giovedì 23 settembre 2021

Imparare a distanza

Secondo Ugo Bardi, scienziato, docente universitario e blogger, la pandemia in corso ha cambiato profondamente l'insegnamento delle università italiane. 

<< Il 'coronavirus' ci ha costretto ad abbandonare le aule e passare alla didattica virtuale e, se volete la mia opinione, è stato un bel disastro.

Per gli studenti, diciamo che c’è solo una cosa più noiosa che sentire una lezione universitaria: sentirla senza nemmeno vedere la faccia di quello che parla! Per il docente, la lezione virtuale in diretta ti consente ancora di vedere le facce dei tuoi studenti, ma non sai se stanno vedendo te sul loro schermo oppure un videogioco o un filmino di YouTube.

Ancora peggio sono le lezioni registrate: parli senza avere la minima possibilità di dialogare con gli studenti. Insomma, è stato il trionfo della didattica erogativa: uno parla, gli altri ascoltano. >>

Quelle che seguono sono alcune riflessioni del professor Bardi sul'argomento, tratte dal suo blog (Effetto Seneca).

LUMEN


<< Si avvia a concludersi il secondo anno accademico dell’era post-Covid [il pezzo è stato scritto nello scorso mese di giugno - NdL].

È stato ancora un anno in didattica a distanza (Dad) ma stavolta in modalità “duale.” Per via del distanziamento, non tutti gli studenti potevano entrare nelle aule e quindi avevano l’opzione di seguire i corsi a distanza per mezzo di una telecamera. In pratica il duale è stato alternato a periodi di completa didattica a distanza, ma in ogni caso ha confermato i problemi (…) precedenti.

Uno dei problemi principali è che nell’università si fa ancora lezione con il docente che parla e gli studenti che ascoltano: è la didattica cosiddetta “erogativa” che vede gli studenti come dei secchi da riempire. Potrebbe anche andar bene per certe cose, ma il problema è che la tecnologia cambia completamente il modo di fare le cose, anche se non lo vorremmo.

Per esempio, potete benissimo dire che la vostra macchina è una “berlina,” ma questo non vuol dire che sia tirata da cavalli e abbia un cocchiere, come avevano le berline di due secoli fa. Allo stesso modo, quello che si fa in Dad viene chiamato “lezione” ma non è la stessa cosa che si faceva prima.

Una lezione universitaria tradizionale “frontale” di un paio d’ore è pesante. Però si regge abbastanza bene se il docente ha una capacità che si acquisisce con l’esperienza: capire se gli studenti lo stanno seguendo oppure no.

Gli studenti ti possono mandare dei messaggi chiarissimi anche senza dire una parola: lo si vede dal linguaggio del corpo: sguardo, posizione, movimenti, eccetera. E se vedi che non ce la fanno più, puoi rallentare, fare una pausa, fermarti a spiegare, tornare indietro, e altre cose. Insomma, la lezione in presenza è sempre interattiva.

Ovviamente, non è detto che funzioni sempre bene ma, comunque vada, docenti e studenti sono esseri umani che si ritrovano faccia a faccia per due ore. Non si possono ignorare reciprocamente per tutto il tempo.

Trasportate la stessa lezione in Dad ed è un disastro. Ti trovi di fronte gli studenti in forma di immagini grandi come francobolli. E nemmeno tutti mostrano la loro faccia, invocando una cattiva connessione. Forse è una scusa, forse no, comunque non li puoi obbligare.

Così ti ritrovi a “parlare al nulla” senza avere la minima idea se quello che stai dicendo viene recepito. Le cose non cambiano in modalità duale. Più della metà degli studenti rimangono in virtuale e i professori sono bloccati nel campo visivo della telecamera senza poter veramente interagire con i coraggiosi in aula.

Ne consegue che la Dad segna un cambiamento profondo nella struttura e nei metodi delle lezioni. La lezione “frontale” (chiamatela “cattedratica”, se volete) è altrettanto obsoleta delle carrozze a cavalli.

Il futuro è probabilmente qualcosa di simile ai seminari TED che trovate sul Web. Presentazioni brevi ed efficaci, fatte dagli esperti più rinomati nei vari settori, gestite da professionisti della comunicazione. Cose ben diverse da quello che un docente può fare da solo, arrangiandosi il meglio che può fra le mille incombenze che si ritrova addosso.

Se si va verso qualcosa del genere, come sembra inevitabile, un gran numero di docenti dell’università italiana risulterà ridondante, più o meno come i cocchieri delle carrozze di una volta.

Non è detto che non sia una cosa buona, ma il problema non è quello. È che l’università – come tutta la scuola – è uno dei pochi luoghi dove i giovani possono ancora socializzare e crescere come persone.

Se restano chiusi in casa, davanti allo schermo di un computer, il risultato lo potete ancora chiamare scuola, ma non lo è più, allo stesso modo in cui la potenza di un’automobile si può ancora misurare in cavalli vapore, ma i cavalli non ci sono più.

Ed è una cosa a cui dobbiamo pensare se non vogliamo tirar su una generazione di disadattati. >>

UGO BARDI

4 commenti:

  1. Sulla DaD il prof. Bardi sfonda una porta aperta: chi aveva riposto una fiducia incondizionata nelle tecnologie ha vissuto una vera e propria caporetto educativa.
    Non meno inquietante è l'ipotesi secondo la quale il futuro sarà fatto di "presentazioni brevi ed efficaci, fatte dagli esperti più rinomati nei vari settori, gestite da professionisti della comunicazione".
    Il nuovo millennio ha amplificato l'ego al punto che tutti parlano ma non ascoltano, scrivono ma non leggono. La scuola in presenza dovrebbe invece imparare ad ascoltare i giovani invece di riversare nelle loro teste una serie di nozioni (sul modello dell'imbuto di Norimberga). Credo che la capacità di ascoltare (i bambini in primis) rivesta oggi un ruolo davvero strategico.

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    1. Caro Agostino, la DAD è stata una necessità imposta dalla pandemia e, per i ragazzi sino al liceo, i difetti sono notevoli, come tu hai ben evidenziato.

      Forse, e dico forse, la DAD potrebbe dare qualcosa di utile alle università, sia sotto il profilo dei costi di struttura (sicuramente inferiori), che delle esigenze logistiche degli studenti (viaggi, spostamenti, residenze), con ulteriori vantaggi economici.

      La mia sensazione, da semplice profano, è che anche quando sarà passata l'emergenza, una parte della DAD entrerà a far parte del mondo dell'istruzione, per non uscirne più.

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  2. Ivan Illich: Descolarizzare la società

    Essendomi molto annoiato sia al liceo che all'università (i professori rimasticavano ciò che si poteva leggere nelle loro pubblicazioni e nelle dispense, dunque lezioni inutili, tempo perso - più vivaci e interessanti i seminari) ho sempre avuto simpatia per la proposta di Illich di descolarizzare la società: si può apprendere molto meglio e più rapidamente in modo diverso, sosteneva. Ricordiamo che lo Stato investe somme inaudite nell'istruzione, con risultati non molto soddisfacenti - ci sono studenti universitari che non sanno nemmeno l'italiano, anche dei ministri della repubblica).
    E tuttavia vediamo proprio nella congiuntura attuale che ai giovani la scuola in presenza manca. La presenza fisica e la socializzazione sono importanti, anche nell'epoca dell'informatica, della digitalizzazione, dello smartphone).
    Fra parentesi, Illich era anche contrario alla "medicalizzazione" dell'esistenza.
    Stiamo infatti entrando, dopo l'antropocene, nell'era del "vaccinocene".

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    1. L'ultimo post di Ugo Bardi torna proprio sul tema dell'università, ospitando un articolo che ne preconizza la fine.

      << Le università - afferma l'autore - si stanno gradualmente trasformando in quello che orgogliosamente strombazzano come uno Spazio Sicuro, uno spazio che è stato sgomberato più che altro a delle materie umanistiche, uno spazio in cui il minimo rischio – che un pensiero non porti da nessuna parte, che uno studente potrebbe essere disinteressato, che un'idea potrebbe essere offensiva o che un insegnante potrebbe davvero persuadere - è stato mitigato da così tanti strati di procedure burocratiche che la maggior parte del tempo di tutti viene speso per la burocrazia. >>

      I colpevoli sarebbero pertanto, se ben ho compreso, l'autocensura del 'politicamente corretto' ed il peso crescente della burocrazia.

      Ma, come dice lo stesso Ugo Bardi nella premessa, non fisogna disperare: "(anche se) le università spariranno, arriverà qualcos'altro che aiuterà le persone che vogliono imparare e le persone che amano insegnare a ritrovarsi".
      E su questo mi sento abbastanza d'accordo.

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