sabato 26 settembre 2020

Il prezzo dell'intelligenza

Il post di oggi cerca di porre un ardito collegamento tra ambientalismo ed antropologia, ovvero tra l'evidente incapacità di fermare la nostra corsa verso il baratro della crisi ecologica ed il sentimento più profondo che caratterizza la nostra specie, cioè la paura della morte.
Il testo, breve ma illuminante, è stato scritto da Marco Pierfranceschi ed è tratto dal suo blog “Mammifero Bipede”.
LUMEN



<< Nel suo documentario intitolato “Planet of the Humans”, (…) Jeff Gibbs punta il dito sull’azione delle organizzazioni ambientaliste americane, sulle loro commistioni con la politica, sui loro finanziatori ed in ultima istanza le addita come uno strumento creato e gestito dal comparto industriale per orientare le opinioni di quella fetta di popolazione più critica nei confronti del modello capitalista/consumista. (...).

Gibbs, dopo aver descritto, all’inizio della pellicola, il proprio passato di attivista delle lotte ambientali, circa a metà del film, e solo dopo aver ampiamente illustrato l’impossibilità di alimentare l’attuale livello di consumi unicamente con l’ausilio di tecnologie verdi, l’autore si interroga sul perché del proprio autoinganno.

« E questo è la più terrificante rivelazione che abbia mai avuto. Noi umani siamo in procinto di precipitare da un’altezza inimmaginabile. Non per una cosa. Non solo per i cambiamenti climatici. Ma per tutti i cambiamenti causati dall’uomo di cui il pianeta soffre.

Quindi, perché banchieri, industriali e leader ambientali si sono concentrati solo sul difficile percorso legato alle tecnologie ‘verdi’? È per via del profitto? E per quale motivo, per la maggior parte della mia vita, mi sono cullato nell’illusione che l’energia ‘verde’ ci avrebbe salvato? (...)

È come se la destra avesse una religione: credono nella disponibilità di quantità infinite di combustibili fossili. Mentre la nostra parte dice: Oh, andrà tutto bene, avremo i pannelli solari, avremo le pale eoliche.

Appena ho sentito le argomentazioni [degli psicologi] sulla ‘negazione della morte’ ho pensato: Può essere? Può essere che non siamo in grado di affrontare la nostra stessa mortalità? Potremmo, per questo motivo, aderire ad un credo di cui non siamo consapevoli? »

Ed ecco il trait-d’union tra ambiti diversi (...). Le considerazioni espresse in “Planet of the Humans”, finalmente, chiudono il cerchio del ragionamento e svelano la rovinosa china sulla quale è avviata la nostra civiltà.

Nel progredire dell’evoluzione della specie Homo, una delle caratteristiche distintive è stata lo sviluppo dell’intelligenza. Come per molte altre trasformazioni (la postura bipede, l’aumento volumetrico della scatola cranica) quello che si è guadagnato in termini di funzionalità è stato compensato dall’emergere di nuovi problemi. Nel caso dell’intelligenza il portato negativo è rappresentato dall’emergere della consapevolezza dell’inevitabilità della morte.

La paura della morte è un tratto comune a tutti gli esseri viventi capaci di autodeterminare i propri comportamenti. Si tratta di una reazione istintiva che spinge da un lato a sfuggire i predatori, dall’altro a continuare a nutrirsi, indicata spesso come ‘istinto di sopravvivenza’. La paura di una morte immediata produce una reazione di panico e stress, che aiuta gli animali a salvarsi e sopravvivere fino a riprodursi.

Tuttavia, con lo sviluppo dell’intelligenza, i nostri antenati si sono dovuti confrontare con la cognizione dell’inevitabilità della propria morte, dell’invecchiamento, con la paura delle malattie. Questa consapevolezza ha prodotto un perdurante senso di angoscia, tale da ridurre significativamente il vantaggio derivante dal possedere un maggior volume cerebrale.

Gli antichi umani hanno perciò sviluppato un adattamento mentale che li ha resi in grado di bypassare questa consapevolezza, attivando la capacità di aderire convintamente a credenze irrazionali. Questo ha segnato la nascita delle religioni, come forma di sollievo dall’angoscia della morte e collante sociale delle prime comunità umane, favorendo la sopravvivenza dei nostri progenitori.

Per contro, come portato negativo, la capacità di ignorare la logica ed il buonsenso ha creato le condizioni per lo sviluppo di un florilegio di ideologie, che hanno accompagnato lo sviluppo delle civiltà. È questo meccanismo inconscio che ci consente, contro tutte le evidenze, di credere agli UFO, o ai Rettiliani, o alla teoria della Terra Piatta.

Come nel principio filosofico di Yin e Yang (“ogni cosa contiene, nella sua massima espressione, il germe del proprio contrario”), il progredire di intelligenza e razionalità hanno prodotto, in parallelo, lo sviluppo della capacità di ignorare le conclusioni che intelligenza e razionalità ci forniscono. Quando il sapere diventa troppo doloroso, o fastidioso, attiviamo la capacità di rimuovere le informazioni indesiderate.

Come i nostri antenati, siamo in grado di ignorare la consapevolezza della morte individuale, e l’angoscia che essa comporta, e di elaborare una fede irrazionale nella salvezza.

Allo stesso modo siamo in grado di ignorare la consapevolezza dell’inevitabile declino della civiltà industriale, che abbiamo finito con l’identificare con la nostra stessa esistenza, elaborando ed aderendo in massa a credenze totalmente irrazionali, come l'deologia del progresso, quella di un universo che muove dal caos all'ordine, o quella della crescita economica illimitata.

Il quadro ora è completo, e non lascia spazio a speranze. Per quanti fatti la scienza potrà inanellare, per quante previsioni attendibili potrà fornire, la capacità umana di ignorare la realtà avrà sempre il sopravvento. La nostra grandezza, la nostra incredibile intelligenza, contiene in sé il germe della propria stessa distruzione. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

7 commenti:

  1. "... il vantaggio derivante dal possedere un maggior volume cerebrale"

    Ricordo che il Neanderthaler aveva un cervello di dimensioni maggiori del sapiens sapiens (ma forse quest'ultimo ha una corteccia più sviluppata). Comunque aveva un cervello rispettabile. Domanda maliziosa, anzi blasfema (che in altri tempi mi sarebbe costata la testa): ma il Neanderthaler aveva anche lui un'anima immortale e Gesù ha redento anche lui?

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    1. Sì, pare accertato che la differenza tra gli antenati dell'homo sapiens deriva non tanto dal volume assoluto del cervello, ma dalla sua struttura, ed in particolare dal 'peso' relativo della neo-corteccia.

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  2. " ... la cognizione dell’inevitabilità della propria morte, dell’invecchiamento, con la paura delle malattie. Questa consapevolezza ha prodotto un perdurante senso di angoscia ... "
    "Questo ha segnato la nascita delle religioni, come forma di sollievo dall’angoscia della morte e collante sociale delle prime comunità umane, favorendo la sopravvivenza dei nostri progenitori."

    Tra le prove dell'esistenza di Dio e di una vita ultraterrena si cita appunto la presenza di una fede nell'aldilà o in divinità in tutte le culture note.
    Ma è davvero irrazionale questa fede? L'uomo, il sapiens sapiens, non ha accettato la morte e ha voluto prolungare la sua esistenza all'infinito. C'è persino una logica in questo rifiuto della morte. Davanti al mistero (come cominciò tutto, come finirà?) l'uomo "inventa" la vita eterna: non male, ammettiamolo. Per tanti credenti la fede è stata un immenso conforto - che a noi "illuminati" manca (persino Leopardi aveva nostalgia della fede). L'illuminato "compensa" con le sensazionali scoperte della scienza (con un'accelerazione prodigiosa negli ultimi due secoli) e con il miglioramento delle proprie condizioni di vita (con inevitabili errori che potrebbero persino comportare l'estinzione della specie
    Fermo restando che non c'è uno straccio di prova dell'esistenza di un'anima immortale e della vita eterna (ma stranamente tanti sapiens sapiens credono negli asini che volano) tuttavia vorremmo saperne di più, non ci rassegniamo al fatto che noi e i nostri cari scompariremo per sempre dopo una brevissima vita che è ed è stata per molti un inferno. L'enigma resta.
    San Francesco, che aveva una paura fottuta dell'inferno, ha trovato parole vere e consolatorie nel suo cantico: "Beata nostra morte corporale da la quale nullo homo vivente pò scappare".

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    1. << Tra le prove dell'esistenza di Dio e di una vita ultraterrena si cita appunto la presenza di una fede nell'aldilà o in divinità in tutte le culture note. >>

      Beh, questo mi sembra il classico ragionamento circolare che non prova nulla:
      "Dio esiste perchè tutti ci credono; ma tutti ci credono solo perchè danno per provato che esiste".

      E poi si può aggiungere che, se è vero che gli 'dei' sono presenti in tutte le culture, è anche vero che essi sono molto diversi tra loro.
      E questo, a ben vedere, può essere un buon motivo logico CONTRO la loro esistenza.

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    2. Comunque, secondo la teoria che preferisco, l'origine della religione starebbe nel fatto che la nostra mente si è evoluta in forma 'duale', cioè convinta che la materia e lo spirito siano due entità separate.
      Ciò serviva a difendesi meglio dalle minacce degli altri esseri viventi, dotati di volontà propria, ma aveva lo svantaggio di ipotizzare comportamenti volontari anche dietro alle minacce dela natura inanimata.
      Chiaramente, dall'animismo iniziale che vede uno spirito in ogni oggetto esterno, all'idea di un dio soprannaturale, il passo non è poi così lungo.

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  3. "... la nostra mente si è evoluta in forma 'duale', cioè convinta che la materia e lo spirito siano due entità separate."

    Ma cosa è lo spirito? Diceva sarcastico Schopenhauer: "Lo spirito, lo spirito? Io questo giovanotto non lo conosco!" Sembra (non lo so esattamente) che materia e spirito siano due entità o sostanze diverse. Dio poi sarebbe puro spirito. Se Dio fosse materia sarebbe soggetto ai mutamenti della materia e non sarebbe dunque perfetto. Vabbè. Ma lo stesso pongo la mia ingenua domanda: ma che c... è questo spirito? Non è materia, non si vede, non si tocca, ma esiste o esisterebbe. Forse una specie di energia oscura o una forza che abbraccia o attraversa l'intero universo (i credenti dicono che Dio è "dappertutto", vede tutto ecc. - e alla fine dei tempi, nel Dies irae - liber scriptus proferetur, in quo totum continetur, unde mundus iudicetur). Vabbè. Il Dies irae è una sequenza drammatica e infernale, indegna di un Dio somma bontà. Ma i grandi compositori non si sono lasciati sfuggire l'occasione di metterla in musica
    (Cherubini, Mozart, Berlioz, Verdi - il mio Dies irae preferito è quello di Berlios, troppo teatrale Verdi). Fauré però ha omesso il Dies irae dal suo Requiem, una scelta appropriata.
    Ma di nuovo: come nasce l'idea o il concetto dello spirito? L'uomo si è visto confrontato con forze inspiegabili e invisibili ma reali perché incidevano sulla sua esistenza e ha forse immaginato l'esistenza di Dio o di dèi, del resto molto antropomorfi una volta?
    Lo spirito poi sembra essere pure superiore alla materia corruttibile. Mah!
    "Veni, creator Spiritus, mentes tuorum visita ..."

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    1. Il concetto di spirito, scollegato dai vincoli e dai limiti della materia, è sicuramente affascinante, perchè ci consente, almeno col pensiero, di superarli.
      E se la materia - come sappiamo bene - è mortale e corruttibile, è facile immaginarsi che lo spirito non lo sia; il che ci consente di affrontare con più coraggio e speranza le miserie del mondo.

      Non per nulla le persone esclusivamente materialiste sono poche, e restano una minoranza anche nelle società moderne, nonostante lo sviluppo tecnologico e scientifico.

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