Uno degli argomenti più affascinanti della scienza è lo studio delle differenze fondamentali tra la materia vivente e quella inanimata e proprio ad esso è dedicato il post di oggi, scritto da Giovanni Occhipinti.
Il testo, tratto dal suo blog 'Origine della Vita e Chimica pre-biotica', è stato diviso in 2 parti per comodità di lettura.
LUMEN.
<< La definizione del concetto di vita e di vivente è naturalmente una impresa molto ardua e sono sempre possibili imprecisioni e fraintendimenti. A volte, nell'intento - magari lodevole di essere precisi e rigorosi - si finisce per correre il rischio di essere dogmatici e di cadere in conclusioni paradossali, quali quelli che portano a dubitare della qualifica di vivente del mulo soltanto perché è sterile e non può riprodursi.
Quelle che seguono sono dunque considerazione che hanno un fine prevalentemente terminologico (quello di evitare che nella discussione si faccia uso di termini uguali, attribuendo loro significati diversi) e metodologico (quello di circoscrivere la trattazione dell'argomento all'ambito strettamente scientifico-sperimentale).
Se si osservano un cane che abbaia e un sasso sappiamo subito riconoscere cosa è vivo e cosa inanimato. Dare però una definizione scientifica conclusiva che distingua i viventi dal mondo inanimato cioè come definire la vita, per mezzo di osservazioni macroscopiche e di senso comune, è un’impresa difficile. Intorno agli anni settanta del secolo scorso, si inizia a fare una lista delle caratteristiche del vivente.
Così, organismo vivente era considerato un sistema capace di nutrirsi, crescere, riprodursi e reagire agli stimoli. La questione è che queste funzioni si riscontrano, singolarmente, anche nel mondo inanimato. Il granulo di un cristallo si “nutre” delle particelle in soluzione e cresce, può spezzarsi e riprodurre un altro cristallo. Si conoscono anche diversi sistemi meccanici che reagiscono ad uno stimolo termico o elettrico.
Si è pensato allora di mettere come condizione, per definire un vivente, la presenza simultanea di tutte le caratteristiche sopra elencate. Ma poi, se il cane è gravemente malato e non riesce più a nutrirsi? E gli ibridi, come il mulo che non si riproducono?
La questione fu quindi spostata sulle popolazioni e infatti Maynard Smith in “La teoria dell’evoluzione” 1975, scrive: «Una lista così arbitraria ci serve a poco. Per fortuna la teoria della selezione naturale di Darwin ci dà, invece, una definizione soddisfacente. Noi consideriamo vivente una popolazione formata da entità che hanno la proprietà di moltiplicazione, di ereditarietà e di variabilità».
Rimane ancora il problema degli ibridi che non si riproducono. Agli inizi degli anni `80, come scrive Alessandro Minelli in “Gli albori della vita” Le Scienze”1984, si preferisce lasciare da parte la tentazione di definire il fenomeno “vita”.
Verso la fine dello stesso decennio Manfred Eigen, in “Gradini verso la vita” 1987, dedica tutto il primo capitolo a questo argomento e infine conclude: «La domanda: “Che cos’è la vita?” ha molte risposte possibili, nessuna delle quali è soddisfacente […]. Troppo grande è la massa dei fenomeni complessi, troppo diversificati sono i caratteri e i comportamenti dei viventi perché una definizione generale possa avere senso».
Nel 2000, in “Da dove viene la vita”, Paul Davies tenta di dare una chiara idea di che cosa sia la vita e ritorna a proporre una lista. Egli elenca dieci caratteristiche essenziali per definire un vivente e conclude: «Posso riassumere questo elenco di qualità affermando che, in senso lato, la vita sembra coinvolgere due fattori cruciali: il metabolismo e la riproduzione». E gli ibridi? (...)
Ernst Mayr, in riferimento alla ricerca della vita nello spazio, in “L’unicità della biologia”2004, ritorna sulla necessità di dare una definizione di “vita” e scrive: «Personalmente accetto una definizione ampia: la vita deve essere capace di replicarsi e di usare l’energia ricavata dal sole o da alcune molecole disponibili, come i composti solforati presenti nelle fumarole oceaniche». Rimane ancora il problema del seme e degli ibridi. (...)
In conclusione, lista o non lista, da un punto di vista scientifico non esiste una chiara e condivisa definizione di che cosa è la vita. (...) Ma perché non si riesce a dare una definizione alla vita?
Perché ogni volta che in una lista compaiono metabolismo, riproduzione ed evoluzione, esse vengono proiettate sempre verso il futuro, ma la selezione naturale non conosce il futuro. Non ha senso una definizione di vita che guarda al futuro se il futuro non si conosce. (...)
La vita è uno stato della materia. Poiché esistono solo due stati, vita e morte, la vita è vita fino a quando non passa allo stato di morte, cioè fino a quando non si riconosce il “nuovo” stato, lo stato di materia inanimata.
Lo stato della materia che noi chiamiamo “vita” si regge su tre proprietà fondamentali: deve possedere un sistema metabolico ed essere un prodotto della riproduzione e un prodotto dell’evoluzione. La materia che non presenta simultaneamente queste tre proprietà fondamentali è materia inerte.
Nessuno in un automobile o in un cristallo riconosce un sistema metabolico ed essere il prodotto della riproduzione e dell’evoluzione. I cristalli di sale che si formano sugli scogli dopo l’evaporazione dell’acqua sono identici a quelli che si formavano miliardi di anni fa, nessuna differenza, nessuna evoluzione.
Il cane ammalato è temporaneamente impedito, ma possiede un sistema metabolico. È un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione. Il cane ammalato è un vivente. Il mulo sopravvive per mezzo del metabolismo. È ininfluente se si riproduce o no, è però un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione dei suoi antenati, la cavalla e l’asino. Il mulo è un vivente.
E i semi cui possiamo aggiungere anche le spore? (...) Semi e spore protetti all’interno dei loro gusci aspettano pazientemente il loro momento per sopravvivere. Semi e spore hanno un sistema metabolico sono prodotti della riproduzione e dell’evoluzione delle piante, e di funghi e batteri. Semi e spore sono viventi. >>
Quelle che seguono sono dunque considerazione che hanno un fine prevalentemente terminologico (quello di evitare che nella discussione si faccia uso di termini uguali, attribuendo loro significati diversi) e metodologico (quello di circoscrivere la trattazione dell'argomento all'ambito strettamente scientifico-sperimentale).
Se si osservano un cane che abbaia e un sasso sappiamo subito riconoscere cosa è vivo e cosa inanimato. Dare però una definizione scientifica conclusiva che distingua i viventi dal mondo inanimato cioè come definire la vita, per mezzo di osservazioni macroscopiche e di senso comune, è un’impresa difficile. Intorno agli anni settanta del secolo scorso, si inizia a fare una lista delle caratteristiche del vivente.
Così, organismo vivente era considerato un sistema capace di nutrirsi, crescere, riprodursi e reagire agli stimoli. La questione è che queste funzioni si riscontrano, singolarmente, anche nel mondo inanimato. Il granulo di un cristallo si “nutre” delle particelle in soluzione e cresce, può spezzarsi e riprodurre un altro cristallo. Si conoscono anche diversi sistemi meccanici che reagiscono ad uno stimolo termico o elettrico.
Si è pensato allora di mettere come condizione, per definire un vivente, la presenza simultanea di tutte le caratteristiche sopra elencate. Ma poi, se il cane è gravemente malato e non riesce più a nutrirsi? E gli ibridi, come il mulo che non si riproducono?
La questione fu quindi spostata sulle popolazioni e infatti Maynard Smith in “La teoria dell’evoluzione” 1975, scrive: «Una lista così arbitraria ci serve a poco. Per fortuna la teoria della selezione naturale di Darwin ci dà, invece, una definizione soddisfacente. Noi consideriamo vivente una popolazione formata da entità che hanno la proprietà di moltiplicazione, di ereditarietà e di variabilità».
Rimane ancora il problema degli ibridi che non si riproducono. Agli inizi degli anni `80, come scrive Alessandro Minelli in “Gli albori della vita” Le Scienze”1984, si preferisce lasciare da parte la tentazione di definire il fenomeno “vita”.
Verso la fine dello stesso decennio Manfred Eigen, in “Gradini verso la vita” 1987, dedica tutto il primo capitolo a questo argomento e infine conclude: «La domanda: “Che cos’è la vita?” ha molte risposte possibili, nessuna delle quali è soddisfacente […]. Troppo grande è la massa dei fenomeni complessi, troppo diversificati sono i caratteri e i comportamenti dei viventi perché una definizione generale possa avere senso».
Nel 2000, in “Da dove viene la vita”, Paul Davies tenta di dare una chiara idea di che cosa sia la vita e ritorna a proporre una lista. Egli elenca dieci caratteristiche essenziali per definire un vivente e conclude: «Posso riassumere questo elenco di qualità affermando che, in senso lato, la vita sembra coinvolgere due fattori cruciali: il metabolismo e la riproduzione». E gli ibridi? (...)
Ernst Mayr, in riferimento alla ricerca della vita nello spazio, in “L’unicità della biologia”2004, ritorna sulla necessità di dare una definizione di “vita” e scrive: «Personalmente accetto una definizione ampia: la vita deve essere capace di replicarsi e di usare l’energia ricavata dal sole o da alcune molecole disponibili, come i composti solforati presenti nelle fumarole oceaniche». Rimane ancora il problema del seme e degli ibridi. (...)
In conclusione, lista o non lista, da un punto di vista scientifico non esiste una chiara e condivisa definizione di che cosa è la vita. (...) Ma perché non si riesce a dare una definizione alla vita?
Perché ogni volta che in una lista compaiono metabolismo, riproduzione ed evoluzione, esse vengono proiettate sempre verso il futuro, ma la selezione naturale non conosce il futuro. Non ha senso una definizione di vita che guarda al futuro se il futuro non si conosce. (...)
La vita è uno stato della materia. Poiché esistono solo due stati, vita e morte, la vita è vita fino a quando non passa allo stato di morte, cioè fino a quando non si riconosce il “nuovo” stato, lo stato di materia inanimata.
Lo stato della materia che noi chiamiamo “vita” si regge su tre proprietà fondamentali: deve possedere un sistema metabolico ed essere un prodotto della riproduzione e un prodotto dell’evoluzione. La materia che non presenta simultaneamente queste tre proprietà fondamentali è materia inerte.
Nessuno in un automobile o in un cristallo riconosce un sistema metabolico ed essere il prodotto della riproduzione e dell’evoluzione. I cristalli di sale che si formano sugli scogli dopo l’evaporazione dell’acqua sono identici a quelli che si formavano miliardi di anni fa, nessuna differenza, nessuna evoluzione.
Il cane ammalato è temporaneamente impedito, ma possiede un sistema metabolico. È un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione. Il cane ammalato è un vivente. Il mulo sopravvive per mezzo del metabolismo. È ininfluente se si riproduce o no, è però un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione dei suoi antenati, la cavalla e l’asino. Il mulo è un vivente.
E i semi cui possiamo aggiungere anche le spore? (...) Semi e spore protetti all’interno dei loro gusci aspettano pazientemente il loro momento per sopravvivere. Semi e spore hanno un sistema metabolico sono prodotti della riproduzione e dell’evoluzione delle piante, e di funghi e batteri. Semi e spore sono viventi. >>
GIOVANNI OCCHIPINTI
(continua)
Una delle caratteristiche più tipiche degli "esseri viventi" è lo loro apparente violazione della 2' legge della termodinamica (entropia), come ci spiega questo breve passo tratto dal web:
RispondiElimina<< La vita sembra contraddire la legge dell'entropia. Gli esseri viventi presentano un notevole livello di ordine. La stessa evoluzione sembra rappresentare il continuo accumulo di un ordine via via crescente a partire dal disordine.
Quando un bambino cresce continua ad accumulare quantità maggiori di energia. In una pianta, in un animale i miliardi di cellule che li compongono sono ben organizzati.
Con tutto ciò però la vita non sfugge alla legge dell'entropia: la piccola diminuzione locale di entropia rappresentata dalla costruzione dell'organismo è associata a un aumento molto maggiore dell'entropia nell'ambiente e nell'universo. >>
Come nasce la vita dalla materia inerte? Mediante il soffio divino. Così ci dicevano in un collegio cattolico. Credo che Adamo nacque così, ma forse non ricordo bene.
RispondiEliminaMa qual è la differenza tra materia vivente e materia morta o inerte? Credo che tutti sappiano rispondere correttamente. Tutti gli esseri viventi nascono, si sviluppano, si riproducono e muoiono: è l'evidenza stessa. Un sasso, una montagna si formano sì in un momento della storia della terra, ma non si sviluppano, non si riproducono e non muoiono, almeno nel senso che diamo noi alla morte. Perché anche un sasso, una montagna, un continente, una galassia un giorno scompariranno, in un certo senso moriranno, anche se dopo millenni, milioni o miliardi di anni. Invece gli esseri viventi, vegetali e animali, hanno vita breve, brevissima, con le caratteristiche suddette (nascita, crescita o sviluppo, riproduzione, morte).
E' vero, gli esseri viventi hanno vita breve, spesso brevissima, ma solo se parliamo dei fenotipi.
RispondiEliminaS invece guardiamo al corredo genetico, il famoso DNA, ecco che la sua durata, grazie alle continue replicazioni, può essere misurata sulla stessa scala degli oggetti inanimati (milioni di anni).
Il fatto è che noi siamo solo dei fenotipi, per cui ci interessa molto più la prima durata, che non la seconda.