Una società, per funzionare bene, ha bisogno di una notevole uniformità tra i suoi membri; questo è pacifico. Ma ha bisogno anche di una certa variabilità, perchè nelle situazioni di crisi le prospettive possono cambiare.
A questa contrapposizione, ed al concetto di 'normalità sociale', è dedicato il post di oggi, che riporta le riflessioni sull'argomento di Marco Pierfranceschi. Il testo (tratto dal suo blog Mammifero Bipede) è stato diviso in due parti per comodità di lettura.
LUMEN
A questa contrapposizione, ed al concetto di 'normalità sociale', è dedicato il post di oggi, che riporta le riflessioni sull'argomento di Marco Pierfranceschi. Il testo (tratto dal suo blog Mammifero Bipede) è stato diviso in due parti per comodità di lettura.
LUMEN
<< Nel corso dell'ultima campagna elettorale (settembe 2022), la Destra ha suggerito l’idea di intervenire per correggere le ‘devianze’, intendendo con questo termine una serie di ‘derive comportamentali’, contrapposte ad una presunta ‘normalità’. Il punto è che discriminare la popolazione tra ‘normali’ da un lato e ‘devianti’ dall’altro è totalmente sbagliato.
In natura non esiste la normalità, semmai esiste una ‘prevalenza’ di alcuni caratteri su altri. Le caratteristiche prevalenti, in una specie, sono quelle che meglio si adattano alla situazione contingente, consentendo ai singoli individui, ai gruppi ed all’intera specie di prosperare. Tuttavia la natura, per mezzo della riproduzione sessuata e delle mutazioni casuali, si riserva margini di errore, producendo ad ogni generazione individui significativamente diversi dalla versione standard. Sono proprio questi individui che, al mutare delle situazioni contingenti, possono consentire ai gruppi cui appartengono di adattarsi e continuare a prosperare.
Per chiarire meglio il concetto citerò un esempio tratto da “L’Origine delle Specie” di Charles Darwin. La lunghezza del pelo, in una qualunque specie animale, discende in linea diretta dalle condizioni climatiche standard in cui la specie vive e prospera. Un individuo che nasca col pelo più folto soffrirà il caldo, risultando svantaggiato nella competizione per la sopravvivenza e la riproduzione. Analogamente, un individuo dal pelo più corto soffrirà il freddo, con conseguenze simili. Questa forma di svantaggio fa sì che gli individui con caratteristiche difformi dai valori ottimali non abbiano la possibilità di alterare lo standard dell’intera specie.
Tuttavia, nel momento in cui le condizioni climatiche si trovino a variare, come ad esempio all’inizio di una glaciazione, saranno gli individui dal pelo più folto ad essere avvantaggiati, a sopravvivere e a riprodursi con maggior facilità. La loro esistenza rappresenta un margine di adattabilità fondamentale per preservare la specie dal rischio di estinzione. Inoltre, specie che si ritrovino, per un qualunque motivo, a popolare habitat diversi da quello originario, superato un primo periodo di difficoltà finiscono con lo sviluppare adattamenti specifici, locali, che risultano vantaggiosi nel nuovo habitat, diversificandosi dalla linea genetica di partenza.
La diversità fra singoli individui rappresenta pertanto una necessità nei processi evolutivi, e non solo non può essere eliminata, ma è al contrario fondamentale per garantire alle specie la necessaria capacità di adattamento alle eventuali trasformazioni degli habitat ed alla competizione con specie differenti. Basterebbe già questo per bollare determinate ideologie suprematiste, basate su idee come la ‘purezza della razza’, come Bias Culturali, ma c’è dell’altro.
Quando spostiamo l’attenzione dai singoli individui alle specie sociali osserviamo che non è tanto l’efficacia individuale a rappresentare la carta vincente, dato che il gruppo (mandria, stormo, banda, tribù, piccola comunità) agisce come un sovra-individuo, integrando le capacità dei singoli membri. In natura disporre di un ventaglio differenziato di abilità rappresenta un vantaggio. Un gruppo dotato di individui con abilità diverse riesce ad essere più versatile, e meglio adattabile, di un gruppo in cui tutti sanno fare più o meno le stesse cose.
Il vantaggio di mettere a sistema le singole abilità travalica l’appartenenza di specie. Come ho osservato personalmente in Sud Africa, branchi di erbivori di specie diverse pascolano abitualmente insieme, spontaneamente integrando i differenti acumi sensoriali per meglio individuare la presenza di predatori. Animali che hanno una vista scadente (i rinoceronti) possiedono per contro un ottimo olfatto, animali che hanno un olfatto scadente possono avere un ottimo udito, animali che hanno un udito scadente possono avere una vista più acuta. All’avvicinarsi dei predatori, la prima specie ad accorgersene fugge, e in questo modo allerta tutte le altre.
Analogamente, in un gruppo di umani è vantaggioso avere un ampio ventaglio di caratteristiche individuali, con alcuni più alti della media, altri più bassi, alcuni più forti e massicci, altri più veloci, come pure avere individui che metabolizzano meglio alcuni cibi, altri con una vista superiore alla media, o con un ottimo udito, o con un olfatto sensibile. Lo stesso vale per le caratteristiche psicologiche: alcuni individui possono essere più irruenti, altri violenti, altri emotivi, altri calmi, altri razionali. Non esiste una risposta unica ed ottimale a tutti i problemi, per questo è necessario generare e conservare un ventaglio di capacità e propensioni diverse.
Se le abilità di un singolo individuo sono definite dal suo personale patrimonio genetico, le abilità complessive del gruppo sono espressione del pool genetico collettivo. Quelle abilità particolari che nel gruppo risultino carenti, diventano oggetto di attrazione e desiderio sessuale nei confronti di membri di altri gruppi, portando di norma alla formazione di coppie fra individui appartenenti a diverse comunità. (...)
In linea di massima, una collettività comprendente individui con caratteristiche fisiche e mentali disperse su un ampio ventaglio di variabilità risulta più efficiente, compatta e capace di affrontare le difficoltà rispetto ad una composta da individui simili o del tutto identici. Questo discorso vale per tutte le forme viventi.
Un ambito dove risultano evidenti le conseguenze di una ridotta variabilità genetica sono le produzioni agricole industriali, dove la disponibilità di sementi più produttive di altre ha portato all’avvento delle monocolture. La coltivazione su più ettari di terreno di piante geneticamente identiche fa sì che le piante stesse siano tutte identicamente attaccabili da un medesimo parassita, portando alla perdita di interi raccolti laddove la variabilità naturale ne avrebbe salvato una parte, quella diversamente in grado di resistere ai predatori. >>
MARCO PIERFRANCESCHI
In natura non esiste la normalità, semmai esiste una ‘prevalenza’ di alcuni caratteri su altri. Le caratteristiche prevalenti, in una specie, sono quelle che meglio si adattano alla situazione contingente, consentendo ai singoli individui, ai gruppi ed all’intera specie di prosperare. Tuttavia la natura, per mezzo della riproduzione sessuata e delle mutazioni casuali, si riserva margini di errore, producendo ad ogni generazione individui significativamente diversi dalla versione standard. Sono proprio questi individui che, al mutare delle situazioni contingenti, possono consentire ai gruppi cui appartengono di adattarsi e continuare a prosperare.
Per chiarire meglio il concetto citerò un esempio tratto da “L’Origine delle Specie” di Charles Darwin. La lunghezza del pelo, in una qualunque specie animale, discende in linea diretta dalle condizioni climatiche standard in cui la specie vive e prospera. Un individuo che nasca col pelo più folto soffrirà il caldo, risultando svantaggiato nella competizione per la sopravvivenza e la riproduzione. Analogamente, un individuo dal pelo più corto soffrirà il freddo, con conseguenze simili. Questa forma di svantaggio fa sì che gli individui con caratteristiche difformi dai valori ottimali non abbiano la possibilità di alterare lo standard dell’intera specie.
Tuttavia, nel momento in cui le condizioni climatiche si trovino a variare, come ad esempio all’inizio di una glaciazione, saranno gli individui dal pelo più folto ad essere avvantaggiati, a sopravvivere e a riprodursi con maggior facilità. La loro esistenza rappresenta un margine di adattabilità fondamentale per preservare la specie dal rischio di estinzione. Inoltre, specie che si ritrovino, per un qualunque motivo, a popolare habitat diversi da quello originario, superato un primo periodo di difficoltà finiscono con lo sviluppare adattamenti specifici, locali, che risultano vantaggiosi nel nuovo habitat, diversificandosi dalla linea genetica di partenza.
La diversità fra singoli individui rappresenta pertanto una necessità nei processi evolutivi, e non solo non può essere eliminata, ma è al contrario fondamentale per garantire alle specie la necessaria capacità di adattamento alle eventuali trasformazioni degli habitat ed alla competizione con specie differenti. Basterebbe già questo per bollare determinate ideologie suprematiste, basate su idee come la ‘purezza della razza’, come Bias Culturali, ma c’è dell’altro.
Quando spostiamo l’attenzione dai singoli individui alle specie sociali osserviamo che non è tanto l’efficacia individuale a rappresentare la carta vincente, dato che il gruppo (mandria, stormo, banda, tribù, piccola comunità) agisce come un sovra-individuo, integrando le capacità dei singoli membri. In natura disporre di un ventaglio differenziato di abilità rappresenta un vantaggio. Un gruppo dotato di individui con abilità diverse riesce ad essere più versatile, e meglio adattabile, di un gruppo in cui tutti sanno fare più o meno le stesse cose.
Il vantaggio di mettere a sistema le singole abilità travalica l’appartenenza di specie. Come ho osservato personalmente in Sud Africa, branchi di erbivori di specie diverse pascolano abitualmente insieme, spontaneamente integrando i differenti acumi sensoriali per meglio individuare la presenza di predatori. Animali che hanno una vista scadente (i rinoceronti) possiedono per contro un ottimo olfatto, animali che hanno un olfatto scadente possono avere un ottimo udito, animali che hanno un udito scadente possono avere una vista più acuta. All’avvicinarsi dei predatori, la prima specie ad accorgersene fugge, e in questo modo allerta tutte le altre.
Analogamente, in un gruppo di umani è vantaggioso avere un ampio ventaglio di caratteristiche individuali, con alcuni più alti della media, altri più bassi, alcuni più forti e massicci, altri più veloci, come pure avere individui che metabolizzano meglio alcuni cibi, altri con una vista superiore alla media, o con un ottimo udito, o con un olfatto sensibile. Lo stesso vale per le caratteristiche psicologiche: alcuni individui possono essere più irruenti, altri violenti, altri emotivi, altri calmi, altri razionali. Non esiste una risposta unica ed ottimale a tutti i problemi, per questo è necessario generare e conservare un ventaglio di capacità e propensioni diverse.
Se le abilità di un singolo individuo sono definite dal suo personale patrimonio genetico, le abilità complessive del gruppo sono espressione del pool genetico collettivo. Quelle abilità particolari che nel gruppo risultino carenti, diventano oggetto di attrazione e desiderio sessuale nei confronti di membri di altri gruppi, portando di norma alla formazione di coppie fra individui appartenenti a diverse comunità. (...)
In linea di massima, una collettività comprendente individui con caratteristiche fisiche e mentali disperse su un ampio ventaglio di variabilità risulta più efficiente, compatta e capace di affrontare le difficoltà rispetto ad una composta da individui simili o del tutto identici. Questo discorso vale per tutte le forme viventi.
Un ambito dove risultano evidenti le conseguenze di una ridotta variabilità genetica sono le produzioni agricole industriali, dove la disponibilità di sementi più produttive di altre ha portato all’avvento delle monocolture. La coltivazione su più ettari di terreno di piante geneticamente identiche fa sì che le piante stesse siano tutte identicamente attaccabili da un medesimo parassita, portando alla perdita di interi raccolti laddove la variabilità naturale ne avrebbe salvato una parte, quella diversamente in grado di resistere ai predatori. >>
MARCO PIERFRANCESCHI
A proposito degli errori di duplicazione del DNA (da cui dipende poi la variabilità del fenotipo), sul web ho trovato questa interessante spiegazione:
RispondiElimina<< Il complesso meccanismo della duplicazione del DNA è straordinariamente preciso, ma non è perfetto.
Innanzitutto la DNA polimerasi compie una quantità notevole di errori: il tasso osservato in E. coli di un errore ogni 105 basi duplicate, per quanto basso, produrrebbe 60 000 mutazioni ogni volta che una cellula umana si divide.
Inoltre, il DNA delle cellule che non sono in divisione è soggetto a danni provocati da alterazioni chimiche naturali delle basi o da agenti ambientali.
Per fortuna le cellule dispongono di almeno tre meccanismi di riparazione:
= una correzione di bozze che corregge gli errori di a mano a mano che la DNA polimerasi li compie;
= una riparazione delle anomalie di appaiamento, che esamina il DNA subito dopo che si è duplicato e corregge gli appaiamenti sbagliati;
= una riparazione per escissione che elimina le basi anomale dovute a un agente chimico e le sostituisce con basi funzionali. >>
"In natura non esiste la normalità, semmai esiste una ‘prevalenza’ di alcuni caratteri su altri."
RispondiEliminaMi pare difficile rinunciare al concetto di normalità. Ovviamente una certa normalità è temporale e ciò che è normale in un certo periodo può non esserlo più in seguito.
Per normale intendiamo il carattere più diffuso. Paradossalmente se in un certo periodo predominano ladri e assassini il loro comportamente si riterrà normale, appunto nel senso di diffuso, più diffuso. In Messico è per es. più o meno normale venire ammazzato, capita ogni giorno che qualcuno venga ucciso.
Nel corso dell'evoluzione ci sono lanci "difettosi" in un certo ambiente e destinati a essere eliminati, altri invece si rivelano utili alla specie. Nella lotta per la sopravvivenza ha la meglio chi ha certe qualità in un certo ambiente e in un certo tempo. Ma la ruota gira e normale risulterà poi chi si è imposto.
Comunque nella nostra vita sociale al concetto di normale, normalità, facciamo sempre ricorso.
<< Comunque nella nostra vita sociale al concetto di normale, normalità, facciamo sempre ricorso.>>
EliminaCerto, si tratta di un concetto importante.
Però bisogna fare attenzione a non caricarlo di significati 'etici'.
E' molto comune infatti la tentazione di considerare la normalità come 'buona' e l'anomalia come 'cattiva'.
Invece si tratta solo di preponderanza statistica, per cui le anomalie vanno valutate singolarmente, caso per caso.
"Invece si tratta solo di preponderanza statistica"
Elimina(Per quel che vale l'opinione di un Signor Nessuno come il sottoscritto) pienamente d'accordo: in qs casi lo "scivolamento" etico-religioso e (conseguentemente) giuridico-politico è costantemente dietro l'angolo...
Nella seconda parte del post, troverai ulteriori conferme di questa tua riflessione.
EliminaI due paragoni che ho riscontrato, le mandrie di erbivori in Sudafrica e le monocolture agricole, non possono essere...paragonati alle comunità umane, perché noi esseri umani non pascoliamo in gruppo e quando sono in fila alla cassa del supermercato, non ha alcuna importanza pratica, per me, che la signora davanti a me sia alta, o bassa, o grassa, o magra e che il signore dietro di me sia giovane, o vecchio, o intelligente o stupido. Proprio nessunissima importanza.
RispondiEliminaVado a messa? Che m'importa se gli altri fedeli sono più intelligenti o più stupidi di me?
Vado allo stadio a vedere la partita? Che m'importa se gli altri tifosi sono più ricchi o più poveri di me?
Le monocolture agricole sono facilmente attaccabili dai parassiti. Io evito gli assembramenti per istinto. Un terrorista getterebbe una bomba dove c'è più gente ammassata, non dove circolano pochi pedoni.
I concerti sono un rito di un qualche genere, come pure le partite, ed è lì che c'è pericolo. La calca potrebbe schiacciarmi. Ma io la musica me la sento a casa mia!
Se biologicamente siamo animali gregari, è anche vero che il nostro istinto gregario si manifesta saltuariamente, poiché di norma viviamo ciascuno per conto suo.
La normalità, quindi, è la solitudine o al limite il gruppo familiare.
Le tesi di Marco Pierfranceschi, benché esposte sapientemente, mi sembrano tirate per i capelli. O almeno io non mi ci riconosco.
Caro Free, tu sei uno spirito libero e come tale sei abituato a valorizzare le differenze.
EliminaPierfranceschi invece (se ho interpretato correttamente il suo pensiero) si è focalizzato sulla tendenza sociale di demonizzare le anomalie.
Ed in questo mi trovo d'accordo con lui.
Credo che nella seconda parte del post potrai trovare ulteriori considerazioni più convincenti.
Demonizzazione delle anomalie
EliminaCi sono anomalie tollerabili, che danno poco o nessun fastidio, e altre invece assolutamente inaccettabili. L'omosessualità, per esempio, praticata una volta da una bassissima percentuale della popolazione e riprovevole perché sterile. Ormai da decenni stiamo assistendo all'omosessualizzazione della società - sicuramente c'è lo zampino delle tue elite - per cui oggi l'omosessualità è stata sdoganata, persino dal Vaticano, ed è ormai normale (una semplice variante della sessualità, ci dicono le elite e persino la Chiesa).
Piccole e insignificanti anomalie possono persino piacere, ma quando sono in gioco grosse questioni allora non si scherza. Fino a ieri gli omosessuali erano "antisociali" (non si riproducevano!), oggi invece meritano chissà una medaglia al valore. Comunque è difficile non caricare certi concetti di un valore etico
(nella fattispecie normale = sano, buono).
Mi rendo conto che si tratta di un argomento delicato, ma non sono così sicuro che gli omosessuali fossero demonizzati perchè non si riproducevano.
EliminaO almeno non solo per questo.
Possiamo osservare infatti che molti omosessuali, quando la loro tendenza era perseguita per legge, si sposavano ed avevano ugualmente figli.
Mentre per contro molti libertini (magari invidiati) hanno moltissimi rapporti sessuali col sesso opposto, senza procreare, anzi stando molto attenti a non farlo.
Credo pertanto che siano coinvolti anche altri fattori.