesi in via di sviluppo, dove la rapida crescita della popolazione mette a dura prova le scarse risorse idriche, alimentari e spaziali oltre i limiti di sicurezza.
Nel frattempo la continua crescita della popolazione porta alla deforestazione, al deterioramento delle barriere coralline e alla pavimentazione di terreni agricoli e zone umide.
In tutto il mondo, la maggior parte delle popolazioni nazionali continua a crescere e le Nazioni Unite prevedono un massiccio aumento di 3 miliardi di persone in più entro il 2100.
LEON KOLANKIEWICZ


ANDARE IN BICICLETTA
Un ciclista è un disastro per l'economia del Paese: non compra auto e non chiede prestiti per comprarle. Non paga l'assicurazione. Non compra carburante e non paga la manutenzione e le riparazioni. Non usa parcheggi a pagamento Non causa incidenti gravi. Non ha bisogno di autostrade a più corsie... e non ingrassa.
Le persone sane non sono né necessarie né utili all'economia. Non comprano farmaci. Non vanno in ospedale o dal medico. Non aggiungono nulla al PIL (prodotto interno lordo) del Paese.
Al contrario, ogni nuovo fast food crea almeno 30 posti di lavoro: 10 cardiologi, 10 dentisti, 10 dietologi e nutrizionisti, e naturalmente le persone che lavorano nel ristorante stesso.
Scegliete con saggezza: ciclista o fast food? Vale la pena di riflettere.
NATURA MIRABILIS


VISIONE RISTRETTA
La maggior parte del dibattito su energia e ambiente riguarda il cambiamento climatico e la ricerca di modi per sostituire i combustibili fossili con forme di energia a basso contenuto di carbonio.
Questa è una visione 'ristretta' della difficile situazione umana. (…) È necessaria una prospettiva più ampia che includa energia, economia, popolazione, ecologia e comportamento umano.
Il cambiamento climatico non è il problema più grande che il mondo deve affrontare. È un sintomo del problema molto più ampio dell'overshoot [superamento dei limiti].
Ciò significa che gli esseri umani utilizzano le risorse naturali e inquinano a ritmi superiori alla capacità del pianeta di riprendersi. La causa principale dell’overshoot è la straordinaria crescita della popolazione umana resa possibile dall’energia fossile.
Il superamento dei limiti è più difficile da contestare rispetto al cambiamento climatico: la distruzione delle foreste pluviali, il declino della popolazione di altre specie, l’inquinamento della terra, dei fiumi e dei mari, l’acidificazione degli oceani e la perdita della pesca e delle barriere coralline.
Questi non fanno parte di alcun processo naturale e l’attività umana ne è chiaramente responsabile.
La tecnologia, sfortunatamente, non è più una soluzione al cambiamento climatico, al superamento dei limiti o alla situazione umana in cui era la causa principale della prosperità umana. (…)
È improbabile che le emissioni di carbonio e il superamento dei limiti planetari diminuiscano finché il consumo di energia, il PIL mondiale e la popolazione continueranno ad aumentare.
L’interrelazione di questi fattori con il degrado dell’ecosistema terrestre significa che non esistono soluzioni senza un cambiamento strutturale di tutti questi fattori come punto di partenza. Ciò implica che è necessario un cambiamento di paradigma di civiltà.
ART BERMAN

sabato 23 dicembre 2023

Mussolini e il carbone

Dopo aver parlato del Fascismo sotto il profilo socio-economico e mistico-religioso, dedico questo post ai problemi energetici dell'Italia dell'epoca, visto che, al di là degli ovvi aspetti ideologici, anche Mussolini, come qualsiasi altro capo di Stato, doveva preoccuparsi di far marciare la Nazione.
Ce li racconta Ugo Bardi in questo pezzo di argomento 'storico' tratto dal suo blog personale.
LUMEN


<< Il Fascismo può essere visto come un tentativo di adattare l’economia italiana a una situazione di carenza di risorse energetiche che cominciò a manifestarsi negli anni 1920, con l’arrivo del “picco del carbone” in Inghilterra – il principale fornitore di carbone per l’Italia.

Mussolini, come pure gli intellettuali italiani del tempo, non riuscirono mai veramente a rendersi conto dei limiti produttivi del carbone e del suo valore strategico. Il risultato fu una storica sconfitta per l’Italia, dalla quale lo stato italiano non si è mai veramente ripreso. (…)

Con la fine della Prima Guerra Mondiale, nel 1918, nessuno si accorse di un evento epocale che avrebbe cambiato tutta la storia dell’Europa, incluso i rapporti fra Italia e Gran Bretagna: il picco del carbone.

Il carbone è un combustibile fossile: esiste in quantità limitata. Ed è soggetto a una legge economica ben nota: quella dei “ritorni decrescenti”, generata dall’esaurimento graduale. Se ne era già accorto Jevons nel 1866, ma nessuno gli aveva dato retta. Ma la combinazione di geologia e economia genera dei cicli economici inevitabili di crescita e declino.

Nel 1913, la Gran Bretagna aveva raggiunto il suo massimo produttivo (il “picco del carbone”) e, da allora, cominciava un declino che si sarebbe concluso solo verso la fine del ventesimo secolo, con l’azzeramento della produzione. Nessuno allora come oggi, riusciva a capire il ruolo dell’esaurimento e il calo produttivo in Inghilterra veniva invece attribuito agli scioperi. In Italia, invece, si tendeva ad attribuirlo alla cattiveria dei perfidi albionici in Italia. (...)

Quando Mussolini prese prese il potere nel 1922 si trovò davanti una situazione relativamente favorevole. Nonostante il declino della produzione, il carbone inglese arrivava ancora in Italia ed era possibile soddisfare la domanda, anche con l’apporto addizionale di carbone tedesco. Questo portò ad alcuni anni di condizioni economiche relativamente buone con una crescita del PIL per persona in Italia moderata, ma significativa.

Il problema cominciò a presentarsi con la grande depressione del 1929, accompagnata, e forse causata, dal declino della produzione di carbone inglese. Mussolini era un tipico politico: non ragionava in termini quantitativi. Né lui, ne gli intellettuali italiani dell’epoca riuscirono a capire che gli alti costi del carbone inglese non erano un tentativo da parte della Gran Bretagna (la “perfida Albione”) di danneggiare l’economia italiana.

A partire dal 1934, circa, questa situazione portò a una virata radicale dell’orientamento geopolitico Italiano, ovvero ad allontanarsi dall’alleanza con l’Inghilterra per stabilire rapporti sempre più stretti con la Germania, vista come un fornitore di carbone più affidabile. Questo portò ad allinearsi con la Germania in materie come l’antisemitismo e la persecuzione degli Ebrei, come pure ad avventure spericolate e disastrose, come l’invasione del’’Etiopia nel 1935.

Basta qualche numero per rendersi conto di come il governo Italiano avesse pesantemente sbagliato i calcoli.

Al massimo produttivo, nel 1913, le miniere inglesi arrivarono a produrre quasi 300 milioni di tonnellate di carbone in un anno. Ancora verso la metà degli anni 1930, ne producevano oltre 200 milioni. Di questi, circa 20 milioni erano esportate in tutto il mondo e, almeno un terzo delle esportazioni si dirigevano verso l’Italia. Con l’aggiunta del carbone tedesco, l’economia Italiana consumava circa 10 milioni di tonnellate di carbone all’anno.

Se ragioniamo che l’economia industriale era proporzionale ai consumi energetici (allora come lo è oggi) ne consegue che la produzione industriale Britannica era venti volte quella Italiana in termini di quei prodotti che servono a combattere una guerra – cannoni, carri armati, navi da guerra, eccetera.

La sproporzione era così evidente che non si riesce a capire come sia stato possibile anche solo prendere in considerazione l’idea di combattere la Gran Bretagna su un piano di parità. Ma fu il risultato dell’incapacità dei politici, e dell’intera società che rappresentavano, di ragionare in termini quantitativi.

Mussolini era un politico “puro” non era grado di ragionare sulla base dei dati. Per lui, le miniere del Sulcis in Sardegna erano una risposta sufficiente alle miniere del Sussex in Inghilterra. Non si rendeva conto che erano delle miniere giocattolo in confronto. Certo, Mussolini contava sulla Germania per fornire il carbone che la Gran Bretagna non poteva più fornire. Ma era semplicemente cambiare fornitore e la sproporzione delle forze in campo rimaneva spaventosa.

Tolstoj diceva che i re e gli imperatori sono gli “schiavi della storia”. Mussolini lo fu certamente. Dagli anni 1930 in poi, lo vediamo dibattersi fra una situazione impossibile e un’altra, ogni volta prendendo la decisione sbagliata, creando più problemi di quelli che risolveva. (...)

Poteva la storia essere diversa? Ci potremmo domandare cosa sarebbe successo se Mussolini avesse preso delle decisioni diverse. Ancora nel 1934, Margherita Sarfatti, ex-amante del Duce, proponeva al presidente USA Roosevelt un’alleanza con l’Italia che, pare, Roosevelt vedeva favorevolmente. Sarebbe stato possibile?

Forse si, ed è da notare che già negli anni 1920, gli USA producevano tre volte più carbone dell’Inghilterra e avrebbero probabilmente potuto rifornire l’Italia, se necessario. Sembra che Mussolini prese la decisione di allearsi con la Germania più che altro sotto l’effetto della personalità dominante di Adolf Hitler. Un caso dove la decisione sbagliata di una singola persona cambiò i destini del mondo intero.

Ma la situazione italiana era di debolezza oggettiva per ragioni geografiche. Comunque fosse andata, l’Italia sarebbe diventata un paese subalterno di paesi più forti, economicamente e militarmente. >>

UGO BARDI

sabato 16 dicembre 2023

Pensierini – LXV

IMMIGRAZIONE ED ELITES
Quello dell’immigrazione incontrollata è uno dei temi più drammatici che sta vivendo oggi la civiltà occidentale (oltre, ovviamente, al degrado ambientale).
Io credo che il problema sia strettamente legato al cambiamento strutturale delle elites (soprattutto europee), che da elites nazionali sono diventate elites sovra-nazionali, con la conseguenza che gli interessi che esse perseguono non sono più nazionali, come prima, ma internazionali.
Pertanto, non si verifica più quella (casuale) coincidenza di interessi, in cui alcune iniziative delle elites finivano per contribuire anche al benessere delle relative popolazioni.
Quindi, se oggi l’immigrazione viene gestita in questo modo assolutamente aberrante, cosa chiaramente voluta, è solo perchè le elites ne hanno tutti i vantaggi economici, mentre gli svantaggi sociali (gravissimi) ricadono sulla popolazione comune, della quale alle elites non importa assolutamente nulla.
LUMEN


PERCENTUALI
A coloro che si lamentano che nessuna nazione cristiana sta realizzando il vero "spirito cristiano", i vertici religiosi rispondo che questo non è vero.
<< Nella Chiesa Cattolica - affermano - composta da circa 1,4 miliardi di fedeli, esistono decine di milioni di persone che danno la vita stessa per aiutare le persone bisognose nelle missioni nei Paesi poveri, nelle carceri, negli ospedali, nelle strade; un esercito di anime buone che realizzano il vero spirito evangelico. >>
Ora, è abbastanza ovvio che tra le moltitudini dei cristiani nel mondo ci siano delle brave persone. Ma le brave persone ci sono in tutte le religioni ed in tutti i gruppi umani.
Il cristianesimo sarebbe speciale solo se potesse dimostrare che, tra i suoi fedeli, i 'buoni' sono in percentuale superiore alla media ed i 'cattivi' in percentuale inferiore.
Ovviamente non esistono statistiche di questo genere, ma la sensazione 'a pelle' è che le percentuali siano più o meno le stesse.
LUMEN


MONOTEISMO E POLITEISMO
La storia ci mostra che il Monoteismo è stato un fenomeno successivo al Politeismo, e viene in genere interpretato come una sua evoluzione migliorativa, come una sorta di progresso del pensiero religioso.
Io, però, non sono del tutto d'accordo.
Il Dio unico, infatti, pone dei problemi insormontabili a livello di coerenza logica (basta vedere le arrampicate sugli specchi dei teologi in materia di 'teodicea'), mentre gli Dei plurimi sembrano dare una spiegazione più convincente della realtà caotica che ci circonda.
E' anche vero, però, che il Dio unico è molto più efficace come 'instrumentum regni'; il che, forse, può giustificare il suo innegabile successo nella storia della civiltà.
LUMEN


RIVOLTE DI PIAZZA
Alcuni sostengono che le elites (tramite i grandi gruppi che controllano il web) cercano talvolta di ridurre le potenzialità dei social media, per smorzare gli eventuali moti di rivolta spontanea.
E' una considerazione interessante, ma che, forse, può essere rovesciata.
Chi si sfoga sui social, magari, si accontenta delle sue invettive virtuali, ed ha meno voglia di andare a fare 'casino' anche in piazza.
Mentre le Elites, se hanno paura di qualcosa, è proprio delle rivolte di piazza.
LUMEN


LIBRI
Nella mia vita, ho avuto la fortuna di leggere molti libri, sia di narrativa che di saggistica, ma il mio approccio con i cosiddetti romanzi classici è molto limitato, forse a causa della mia impostazione mentale.
Se infatti, per soddisfare la mia naturale curiosità, voglio imparare qualcosa e progredre nelle mie concoscenze del mondo e dell'uomo, la scelta migliore è quella di un saggio.
Se invece leggo un romanzo, lo faccio per rilassarmi e divertirmi (ed infatti leggo molti gialli), in quanto i romanzi che mi possono insegnare qualcosa (sotto forma di annotazioni profonde di psicologia o di sociologia) sono davvero pochi, anche se devo ammettere che le mie conoscenze in materia sono molto limitate.
Comunque, leggere molto è sempre la cosa più utile; perchè ogni libro può avere il suo fascino.
LUMEN


AVERE UN CANE
I cani, nonostante il grande affetto che danno e che ricevono, non possono essere i surrogati di un compagno (o di una compagna) nella vita affettiva.
Ma possono essere il surrogato (o l'eccellente complemento) dei figli.
Quindi, se le circostanze lo consentono, è molto meglio vivere in compagnia di un cane, che farne a meno.
LUMEN

domenica 10 dicembre 2023

Occidente e Democrazia

Siamo talmente abituati ai vantaggi della democrazia in cui viviamo, che, talvolta, finiamo per attribuirle anche dei meriti che forse non ha.
Di questa opinione è, per esempio, Uriel Fanelli, che nel post di oggi (tratto dal suo blog) prova a ribaltare qualche luogo comune sull'argomento.
Un post molto provocatorio, ma anche molto interessante.
LUMEN


<< L’idea di democrazia che le persone hanno e’ del tutto infondata rispetto alla realta’. Nel dopoguerra, l’Europa post-coloniale ebbe un gigantesco balzo economico, che arrivo’ insieme alla imposizione da parte americana delle democrazie in Europa.

Un mondo che usciva dal colonialismo (o che ne stava ancora uscendo) era un mondo economicamente unipolare: sebbene apparentemente diviso in due poli politici e militari (USA e URSS) sul piano economico era del tutto unico. C’era un solo mercato (...), c’era un solo polo industriale e tecnologico, c’era una sola fonte di domanda.

Chiunque nel mondo avesse prodotto qualcosa aveva una sola speranza: venderla in occidente. Chiunque avesse materie prime aveva una sola speranza: venderle ad occidentali. Chiunque avesse forza lavoro aveva una sola speranza: lavorare per occidentali. Il prezzo? In condizioni di monopolio della domanda, lo faceva l’occidente.

Non solo le nazioni occidentali erano le uniche a consumare, ma eravamo anche gli unici a comprare: questo era il mondo emerso alla fine del colonialismo. Dunque, il prezzo lo facevamo noi. Le condizioni le facevamo noi.

I benefici del periodo storico sono stati confusi coi benefici della “democrazia”, al punto da pensare che la democrazia sia una specie di divinita’ capace di garantire al suo popolo la ricchezza e la prosperita’. Questa superstizione si e’ diffusa al punto che in caso di disastro economico per prima cosa il popolo chiede i soliti rituali religiosi: “elezioni, cambio di governo, dimissioni, manifestazioni,…”: si tratta del corrispondente di quello che si fa quando non piove e si fa una processione per la pioggia.

Quello che si crede [in sostanza] e’ che la democrazia sia una divinita’ che garantisce ricchezza al suo popolo: bastera’ dunque che la Dea democrazia sia felice del proprio popolo, e ci ricompensera’. Cosi’, ad ogni crisi si fanno tutti i rituali della Dea democrazia, e ci si aspetta che la Dea provveda . 
 
E se l’economia va male, per prima cosa si lamenta di non aver fatto abbastanza rituali, ovvero di non aver fatto abbastanza elezioni (o di non aver votato quello giusto), di non aver cambiato abbastanza il governo, di non aver avuto abbastanza dimissioni, di non aver manifestato abbastanza: senza queste cose la Dea democrazia e’ adirata coi suoi fedeli, e li punisce con una carestia. Amen.

Ovviamente e’ un falso. Costruire un’economia funzionante e’ una questione tecnica. C’e’ riuscito Hitler come ci sono riusciti i cinesi, per dirne una. Avere ricchezza non e’ una prerogativa delle democrazie, dal momento che i paesi che crescono maggiormente sono in gran parte delle tirannie, e se prendiamo per esempio un periodo felice dell’ Europa, come il rinascimento, di democrazie ne troviamo ben poche.

Non e’ impossibile per un governo tirannico costruire un buon sistema produttivo ed economico, e’ solo una questione di tecnica economica. La Spagna verso’ in condizioni pietose per tutto il dopoguerra, finche’ Franco chiamo’ i cosiddetti “tecnocrati” (...) i quali riuscirono a fare delle riforme tecnicamente corrette, che causarono un periodo di crescita che permise alla Spagna, finita la dittatura, di avere i requisiti per entrare nella UE e di arrivare al 79% del reddito pro-capite europeo. Eppure, il regime franchista non era certo una democrazia.

Alla democrazia, cioe’, vengono attribuiti con metodi simili alla superstizione dei risultati che sono puramente economici, indipendenti dal tipo di governo, ottenibili da qualsiasi genere di governo a patto di affidarsi a tecnici preparati.

Un altro punto e’ il mito della liberta’. Circola voce insistente sul fatto che in una democrazia la gente sia “libera”, ovvero capace di fare quello che vuole senza interferenze da parte dei governi.

Il problema a questo punto e’ che la democrazia la si confronta con i regimi del recente passato (comunismo e fascismo) ma non la si confronta con gli ultimi 2000 anni di storia. Negli ultimi 2000 anni, tranne pochissimi periodi, il cittadino qualsiasi subiva MOLTE meno interferenze da parte dello stato, rispetto ad oggi.

Non intendo scrivere cose come “poveri ma felici” perche’ i poveri sono infelici, ed e’ proprio questo il punto: prima degli ultimi 50 anni le masse stavano male per ragioni economiche, non politiche. (...)

Il cittadino di Re Luigi, in altre parole, era di gran lunga piu’ libero del cittadino francese di oggi. Se avesse avuto il tempo, l’alfabetizzazione e la scuola, non aveva leggi che regolavano [per esempio] la musica, se non il divieto di ledere sua maesta’. Ma se escludiamo questo semplice contenuto, uno solo, poteva cantare tutto il resto sulla strada.

Oggi, la legge francese obbliga una certa percentuale di canzoni francesi. Obbliga che tutti i contenuti considerati “inadatti” siano bollati secondo la classificazione ICRA. Oggi ci sono orari, luoghi deputati, eta’ ammissibili, classificazioni, iscrizioni ad associazioni, nullaosta dell’autorita’. Sei libero di fare le cose, che pero’ vengono “regolate”. Ovvero, non sei affatto libero. (...)

Il nostro cantautore francese ha i mezzi ECONOMICI per fare la sua musica. Ha i mezzi materiali per studiare musica, per comprare gli strumenti, per non ammazzarsi di lavoro sui campi. Ma questo glielo da’ l’economia, non la democrazia. I cinesi hanno ottenuto risultati economici lasciando entrare in Cina il mercato, non la liberta’.

Allora il problema vero e’: perche’ allora quando misuriamo la liberta’ delle democrazie esse appaiono piu’ “libere” degli altri sistemi di governo? E’ molto semplice: perche’ la liberta’ si misura in quantita’ di democrazia. Basta che un popolo possa partecipare ai rituali della democrazia perche’ venga definito libero.

Le misure della liberta’ dentro le democrazie sono drogate per la semplice ragione che si assume che la democrazia stessa sia una forma di liberta’. Se misuriamo la liberta’ delle democrazie e delle tirannidi semplicemente mettendo la liberta’ di voto tra le liberta’, e’ ovvio che la misura sara’ distorta a favore delle democrazie.

Inoltre, il problema delle misurazioni a questo riguardo e’ che esse misurano la liberta’ di gruppi, ma non la liberta’ del singolo cittadino. La democrazia come sistema, cioe’, non si occupa di definire le liberta’ dei singoli. La democrazia definisce SOLO liberta’ di gruppo e solo liberta’ regolate. Il “regolate” e’ il succo della trappola. (…)

Nella nostra amata democrazia, la nostra volonta’ non e’ MAI sufficiente. Non possiamo MAI fare qualcosa solo perche’ lo vogliamo, per la semplice ragione che tutto e’ “regolato”. In molti sistemi meno democratici, invece, ci sono cose che NON possiamo fare perche’ mettono a rischio il governo. Ma su tutte le altre la nostra volontà è sufficiente. >>

URIEL FANELLI

domenica 3 dicembre 2023

Punti di vista – 34

ELITES E CRISI AMBIENTALE
I membri delle élite mondiali non sono più intelligenti della gente comune, almeno in media. Ma alcuni di loro cominciano a vedere che hanno un grosso problema [con la crisi ambientale]. Veramente molto grosso.
Sicuramente sono meglio equipaggiati della gente comune per sopravvivere durante il caos che li attende. Ma se le cose si mettono davvero male, non c'è alcuna garanzia che anche i miliardari sopravviveranno.
Consideriamo ora che le élite hanno poteri decisionali al di là di qualsiasi cosa la gente comune possa fare.
Pensate alla guerra in Ucraina; la gente comune è stata consultata? No. Nella migliore delle ipotesi, gli è stato detto chi dovevano odiare; nel peggiore dei casi sono stati arruolati e mandati in trincea. E questo è tipico di come le élite mondiali gestiscono le risorse: investendo centinaia di miliardi di dollari in attività che non avvantaggiano nessuno tranne le lobby industriali.
Ma si noti anche che le élite, non importa quanto potenti, non sono un gruppo affiatato che si riunisce nel seminterrato della casa di Bill Gates per adorare il demone Baphomet. Sono una galassia di lobby che spingono in direzioni diverse per fare soldi con i loro prodotti: guerre, droga, carburanti, eccetera.
Quindi, difficilmente possono gestire il tipo di piano globale che sarebbe necessario.
UGO BARDI


VIVA IL LATINORUM
Il latino è una lingua precisa, essenziale. Verrà abbandonata non perché inadeguata alle nuove esigenze del progresso, ma perché gli uomini nuovi non saranno più adeguati ad essa.
Quando inizierà l’era dei demagoghi, dei ciarlatani, una lingua come quella latina non potrà più servire e qualsiasi cafone potrà impunemente tenere un discorso pubblico e parlare in modo tale da non essere cacciato a calci giù dalla tribuna.
E il segreto consisterà nel fatto che egli, sfruttando un frasario approssimativo, elusivo e di gradevole effetto “sonoro” potrà parlare per un’ora senza dire niente.
Cosa impossibile col latino.
GIOVANNI GUARESCHI


INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Massimo Chiriatti ha lanciato un monito (…): “Stiamo cercando attraverso le macchine di deresponzabilizzarci, quando invece dovremo essere più responsabili per evitare rischi sistemici e imprevedibili.” “Il problema è che ci comportiamo come se il mondo fosse un dominio lineare, mentre non è così.
Un dominio lineare è prevedibile e ha un basso grado di interazione tra gli elementi che contiene; in un dominio complesso, invece i legami causali sono difficilmente visibili e la prevedibilità estremamente bassa.
In psicologia ed economia ci sono fattori e cause che semplicemente non capiamo, o che hanno così alti livelli di interdipendenza che le previsioni ex ante sono inaccessibili dal punto di vista computazionale; pertanto le previsioni diventano disponibili solo ex post.”
Questo perchè la realtà è irriducibile, è incalcolabile ed è imprevedibile, perciò invece di venerare l’intelligenza artificiale e perseguire autisticamente, come fanno le nostre istituzioni, la svolta digitale in tutti gli ambiti delle nostre esistenze “sarebbe meglio far risolvere alla I.A. sia i problemi deterministici sia quelli probabilistici, ma lasciare a noi tutto il resto, ossia quando ci sono novità, incertezze e quando servono astrazione, intuizione e creatività”.
FRANCESCO CENTINEO


FIDARSI O NON FIDARSI
In inglese si dice: fool me once, shame on you, fool me twice, shame on me.
Significa che imbrogliare qualcuno è scorretto, ma se non impariamo dai nostri errori e ci fidiamo di nuovo della persona che ci ha già ingannato, allora dobbiamo prendercela in primis con noi stessi.
GAIA BARACETTI


CRISI STATISTICHE
Non sono le teorie economiche a non funzionare più, [oggi]. A non funzionare piu’ sono i calcoli degli indici economici, e la trasparenza sulle metodologie di calcolo.
Perché parlo di trasparenza? Per farvi un esempio, ISTAT e’ stato lottizzato gia’ nel periodo di Berlusconi ed ha sempre avuto un presidente vicino o vicinissimo al governo.
Qual è il senso di lottizzare una ISTAT (ma all’estero le cose non vanno tanto diversamente) ? Il senso e’ una pressione per cucinare i numeri, in modo che dipingano situazioni più o meno felici. (...)
C’è solo un problema. E il problema e’ che cucinare i numeri per dire che tutto va bene funziona in politica solo fin quando le persone stanno bene. Cioè, se quasi tutti hanno un lavoro di cui sono soddisfatti, e gli racconti che hai creato un 'gozzilione' di posti di lavoro, molto probabilmente ti crederanno e ti voteranno.
Se invece ci sono davvero troppi disoccupati, e gli racconti la stessa panzana, penseranno che tu abbia dimenticato proprio e solo loro, e ti odieranno.
URIEL FANELLI

lunedì 27 novembre 2023

La Terra del pianto

Questo post è dedicato all'attuale situazione geo-politica del Vicino Oriente (Palestina e dintorni), un territorio storicamente martoriato, nel quale si ha sempre un'impressione strana: non che tutti abbiano ragione, ma che tutti abbiano torto.
Le considerazioni che ho riportato, opera di diversi autori, sono tratte dal web. 
Non vi auguro 'buona lettura', perché si tratta di un post che avrei di gran lunga preferito non fare.
LUMEN


CONFLITTI SENZA FINE
Perché Israele e’ in conflitto continuo con gli arabi? Perché gli israeliani sono in conflitto perenne al proprio interno.
Sono divisi in gruppi più o meno religiosi che si scannano per le rispettive parrocchie rabbiniche, e non c’è alcun dubbio che il conflitto esterno sia una conseguenza inesorabile. Un popolo stracolmo di conflitti interni non può vivere in pace, con chiunque venga in contatto.
Lo stesso dicasi per il mondo arabo. E’ diviso in nazioni, correnti, tribù, chi più ne ha e più ne metta, in perenne conflitto per il dominio, per cui entrerà inevitabilmente in conflitto con qualsiasi cosa sia diverso.
E’ esattamente la stessa cosa che ho detto per gli israeliani. Nemmeno il mondo arabo e islamico può davvero vivere senza conflitti con l’esterno, perché ne ha troppi al suo interno.
Chiaramente, se metti a contatto due culture stracolme di conflittualità interne, otterrai solo guerra.
URIEL FANELLI


LA TRAGEDIA DEL LIBANO
La situazione del Libano, da alcuni decenni a questa parte, è catastrofica. Un tempo era stato la Svizzera (e la Montercarlo) del Vicino Oriente: tollerante, civile, cosmopolita e, insomma, uno dei posti migliori in cui andare. In seguito è divenuto un autentico, miserabile inferno e nel 2020 ha anche dichiarato fallimento (...)
Tutto cominciò con l’invasione dei profughi palestinesi. I libanesi commisero l’imprudenza di accoglierli (diversamente da quanto sta facendo attualmente l’Egitto) e presto quelli si comportarono da padroni (come prima avevano fatto in Giordania, da dove erano stati scacciati a cannonate).
Tormentarono talmente Israele che alla fine Gerusalemme invase il sud del Libano fino al fiume Litani. Solo per tenerli lontani. E in seguito, come conseguenza di una prodezza di Hezbollah, Israele invase e semidistrusse l’intero Paese. Fino a provocare un intervento per istituire un contingente militare internazionale, di cui fa parte anche l’Italia, che mantenesse la pace.
Il piccolo Stato non si è mai liberato di due croci: i palestinesi e Hezbollah il quale, longa manus di Teheran, è ormai militarmente più forte dello stesso esercito libanese.
GIANNI PARDO


UNO STATO PARTICOLARE
L’ambito fondativo dello Stato ebraico è il sionismo, ed il sionismo è una dottrina politico-religiosa formulata da Theodor Herzl nel pieno dell’età del colonialismo imperialistico europeo, al pari del pangermanesimo e del panslavismo, più o meno coeva alla Conferenza di Berlino del 1878, presieduta da Bismarck che per dirimere la questione balcanica inaugura de facto l’età dell’imperialismo europeo.
Con ciò, si badi bene, non intendiamo dire che il sionismo abbia caratteri omologhi a quelli delle altre ideologie citate, ma che esso pone, in un futuro Stato ebraico (…) come requisito di cittadinanza l’appartenenza religiosa.
Con ciò regredendo, rispetto allo “jus publicum europeum” di alcuni secoli. ‘E noto che l’epoca delle guerre di religione in Francia, che hanno segnato il periodo più sanguinoso della storia europea, si conclude con l’editto di Nantes del 1598 promulgato da Enrico IV di Borbone, che riconosce ai calvinisti francesi, detti ugonotti, il diritto di professare la propria religione senza più discriminazioni e minacce da parte della maggioranza cattolica.
Si stabilisce così (salvo le riserve determinate dalla cultura del tempo, per cui i protestanti potevano disporre all’interno dello stato francese di una propria forza armata a garanzia della propria incolumità, diritto poi revocato in una fase successiva) che il requisito della cittadinanza non è più la confessione religiosa.
In seguito, fatto salvo in Francia e non solo, il principio del monopolio della forza quale condizione della statualità, che fonda l’ordinamento giuridico su territorio, popolazione e potere sanzionatorio, il diritto di cittadinanza viene svincolato dal dato confessionale ed integrato nella successiva dottrina dello Stato giusta i principi razionalisti ed illuministi
Il sionismo fa un obiettivo passo indietro, teorizzando uno Stato in cui la pienezza dei diritti è legata alla religione ebraica.
NELLO DE BELLIS


VIVERE IN UN IMPERO
La sfortuna dei palestinesi (...) si coglie innanzi tutto ripercorrendo la loro storia. Come si sa, l'Impero Ottomano è stato estremamente esteso ed è nato ben prima che nascessero le coscienze nazionali.
In quel tempo era molto più importante che si fosse cristiani o musulmani, cattolici o ortodossi, che si parlasse l’una o l’altra lingua e per il resto era secondario che politicamente si facesse capo all’una o all’altra potenza. Non esisteva ancora il concetto di nazione.
E questo stato di cose era anche in parte l’eredità dell’Impero Romano che riuniva sotto di sé tante regioni, anche molto diverse ma con pari dignità, purché sottoposte a Roma. Prova ne sia che durante l’Impero gli imperatori spesso sono stati di nazionalità (diremmo oggi) diversa da quella romana. Non solo ce ne furono più d’uno spagnoli, ma ce ne fu persino uno arabo.
Nello stesso modo, nell’immenso Impero Ottomano contava più la comune religione musulmana che l’essere nati in Albania, in Iraq o in Palestina. E questo cosmopolitismo estendeva la sua tolleranza anche alle altre religioni: prova ne sia che quando los Reyes Católicos scacciarono gli ebrei dalla Spagna, più o meno al tempo della scoperta dell’America, è nell’Impero Ottomano che essi trovarono rifugio. (…)
Per tutte queste ragioni, salvo che nei decenni recenti, sarebbe stato ozioso chiedersi a chi appartiene – o deve appartenere – la Palestina. Per un tempo lunghissimo la risposta è stata: a Istanbul. E per il resto c’era posto per chiunque volesse abitarci.
E così è stato anche dopo che l’Impero Ottomano si è dissolto, alla fine della Prima Guerra Mondiale. La grande novità che ha creato il nodo gordiano che oggi abbiamo sotto gli occhi si è avuta dopo la Seconda Guerra Mondiale. (…)
Questo dramma che sembra eterno, questo fanatismo religioso, e questo odio che sembra così radicato, sono fenomeni così recenti, immotivati e feroci, che non si riesce affatto a capirli. Ma bisogna prenderne atto.
GIANNI PARDO

lunedì 20 novembre 2023

Pensierini – LXIV

LA NOIA
Una delle categorie di persone più patetiche in assoluto (da intendersi in senso ironico) è rappresentata da coloro che dicono di 'annoiarsi'.
Non solo perchè per annoiarsi è necessario non avere nessuna altra preoccupazione, cosa che dovrebbe già da sola renderci contenti, ma anche perchè, al giorno d'oggi, annoiarsi è praticamente impossibile, visto che con pochi soldi è possibile leggere libri e giornali, guardare film e spettacoli, sentire musica, e molte altre cose.
Ma chi si lamenta per la noia non si riferisce a queste cose, che potrebbe fare facilmente. Si riferisce, ovviamene senza saperlo, alla mancanza di attività sociali che lo facciano sentire superiore.
Ed allora diventano pericolosi, non solo per sé stessi, tanto da dedicarsi a sport estremi od altre attività border-line, ma anche per gli altri, in quanto diventano capaci, pur di ottenere il loro scopo, di offendere, deridere o addirittura maltrattare le persone più deboli.
E questo è davvero molto triste.
LUMEN


ELITES OPPORTUNISTE
In campo socio-politico, io seguo la teoria delle c.d. 'elites opportuniste', cioè che si limitano a sfruttare le nuove tendenze sociali senza determinarle.
Ritengo pertanto che i movimenti popolari di rottura (femminismo, ecologismo, veganismo ecc.), siano effettivamente spontanei e non creati appositamente ex nihilo.
Questi movimenti, cioè, sono nati da istanze autonome della società, per motivi inizialmente libertari, e solo dopo, quando, aumentando di importanza, potevano diventare pericolosi per il potere, le elites sono poi intervenute per manipolarli dall'interno e tenerli sotto controllo.
Alla base di questa teoria c'è la convinzione che le elites possono molto, ma non possono tutto, e che il mantenimento del potere (che è il loro unico vero scopo), è già un'impresa notevolmente impegnativa.
LUMEN


TECNOLOGIA PSEUDO-MAGICA
Molti sono convinti che il progresso continuo della scienza e delle sue scoperte possa rendere sempre più razionale il pensiero umano, anche tra la gente comune.
Io, però, non riesco a sentirmi troppo ottimista.
Ho paura infatti che la scienza, non venga vista come un nuovo 'metodo razionale di pensiero', al quale adeguarsi per ragionare meglio, ma solo come la 'madre' della tecnologia, che tanto apprezziamo.
E che la moderna tecnologia, non potendo più essere compresa (data l'enorme complessità che ha finito per acquisire) venga interpretata soltanto come un nuovo sistema pseudo-magico di risolvere i problemi.
Perchè, per come è strutturata la mente umana, ho la sensazione che il pensiero magico non possa morire mai.
LUMEN


SANGUE BLU
Ma secondo voi, per un occidentale di etnia 'caucasica', è più desiderabile avere la pelle molto chiara, oppure molto abbronzata ?
Dipende. Dipende da quale 'aspetto' della pelle è più utile, secondo i tempi, per rimarcare la propria ricchezza e la propria superiorità.
Una volta, i ricchi cercavano la pelle bianca (da cui l'espressione 'sangue blu' per indicare i nobili, le cui vene erano ben visibili sul corpo pallido) perchè era un segno della loro vita oziosa, che non li obbligava a lavorare all'aperto, come i contadini e tutti gli altri.
Oggi invece va di moda l'abbronzatura, perchè dimostra che la persona è così ricca da potersi permettere molti mesi di vacanza nelle località più soleggiate.
Come vedete, il diavoletto della superiorità si infila proprio dappertutto.
LUMEN


GUERRE
Quando due nazioni entrano in guerra tra loro, è sempre molto difficile (salvo casi particolari) prevedere chi risulterà alla fine il vincitore.
Una previsione sicura, però, la possiamo fare uguamente: quando la guerra sarà finita una delle due Nazioni si ritroverà più povera; e l'altra si ritroverà MOLTO più povera.
LUMEN


PROSELITISMO ATEO
Anche se molti atei si limitano tenere per sé le proprie convinzioni su Dio, ve ne sono altri che, invece, si danno molto da fare per cercare di convincere i credenti religiosi, in una sorta di proselitismo laico.
Forse lo fanno con spirito positivo, nella convinzione che un mondo di atei sia preferibile ad un mondo di credenti.
Io, però, su questo punto, sono molto perplesso; anzi ritengo che nessun ideale laico potrà mai costruire una coesione sociale paragonabile a quella religiosa.
Per conseguenza, ho rinunciato da tempo al proselitismo ateo, preferendo lasciare a ciascuno le proprie illusioni.
LUMEN

mercoledì 15 novembre 2023

La distorsione Identitaria

La difesa dell'ambiente è diventata sempre più difficile, almeno negli USA, perchè viene ostacolata non solo (com'è ovvio) dalla crescita continua della popolazione e dell'immigrazione incontrollata, ma anche dall'attuale cultura 'identitaria', che attacca le proposte ambientaliste con accuse 'ideologiche' assolutamente ingiustificate.
A questo argomento è dedicato il post di oggi, scritto da Karen Shragg per il sito americano 'The Overpopulation Project'; la traduzione dall'inglese è di Google translate.
LUMEN


<< La protezione della natura non dovrebbe essere una questione di parte, eppure lo è diventata. Ciò è particolarmente vero con l’ascesa della politica dell’identità e della cultura dell’annullamento (“cancel culture”).

Gli Stati Uniti ricordano quest’anno il 57° anniversario del Wilderness Act (1966), [che consentì] la creazione di 54 aree selvagge. (...) Da allora, il Congresso ha approvato più di 100 progetti di legge separati che designano più terreni sotto stretta protezione. Ma per quanto grandi siano sulla carta, queste tutele legali vengono indebolite dal nostro continuo impegno per la crescita con la “C” maiuscola.

La crescita della popolazione statunitense, che è già più che raddoppiata nel corso della mia vita, raggiungendo i 335 milioni, significa che abbiamo bisogno di più acqua, più infrastrutture, più assistenza sanitaria, più scuole e così via per accogliere i nuovi arrivati, il che mette a dura prova la fauna selvatica negli angoli insostenibili del nostro paesaggio sempre più al servizio dell’uomo. (…)

Abbiamo bisogno di pensare in grande, e non possiamo affrontare il problema con il pensiero ristretto della politica dell’identità.

Alcune cose semplicemente non dovrebbero essere politicizzate: per un paese o sono buone o cattive. La crescita è dannosa per gli Stati Uniti, che stanno lottando per affrontare gli effetti di tempeste più frequenti e intense, dovute al cambiamento climatico, e alla diffusa povertà sistematicamente radicata da tempo.

Abbiamo ancora leggi che tassano i pagamenti della previdenza sociale dei cittadini comuni, lasciando scappatoie per i ricchi. Indipendentemente dalle leggi, tuttavia, a un certo punto il numero degli esseri umani travolge tutto, compresa la natura selvaggia che abbiamo lottato per proteggere negli anni '60.

Nessun sindaco di nessuna delle nostre 19.000 città, ad eccezione forse di alcune piccole città rurali, potrebbe onestamente dire che più persone risolverebbero i loro problemi di criminalità, di senzatetto, di inquinamento, di acqua o di traffico. Tuttavia, quando arriva il momento di provare ad avere una discussione ragionata da entrambi i lati della navata sulla moderazione al confine, da dove proviene la maggior parte della nostra crescita, tutto ciò che ottieni sono accuse di razzismo.

La politica dell’identità è la tendenza delle persone di una particolare religione, gruppo etnico o background sociale a formare alleanze politiche per portare avanti i propri programmi come una crociata morale. In questo pensiero di gruppo, le questioni diventano in bianco e nero.

I veri conflitti di interessi, come quello tra la conservazione della natura e l’accoglienza di più persone, vengono negati e presentati come una semplice cortina di fumo per il razzismo o peggio. “Eco-fascista” è il nuovo insulto con cui respingere ogni tentativo di portare l’immigrazione nel dibattito sulla sostenibilità.

La fauna selvatica è messa sotto pressione dall’espansione delle città: un’espansione che, come è stato dimostrato, è causata principalmente dalla crescita della popolazione. Coloro che affermano di avere a cuore la fauna selvatica devono capire che continuare a consentire leggi sull’immigrazione permissive o non applicate che impongono la nostra continua crescita significa restare su un terreno ipocrita.

La maggior parte delle persone che si identificano con valori progressisti e favoriscono la giustizia sociale hanno formato un fronte unito, per ascoltare solo le tristi circostanze di coloro che lottano per raggiungere i nostri confini e accedere a una vita migliore.

Queste persone ben intenzionate vogliono abbracciare gli oppressi e si rifiutano di considerare le conseguenze negative delle politiche che sostengono. Se qualcuno osa mettere in discussione le frontiere aperte, è più facile considerarlo xenofobo che vedere se i fatti confermano le sue preoccupazioni.

Associano solo l'idea del controllo dell'immigrazione alla filosofia dell'opposizione e non vogliono ascoltarli. Ascoltare minaccerebbe la loro appartenenza al “club” politico sul quale hanno costruito la propria identità e il senso di autostima. Coloro che sottolineano lo stress che la crescita dell'immigrazione esercita sulle nostre risorse già messe a dura prova non vengono presi in considerazione, perché vengono associati alla parte “sbagliata” del corridoio.

Sono considerati xenofobi perché, quando si tratta di questo tema, i progressisti vedono solo due colori: blu (Democratico) o rosso (Repubblicano). Se sei “blu”, accetti il pensiero a valle di aiutare il mondo a utilizzare e degradare le risorse di cui i futuri cittadini avranno bisogno. Se sei 'rosso' sei associato a coloro che hanno il cuore indurito, soprattutto verso gli stranieri. Nessuno dei due atteggiamenti aiuta la nostra fauna selvatica o i nostri sindaci esausti, soprattutto delle città di confine.

È tempo di chiedere un approccio bipartisan sfumato che riconosca che c’è spazio per una via di mezzo. Esistono opzioni per fermare la nostra crescita insostenibile con politiche di immigrazione sensate. Le realtà climatiche non faranno altro che aumentare la pressione migratoria e prima faremo i conti con il nostro diritto – anzi, la nostra responsabilità – di proteggere le nostre risorse e la fauna selvatica, meglio sarà.

Solo quando noi americani vedremo che il nostro Paese ha già sovraccaricato le risorse nazionali e globali con una domanda eccessiva, saremo in grado di raggiungere l’altra parte del corridoio con un’offerta di pace. Sostenere le restrizioni alle frontiere favorirà non solo la fauna selvatica rimasta, ma anche buoni salari, adeguate reti di sicurezza sociale, infrastrutture essenziali, alloggi accessibili e dignitosi e tutte le cose che ci stanno a cuore.

Non possiamo più permetterci una politica identitaria miope quando si tratta della questione dell’immigrazione. Questo vale sia per l'immigrazione legale che per quella clandestina, perché alla fauna selvatica non interessa chi ha i documenti o chi no. Hanno solo bisogno di spazio per vivere. >>

KAREN SHRAGG

giovedì 9 novembre 2023

La settima Arte - (3)

Torno a parlare di cinema, ma questa volta il post è dedicato a 2 film italiani, sempre scelti fra i miei preferiti.
I testi sono tratti, anche in questo caso, dal sito specializzato 'Gli Spietati'.
LUMEN


PERFETTI SCONOSCIUTI  (2016)

TRAMA - Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata ed una segreta. Un tempo quella segreta era ben protetta nell’archivio della nostra memoria, oggi nelle nostre Sim. Cosa succederebbe se quella minuscola schedina si mettesse a parlare?

<< L'idea alla base della sceneggiatura (quella del patto tra i convitati di denudarsi emotivamente, attraverso l'uso condiviso del proprio cellulare) non è soltanto molto efficace, ma è soprattutto sviluppata con perizia, assecondando un disegno dei personaggi perfettamente calibrato; i loro caratteri vengono delineati gradualmente, il piano delle rivelazioni non è mai precipitoso, l'assetto dei dialoghi sempre solido, l'alternanza dei punti di vista molto fluida, la partita degli equivoci e degli scambi di ruolo viene condotta con puntualità.

Genovese (...) si muove con sicurezza sul suo terreno congeniale, quello nel quale l'immedesimazione dello spettatore è inevitabile: se i cellulari sono diventati delle scatole nere dell'esistenza, il loro contenuto, svelato, può mettere in pericolo anche gli equilibri in apparenza più saldi; la coscienza di un tale pericolo, insito nella pratica di svelamento della propria privacy, va a toccare, dietro la maschera dello scherzo e del divertimento conviviale, un tabù. E come tabù, la questione, verrà identificata, passo dopo passo, dal film.

L'incantesimo dell'eclisse, (…) ribadisce in realtà il punto: non penserete davvero che delle persone che, come tutte, hanno segreti e bugie da nascondere, possano scientemente arrivare a mettersi in gioco così tanto? Non penserete davvero che una sfida siffatta possa essere accettata? Non penserete davvero che questo tabù (eccolo) possa essere infranto?

No, è l'evento astronomico a stravolgere la normale logica comportamentale e a condurre queste persone a mettersi in gioco, ad affrontare le conseguenze della loro sfida. E quando l'effetto dell'eclisse sarà passato tutto tornerà alla normalità e quel disvelamento si scoprirà mai avvenuto. Le cose sono state viste, per un attimo, sotto una luce diversa: una luce accecante, uniforme, che non permette ombre, chiaroscuri, che rende tutto innaturalmente, mostruosamente chiaro (le opinioni personali, i tradimenti, le considerazioni reciproche, i pregiudizi, le scorrettezze).

Quindi, una volta denudate tutte le piste narrative, il confronto diventa gioco al massacro, l'intreccio rivela problematicità serie, si fa potenzialmente tragico, il film virando improvvisamente (come spesso avviene nei lavori del regista) sul dramma.

Perfetti sconosciuti, insomma, narra consapevolmente di un'ipotesi limite, di uno svelamento impossibile: è un 'what would happen' che, aprendo uno squarcio sulla sostanza reale dei rapporti (tutti), mostra come essi funzionino, come si reggano su menzogne, rassegnazioni, rifiuti ad accettare la realtà, prese d'atto delle altrui inadeguatezze. Nell'intuire questo ambito e nel muoversi in esso con acume e la necessaria accortezza, senza inciampare in facilonerie, nel suo mostrare, anche spietatamente, un nervo scoperto, nella direzione sensibile di un cast ispirato, sta il merito del film, il più maturo ad oggi del regista. (Luca Pacilio) >>



THE PLACE  (2017)

TRAMA - Un misterioso uomo siede sempre allo stesso tavolo di un ristorante, pronto a esaudire i più grandi desideri di otto visitatori, in cambio di compiti da svolgere. Quanto saranno disposti a spingersi oltre i protagonisti per realizzare i loro desideri?

<< The Place è il 'Posto' in cui le storie non si svolgono, ma si raccontano. Di quanto accade fuori dal 'Posto' non vediamo nulla, possiamo solo supporre che i racconti che ascoltiamo rispondano a eventi reali o che aderiscano perfettamente, nella sostanza, alle parole scelte per descriverli. Più di ciò che si racconta, conta chi lo fa, come lo fa e in che rapporto è con chi sta ascoltando, perché è in questi elementi che risiede la narrazione di primo grado, ovvero quello che stiamo guardando. (...)

Per questo il momento più interessante del film è quello in cui l’anziana moglie del malato di Alzheimer (Giulia Lazzarini) dichiara di voler mettere la bomba in The Place: perché finalmente la narrazione esterna farebbe irruzione all’interno del luogo in cui le storie vengono narrate e le avvalorerebbe (...). Ovviamente l’attentato rimane una pura minaccia, la constatazione dell’evento non ci è data: non sapremo mai se quella bomba è stata effettivamente costruita. (...)

Il film (…) è una raccolta automatica di sipari (la teatralità è già suggerita dall’unità di luogo), di dialoghi a due (eccezionalmente a tre) con cambi regolari di personaggi (pletora di primi piani - stretti e strettissimi), infilati come perle in successione nella collana-film. L’intrecciarsi delle storie fa sì che non ci si perda nessun pezzo, che si ascolti anche l’avventore della cui vicenda ci importa meno perché comunque collegata al disegno generale. (...)

Così lo schema è sempre a vista (apertura, sviluppo, chiusura), la struttura parcellizzata evidente (le micropuntate suggerite dalle dissolvenze), gli automatismi dell’operazione annullando carne e sangue che, se ci sono in potenza, nei fatti non si riscontrano perché l’arido congegno è più forte della sostanza con la quale lo si nutre.

Così, di The Place si apprezza soprattutto (...) la coralità (di qui la sfilata di attori di nome e riconoscibili) che si collega alla molteplicità di storie che si intrecciano (...), la contemporaneità come sfondo e chiave di lettura, l’indagine sulla morale, le puntuali verifiche sul campo del politicamente corretto (se potessi sovvertire l’ordine naturale delle cose, che cosa sarei disposto a fare per ottenere quello che desidero?), il tocco fanta-mystery (...).

La tensione, [però], è tutta posticcia, perché è evidente che alla fine nessuna spiegazione verrà fornita e che quello che vincola lo spettatore alla visione è solo la curiosità di conoscere il finale di ciascun filo narrativo; (...) come un racconto che di misteri si nutre, ma che si guarda bene dallo spiegarli, perché delle due una: a) non saprebbe come; b) ne fornirebbe una soluzione deludente. (...)

Quello che intriga di più, semmai, è il ruolo del personaggio interpretato da Mastandrea, non come diavolo che esaudisce un desiderio e ti chiede l’anima (si parla non a caso di un patto), ma piuttosto come raccoglitore di storie e di stati d’animo, come rigoroso analista di atteggiamenti e reazioni, il che farebbe presupporre che il potere di cui è detentore derivi da un naturale, e molto approfondito (matto, disperatissimo) studio della natura umana.

Ecco, allora, che si può leggere tutto in chiave psicanalitica perché la questione sulla quale il film invita a riflettere non è tanto su dove si spinga ciascun personaggio per ottenere ciò che vuole, ma sul come la sua decisione non nasca mai da un impulso, ma da una riflessione ponderata, lucida, tormentata. (Luca Pacilio) >>


venerdì 3 novembre 2023

La fine della Lotta di Classe

Secondo alcuni studiosi, i movimenti del '68 – pur essendo stati palesemente (e sinceramente) di sinistra - hanno finito per segnare, senza rendersene conto, la fine della Lotta di Classe, con la vittoria del capitalismo.
Ce ne parla Carlo Formenti in questo pezzo (tratto dal sito di Sollevazione) in cui riporta e commenta il pensiero di Carlo Tronti, un altro intellettuale di area marxista,.
LUMEN


<< I giovani del '68, argomenta Tronti, erano radicalmente anti-autoritari, ma ignoravano che abbattere l’autorità non significa automaticamente liberare le potenzialità dell’essere umano: poteva voler dire, e questo è ciò che in effetti ha voluto dire, liberare gli spiriti animali del capitalismo che scalpitavano dentro quella gabbia di acciaio che il sistema politico aveva costruito come rimedio della lunga crisi dei decenni centrali del Novecento, punteggiati da guerre e rivoluzioni scatenate dall’utopia del libero mercato.

Negli anni Settanta può così trionfare (...) “il nuovo spirito del capitalismo”: l’esaltazione della soggettività “desiderante” da parte dei nuovi movimenti, che si allontanano progressivamente dall’impegno per la difesa dei bisogni proletari, diviene adesione inconsapevole a una nuova cultura capitalista che fa leva sulle pulsioni consumiste, sull’edonismo individualista “emancipato” da ogni legame sociale e sulla critica radicale della razionalità del limite in qualsiasi campo dell’esistenza e dell’agire umani.

Nel '68, Tronti non vede una svolta epocale, un grande inizio, bensì la fine, la conclusione del Novecento. Più che di un grande balzo trasformativo, si è trattato, alla fine dei conti, di un banale cambio di ceto politico, in seguito al quale la storia si è progressivamente convertita nello scorrere di “un tempo senza epoca”, nel quale ogni increspatura viene scambiata per una svolta epocale, mentre nessuna vera svolta è più possibile a fronte di una realtà caratterizzata dalla dittatura del presente, un presente che ignora passato e futuro.

Se il grande Novecento è stato l’epoca delle grandi rivoluzioni – grandi anche nel loro tragico fallimento – la sua parte terminale è invece il tempo delle rivoluzioni immaginarie, fallite prima ancora di iniziare.

Paradigmatico, in tal senso, il destino del femminismo, movimento nei confronti del quale Tronti confessa di avere inizialmente nutrito simpatia e interesse, almeno finché il “femminismo della differenza” è stato neutralizzato dal prevalere del proprio lato emancipatorio.

Nel momento in cui l’emancipazione vince, la rivoluzione perde: avanzando verso l’uguaglianza fra generi le donne non sono salite ma scese sulla scala delle libertà; hanno acquisito nuovi diritti, ma i diritti qualsiasi società moderna è più che disposta a concederli, perché è consapevole che si tratta di un altro modo per assicurare il potere a chi comanda.

Nella misura in cui l’emancipazione si è sviluppata in senso contrario alla differenza di genere, la politica della differenza si è piegata alla logica borghese di neutralizzazione e depoliticizzazione; la vittoria dell’emancipazione sancisce l’inclusione senza residui del femminile nel sistema.

Si tratta un destino condiviso da tutti i nuovi movimenti, i quali hanno finito per soccombere, più che di fronte alla repressione o a minacce totalitarie, al trionfo di una democrazia intesa esclusivamente come emancipazione individuale, di un progetto che mira a isolare l’individuo e a impedirgli di entrare in rapporto con altri individui, a costruire una massa atomizzata agevolmente manipolabile.

Giudizi analoghi (...) Tronti esprime nei confronti della deriva post-operaista. Si potrebbe dire, argomenta, che il “peccato originale” dell’operaismo è la sua concezione immanente del processo rivoluzionario, vale a dire l’idea secondo cui il principio del superamento è inscritto nelle dinamiche stesse del modo di produzione capitalistico.

Si tratta di un principio di immanenza che si rovescia perversamente in principio di cattura, sintetizzato nello slogan secondo cui occorre essere dentro-contro il rapporto di capitale, dopodiché, non essendoci più alcun fuori, non c’è alcuna possibilità di fuoriuscita. Da qui l’illusione di poter battere il capitale sul suo stesso terreno, che è quello dell’accelerazione-intensificazione dello sviluppo (sociale, politico e culturale, oltre che economico).

Illusione, argomenta Tronti, perché “nessuno può essere più moderno del capitale”, nessuno può batterlo a un gioco di cui controlla ogni mossa e ogni regola. La critica di Tronti affonda fino al nocciolo duro della teoria operaista (e tocca qui i più espliciti accenti autocritici), vale a dire fino all’idea secondo cui la soggettività operaia rappresenta, al tempo stesso, l’unico vero motore dello sviluppo capitalistico e il principio immanente del suo rovesciamento.

“Abbiamo forse caricato gli operai di un progetto eccessivo”, ammette, e la nostra illusione è svanita nel momento in cui è apparso chiaro che “la rude razza pagana” non ce l’avrebbe fatta a rovesciare il capitale.

Né avrebbe potuto farcela, perché gli operai rappresentano sì una parte, ma una parte interna al capitale; si potrebbe dire (…) che aveva ragione Lenin: la coscienza spontanea degli operai non supera la coscienza trade-unionista [cioè sindacale] e può divenire rivoluzionaria solo attraverso l’organizzazione politica. (…)

Tronti liquida la metafora dell’ “operaio sociale” come un tentativo di “fabbrichizzare” il sociale, di estendere la qualità dell’antagonismo di fabbrica al sociale diffuso, che viene sovraccaricato di coscienza anti-capitalista per compensare il declino di potenza dell’operaio tradizionale.

Quanto alla moltitudine, più che rappresentare una nuova forma di soggettività di classe, rispecchia il processo di atomizzazione sociale generato dalla ristrutturazione capitalistica: (…) visto che il capitale mette oggi al lavoro la vita stessa, il conflitto non è più fra capitale e lavoro, bensì fra capitale e umanità intera. >>

CARLO FORMENTI

giovedì 26 ottobre 2023

Pensierini – LXIII

CONSUMISMO
Le persone più sagge diffidano del consumismo, che considerano, con ragione, una limitazione della libertà personale (non solo economica), ed invitano quindi a respingerlo, limitando i propri acquisti alle sole cose necessarie.
Il consiglio è ottimo, ma... facile a dirsi, difficile a farsi.
Perchè l'uomo non ha bisogno solo del necessario materiale, ma anche di un'altra 'soddisfazione' specifica che potremmo definire psicologica, ovvero la sensazione di superiorità. Una sensazione che, se non è soddisfatta, ci fa sentire infelici: ed allora il desiderio di possedere non ha più limiti.
Certamente ognuno di noi reagisce a questa spinta genetica in modo diverso e personale. Chi ha la fortuna di esserne consapevole, può limitare la sua sensazione al livello interiore, mantenendo un comportamento corretto e rispettoso nei confronti degi altri. 
Ma se – come nella maggior parte dei casi – la spinta non viene percepita a livello cosciente, si determinano poi quei tipici tentativi di sopraffazione (fisica o psicologica) che tanto avvelenano i rapporti umani. Perchè per ogni persona che manifesta una superiorità, ce ne vuole almeno un'altra che la subisca.
Temo quindi che il consumismo – tanto amato dai produttori e dai commercianti – possa dormire sonni tranquilli.
LUMEN


CREDERE IN QUALCUNO
E' giusto essere diffidenti, perchè gli uomini sono abituati a mentire spesso.
Ma le nostre conoscenze personali sono, per forza di cose, talmente limitate che credere in qualcun altro diventa necessario, ed anzi invitabile.
Io, una volta preso atto che non si può credere alle autorità religiosi, perchè parlano di cose che non esistono, ed alle autorità politiche, che mentono per ovvii motivi di convenienza, ho deciso di credere agli uomini di scienza.
Già sapendo che, in alcuni casi, me ne potrò pentire; ma mi sembra, tutto sommato, il male minore.
LUMEN


TANTI O POCHI
Potendo scegliere, io preferisco un pianeta abitato da poche esseri umani, ma che vivono a lungo ed in modo agiato, piuttosto che da tanti esseri umani che muoiono presto e dopo una vita di stenti.
La scelta, purtroppo, è inevitabile, perchè il totale delle energie rinnovabili della terra è fissa e non modificabile; mentre la quota pro-capite dipende, ovviamente, dal livello della popolazione.
Io credo che ben poche persone, dopo averci riflettuto sopra, possano essere contrarie. 
E la scelta di quale mondo vogliamo dipende anche da noi.
LUMEN


COMPORTAMENTO LOGICO
Vilfredo Pareto, uno dei padri della sociologia classica, divideva i comportamenti umani in 'Logici' e 'Non Logici', e ne concludeva poi, visto lo stato deplorevole delle vicende umane, che i comportamenti 'Non Logici' erano la maggioranza.
Io (si parva licet) non sono d'accordo.
Secondo me, tutti i comportamenti umani sono, dal punto di vista dell'agente, di tipo logico, cioè sono la conseguenza di un ragionamento coerente dal punto di vista formale.
Se appaiono illogici (come spesso accade) è solo perchè quella persona disponeva di informazioni errate, ma non lo sapeva.
A conferma che il controllo delle informazioni è (quasi) tutto.
LUMEN


PROVERBI INESISTENTI
= Chi ben capisce, peggio risponde.
= Sotto la panca, la capra si riposa.
= Chi fa da sé, fa per uno. 
= Corna e buoi dei paesi tuoi.
LUMEN


CASA DOLCE CASA
Io sono un tipo tranquillo ed abitudinario, che trova nella routine quotidiana la propria forza interiore e considera la sua casa come il miglior porto contro le tempeste.
Però dicono che non va bene, che non fa bene starsene troppo nella 'comfort zone'. Che bisogna uscire di casa, affrontare il mondo e mescolarsi con la gente.
Ma chi l'ha detto che sia davvero necessario girare il mondo come trottole ?
Se ti piace lo fai, se non ti piace non lo fai.
Tanto, per imparare come funziona il mondo, non serve l'interazione fisica con gli altri popoli e le altre culture: basta leggere.
LUMEN

giovedì 19 ottobre 2023

Il rasoio di Odifreddi

In uno dei suoi saggi più famosi - “Perché non possiamo essere cristiani” - il logico e matematico Piergiorgio Odifreddi utilizza il 'rasoio' della ragione e della scienza per analizzare i Testi Sacri ed i dogmi della religione cristiana.
Che non ne escono molto bene.
Il testo di oggi contiene la presentazione ufficiale del libro da parte dell'editore (TEA) ed, a seguire, la recensione di Raffaele Carcano, tratta dal sito di UAAR.
LUMEN


<< Al centro del dibattito tra religiosità e ateismo, questo libro è uno straordinario viaggio dentro le Scritture e lungo la storia della Chiesa, fino ai giorni nostri.
Come uomo di scienza, Piergiorgio Odifreddi, considera l'affermazione che quello della Bibbia è l'unico vero Dio una bestemmia nei confronti di Colui che gli uomini di buona fede hanno da sempre identificato con l'Intelligenza dell'Universo e l'Armonia del Mondo.
Come cittadino, afferma che il Cristianesimo ha costituito un grave freno per lo sviluppo del pensiero democratico e scientifico europeo, e ritiene che l'anticlericalismo sia oggi più una difesa della laicità dello Stato che un attacco alla Chiesa.
Come autore, infine, legge l'Antico e il Nuovo Testamento e le successive elaborazioni dogmatiche della Chiesa per svelarne, con una critica serrata e avvincente, non soltanto le incongruenze logiche ma anche le infondatezze storiche, dando alla Ragione ciò che è della Ragione e facendo emergere dai testi la Verità. (TEA) >>


<< Il volume, fin dal titolo, cita Bertrand Russell (altro logico e matematico, guarda il caso) ed anche, con giudizio ovviamente negativo, Benedetto Croce, su cui grava la responsabilità di un testo ("Perché non possiamo non dirci cristiani", del 1942), che costituisce ormai il mantra dei sostenitori delle radici cristiane dell’Italia e dell’Europa. (…)

Come fece a suo tempo Isaac Asimov con In principio, analizzando il Genesi come se fosse un testo scientifico, Odifreddi esamina ora soprattutto la coerenza interna delle Sacre Scritture, nonché dei dogmi che ne hanno distillato le confessioni cristiane.

Più che di critica biblica si dovrebbe dunque parlare di critica testuale, che si concretizza in un’opera che si potrebbe quasi definire di esegesi laica, in quanto affronta il testo come se lo si leggesse per la prima volta. È questa la ragione per cui le citazioni e le note sono quasi esclusivamente scritturali.

In ordinata e metodica sequenza, dunque, l’Antico Testamento, il Nuovo, il cristianesimo e il cattolicesimo vengono fatti passare per il tritacarne. Tutto sommato, però, con meno impertinenza e disistima di quanto qualcuno temesse (o auspicasse), benché il volume cominci con una capitolo intitolato Cristiani e cretini (un accostamento, peraltro, etimologicamente fondato).

La Bibbia è definita come il racconto di «piccole beghe di un popolo di pastori mediorientali di tremila anni fa»: libri intrisi di violenza, tanto che «il conto delle vittime ascrivibili al buon Jahvé, dalla moglie di Lot a Saul, assomma a 770.359 persone, salvo errori e omissioni», come il meticoloso professore diligentemente annota.

La circostanza rappresenta una buona ragione per chiedersi «perché mai chi dettava [le Sacre Scritture] avrebbe voluto che si scrivessero così tante cose che, come abbiamo cominciato a notare e continueremo a fare, sono sbagliate scientificamente, contraddittorie logicamente, false storicamente, sciocche umanamente, riprovevoli eticamente, brutte letterariamente e raffazzonate stilisticamente, invece di ispirare semplicemente un’opera corretta, consistente, vera, intelligente, giusta, bella e lineare?».

Già, perché? Perché tutti i testi sacri riflettono, inevitabilmente, le condizioni politiche, economiche, sociali e culturali delle comunità che li hanno creati. Meglio: delle élite che li hanno creati.

A questa constatazione non si sottrae nemmeno il Nuovo Testamento, specialmente laddove Gesù dice ai suoi discepoli: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perché vedendo non vedano, e udendo non intendano».

Il commento dell’autore è sferzante: «secondo la contorta logica di Jahvé […] la sua parola non deve dunque essere compresa, così che da un lato egli possa perversamente infuriarsi col suo popolo che non comprende […] e dall’altro lato, egli possa poi magnanimamente perdonarlo e risanarlo. Questa contorta logica viene dunque ereditata anche da suo Figlio, o chi per esso, che parla per parabole perché la gente non possa capirlo, affinché si compiano le profezie».

L’inevitabile conseguenza, sostiene l’autore, è che il cristianesimo si rivela «una religione di illetterati cretini», indegna «della razionalità e dell’intelligenza dell’uomo». «Non possiamo essere Cristiani, e meno che mai Cattolici» – sostiene con vigore - «se vogliamo allo stesso tempo essere razionali e onesti. La ragione e l’etica sono infatti incompatibili con la teoria e la pratica del Cristianesimo».

È comunque il cattolicesimo il vero bersaglio dell’autore, dai suoi dogmi sconcertanti (la transustanziazione, la Trinità, l’Immacolata Concezione…) ad aspetti meno teologici, ma non meno sorprendenti se si prendessero sul serio le rivendicazioni di povertà, rigore morale e spiritualità ripetutamente avanzate dalle gerarchie vaticane, quali la stipula di concordati, l’otto per mille, gli scandali finanziari…

Facile prevedere che le battute contenute nel libro piaceranno a molti, anche se probabilmente non piaceranno a tutti certe prese di posizione politiche.

Un complimento che potrà sembrare perfido all’orgoglioso matematico, ma che mi sento comunque di fare, è che questo è un libro scritto con bel piglio umanistico e perfino filologico (vedi l’ampio ricorso alle etimologie), con una facilità di scrittura da fare invidia a molti scrittori.

Quasi che l’autore, già che c’era, intendesse sfatare anche un altro mito, quello della inintelligibilità degli uomini di scienza. «Finché ci saranno religioni ci saranno guerre di religione, come ci sono sempre state e ci sono. Mentre invece non ci sono guerre di scienza, né ci sono mai state, perché la scienza è una sola».

La critica alle religioni, e alla loro pretesa di verità, è dunque impietosa. Dalla lettura del libro sembra emergere, anche se Odifreddi nega di voler “sconvertire” qualcuno, la malcelata ambizione che il grande pubblico sappia: quasi che anche il consenso di cui gode tuttora la Chiesa cattolica non possa spiegarsi razionalmente, se non con il mancato accesso di larga parte della popolazione a fondamentali strumenti di conoscenza. >>

RAFFAELE CARCANO

venerdì 13 ottobre 2023

Punti di vista - 33

POPOLAZIONE MASSIMA
Ormai una contrazione economica globale non può essere evitata e sarà quasi certamente accompagnata da una grande “correzione” della popolazione umana.
Stime attendibili indicano che la capacità di carico a lungo termine della Terra varia da un minimo di 100 milioni a un massimo di tre miliardi di persone.
WILLIAM REESE


CINA E RICCHEZZA
Il primo nemico della Cina [di oggi] è la ricchezza.
La cosa può sorprendere perché la ricchezza è universalmente considerata una cosa positiva. E certamente lo è.
Ma, paradossalmente, quanto più la gente sta bene, tanto più si lamenta del governo, se è libera di farlo.
Soprattutto la ricchezza presenta svantaggi per chi vuole dominare totalmente.
Un popolo miserabile può essere imbottito di propaganda finché manca di dati; ma un popolo prospero, che viaggia e conosce il mondo, come può essere ingannato sulla reale situazione del proprio Paese?
Ed oggi i cinesi viaggiano a decine di migliaia.
GIANNI PARDO


I CONFINI DELLA LIBERTA'
La libertà non è tutto ciò che mi va di fare, la libertà confina in alto col dovere, in basso con la responsabilità, ai lati col rispetto degli altri e da ogni parte con la misura.
Nella misura c’è la discrezione, la non ostentazione, la capacità di discernere ciò che è intimo da già che è pubblico, ciò che è privato da ciò che è solenne.
E tutto questo si chiama buon gusto. E la netta separazione tra ciò che è intimo e privato e ciò che è pubblico e solenne.
MARCELLO VENEZIANI


NOI E GLI ALTRI
Il bias di proiezione è una tendenza cognitiva che porta le persone a pensare che gli altri la pensino come noi, o che abbiano le nostre stesse caratteristiche.
Si tratta di una forma di auto-percezione, in cui le persone proiettano le proprie preoccupazioni, aspettative e opinioni sugli altri. In altre parole, questo bias può spingere le persone a vedere negli altri le caratteristiche che vedono in se stesse o che temono di possedere.
Ad esempio, un individuo potrebbe essere incline a sospettare che gli altri siano bugiardi (o generosi) solo perché è consapevole del fatto che mente spesso (o che lui stesso è una persona generosa).
Questo tipo di tendenza alla proiezione può influire su come ciascuno percepisce la realtà e interagisce con gli altri.
ANA MARIA SEPE


MATRIMONI DI IERI E DI OGGI
Ho letto che i matrimoni combinati di un tempo non erano poi quell’inferno che molti credono oggi.
I coniugi venivano “messi insieme” a freddo, molte volte senza nemmeno la loro partecipazione, e loro stessi non si aspettavano dal matrimonio niente di ciò di cui si parla oggi: né sesso appassionato, né dialogo, né particolare affetto.
Ambedue i coniugi conoscevano i loro doveri e i loro diritti, si rispettavano formalmente, mettevano al mondo dei figli perché era un dovere farlo, ma per il resto il matrimonio cominciava tanto prosaicamente che, col tempo, non poteva che migliorare.
Invece, da quando il matrimonio è divenuto “un affare di cuore”, da esso ci si aspetta la felicità, tanto che finisce con un divorzio più di un matrimonio su due.
A nessuno viene seriamente insegnato che una convivenza in tanto può riuscire, in quanto si sia disciplinati, in quanto si impari a tollerare e perdonare. La serenità coniugale è al prezzo della padronanza di sé.
La spontaneità non è quella deliziosa virtù che molti credono. Spontaneamente siamo dei maleducati e degli egoisti. È con la ragione e con la buona educazione che diveniamo persone perbene.
GIANNI PARDO


OTTO SETTEMBRE
Non ci siamo più ripresi dall’8 settembre di ottant’anni fa, quando sull’Italia fu fatta una croce e il paese fu così spaccato in quattro: l’Italia fascista, l’Italia partigiana, l’Italia monarchica e l’Italia neutrale.
Quella croce sul Paese pesa ancora, nonostante quei quattro spicchi d’Italia si siano rimescolati e disciolti, nonostante l’Italia abbia perso la memoria storica di quel che accadde e vive solo brucando nel presente.
Ma quegli stampini, quei quattro spicchi d’Italia, separati ormai dalle loro matrici storiche e ideologiche, sono ancora i recinti in cui vive l’Italia, pur con attraversamenti continui e passaggi di campo: magari si chiamano conservatori, progressisti, moderati e fluttuanti.
MARCELLO VENEZIANI

venerdì 6 ottobre 2023

Bric a Brac

Questo post è dedicato al gruppo di Stati denominato BRICS (dalle iniziali di Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) ed al loro ruolo crescente sullo scacchiere geo-politico mondiale, da intendersi quale alternativa al blocco occidentale che si è costituito nel dopoguerra intorno agli Stati Uniti.
Il testo è di Leonardo Mazzei ed è tratto dal sito di Sollevazione.
LUMEN


<< I BRICS nascono nel 2006 per raggruppare le cosiddette “economie emergenti”. In quell’anno il Brasile, la Russia, l’India e la Cina decidono di costituire un “coordinamento diplomatico informale”. Nel 2009, al primo vertice tra questi paesi (il Sudafrica si unirà solo nel 2010), verrà esplicitato lo scopo fondamentale dell’associazione, quello di perseguire “un nuovo e più equo ordine mondiale multipolare”.

In queste poche parole c’è già l’essenza fondamentale dei Brics, mentre nel persistente unipolarismo del blocco occidentale Usa-Nato c’è la ragione del loro associarsi. Quel che produrranno in futuro, ce lo dirà solo la storia, ma l’impressione è che si tratterà di una storia molto, ma molto interessante.

Torniamo adesso al modello associativo dei Brics. Fino ad ora l’analogia con il G7 [il forum delle Nazioni più sviluppate] è stata davvero notevole: un vertice all’anno, dichiarazioni finali di indirizzo piuttosto generiche ed articolate, la formale autonomia di ogni membro associato. Su quest’ultimo punto è interessante notare come le dichiarazioni finali non siano mai a nome dei Brics in quanto tali, ma dei rappresentanti di ognuno dei paesi che ne fanno parte. Esattamente come avviene per il G7.

Nel 2014 (summit di Fortaleza) emerge però un’importante novità. Nella città brasiliana, i Brics decidono infatti di creare una loro Banca di Sviluppo, la New Development Bank (Ndb), una chiara sfida all’ordine di Bretton Woods, basato sul ruolo della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale oltre che sulla centralità del dollaro. Questa banca (la Ndb), partita con una dotazione iniziale di 50 miliardi di dollari, poi accresciuta nel tempo, dispone anche della piattaforma “Brics Pay” per aggirare l’uso della moneta americana nelle transazioni tra i 5 paesi dell’associazione. Insomma, i Brics in quanto tali rimangono un’organizzazione sui generis, ma di fatto si vanno strutturando.

Il vero salto di qualità avviene però con la guerra in Ucraina, che (al di là delle differenze pure profonde tra loro), i Brics vivono come conseguenza della rinnovata aggressività occidentale. Se si capisce che questo è stato lo snodo fondamentale, quello che porterà all’allargamento annunciato a Johannesburg ed a quelli previsti in futuro, si è già capito l’essenziale.

E’ vero, Russia e Cina non si sono mai amate. E’ verissimo, l’India mantiene stretti rapporti di cooperazione militare con gli Stati Uniti in funzione anti-cinese. Ed è certo (e naturale) che le agende del Brasile e del Sudafrica siano centrate sui rispettivi continenti. E’ certissimo, infine, come ogni membro dei Brics persegua i propri specifici interessi. Ma, nonostante tutti questi elementi di contraddizione, i Brics sono uniti dalla comune volontà di non sottostare al tallone occidentale.

E siccome sanno che l’Occidente a guida americana è pronto ad ogni tipo di guerra pur di non perdere la sua supremazia, è alla guerra (per adesso quella economica) che si stanno preparando. Qui sta l’importanza del vertice in terra sudafricana. Probabilmente senza la guerra in Ucraina l’allargamento non sarebbe neppure avvenuto.

Gli stati che entreranno il 1° gennaio 2024 [Arabia Saudita, Iran, Argentina, Egitto, Emirati Arabi ed Etiopia], e quelli ben più numerosi in lista d’attesa (tra i quali alcuni giganti come l’Indonesia, la Nigeria e l’Algeria), sanno benissimo che la loro adesione ai Brics è vista a Washington come una dichiarazione di guerra de facto. Dunque, se hanno compiuto quel passo non privo di conseguenze, vuol dire che hanno ritenuto ormai impossibile sottrarsi al gigantesco scontro alle porte.

Del resto, il 94° ed ultimo punto della Dichiarazione di Johannesburg così recita: «Brasile, India, Cina e Sud Africa estendono il loro pieno sostegno alla Russia per la sua presidenza Brics nel 2024 e per lo svolgimento del XVI vertice Brics nella città di Kazan, in Russia».

Vista l’importanza dei simboli in politica, ed anche nei rapporti internazionali, possiamo immaginarci come questa enfasi sia stata accolta nelle capitali occidentali, specie a Washington. I delegati di una quantità di paesi che, tra membri effettivi ed aspiranti, rappresentano ormai la maggioranza della popolazione mondiale, che vanno in casa di un nemico sotto sanzioni. Decisamente un colpaccio sotto la cintura!

Molti commentatori occidentali hanno cercato di minimizzare la svolta, enumerando le tante contraddizioni che fanno dei Brics un blocco per molti aspetti parecchio eterogeneo. Ma se rilevare differenze e contraddizioni è fin troppo facile, costoro fingono di non vedere che la natura dei Brics – un’associazione che esclude programmaticamente l’esistenza di un’egemone al proprio interno – è esattamente opposta a quella del G7, laddove l’egemone c’è e non è difficile notarlo.

Questa differenza segnala sì un potenziale punto di debolezza dei Brics, ma al tempo stesso – tenendo conto che lo scopo dell’associazione è “un nuovo e più equo ordine mondiale multipolare” – ne mette in luce un fondamentale punto di forza: la salvaguardia e il riconoscimento degli specifici interessi (non solo economici) di ogni paese membro. (...)

Nessun mito dei Brics, dunque, ma [la consapevolezza] che il loro sviluppo è il più importante elemento oggettivo di messa in discussione dell’ordine attuale. La forza più potente che si oppone al blocco USA-NATO. Nulla di più, ma nulla di meno. >>

LEONARDO MAZZEI

domenica 1 ottobre 2023

Pensierini – LXII

ASCENSORE SOCIALE
E' opinione diffusa (che condivido) che la scuola moderna, in quanto pubblica ed obbligatoria, rappresenti il principale ascensore sociale delle nostre comunità.
Questo, però, solo nel caso che la scuola sia veramente selettiva e competittiva, perchè solo così può consentire ai ragazzi più capaci, provenienti dalle classi più umili, di emergere veramente.
Ne consegue che la gente comune dovrebbe apprezzare, ed anzi pretendere, una scuola selettiva; mentre le elites, che possono mandare avanti i loro figli anche solo per privilegio di 'classe', dovrebbero desiderare il contrario.
Purtroppo, per una serie di motivi che non sto qui ad elencare, è proprio la gente comune che chiede alla scuola di essere mediocre, compiacente e poco selettiva.
Con la conseguenza che le elites, per ottenere i loro scopi di autoconservazione, non devono far altro che accontentare le richeste della gente.
Meglio di così, per loro, non si può immaginare.
LUMEN


RAZZISMO
Molte delle tragedie umane dipendono dal fatto che la parola RAZZISMO è ambigua e vuol dire due cose diverse:
1= che le razze umane esistono (vero)
2= che alcune razze sono superiori alle altre (falso).
Chi nega la prima affermazione, per paura di sembrare scorretto, finisce per alimentare la seconda.
LUMEN


ATEI E AGNOSTICI
La distinzione tra atei e agnostici può sembrare un mero formalismo terminologico, perchè entrambi vivono 'etsi deus non daretur', ma forse nasconde qualcosa di più profondo, legato al concetto di spiritualità.
Nel senso che gli atei la negano totalmente, essendo dei materialisti puri, mentre gli agnostici, essendo più possibilisti, la accettano.
E questo, nella propria visione de mondo, può fare qualche differenza.
LUMEN


IL PIU' GRANDE
La famosa prova ontologica dell'esistenza di Dio, elaborata da Sant'Anselmo, inizia affermando che Dio “è ciò di cui non si può pensare nulla di più grande”; e poi prosegue con il seguito del ragionamento.
Ma voi ci avete mai provato ad immaginare una cosa simile ?
Io ci ho provato. E non ci sono riuscito. E sono convinto che non ci possa riuscire nessuno
Tanto è vero che se chiedete ad un quasiasi credente come si immagina Dio, come potrebbe a riconoscerlo se lo vedesse, egli non saprebbe risponderti.
LUMEN


STATO DI DIRITTO
Si parla di 'Stato di Diritto' per indicare il fatto che i rapporti sociali sono regolati da leggi generali ed astratte, che valgono per tutti i cittadini.
Questa è forse l'aspetto in cui si rilevano le differenze maggiori tra le democrazie e le dittature.
Nelle prime infatti, restano escluse dai vincoli della legge soltanto le elites, le quali, per ovvi motivi (ricchezza, potere, controllo sociale), ne sono esentate. Ma per tutti gli altri cittadini la legge è davvero la forza suprema che domina tutti e consente a chiunque di veder tutelati i propri diritti.
Nelle dittature, invece, tutti i rapporti sono preda della corruzione e dell'arbitrio, per cui al di sopra (o al di fuori) della legge non ci solo solo le elites del partito al potere, ma anche molte altri soggetti o gruppi sociali, per cui chi si aspetta la tutela della legge può trovarsi facilmente deluso.
E quindi, sia ringraziata la democrazia.
LUMEN


PERCHE' LUMEN
Se qualcuno si fosse chiesto l'origine del mio 'nickname', preciso subito che non ha nulla a che fare con il famoso 'Lumen Gentium', che oltretutto non è neppure il soprannome di una persona, ma soltanto un testo dottrinale della Chiesa Cattolica (per la precisione del Concilio Vaticano II).
Il mio è, molto semplicemente, il lume della ragione, ovvero la piccola lanterna con la quale il buon vecchio filosofo Diogene cercava l'uomo.
Io, ovviamente, non sono un filosofo (e nemmeno ci tengo), ma spero di poter passare, con benevola approssimazione, per un antropologo dilettante.
E quindi, armato del mio piccolo lume, mi sono messo anch'io alla ricerca. Con i risultati che vedete nel blog.
LUMEN

domenica 24 settembre 2023

Utilità (e limiti) dei Testi Sacri

I Testi Sacri, da un punto di vista storico-politico, sono stati degli importanti strumenti di coesione e controllo sociale, e come tali hanno indubbiamente dei notevoli punti di forza; ma hanno anche, inevitabilmente, dei punti di debolezza.
Ce ne parla Marco Pierfranceschi in questo pezzo, molto interessante, tratto dal suo blog Mammifero Bipede.
LUMEN


<< Il capostipite dei moderni sistemi di comunicazione di massa sono i cosiddetti 'Testi Sacri'. I Testi Sacri formalizzano le convenzioni collettive rispetto alle modalità di relazionamento sociale rafforzandole per mezzo di una cornice teologica. Semplificando molto: se si seguono gli indirizzi proposti si ottiene di assecondare le volontà della/e divinità, di conseguenza la collettività di cui si fa parte funzionerà meglio e il singolo individuo guadagnerà una ricompensa nell’aldilà.

Gli indirizzi veicolati dai Testi Sacri sono, tipicamente, una serie di norme comportamentali funzionali alla sopravvivenza ed alla prosperità di piccole popolazioni, spesso operanti ai livelli minimi di sussistenza: non essere aggressivi con gli altri membri del gruppo, collaborare senza conflitti, mettersi a disposizione per opere della collettività, rispettare le istituzioni religiose e ‘temporali’, agire con saggezza, reprimere i comportamenti istintivi (con particolare riguardo al sesso non finalizzato alla riproduzione) e difendersi dalle comunità rivali.

Nelle società illetterate queste istruzioni vengono veicolate con cadenza regolare, quotidiana o settimanale, nel corso di apposite cerimonie, durante le quali i testi sacri vengono letti, commentati, ed i loro contenuti trasmessi alla comunità, con l’obiettivo di alimentare un immaginario collettivo condiviso. Ad integrare e supportare la comunicazione orale contribuiscono le arti figurative, attraverso raffigurazioni iconografiche collocate nei luoghi di culto, dalle quali vengono in genere tratte raffigurazioni semplificate che finiscono ad arredare le abitazioni private.

Questo sistema di condivisione culturale ha funzionato perfettamente fino a tempi relativamente recenti, fungendo da collante sociale per le civiltà del passato. La gestione dei contenuti ed il controllo sull’ortodossia delle interpretazioni tendono a concentrarsi, col passare del tempo, nelle mani di una cerchia ristretta di alti sacerdoti.

Modifiche, correzioni ed integrazioni ai testi obbligano a lunghe discussioni e non di rado conflitti. L’occasionale emergere di punti di vista divergenti, in grado di frammentare l’ortodossia dell’interpretazione e con essa il potere della casta sacerdotale, viene fermamente contrastato, ed in casi estremi represso nel sangue e bollato col termine ‘eresia’.

Il testo sacro rappresenta sostanzialmente il mezzo (medium, in latino) utilizzato per far convergere opinioni diverse, concordare linee d’azione condivise e risolvere le dispute. In cambio di questa funzione ‘mediatrice’ i rappresentanti dell’istituzione religiosa godono di uno status elevato e ricevono contributi tali da garantirne la sussistenza, la manutenzione dei luoghi di culto, le scuole di formazione e via dicendo.

L’intero processo di gestione, conservazione, diffusione ed esercizio della cultura condivisa comporta inevitabilmente dei costi, che ricadono sulla collettività. Necessariamente, nel momento in cui si instaura il classico meccanismo di trasferimento di ricchezza da una parte della popolazione ad un’altra, il confine di quanto sia giusto e necessario trasferire alla struttura di governo diventa oggetto di contesa: chi è tenuto a dare, cercherà di dare meno del dovuto, chi riceve cercherà di ottenere più di quanto gli spetti.

Tipicamente si producono due correnti di pensiero. Per alcuni la casta sacerdotale è tenuta ad esibire ricchezza, come rafforzativo della validità del messaggio veicolato, quindi paramenti appariscenti, luoghi di culto maestosi, coreografie ricercate. Per altri la necessità di veicolare un messaggio di tipo altruistico, l’unico in grado di fare da collante ad una collettività estesa, richiede l’esempio dato dalla rinuncia ai beni materiali, dall’uso di indumenti grossolani e dall’abitudine a pasti frugali.

La funzione di mediazione svolta dai Testi Sacri richiede che essi possano avallare un ampio ventaglio di opzioni. Questo viene realizzato inserendo all’interno del testo stesso fonti diverse, con orientamenti anche molto dissimili. Nello specifico, il Testo Sacro è obbligato a contenere tutto e il contrario di tutto, in modo da poter supportare una determinata linea di azione semplicemente scegliendo il brano più calzante.

Questo è già un esempio di 'Processo di Inganno', perché l’autorità religiosa supporta l’idea che la linea d’azione stabilita discenda da una precisa indicazione del Testo Sacro, il che la renderebbe incontestabile, tuttavia quell’indicazione rappresenta unicamente la porzione di Testo Sacro scelta dal mediatore, sacerdote od altro, ed è giocoforza strumentale al risultato desiderato.

L’inappellabilità della fonte divina, unita alla flessibilità dell’accesso ad una varietà di testi, contenenti indirizzi diversi, consente ai Testi Sacri di svolgere la funzione di mediazione tra gli interessi dei potenti e le aspirazioni delle popolazioni, manipolando queste ultime.

Non sorprende, perciò, che uno stesso Testo Sacro, la Bibbia Cristiana, affermi in alcune parti (Vangelo) la totale ed indiscutibile sacralità della vita umana, ma si presti altrettanto, in altre scritture più antiche, a giustificare guerre di conquista (le Crociate) o la persecuzione dei malati di mente (Inquisizione). I redattori del testo, fin dall’antichità, avevano ben chiara la sua funzione di controllo sociale e la necessità di contenervi l’intero ventaglio di opzioni necessarie a gestirla.

L’avvento della modernità mette in crisi questo modello millenario di trasmissione del sapere. Da un lato il pensiero scientifico e l’ascesa del razionalismo minano gravemente la convinzione diffusa di una possibile ricompensa ultraterrena per i sacrifici operati nel corso della vita mortale, dall’altro l’invenzione della stampa a caratteri mobili e la diffusione della carta, e con essi il ritorno ad un’alfabetizzazione di massa ed alla libera circolazione delle idee, consentono la messa in discussione dell’autorità delle istituzioni religiose e, come diretta conseguenza, delle forme di governo aristocratiche con le quali queste avevano finito col condividere una relazione simbiotica. (...)

Si sviluppa [così] una competizione per l’egemonia culturale. Da un lato le istituzioni religiose e l’aristocrazia, armati di Testi Sacri fissi ed immodificabili, considerati dettati direttamente dalle divinità e testimoniati da un esercito di sacerdoti, fedeli, aristocratici e sovrani per ‘diritto divino’. Dall’altro la nuova classe borghese, tecnocratica e pragmatica, arricchita dai commerci coloniali ed armata di libri e giornali in grado di veicolare idee nuove ed in continua evoluzione.

In questa contesa si ravvisa un’importante asimmetria tra i due strumenti comunicativi: mentre i Testi Sacri, come già detto, risultano obbligati a contenere tutto ed il contrario di tutto, prestando il fianco a diverse contraddizioni, i neonati Pamphlet possono focalizzarsi su un unico principio, un’unica idea, e svilupparla fino alle conseguenze più radicali, in ciò esibendo un esempio di rigore e coerenza.

Nel momento in cui si sviluppa un’alfabetizzazione diffusa e la società viene travolta da un ribollire di nuove idee e filosofie, ognuna di queste è oltretutto in grado di trovare supporto in una specifica porzione del Testo Sacro, di fatto derivandone una presunta sacralità per l’intera neonata architettura ideologica.

In buona sostanza la guerra alle ‘eresie’, combattuta per secoli dalla Chiesa Cattolica grazie ad un potere centralizzato e militarmente armato, finisce con l’essere perdente nei nuovi contesti culturali, dominati dalla libera circolazione delle idee ed avvantaggiati dallo sgretolamento del controllo verticistico della Chiesa conseguente alla diffusione del Protestantesimo. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

lunedì 18 settembre 2023

La coda del Pavone - 2

Si conclude qui il post di Lisa Signorile (tratto dal sito di Zanichelli) sul significato evoluzionistico della coda del pavone. (seconda ed ultima parte).

LUMEN


<< Non preoccupatevi se la teoria di Fisher non è chiarissima. Non lo è per nessuno, all’inizio, e si rivelò anche difficile da dimostrare con degli esperimenti.

Fortunatamente per noi, la teoria di Fisher non era chiara neanche al biologo israeliano Yoav Sagi, che nel 1973, quando era ancora studente, chiese ai suoi professori Amotz e Avishag Zahavi dell’università di Tel Aviv di spiegargliela.

Come racconta la coppia nell’introduzione al libro 'Il principio dell'handicap', fu proprio spiegare a Yoav l’evoluzione della coda del pavone alla luce della teoria di Fisher che diede loro l’idea del principio dell’handicap. Un’idea che spiega finalmente in modo brillante la coda del pavone e tanti altri aspetti e comportamenti degli animali sino ad allora rimasti inspiegati.

L’idea di base è che molti tratti anomali sono in realtà un segnale, un messaggio, e che “l’investimento degli animali nei segnali è simile alle penalità (dette tecnicamente “handicap”) che vengono imposte al più forte dei contendenti in un gioco o in uno sport, per esempio la rimozione della regina al giocatore migliore in una partita a scacchi. […] La vittoria nonostante le penalità imposte prova, senza alcun dubbio, che il vincitore è superiore per le proprie abilità e non per pura fortuna.”

In altre parole, la coda del pavone è un handicap, una penalità. Solo gli individui che si sono adattati meglio possono permettersi una simile coda in mezzo a una foresta, trovare cibo anche in periodi di carestia e avere l’agilità necessaria per sfuggire ai predatori. È un “segnale onesto” rivolto alle femmine della specie, come se il maschio dicesse: «prendi me, sono evidentemente il migliore, non sprecare il tuo tempo e il mio con gli altri maschi di serie B».

Più o meno il segnale che nella nostra specie lancia chi ha un’auto di lusso e la sfoggia per mostrare il proprio status sociale. Naturalmente saranno pochi i maschi ad avere code perfette (o i soldi per comprare una coupé), ma nelle popolazioni di pavoni le femmine condividono i propri compagni, che saranno quindi i padri di quasi tutti i piccoli.

Il segnale dell’handicap tuttavia, specificano gli Zahavi, funziona solo se chi lo emette non bara, cioè investe davvero energie perché può permettersele: se i suoi geni non sono buoni e spreca le risorse disponibili per atteggiarsi, non sopravviverà a lungo.

Un altro esempio classico della teoria dell’handicap è quello che spiega lo stotting delle antilopi e delle gazzelle: quando arriva un predatore la gazzella anziché fuggire comincia a saltare sulle quattro zampe in modo particolare, guardando negli occhi il predatore. Questa volta il segnale dell’handicap è rivolto al predatore: «non ho paura di te, guarda come salto bene, se mi insegui fuggirò e tu avrai perso tempo ed energie».

In questo modo il predatore sa che dovrà cercare una gazzella incapace di fare stotting, perché vecchia, azzoppata o malata: se non è in grado di sopportare la presenza di un handicap, non è probabilmente in grado di sfuggire a un inseguimento. Se una gazzella malata bluffasse e si mettesse a fare stotting, rischierebbe di sprecare le sue poche risorse saltellando invece di fuggire, e la sua fine sarebbe certa.

Nel regno animale gli esempi di handicap sono moltissimi e sono segnali rivolti a vari utenti:

= a un potenziale compagno, come fanno i pavoni e tutti gli altri uccelli i cui maschi hanno un piumaggio vistoso;

= a un predatore, come fanno le gazzelle con lo stotting o vari ungulati con le corna, che non fuggono, ma guardano con aria di sfida il pericolo;

= ai rivali, come gli usignoli o i passeri che cantano da un ramo alto, mostrando ai contendenti che quello è il loro territorio e non hanno paura di essere predati;

= all’interno di un gruppo sociale, come fanno i garruli, gli uccellini che accudiscono i figli degli altri, anche non imparentati, per dimostrare a tutti di essere all’altezza di farlo e in cambio guadagnano status sociale e attirano potenziali partner.

Noi umani non siamo immuni dall’esibire handicap, ce ne sono ovunque nei nostri comportamenti. Zahavi fa l’esempio dello sceriffo dei film western che entra nel covo dei banditi con la pistola nella fondina (l’handicap) per mostrare che non ha paura di loro.

Ma anche una grande casa è un handicap se è più grande delle reali necessità della famiglia, perché ha un costo elevato (in denaro, non in metabolismo) e segnala che la famiglia può permetterselo.

Un matrimonio sfarzoso, costosissimo e un po’ kitsch dimostra reciprocamente alle due famiglie e a tutti gli altri che chi paga può permettersi il volo delle colombe e i fuochi di artificio e segnala quindi lo status degli sposi (anche se per pagare il pranzo bisogna poi fare un mutuo!).

Ma gli handicap sono anche nel nostro corpo. I capelli umani, tecnicamente inutili se lunghi, sono difficili da gestire e forniscono una facile presa durante la lotta con un avversario. Sono quindi un altro handicap evoluto dai nostri antenati, poiché se crescono troppo si annodano, si impigliano e ostacolano la visione. Avere capelli curati e sempre ben pettinati dimostra che chi li porta può permettersi il tempo e l’investimento per gestirli e curarli, e può affrontare i nemici malgrado la presenza di questo fastidioso inconveniente.

La sclera, cioè la parte bianca degli occhi, è un altro handicap: un predatore sa che lo stiamo fissando. I gorilla hanno la sclera scura e non si capisce dove sia orientata la pupilla, confondendo il predatore, ma noi umani siamo più spacconi dei gorilla e abbiamo un handicap negli occhi.>>

LISA SIGNORILE