venerdì 5 marzo 2021

La fine del Capitalismo

Ma il capitalismo è compatibile oppure no con la 'conversione ecologica' che tutti ci auguriamo ?

La questione è fondamentale per gli ambientalisti, perché occorre sapere se è meglio fare pressione sul sistema attuale per modificarne la rotta, oppure cercare di sostituirlo con un’altro sistema.

Ma quale sistema? Davvero l'economia moderna può fare a meno del capitale e del mercato?

Le considerazioni che seguono sono di Jacopo Simonetta e sono tratte dal sito Medio Evo Elettrico (ex Effetto Cassandra).

LUMEN 

 

<< Tutte le proposte inerenti una qualche variante di “green Economy” danno per scontato di operare all’interno di un’economia di mercato. Sia pure con qualche aggiustamento, si pensa comunque di restare saldamente in un sistema capitalista, con tutto il relativo apparato legale, istituzionale e di costume. 

Siamo sicuri che sia possibile una vera transizione ecologica senza sbarazzarsi del capitalismo o, magari, trasformarlo in qualcosa di molto diverso? 

Il capitalismo è un sistema economico unico nella storia e, alla resa dei conti, si è dimostrato di gran lunga il più efficiente nello sfruttare le opportunità di crescita che offriva un “mondo vuoto” (sensu H. Daly). 

Non solo ha infatti permesso la creazione di immense fortune private (anche altri sistemi lo hanno fatto), ma ha anche distribuito il massimo storico di benessere materiale e di libertà personale ai cittadini degli stati che lo hanno adottato per primi.

Si è anche dimostrato inattaccabile grazie alla sua capacità camaleontica di adattarsi ai più diversi contesti, pur restando saldamente sé stesso. Anzi, assorbendo ed utilizzando a proprio vantaggio anche le idee, i concetti e le invenzioni nate per contrastarlo.

Proprio questo lo rende così terribilmente distruttivo. Qui non possiamo scendere in dettagli, (...) ma è un fatto che il sistema capitalista è strutturato su una ridondanza di retroazioni positive senza freni interni. Al contrario ha molti strumenti (ad es. la tecnologia e la finanza) per contrastare gli effetti frenanti derivanti dagli impatti negativi sulle risorse, l’ambiente ecc.

Ne consegue che un sistema capitalista può fare solo due cose: crescere o collassare, senza possibili vie di mezzo. (…)

Il petrolio abbondante, a buon mercato e di eccellente qualità è stato ciò che ha consentito al capitalismo di realizzare la più fantastica crescita economica di sempre e quella crescita è ciò che ha reso compatibili, anzi sinergici, il capitalismo e la democrazia.

La crescita è finita e non tornerà. E con la fine della crescita è finita questa sinergia: di qui il risorgere ed il diffondersi di partiti e movimenti estremisti, mentre il capitalismo in agonia cerca di sopravvivere adottando, gradualmente, metodi di manipolazione, controllo e repressione sempre più simili a quelli cari ai regimi totalitari. Tutto ciò che la crescita ha creato, senza di essa non potrà funzionare.

D’altronde, la decrescita non è una scelta, è una conseguenza di leggi fisiche e biologiche ineludibili. 

Questo significa che non solo le nostre abitudini ed il nostro benessere, ma anche buona parte di ciò che pensiamo, delle nostre certezze identitarie, fino ai nostri bastioni etici cadrà in rovina e da quelle rovine dovremo ricostruire un sistema di pensiero che ci possa sostenere in una realtà che già ci terrorizza, anche se ancora non la riusciamo ad immaginare.

D’altronde, per quanto duro, il declino è anche la strada migliore perché qualunque ulteriore crescita economica comporterebbe un ancor maggiore incremento dell’ingiustizia e della distruzione di ciò che resta della Biosfera.

In una qualche misura, possiamo però scegliere come declinare. Un vecchio detto afferma che per avere le buone risposte occorre porre le buone domande. Per esempio: “Come possiamo mantenere il nostro standard di vita?” è una domanda stupida perché sappiamo bene che la risposta è: “non possiamo”.

Però ci sono altre domande su qui vale la pena di riflettere. Per esempio: “Come possiamo contribuire a salvare la biosfera?” Oppure: “Possiamo seppellire il capitalismo salvando le libertà individuali?” O ancora: “E’ possibile una società decentemente giusta, anche se terribilmente povera?”

Ce ne sono molte altre, il punto è decidere quali sono le questioni che ci interessano davvero. >>

JACOPO SIMONETTA

17 commenti:

  1. "La fine del capitalismo" era il titolo di un libro di Emanuele Severino di circa vent'anni fa. In sostanza l'autore sosteneva che il capitalismo - che è essenzialmente ricerca del profitto, non promozione del bene comune, comunque secondario - avrebbe dovuto investire sempre di più nella difesa dell'ambiente o della natura e avrebbe inevitabilmente e necessariamente visto assottigliarsi il margine di profitto - tendenzialmente fino all'azzeramento. Secondo me questo ragionamento sta in piedi. Il capitalismo è costretto a investire nell'ecologia perché l'ambiente e la natura sono in fondo la base della sua espansione e del suo successo. Solo che adesso siamo otto miliardi interconnessi che vogliono giustamente la loro parte. Come soddisfare le esigenze primarie di questa massa di gente? Quali sono poi queste esigenze primarie esattamente - dico questo perché ormai ogni desiderio, anche il più aberrante, è considerato da certuni, anzi da molti, un diritto umano.

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  2. Il politicamente corretto e il moralismo stanno erodendo la libertà di pensiero e di espressione. Il picco di questa evoluzione è stato raggiunto con il desiderio di cancellare tutto il passato, la sua storia, l'arte, la letteratura per il razzismo, il sessismo e l'omofobia manifestati anche da grandi autori come Dante e Shakespeare. Si ricomincia dunque da zero: no al razzismo, all'omofobia, all'esclusione e al ... capitalismo. La Terra e i suoi beni sono di tutti, lo dice anche il papa, la massima autorità morale del mondo secondo alcuni (anche atei, a cui l'alleanza col Vaticano e altre autorità religiose potrebbe ancora servire).

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  3. Siamo in presenza sì o no di un'esplosione demografica e di una sovrappopolazione del pianeta? Per molti non è affatto vero, le previsionei del Club di Roma non si sono avverate (ma il Club di Roma non aveva previsto la fine del mondo entro il 2000, aveva indicato linee di tendenze che avrebbero potuto portare prima o poi alla catastrofe, senza indicare una data precisa del collasso).
    Comunque il collasso non è avvenuto e forse potrà essere evitato - se ci diamo una regolata, regolata che passa oggi sotto il nome di Great Reset, un piano di riorganizzazione dell'intero pianeta ideato dal Nuovo Ordine Mondiale delle elite. E la pandemia scoppiata un anno fa sembra favorire il Great Reset: un'opportunità unica per ripensare il tutto, parole di Schwab, il presidente del WEF di Davos.

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  4. Senza il petrolio, il capitalismo e la tecnologia moderna non saremmo mai arrivati a otto miliardi di esseri umani. Poiché la crescita economica è per il capitalismo essenziale (senza espansione e crescita il capitalismo si ridurrebbe ad amministrazione di ciò che si è raggiunto), anche la crescita demografica è risultata favorevole alla crescita economica, anzi ci dicono oggi che non può esserci crescita economica senza crescita demografica: l'una condiziona l'altra. Solo che siamo ormai otto miliardi e la popolazione mondiale è destinata a crescere nonostante il tasso di natalità sia calato e cali ovunque, anche in Asia e in Africa, anche se non nella misura auspicabile in questi due continenti (auspicabile ovviamente per noi malthusiani e nemici del genere umano, non certo per i capitalisti, i politici, gli economisti, i religiosi e persino i Verdi). Neanche i Verdi vogliono abolire il capitalismo, sono anche loro per l'economia di mercato con qualche aggiustamento.
    Fra dieci o dodici anni la Terra sarà popolata da un altro miliardo di persone (e saremo nove miliardi). Un miliardo in più, con aspirazioni legittime (alla vita, all'acqua, al cibo e magari anche alla libera circolazione - il diritto di stabilirsi dove ci pare è anche questo un diritto umano). Per la maggior parte della gente anche un miliardo di dollari è una somma di denaro inconcepibile (difatti la maggior parte della gente non saprebbe che farne). E un miliardo di persone in più? Tutto normale, o come dice quella deficiente della Merkel: "Wir schaffen das!" (Ce la faremo, dopo aver detto ai crucchi tedeschi: Nessun limite per i rifugiati).
    Che signfica puramente e semplicemente la distruzione della Germania.

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  5. Otto miliardi - e prossimamente nove, dieci, undici e più miliardi - stanno decretando la fine del capitalismo. Gestire questa incredibile massa di persone è un'operazione da far tremare le mani e i polsi a chiunque (ma abbiamo visto come sia stato facile terrorizzare la gente con un virus di media pericolosità e letalità: tutti si sono messi la museruola e obbediscono ai comandi delle elite).
    Sì, forse il capitalismo è davvero al capolinea, forse persino anche l'economia sociale di mercato. La sopravvivenza del genere umano richiederà la limitazione e forse anche l'abolizione della libertà - cosa che stiamo già verificando sulla nostra pelle grazie al coronavirus).
    E le elite, quelle vere (non Mattarella, Draghi e il papa, meri esecutori) che faranno? Riusciranno a sopravvivere e a comandare a bacchetta il resto dell'umanità?
    La nuova specie umanoide - l'uomo formica - darà inizio a una nuova era? Dopo l'antropocene avremo il formicacene?

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  6. << Sì, forse il capitalismo è davvero al capolinea, forse persino anche l'economia sociale di mercato. >>

    Caro Sergio, certamente se crolla il primo, crolla anche la seconda, perchè per fare l'economia sociale (che consiste nel distribuire ricchezze a chi non le ha pridotte) occorrono i surplus prodotti dal suddetto capitalismo.

    Diciamo che la fine del capitalismo significherebbe anche la fine dei surplus, perchè (a causa dello squilibrio tra popolazione e risorse) tutta la ricchezza prodotta deve essere trasformata in consumi, con il ritorno ad una economia di mera sussistenza a breve termine.
    Una visione da incubo, se mi permetti.

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    1. "Una visione da incubo, se mi permetti."

      Certo che permetto. Un incubo, d'accordo, ma dimmi tu come si possa gestire una decina di miliardi di esseri umani senza assicurare loro il "minimo vitale" (da definire, ma direi una misura variabile).
      La libertà d'impresa sopravvivrà forse parzialmente , ma un mondo sovraffollato limiterà per forza la libertà. Stiamo andando in quella direzione e ciò mi sembra anche logico: si dice che la mia libertà finisce dove comincia la libertà dell'altro e per finire staremo strettini e pronti a denunciare chi si allarga troppo. In prospettiva penso che il comitato centrale stabilirà anche i metri abitativi a cui abbiamo diritto. Chi ne vuole di più pagherà più tasse (come avviene del resto già ora).

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    2. Caro Sergio, tu paventi il passaggio dal capitalismo di mercato al comunismo, che già sarebbe una bella "botta", ma il mio timore è più ampio.
      Non bisogna dimenticare, infatti, che anche il Comunismo è una forma di capitalismo: di stato anzichè di mercato, ma sempre di capitalismo si tratta.
      Ed infatti anche il comunismo presuppone la crescita continua, con la produzione di surplus di risorse e la relativa gestione (in capo al partito, ovviamente).
      Quello che pavento io, invece è anche peggio: è la fine del surplus.
      Una specie di doppio incubo.

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    3. Che il comunismo punti anche lui a una crescita continua e a una produzione di surplus non l'avevo francamente mai sentito. So naturlamente che sinistri e Verdi sognano anche loro il sol dell'evvenire e il paradiso in terra, cioè abbondanza di tutto, fiumi di latte e miele. Ma non mi sembra figurare esplicitamente nei loro programmi: la loro ossessione è l'uguaglianza e la giustizia innnanzi tutto.
      Ma perche paventi tu la fine del surplus? In un mondo equilibrato non dovrebbe esserci surplus, per lo meno un gigantesco surplus (certo un minimo di scorte fa sempre comodo).

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    4. In effetti il comunismo non fa venire in mente il concetto di surplus, perchè ne produce pochini (la gente comune non ha certo di che scialare).
      Ma lo fa a causa della propria inefficienza, non per scelta ideologica.

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  7. Il declino del capitalismo (1993(

    Era questo il titolo del libro di Emanuele Severino citato sopra. Il declino non è la fine, si può anche fermare e invertire la rotta. Ma Severino ha scelto bene il titolo, la fine del capitalismo sarebbe stata una tesi azzardata e poco filosofica.

    Mi permetto di copiare qui le mie noterelle a piè di pagina dopo la lettura del libro di Severino.

    "Di nuovo perplesso: Severino spacca il capello in quattro, critica tutto il criticabile. È fortissimo e imbattiblie nell'analisi, deludente dal lato propositivo (vi si sottrae adducendo che non è compito suo proporre "ricette" - ma allora a che serve l'analisi?). Forse vuol lasciare al lettore il compito di trarre le - inevitabili? - conseguenze dai suoi ragionamenti, ma si resta lo stesso un po' perplessi dopo lo sfoggio di tanto acume.
    Vero è che Severino prende nettamente posizione su vari problemi della nostra vita e senza tentennamenti (votava DC, è a favore dell'energia nucleare, è per la repressione della droga ecc. - qui il suo discorso non è filosoficamente fumoso).

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    1. << È fortissimo e imbattiblie nell'analisi, deludente dal lato propositivo (vi si sottrae adducendo che non è compito suo proporre "ricette" - ma allora a che serve l'analisi?). >>

      Io penso che una buona analisi serva comunque, anche solo per capire meglio le cose.
      Certo, la parte propositiva è importante, ed il lettore se l'aspetta.
      Ma una analisi ben fatta non è inutile, perchè da essa si può trarre grande giovamento anche se la parte propositiva è inadeguata (vedi marxismo).

      In fondo, se capire bene le cose non basta per fare la scelta giusta, non capirle è sicuramente peggio.

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  8. (continuazione del mio commento a Il declino del capitalismo di Severino)

    24-26 aprile 93

    "Riletto rapidamente con interesse e soddisfazione: libro per certi versi persino illuminante.
    A Severino manca però l'anima: difficile, per non dire impossibile, contrastarlo sul piano della logica. Severino è pura razionalità spinta al calor bianco. La cosa mi sta anche benissimo, ma c'è un ma. Non parla mai al cuore come per es. il teologo ex cattolico Eugen Drewermann. Drewermann è pure lui una mente vasta e potente, ma anche un poeta. E della poesia non si può fare a meno. Essa tocca immediatamente il cuore, è "verità" che s'impone naturalmente e rende felici, non investe solo una parte di noi stesse per quanto eletta come la ragione."

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    1. Mescolare la poesia col ragionamento non è per nulla facile e credo che sia riservato solo ai grandi della letteratura.
      Da un saggio ho aspettative minori: se trovo dei buoni ragionamenti, ben esposti e condivisibili, sono già soddisfatto.

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    2. Sì, hai ragione. Volevo però far notare la differenza tra un razionalista estremista come Severino e un grande scrittore come Drewermann. Il razionalista ti convince ma ti lascia freddo, un grande scrittore e conoscitore dell'uomo (Drewermann è anche psicoterapeuta) non solo ti convince, ma ti fa addirittura felice (cuore e ragione sono in simbiosi). Vedi anche la poesia filosofica di Leopardi.

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  9. COMMENTO DI GPVALLA56:

    La nozione di "capitalismo" è piuttosto generico e può coprire sistemi molto diversi; quello attuale può definirsi liberalismo oligarchico globalizzato, caratterizzato da un numero limitato di immense multinazionali spesso pressoché monopoliste ed operanti senza limiti in tutto il mondo.
    L'analisi storica mi sembra discutibile: non è mai esistita, a mio parere, una sinergia fra caputalusmo e democrazia. Le grandi conquiste sociali del XX secolo sono state il frutto di lotte politiche e sindacali anche durissime e perfino sanguinose, e - soprattutto - dalla esistenza di un sistema e un modello alternativo, quello socialista e comunista. Non appena questo si è indebolito ed è caduto (sulle cause si può discutere) è cominciata la reazione e lo Stato sociale, orgoglio dell'Europa del dopoguerra, ormai non esiste più.
    La manipolazione e repressione, giustamente evidenziati dall' articolista, non sobo causate dalla crisi del capitalismo, ma dalla sua forza incontrastata. Le grandi multinazionali ormai hanno pressoché esautorato gli Stati nazionali e possono esercitare la loro forza direttamente o tramite organizzazioni internazionali non democratiche (FMI, OMS, UE, WTO...) "al riparo dal processo elettorale" - Monti dixit.
    Seppellire il capitalismo oligopolistico liberista e globalizzato è necessario proprio per recuperare la democrazia.
    Quanto alla compatibilità fra capitalismo e tutela dell' ambiente, in difetto di un efficace controllo da parte degli Stati, mi pare impossibile: il capitalismo punta esclusivamente a massimizzare il profitto a breve, e ad esternalizzare oneri e perdite (lasciate a carico del pubblico), come per i siti industriali inquinati dismessi. E se ci sono problemi, basta delocalizzare negli Stati più permissivi: poi finisce come a Bhopal (15.000 morti).
    Pensare, poi, di affidare la direzione della "decrescita" a persone come Gates, Musk o Bezos - ricchi a decine di miliardi di dollari - mi pare quanto meno paradossale...
    Allo stato, comunque, ogni alternativa sembra pura utopia.
    In ogni caso, temo che qualunque soluzione non potrà che essere duramente autoritaria, soprattutto per poter disinnescare (come, non saprei) la bomba demografica che costituisce, mi pare, il massimo problema.

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    1. Caro Beppe, sono senz'altro d'accordo con la tua chiusa.
      La soluzione autoritaria non sarà una scelta ma una necessità dettata dai numeri, in quanto la curva demografica declinerà, ma lo farà con un andamento molto più lento rispetto alla riduzione delle risorse.
      E per gestire una quantità sempre più ridotta di risorse 'pro capite', il controllo autoritario è indispensabile.
      Noi oggi siamo abituati ad una subordinazione soft, di tipo 'mediatico' (ci controllano facendoci credere di essere liberi), ma potrebbe essere necessario il ritorno alla coercizione fisica.

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