mercoledì 20 maggio 2020

Il Sacro e la sublimazione della violenza

René Girard è stato un antropologo e filosofo francese del novecento.
Ha scritto diversi libri, sviluppando l'idea che ogni cultura umana è basata sul sacrificio come via d'uscita dalla violenza imitativa tra rivali, grazie al meccanismo rituale del capro espiatorio,
I Vangeli però ribaltano la prospettiva delle società precedenti: essi si presentano, apparentemente, come un mito qualsiasi, con la vittima-dio linciata da una folla unanime, ma la vittima è mostrata chiaramente come innocente e non come colpevole.
I miti arcaici erano costruiti sulla presunzione della colpevolezza della vittima, perché raccontavano l'avvenimento dalla prospettiva dei linciatori unanimi; il che permetteva al meccanismo sacrificale di essere efficace nel produrre o mantenere la pace.
Col personaggio di Gesù, invece, il dio della violenza scompare e si rivela un altro dio, estraneo ad ogni logica di violenza e schierato dalla parte delle vittime innocenti; così, senza più capri espiatori, ciascuno si ritrova solo con le proprie responsabilità
A René Girard è dedicato il post che segue, scritto da Alessia Vignali per il sito di Sollevazione.
LUMEN


<< Il saggio “La violenza e il sacro” dell’antropologo René Girard ci accompagna in una rilettura del complesso rapporto tra il sacro e la società. (…) La sua interpretazione potentemente euristica della genesi e del destino delle società, asserisce che queste ultime nascano e si sviluppino soltanto grazie alla presenza del sacro. Un “sacro” che è visto dall’autore nella specifica accezione di “violenza fondatrice” della cultura. (…)

Secondo Girard i valori, le norme, le credenze, le gerarchie, le differenze, insomma tutti i pensieri su cui si regge la civiltà, non potrebbero resistere alla fatale scoperta della loro “arbitrarietà”, se non grazie alla presenza del “religioso”.Notoriamente le regole, le leggi, i principi sono infatti dovuti al consenso tra uomini, a un “accordo”, dunque non sono necessariamente fondati su “verità naturali”. Sono “arbitrari”, posti dall’esterno per rendere possibile la vita comune.

Da tempo immemore, dunque, un dio collocato “al di fuori” della città [cioè della società stessa], ne garantisce l’intangibilità, previene le trasgressioni e ne comanda esemplare punizione. Ristabilisce l’ordine anche in tempo di crisi, scongiurando la definitiva scoperta dell’aleatorietà di tutti i principi.

Senza quel dio, a detta di Girard, la società imploderebbe a causa del dilagare della violenza al suo interno; essa non sarebbe più contenibile, poiché nell’equivalenza conclamata delle leggi, dunque nel livellamento delle gerarchie e delle differenze condivise, ognuno si sentirebbe legittimato a far valere i “suoi” principi, valori, diritti, a prevalere sull’altro ristabilendo così una differenza a suo vantaggio.

Ma il sacro, che previene la violenza attraverso l’esercizio della “sua” violenza, pretende sin dal principio vittime sacrificali, inizialmente umane, poi animali, infine [solo più] ricordate, in frammenti di ritualità violenta ancora contenuti in feste e celebrazioni rituali. Chiederebbe [di sacrificare] la vita di creature come il pharmakos, ancora presente nella Grecia del V secolo A.C.: uno storpio, un anomalo, un folle, un irregolare mantenuto dalla società e destinato a essere ucciso non appena le sorti della stessa divengano impervie.

Come il pharmakon della medicina, egli è il veleno, dunque anche l’antidoto che, espulso fuori dalla polis, la guarirà dello stesso male che le ha provocato. Anche Edipo è a suo modo un pharmakos, una vittima sacrificale, un capro espiatorio sul cui sacrificio si regge la salute dell’unanimità dei cittadini. Ecco perché, dopo l’Edipo re di Sofocle in cui viene condannato, nell’Edipo a Colono di Euripide egli diventa un eroe, cioè, a sua volta, “sacro”.

La tesi è d’indubbio interesse in una società occidentale in crisi, che continuiamo a definire correttamente “post-moderna” poiché caratterizzata dal relativismo dei valori. In essa il cammino del pensiero critico ci ha insegnato a dubitare delle antiche certezze, a mettere in discussione i nostri principi, a chiedercene il motivo, a liberarci dal giogo d’imposizioni insopportabili. (…)

Ma oggi, all’indomani del crollo di questi valori posti dall’esterno, ciascuno di noi è tenuto alla faticosa impresa di costruzione di un’etica e di un sistema di principi personale, se vuol regolare la sua condotta o educare i suoi figli. Siamo cioè posti di fronte al compito “interminabile” dell’individuazione di una collocazione originale (identità) rispetto alla “Babele dei principi”. (…)

Leggendo Girard ci chiediamo allora se ci sia un modo alternativo a quello posto dalla presenza di un principio “altro”, esterno, “sacro” per mantenere l’ordine nelle nostre città. E ci poniamo criticamente, sebbene affascinati dalle vertiginose suggestioni del testo, davanti alle sue tesi estreme, secondo le quali “la violenza e il sacro coincidono”, poiché all’origine di ogni civiltà ci sarebbe appunto il sacrificio violento, commesso arbitrariamente dall’unanimità dei membri della stessa.

Il rituale, che sposta all’esterno e colloca sul Dio la responsabilità della violenza originaria e la ripete (misconoscendone la reale provenienza) in quella attuale, mantiene l’ordine perché estroflette il male portandolo dall’interno all’esterno della città. La sua ciclica ripetizione consentirebbe una “catarsi” e garantirebbe di nuovo l’ordine anche in quei periodi, che Girard denomina di “crisi sacrificale”, in cui gli uomini cominciano a dubitare della trascendenza delle leggi. Periodi troppo simili al nostro. (…)

La teoresi di Girard è utile non solo in un percorso di lettura e ri-significazione dei miti, dei riti, del linguaggio, dell’arte, della tragedia, del sistema giuridico, delle scienze, ma anche nella riflessione quotidiana sui fattori che rendono più fragile o viceversa rafforzano il nostro vivere in comune.

Se è vero che, come postula, quando il senso del sacro viene meno si afferma una “crisi sacrificale” nella quale l’equivalenza dei valori determina il potenziale dilagare della violenza, allora ci interroghiamo sulla nostra capacità attuale di mantenere sui principi, sulle leggi, sulle consuetudini che informano il nostro stile di vita, il giusto “senso del sacro”, il giusto “rispetto”, il giusto “senso della trascendenza”.

Un tema attuale, in tempi tanto di “società liquide” (Zygmunt Bauman) quanto di “nichilismo” (Umberto Galimberti) quanto ancora di “evaporazione del padre”, dunque della “legge” (Massimo Recalcati). In particolare Recalcati, nel saggio “I tabù del mondo” (…) focalizza come nell’Italia di oggi si sia affermata una sorta di “allergia a ogni genere di tabù”, che nel pensiero comune viene equiparata a un sentirsi uomini davvero liberi.

La libertà dal divieto, dal limite, dunque da quel “trascendente” che si oppone all’onnipotenza del desiderio, è oggi una sorta di “folle comandamento” dai contorni inquietanti anche da un punto di vista psicologico. Se da una parte, ricorda Recalcati, il tabù (che io leggo come forma religiosa del limite) è “luogo di restringimento e di oppressione della vita”, dall’altra esso è “ammonimento e indice simbolico, memoria della Legge della parola, segno che la vita non ci appartiene mai come una semplice presenza di cui siamo proprietari, ma è qualcosa che porta con sé la cifra - trascendente e impossibile da svelare - del mistero”.

Il limite identifica, dà senso all’individuo in seno a un insieme di persone. La crisi degli adolescenti di oggi, che nella mente sono privi di limiti e confini (…), e nella pratica sono limitati, limitatissimi nella tangibile inaccessibilità di mezzi per un’autorealizzazione concreta, forse è in parte anche dovuta all’incapacità dei loro genitori di “ammantare di sacro” le parole che esprimono i loro valori. Il dilagare di psico-patologie depressive, ansiose, attacchi di panico o di nuove forme di dipendenza è sotto gli occhi di tutti.

Infine, la riflessione sul “sacro” e sulla “fiducia” nei propri modelli di pensiero e teorici è un tema importante anche per lo psico-analista, lo psico-terapeuta, lo psichiatra, il medico. La studiosa di psico-analisi Sandra Buechler, nel saggio “Valori clinici”, così come lo psicoanalista Giuseppe Battaglia, pongono tra questi valori la capacità di infondere “speranza” nei propri pazienti.

La speranza fa il paio con la fiducia, con la “fede”: come può il clinico stesso aver fede in qualcosa, foss’anche un modello teorico, in un momento storico che ci ha insegnato a dubitare, a relativizzare, a porre tra parentesi ogni costrutto? E come può dunque trasferire questa flebile fiducia anche ai pazienti? Egli può soltanto ripartire dall’esperienza che fa di sé, nel momento in cui l’efficacia e la forza delle sue teorie vengono validate dalla prassi. >>

ALESSIA VIGNALI

10 commenti:

  1. Quei 4 balordi
    Girard. Girard lo ha affermato chiaramente: le testimonianze evangeliche hanno messo in crisi la nostra società incrinando l'ordine sacrificale, hanno tolto alla società umana la possibilità di risolvere i propri conflitti nella ricerca del capro espiatorio. Identificare in una persona o in un gruppo di persone, la causa responsabile di gravi problemi, ha il celato obiettivo di nascondere le vere cause o i veri colpevoli. Tanto irragionevole, quanto necessario. Anche in tempi recenti: si pensi alla ricerca del tedesco colpevole, corrispondente alla volontà di allontanare il sospetto dei crimini italiani nell’ultimo conflitto. Italiani “brava gente”. C’è chi si domanda come i quattro testimoni non siano riusciti a porre fine al paradigma sacrificale fondato sulla violenza nemmeno nella società, quella occidentale, che per più tempo si è detta cristiana. Che domanda assurda. Il cattolicesimo conservatore odia quei quattro impertinenti, balordi, testimoni. Ma testimoni di cosa? Cosa possano aver capito della rivelazione? Magari poco, o nulla. In fondo, sono solo testimonianze indirette, voci riportate, da ignorare.

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    1. << C’è chi si domanda come i quattro testimoni non siano riusciti a porre fine al paradigma sacrificale fondato sulla violenza nemmeno nella società, quella occidentale, che per più tempo si è detta cristiana. >>

      Appunto.
      E se nemmeno il cristianesimo ci è riuscito, vuol dire che certi meccanismi provengono dalla parte più profonda della psiche umana, quella di origine genetica, contenuta nel nostro DNA.
      Se questo è vero, c'è ben poco da combattere..

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  2. COMMENTO DI SERGIO (pubblicato da me per motivi tecnici)

    Quanto al rapporto implicito tra religione e violenza sono d’accordo. Tutto ciò che caratterizza profondamente un popolo - innanzi tutto religione, costumi, lingua - sarà sempre motivo di differenziazione e contrasto con altri gruppi e popoli. La religione in particolare - specie se pensiamo alle religioni del libro, ma non solo - “separa” gruppi e popoli e favorirà conflitti. Se poi vi aggiungi la pretesa che la tua è la sola vera religione, com’è stato il caso del cristianesimo, ma anche dell’islamismo e dell’ebraismo (gli ebrei a dir la verità si fanno gli affari loro e non fanno proselitismo, ma si ritengono il popolo eletto, il che è già una bella pretesa) i conflitti e la violenza sono programmati. Gli ebrei oggi sono degli agnellini, ma il loro fottuto libro sacro è pieno di violenza, il Dio veterotestamentario è un orco sanguinario).
    È poi un’esperienza che abbiamo fatto tutti: se ci mettiamo in testa qualcosa, se siamo sicuri di essere nel vero e che gli altri sono nel migliore dei casi degli imbecilli, ma più probabilmente delle carogne, nostri nemici, è chiaro che prima o poi ci azzufferemo. Ma forse non è tanto la religione il motivo di tanta violenza, quanto la tendenza naturale degli individui e dei popoli a differenziarsi (come pure degli individui). Insomma, come diceva Lorenz, l’aggressività è innata e può causare conflitti. Questa aggressività è però semplicemente un potenziale per sopravvivere, e sarà tanto più forte quanto più sono precarie le condizioni di vita. Tutta l’educazione cerca di limitare d’incanalare l’aggressività (forse si potrebbe parlare di sublimazione).

    Quando Gesù dice: Io sono la via, la verità e la vita e trova chi ci crede e si convince sempre di più di possedere la verità, che dev’essere imposta a tutti, prima o poi farà scorrere fiumi di sangue. È stato così sempre, dai crociati alle brigate rosse (anche queste ultime erano convinte di possedere la verità, il comunismo è stata una fede, una religione, con i suoi riti sacri).
    Stiamo però assistendo allo svuotamento o annacquamento delle religioni: si va vero una religione o una ritualità universale, la religione dei diritti umani.
    Ciò dovrebbe depotenziare l’aggressività degli individui e dei popoli. Penso anzi che la religione sia destinata a scomparire. Forse sono troppo ottimista.

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    1. << Stiamo però assistendo allo svuotamento o annacquamento delle religioni: si va vero una religione o una ritualità universale, la religione dei diritti umani. Ciò dovrebbe depotenziare l’aggressività degli individui e dei popoli. >>

      Per certi versi, sarebbe un gran bel risultato, ma io non ci credo.
      Perchè secondo me prima viene la violenza del gruppo (genetica e quindi ineliminabile) e poi viene la religione come giustificazione psicologica.
      Anche le ideologie giustificano la violenza, ma poter assecondare i propri impulsi peggiori convinti di eseguire il volere di dio è impagabile, e surclassa qualsiasi ideale politico.

      Per questo credo che anche da una ipotetica religione universale non si avrà nessun miglioramento sotto il profio della violenza.
      E probabilmente lo stesso progetto fallirà mestamente, per una serie di motivi, tra cui anche questo (cioè l'impossibilità di ottenere una reale pacificazione).

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  3. COMMENTO DI SERGIO

    Ma perché sei così pessimista? L'aggressività naturale è già oggi almeno in parte contenuta grazie all'educazione e all'apparato repressivo dello Stato. Ma l'umanità potrebbe fare un ulteriore passo verso la pace universale postulata da Kant rendendosi conto che vi è da un lato obbligata dalle spaventose armi inventate dall'uomo, ma che è anche nel suo interesse cooperare. Dunque paura (dell'olocausto nucleare), ma anche constatazione che vale la pena cooperare. Del resto non c'è scelta. Vedi adesso la promessa di mettere a disposizione di tutti l'ipotetico vaccino anti-corona, "watever it takes". I costi di una tale operazione? Bazzecole, quel che conta è l'uguaglianza e la giustizia, è impensabile che si trovi il vaccino e ne approfittino solo alcuni. Ma ben presto dovremo affrontare anche il problema dell'acqua, dell'energia, dell'alimentazione (e dell'istruzione, della sanità ecc.). Bisognerà trovare la quadra se no avremo la rivoluzione. A meno di feroci dittature, ecatombi e controllo totale dell'individuo (via smartphone e microchip).
    Non dico che sia facile accordarsi, ma non lo reputo nemmeno impossibile a priori, gene o non gene. Il quale continuerà a essere egoista, ma sarà al guinzaglio - per necessità (evitare l'olocausto) e persuasione (ci conviene cooperare). Forse penserai che sia ingenuo o sognatore. Comunque io la vedo così. Non dico che non ci saranno mai più conflitti e una certa dose di violenza: questo è impensabile, ma mi auguro una aggressività a basso livello.
    Sarà interessante vedere come funzionerà la probabile "religione" universale, se mai nascerà (più sì che no).
    In alternativa c'è la modifica del patrimonio genetico per eliminare o attenuare l'aggressività, già proposta dal filosofo tedesco Sloterdijk tanti anni fa. Proposta nient'affatto peregrina se si constata il generale fallimento dell'educazione nonostante tutti i miliardi che vi si investono. Naturalmente si tratta di una questione delicatissima perché un intervento simile modificherebbe l'essere umano (magari passerebbe dallo stato di sapiens sapiens a un gradino superiore: sapiens sapiens sapiens …).

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    1. Caro Sergio, sono pessimista perchè il guinzaglio tra gene e cultura, che in effetti esiste, è sempre fermamente nelle mani del primo e mai della seconda.
      Può essere lungo finchè si vuole, ma, come dice Dawkins, il controllo del gene non viene mai meno.
      Ed ignorare i condizionamenti genetici per affidarsi totalmente a Santa Cultura è il sistema migliore per uscirne sempre sconfitti (vedi la pantomima, ammirevole ma inane, sul razzismo, la xenofobia, l'omofobia, il sessismo, ecc.).

      Non avendo a disposizione i tempi lunghi dell'evoluzione biologica, è teoricamente concepibile solo la manipolazione genetica.
      Ma il solo pensiero di una cosa simile ci fa inorridire ed i rischi di una applicazione perversa sono tali da non riuscire neppure a ragionarci sopra.

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  4. A proposito di Renè Girard e del sacro, l'amico Sergio mi ha segnata questo interessante articolo di Luca Doninelli (tratto da Il Giornale): https://www.ilgiornale.it/news/cultura/se-togli-sacro-centro-avanza-deserto-1865254.html

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    1. Doninelli è un credente, per cui, ovviamente, vede le cose dal suo punto di vista.

      Ma su una cosa, secondo me, ha oggettivamente torto, ed è quando afferma (verso l'inizio):
      << Perché anche per la Chiesa prima di tutto viene la salute. >>

      Questo non è assolutamente vero: per la Chiesa per prima cosa viene la salvezza dell'anima, che si ottiene con la totale obbedienza ai precetti divini, anche quelli scomodi.
      Il benessere e quindi la salute dei fedeli vengono molto, ma molto dopo, e se c'è contrasto tra benessere e precetti divini, devono prevalere i secondi.

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    2. COMMENTO DI SERGIO

      D'accordo con te. Si potrebbe addirittura dire che la salute del corpo è irrilevante o secondaria, tanto è vero che la Chiesa esalta la sofferenza in quanto purificatrice e accettarla significa imitare di Cristo.
      C'è poi un altro aspetto: la salute del corpo è specchio della salute dell'anima (insomma, l'antico adagio mens sana in corpore sano). Ricordo Rocco Buttiglione che spiegava a medici cattolici quale fosse il significato dell'aids, un segno inviato dal cielo per rimetterci sulla retta via. Se ti comportavi bene (niente rapporti pre e extramatrimoniali) non ti beccavi l'aids. Insomma, prima fai il bravo e ti salvi l'anima e poi in aggiunta starai pure meglio in salute.

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    3. << Si potrebbe addirittura dire che la salute del corpo è irrilevante o secondaria, tanto è vero che la Chiesa esalta la sofferenza in quanto purificatrice e accettarla significa imitare di Cristo. >>

      Il che ci porta ad una delle assurdità fondamentali della morale religiosa: perchè per guadagnarmi il paradiso devo fare del bene al prossimo, cioè operare per il suo benessere, quando poi questo obbiettivo non rientra tra quelli fondamentali della Chiesa ?

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