giovedì 1 aprile 2021

Considerazioni sulla pena di morte

Il post di oggi è opera dell'amico Sergio Pastore, che ringrazio, e contiene alcune riflessioni sulla pena di morte, e la sua attuale utilità e sensatezza.

Il testo è molto interessante, anche se, personalmente, non mi trovo d'accordo su tutto; proverò pertanto ad esporre le mie considerazioni in sede di commento.

LUMEN


<< In occidente cresce l’avversione per la pena di morte considerata retaggio di un passato barbaro. La pena capitale è applicata ancora in paesi come la Cina e l’Iran o l’Arabia Saudita, ma anche negli USA, sebbene non sia qui ormai quasi più eseguita. Il tentativo di Trump di riabilitare la pena di morte negli ultimi giorni del suo mandato non avrà probabilmente successo. Ma riconsideriamo il pro e il contro di questa pena con semplici parole. Chi scrive non è un giurista o un filosofo, crede tuttavia d’interpretare il comune sentire.

L’abolizione della pena di morte

Confesso di essere stato da sempre contrario alla pena di morte, per ragioni umanitarie e sentimentali che non sono tuttavia irrazionali. La morale può cambiare ma si fonda sempre sul comune sentire e una lunga tradizione. Persino il linciaggio, che noi consideriamo barbaro e inammissibile (cosa da 'far west' o paese sottosviluppato) ha in un certo senso una sua giustificazione: si applica ancora (per es. in India o in Messico) in flagranza di reati particolarmente odiosi, dunque a caldo.

Applicare la pena di morte a freddo sembra, specie oggi in occidente, contro natura e perciò riprovevole. Alla stragrande maggioranza della gente, per non dire la totalità, ripugna uccidere non solo un proprio simile, seppur colpevole di atrocità, ma persino un animale.

L’inibizione a uccidere sembra insita nella natura umana e anche animale, almeno tra intraspecifici (il lupo non uccide un altro lupo rivale e soccombente se questi si arrende presentandogli il collo). In guerra si uccide per necessità, per non essere uccisi, ma le guerre, per quanto frequenti nella storia umana, rappresentano situazioni eccezionali.

Ma in situazioni normali l’uomo comune non uccide per inibizione naturale. Resterebbe però da spiegare la necessità del quinto comandamento, non uccidere: fa presumere che l’omicidio non fosse così raro, anzi piuttosto diffuso. Comunque Mosè disceso dal Sinai con le famose tavole, che spezzò sdegnato per l’idolatria dei suoi correligionari, fece passare immediatamente a fil di spada 1500 di loro! Non si trattò evidentemente di omicidio, ma di condanna a morte di reprobi. Il quinto comandamento vieta dunque l’omicidio ingiustificato.

E infatti la pena di morte ha trovato sempre giustificazioni sul piano legale, filosofico e teologico. La Chiesa cattolica l’ha sempre ammessa, financo nel Nuovo Catechismo del 1992, anche se circoscritta a particolari circostanze.

E favorevole alla pena di morte fu anche Kant che considerò ridicolo il trattato di Beccaria “Dei delitti e delle pene”. Kant disse persino “che una condanna a morte doveva essere eseguita anche se il mondo stesse per crollare, affinché sia reso onore alla giustizia”. Sembrano le parole di un fanatico più che di un filosofo. Quanto a Beccaria è vero che fosse contrario alla tortura e alla pena di morte, ma ritenne la pena di morte lecita in alcuni casi (per esempio durante rivolte o rivoluzioni). Beccaria fece comunque scuola e la pena di morte cominciò ad essere abolita (il Gran Ducato di Toscana l’abolì per primo).

E tuttavia duecento anni dopo il problema resta. Dicevo in apertura che io sono stato sempre contrario alla pena di morte. Ma recentemente ho avuto qualche ripensamento, soprattutto dopo aver letto il parere di due filosofi contemporanei che io apprezzo e financo ammiro.

Costoro si dichiarano non solo favorevoli alla pena di morte, ma si dicono persino disposti ad applicarla con le proprie mani! Confesso la mia sorpresa in un primo momento, anzi ne ero scandalizzato. Due occidentali di vaste letture e cognizioni, intellettuali di ​mestiere, che si dicono disposti a – per esempio – mettere il cappio intorno al collo di Saddam Hussein! Com’è possibile?!

Persino la Chiesa cattolica ha cambiato opinione in merito alla pena di morte, dopo averla giustifica per ben due millenni. Bergoglio l’ha infatti abolita, almeno in Vaticano, e auspica la sua abolizione nel mondo intero. Anche l’ONU ritiene questa pena barbara e si augura venga cancellata. Tuttavia anche la morale cattolica giustifica l’uccisione di una persona se ciò avviene per legittima difesa. Vi sono dunque situazioni in cui uccidere è permesso o persino necessario (in caso di aggressione personale e ovviamente nei conflitti armati).

Sono però questi casi eccezionali. Il problema che si pone oggi, almeno in occidente, è se sia lecito condannare a morte omicidi e pluriomicidi o rei di atroci delitti. Le anime belle rispondono: no, anche in questi casi la pena di morte è non solo riprovevole, ma persino illegale e immorale. Al colpevole deve essere data una seconda chance di reintegrarsi nel comune consorzio. L’ucciso non può avere purtroppo questa seconda chance! Ma consideriamo ora la questione da un punto di vista filosofico e poi pratico.

La ragion pura

Non c’è dubbio che da un punto di vista filosofico o anche semplicemente logico la pena capitale non si giustifica. Il nesso tra causa effetto è universalmente riconosciuto. Ciò significa che ogni azione, persino un pensiero, ha una causa ovvero è la sintesi di varie premesse di cui possiamo non essere a conoscenza. I motivi del nostro agire non ci sono tutti noti, è difficile trovare a volte il motivo di certe azioni scellerate o stupide, irrazionali.

Il ladro o l’assassino agisce ovviamente nel proprio interesse ed è considerato responsabile delle sue azioni e quindi imputabile. Ma perché compie un’azione che può costargli il carcere o persino la vita? Può sperare naturalmente di farla franca, di sfuggire alla giustizia (questa speranza è uno dei fattori che può motivare la sua azione).

Chi scrive, e sicuramente pure chi legge queste righe, non ha intenzione di assaltare una banca o di liberarsi di un rivale o avversario uccidendolo. La stragrande maggioranza della gente, la quasi totalità, non ha intenzioni simili – e di ciò la comunità si rallegra. I tre comandamenti fondamentali sono: non rubare, non uccidere, non dire il falso. Abbiamo visto che l’inibizione a uccidere sembra essere iscritta nei nostri geni e forse il comandamento non era necessario. Invece l’inclinazione a mentire e a rubare sembra essere più diffusa ed era perciò necessario porre dei paletti.

Chi scrive e chi legge non dice il falso e non ruba, vive dunque rispettando la morale

comune. Ma chi ruba, mente e uccide lo fa per una necessità interiore. Anche queste azioni – che riteniamo immorali e puniamo, persino con la pena di morte – hanno delle cause, alcune note, altre meno. Non c’è causa senza effetto. Noi buoni e giusti viviamo secondo la comune morale che abbiamo introiettato copiando i comportamenti di chi ci stava vicino, dapprima i genitori, poi i compagni, poi la società. Ci siamo conformati al comune sentire senza accorgercene – E NON ABBIAMO PERCIÒ ALCUN MERITO.

Le circostanze poi – ambiente familiare, civiltà, cultura, benessere, agi – ci consentono di vivere bene da perfetti conformisti. Molti ladri e assassini non hanno avuto questa fortuna, hanno alle spalle una vita di miseria e magari anche atrocità e sono perciò più inclini a commettere azioni che la comunità punisce, deve punire per forza. La punizione si giustifica, ne va della sopravvivenza della società (se tutti rubano, mentono e uccidono la società si dissolve, abbiamo il caos, il bellum omnium contra omnes).

Ma possiamo anche condannare a morte, spegnere una vita? Persino la morale cattolica diceva fino a ieri (poi venne Bergoglio): sì, è lecito. Dente per dente, occhio per occhio. La legge del taglione è considerata oggi barbara, eppure era in un certo senso logica e giusta. E chi aveva tolto la vita a un altro doveva avere la stessa sorte, morire.

Ma noi siamo oggi più civili, comprensivi, morali e buoni – e perciò vogliamo che anche l’assassino si redima e possa essere reintegrato nella società (chissà che non inventi qualcosa di straordinario, componga una sinfonia che manco Beethoven o qualche altro capolavoro). Eh quanto siamo superiori e buoni noi, signora mia! Non siamo quattro scalcinati del far west pronti a impiccare senza processo un ladro colto sul fatto.

La ragion pratica

Abbiamo visto e sappiamo che non c’è effetto senza causa, quindi anche l’agire del ladro e dell’assassino ha delle cause che non sono tutte note. La legge ne tiene infatti conto e riconosce ormai da tanto tempo le attenuanti che mitigheranno la pena. Riconosciamo che ciò è giusto, logico, razionale. Bergoglio è molto più avanti di tanti suoi critici tradizionalisti (non per niente ha abolito dogmi e teologia, ormai improponibili).

Resta tuttavia il problema se sia giusto lasciare in vita chi ha ucciso, si è perciò reso colpevole del massimo delitto immaginabile, togliere la vita a qualcuno. Che non può essere risarcito in alcun modo! La ragion pratica potrebbe indurre a sopprimere chi mette in pericolo la pace pubblica o persino la sopravvivenza della società.

Pur essendo stato sempre contro la pena di morte – per le ragioni addotte – sono oggi perplesso, anche perché trovo stupido il garantismo a buon mercato di certa gente.

In chiusura vorrei però offrire ai garantisti o buonisti un argomento psicologico contro la pena di morte. Chi è a favore deve avere anche il coraggio, direi l’obbligo morale di applicare la pena. Come i giurati sono chiamati per legge a emettere un giudizio, anche i favorevoli alla pena di morte devono accettare di far parte del plotone di esecuzione e premete il grilletto spegnendo una vita.

Non sarà facile, ve lo garantisco. Non per niente nelle carceri americane si tiene conto della psicologia degli esecutori della pena di morte: solo uno dei tre addetti sarà il vero esecutore, ma non saprà di esserlo, potrà quindi illudersi di non essere stato lui a sopprimere una vita. >>

SERGIO PASTORE

16 commenti:

  1. Caro Sergio,
    ho letto con molta attenzione le tue considerazioni, tutte ragionevoli e ben argomentate, ma io continuo ad esssere favorevole alla pena di morte.
    Come il singolo individuo ha la facoltà di uccidere in caso di grave pericolo (legittima difesa), così può (anzi, deve) fare la società per difendere se stessa dalle persone più pericolose, violente ed irrecuperabili.
    Ed escludendo il caso di guerra (che esula da queste considerazioni), la società si difende appunto con la pena di morte.

    A mio avviso, i punti deboli della pena di morte (a parte il 'caso limite' del condannato innocente) sono sostanzialmente due.
    Nei paesi civili, il difetto sta nel lungo tempo intercorrente tra il reato e la condanna (inevitabile per consentire i vari appeli e contro-appelli), che obbliga ad intervenire a freddo, quando la punizione appare meno necessaria.
    Nei paesi meno civili, invece, in cui si procede spesso con il linciaggio immediato, il difetto sta nell'inutile crudeltà e violenza con cui viene inflitta la morte, che eccede di gran lunga l'utilità sociale che si persegue.
    Ma tutto questo non può inficiare la validità del principio.

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    1. Infatti Beccaria sostiene che non ha senso condannare dopo decenni qualcuno per colpe che la società forse nemmeno ricorda. Il valore educativo (punire uno per educarne cento, dicevano i brigatisti rossi) in questo caso non è più dato.

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    2. Mi pare che in alcuni Stati la polizia (e le forze speciali) abbiano istruzione, in caso di reati con sparatorie (terrorismo, rapine, psicopatici, ecc.) di rispondere subito al fuoco in modo letale.
      Meno processi si fanno a certa gente, meglio è per tutti.

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    3. Non credo che diano l'ordine di sparare subito per uccidere, non sarebbe ... costituzionale e contro i diritti umani (vedi un po' cosa succede in Italia dove tutti - cittadini e forze dell'ordine - devono fare attenzione per non essere imputati di eccesso di legittima difesa).
      Se l'ordine non è e non può essere esplicito è comunque chiaro che le forze dell'ordine hanno il diritto di difendere se stesse e la gente comune.
      Si tratta poi di vere e proprie azioni di guerra dei delinquenti e in guerra, come abbiamo visto, è lecito (e persino raccomandato) di far fuori i nemici.

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  2. Quanto alla tua ultima considerazione, non condivido il principio secondo cui chi è favorevole alla pena di morte deve essere capace di infliggerla.
    In una società altamente specializzata come quella umana, è perfettamente naturale che certe attività vengano delegate alle persone più adatte.
    Così, tanto per fare un esempio, io non sarei mai capace di uccidere un animale, ma non per questo mi sento in dovere di rinunciare totalmente alla carne (anche se ne mangio molto poca) per diventare vegetariano.

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    1. Caro Lumen,
      il tuo è un escamotage. Se sei davvero convinto della giustezza della pena capitale devi doverla applicare. La faccenda della "specializzazione" della società moderna per sottrarsi a questo obbligo civile per me è un argomento debole. Non per niente ho parlato di due notevoli pensatori o filosofi contemporanei - che immagino persone civili, magari anche miti - dichiaratisi dispostissimi (!!!) ad eseguire la condanna a morte (certi personaggi sicuramente la meritano, dice la ragion pratica - ma non quella pura o logica).
      Stessa cosa per il consumo di carne. È chiaro che sei troppo sensibile per tirare il collo a una gallina o spiccarle la testa con l'accetta (nemmeno io ne sarei capace, pensa un po'). In questo caso però sei ovvero siamo - scusa - dei vigliacchi che delegano ad altri, i cosiddetti specialisti, un compito sommamente ingrato. Hai mai visitato un mattatoio, hai mai visto come si uccidono vitelli e agnelli? La società moderna ha confinato i mattatoi fuori città per non urtare la sensibilità dell'uomo moderno.
      Gli antichi non avevano questi problemi e uccidevano gli animali senza alcuna remora morale: uccidere era una necessità per nutrirsi, al pari del leone che aggredisce una gazzella. Ma noi moderni abbiamo sviluppato una particolare sensibilità per i nostri "fratelli minori" (soprattutto cani, gatti, cavalli e altri esseri senzienti) e non ce la sentiamo di "versare il sangue" (del resto non dobbiamo nemmeno, per questo ci sono grazie a Dio gli "specialisti"). Debbo dire che io sono vegetariano a metà e per ragioni pratiche: rinunciare del tutto ai prodotti animali mi complica la vita. Tendenzialmente però penso che sia cosa buona diventare vegetariani o addirittura vegani. E del resto un po' vegetariani dovremo diventarlo presto tutti: non possiamo continuare a strafogarci di fiorentine mentre altrove la gente muore di fame (pensa alla produzione di mangimi per il bestiame). Mi sembra però di essere andato fuori tema ... (o magari no o non troppo?).
      Fra parentesi Gaia, che è sicuramente una persona sensibile, considera la macellazione delle sue bestie una cosa logica, naturale (ma "delega" anche lei la bisogna al compagno ...).

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    2. Caro Sergio, re melius perpensa, ti posso dire che il mio "limite" è più che altro legato alla violenza, che non riesco proprio ad usare (neppure a fin di bene: per esempio non ho mai imparato a fare le iniezioni).
      Se però per applicare la pena di morte bastasse premere un semplice pulsante anonimo, ecco, credo che forse lo potrei fare (ma dirlo a tavolino è facile...).

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    3. P.S. - ovviamente anche la morte del reo dovrebbe essere del tutto incruenta.

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    4. Però i sadici, quelli che commettono atrocità, una tiratina d'orecchie se la meriterebbero, a costo di fargli male, anche molto male. La legge del taglione, più ci penso più mi piace. E con ciò mi sono squalificato presso i buonisti. Ripeto: la ragion pura è una cosa, la ragion pratica un'altra. Non per niente ho modificato un po' la mia posizione d'intransigente critico della pena capitale (mo' mi piglio i rabbuffi di Bergoglio ...).

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    5. Sì, la tentazione del "contrappasso" è forte, ma io continuo a pensare che sia abbastanza inutile; lo scopo è quello di tutela la società, non di infliggere nuove sofferenze.

      Trovo a suo modo geniale il sistema che usavano in Francia con l'arruolamento segreto nella legione straniera.
      La società civile si liberava comunque da certi personaggi e quelli potevano sfogare la loro indole violenta in modo più utile alla nazione.

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  3. COMMENTO DI GPVALLA56:

    A me pare che non esistano argomentazioni ragionevoli per escludere, sempre e in qualsivoglia circostanza, la legittimità della pena di morte.
    In particolare il concetto di sacralità della vita mi sembra alquanto fumoso. Se la vita di un assassino è sacra, lo è anche quella della vittima. Inoltre la sacralità dovrebbe implicare anche il rifiuto totale del servizio militare e quello dell'aborto; è curioso osservare invece che molti "buonisti" siano poi favorevoli alla massima estensione della possibilità di abortire.
    Si dice spesso inoltre che la pena di morte è inutile e priva di una vera efficacia dissuasiva: non ne sono del tutto sicuro, bisognerebbe valutare caso per caso e comunque su un arco di tempo lungo.
    Gli oppositori alla pena di morte trascurano comunque sempre un aspetto, a mio parere importante: funzione della pena è anche quello di estinguere l'allarme sociale e di dare soddisfazione alla - legittima e naturale - indignazione pubblica, per mantenere la coesione della società, e per certi crimini particolarmente odiosi la pena di morte non mi pare eccessiva.

    È comunque esattissima l'osservazione che l'efficacia di qualsivoglia pena, sia dissuasiva sia per l'allarme sociale, dipende dalla rapidità della sua comminazione ed esecuzione; purtroppo, inevitabilmente, tempi rapidi vanno a scapito delle (parimenti doverose) garanzie processuali.

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    1. Caro Beppe, sono d'accordo con la tua ultima considerazione, sui limiti dei tempi lunghi richiesti dal garantismo.
      Questo però vale solo per alcune funzioni della pena, legate all'allarme sociale ed alla soddisfazione delle vittime.
      Se invece consideriamo l'eliminazione di un elemento palesemente anti-sociale ed irrecuperabile, i tempi lunghi (data la rigida detenzione intermedia) non ne fanno perdere l'utilità.

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  4. Sono affascinato. Oggi qualsiasi affermazione di dubbia ragionevolezza (il neonazismo per es.) non si dichiara mai ma si maschera dietro idee che rivendicano libertà e democrazia (la difesa dei diritti dei palestinesi). Il testo di Pastore è un capolavoro in questo senso: afferma di essere stato sempre contro la pena di morte (sottintedendo che oggi è a favore) e finisce nientemeno per fornire ragioni (naturalmente del tutto secondarie) per coloro che sono contro. Ne sono tanto affascinato da affermare che anche io sono favorevole alla pena di morte e, sulla scorta di Beccaria, sostengo che tutti coloro che uccidono, si tratti di esecutori o di mente pensanti, andrebbero messi a morte. Ora però sto pensando che, così operando, ci sarà sempre qualcuno da avviare alla pena capitale e forse per questo siamo sempre di meno. Non ce ne siamo neppure accorti e sulla terra siamo rimasti in pochi, non so quanto pochi. Scusate ma qualcuno ha suonato alla porta, vado ad aprire...

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    1. Caro Agostino, mi pare di rilevare, dietro alla tua ironia, che tu, personalmente, sei contrario alla pena di morte.
      E se sei contrario, quali sono le considerazioni principali sui cui ti fondi ?
      Mi interessa, veramente.

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  5. Semplice: non esistono "irrecuperabili". Una persona o è sana di mente, e allora è recuperabile, o non lo è, e allora è malata (e in quanto tale non condannabile). Nella prima categoria , quella dei sani di mente, rientrano anche persone che sono state modellate dall'ambiente di provenienza. Un 18enne cresciuto in una famiglia e in un ambiente mafioso e usato come sicario va condannato a morte? Quale arroganza nella società che pretende di giudicare! Una arroganza senza limiti. Io neppure Eichmann avrei condannato: come si può pretendere che un bambino cresciuto a pane e nazismo abbia da adulto l'autonomia di prendere distanze da chi l'ha istruito? Poche persone al mondo hanno tale autonomia. La Arendt lo dice chiaro. Neppure io penso che l'avrei avuta quella autonomia. Trovo inaccettabile l'arroganza di uno stato che pretende di giudicare, uno stato che spesso è lui stesso autore di stragi (mi riferisco anche all'Italia contemporanea, all'italicus, a piazza fontana, ecc.).

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    1. Sei stato molto chiaro, ma non mi sento di condividere.

      Anzitutto non credo nella dicotomia netta 'sano/malato di mente', in quanto esistono moltissime sfumature intermedie, ed inoltre non condivido il tuo ottimismo circa la recuperabilità di certi personaggi (non penso solo ai serial kiler, ma anche, molto più banalmente, ai boss della malavita).
      Infine resto convinto che la società (di cui lo Stato è la personificazione giuridica) abbia il diritto, ed anche il dovere, di giudicare e condannare.

      In ogni caso, ti ringrazio ancora per il tuo contributo alla discussone.

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