venerdì 20 marzo 2020

L’Ordine e il Caos

I tecno-ottimisti sono convinti che la tecnologia consentirà all’umanità di risolvere qualsiasi problema, sia presente che futuro.
I tecno-pessimisti (quorum ego) pensano invece che la tecnologia da sola, senza una significativa riduzione della popolazione mondiale, potrà ottenere ben poco.
In questo bellissimo post (tratto dal suo blog Mammifero Bipede) Marco Pierfranceschi ci spiega il perché.
LUMEN


<< La Natura nasce dal caos, e nel caos procede, con paletti definiti unicamente dalle leggi della fisica e della chimica molecolare. Le strutture organiche autoreplicanti emergono dal caos primordiale, ed in virtù della proprietà di riprodursi in innumerevoli copie, dati tempi lunghissimi a disposizione, finiscono col produrre le innumerevoli forme di vita che vediamo oggi. Nessun ordine, nessun progetto, solo popolazioni abbondanti e diversificate che competono per la sopravvivenza, generando un equilibrio dinamico e trasformandosi nel processo.

Nei fenomeni biologici, l’ordine è conseguenza di innumerevoli iterazioni di processi simili, su larga scala. Le popolazioni animali e vegetali si susseguono con continuità, interagendo in maniere complesse ed adattandosi in continuazione le une alle altre. Ciò può dar luogo ad un’apparente armonia, che è però unicamente il risultato, su larghissima scala, di un’innumerevole quantità di eventi casuali.

In questo scenario, dopo centinaia di milioni di anni, irrompe una nuova specie, la nostra, caratterizzata da un significativo sviluppo cerebrale. Un cervello in grado di osservare, comprendere e manipolare la realtà, sviluppatosi inizialmente con funzioni di mera sopravvivenza ma, in ultima istanza, diventato talmente complesso da interrogarsi su se stesso. Da questa unicità la nostra specie ha tratto l’idea di essere diversa e più importante delle altre.

Per supportare la tesi che l’Uomo fosse al centro dell’Universo occorreva contrastare l’evidenza dei fatti, elaborando una complessa ideologia che poggiasse su una quantità sufficiente di quelle che chiameremo ‘stampelle’ per potersi reggere in piedi. La prima di queste stampelle fu, con molta probabilità, la negazione della morte.

La consapevolezza della morte è una delle forme di sofferenza cui ci ha condannato lo sviluppo intellettuale del nostro cervello. Abbiamo trovato il modo di contrastare questa permanente afflizione mediante l’elaborazione del pensiero religioso e l’invenzione delle divinità, con la conseguente costruzione di sistemi di credenze finalizzate a negare la morte degli individui.

Questa elaborazione concettuale, che oggi accettiamo con facilità, deve essere stata altamente contro-intuitiva per i nostri antenati, abituati alla vita nomade di cacciatori-raccoglitori. Uno stile di vita in cui la morte doveva essere un’evidenza estremamente frequente (per quanto mitigata dall’elaborazione del lutto mediante riti funebri).

L’invenzione di un’anima divina, slegata dalla corruzione del mondo, è stata in grado di allontanare l’angoscia della morte, ma richiedeva la fabbricazione di una ulteriore ‘stampella’ ideologica a supporto, che fosse allo stesso tempo evidente e auto-giustificante. Nacque così l’idea di un Ordine Divino, avente il suo riflesso nell’Uomo.

Come abbiamo visto, in una ipotetica dicotomia ordine-caos, la natura appartiene al caos. L’uomo decide così di ‘chiamarsi fuori’, di appartenere ad un Ordine Divino, di aspirare all’immortalità. Nel fare ciò, mette insieme una serie di evidenze a supporto di tale tesi. Come esempi di ordine trova i cicli temporali determinati dall’interazione gravitazionale dei corpi celesti: l’alternanza di giorno e notte, il succedersi dei mesi lunari, i cicli delle stagioni, il ruotare incessante del cielo notturno, i moti dei pianeti.

Non è un caso che tutte le culture umane abbiano proiettato nel cielo il luogo delle divinità, come a sancire uno spazio in cui si manifesta l’Ordine (divino), distinto e separato dall’ambito terrestre, dominato dal caos. Nella regolarità dei moti celesti l’uomo antico proietta il suo bisogno di ordine, la sua aspirazione alla divinità ed in ultima istanza il desiderio di sfuggire alla morte.

Il concetto di Ordine si sviluppa, in parallelo, anche grazie alla crescita delle abilità cognitive ed attraverso i modi coi quali un cervello particolarmente sviluppato ci consente di manipolare la realtà circostante. Gli utensili, per risultare efficienti, devono essere fabbricati in una maniera precisa e sempre uguale; i ripari, anche quelli provvisori, vanno realizzati con criterio; i vegetali per l’alimentazione vanno scelti con attenzione, per evitare le varietà tossiche o velenose, e mescolati nelle esatte dosi.

Dovendo dipendere il benessere e la sopravvivenza dei gruppi umani dalla corretta applicazione di numerose regole, non è difficile immaginare come la leadership delle tribù preistoriche abbia finito col premiare proprio quegli individui più capaci di aderire ad un comportamento altamente strutturato, finendo con l’aprire la via all’idea di un Ordine Salvifico contrapposto ad un Caos potenzialmente mortale.

L’idea di Ordine si traduce, nel corso dei secoli, nelle prime scienze esatte, matematica e geometria, che si riflettono a loro volta nei primi monumenti dell’uomo (piramidi, colonne), nelle opere di irregimentazione idraulica e nell’organizzazione delle coltivazioni. Da questa prospettiva non è un caso che Scienza e Fede vadano letteralmente a braccetto, perlomeno fino ai tempi recenti.

Quello che accade, da Galileo Galilei in poi, è un progressivo distacco. La scienza matura una propria idea di Ordine Intrinseco delle Cose che non ha più necessità di una divinità a supporto. La religione, dal canto suo, non trovando più appigli nelle nuove scoperte scientifiche non può far altro che rinchiudersi a riccio sulla veridicità delle antiche scritture ed ostacolare, per quanto possibile, le nuove acquisizioni del sapere.

Sapere che si traduce ben presto in nuove tecnologie, in macchine sempre più sofisticate e complesse, in realizzazioni ingegneristiche strabilianti. La scienza diventa il nuovo alfiere del trionfo dell’Ordine, mentre alla religione resta soltanto la funzione di sollievo e conforto dalla paura della morte, anch’essa significativamente ridimensionata dall’avvento di nuove forme di distrazione (aka intrattenimento) via via più evolute e capillari.

Dato il quadro fin qui descritto, risulta evidente come a guidare l’evoluzione tecnologica della nostra specie sia stata, fin dall’antichità, l’adesione ad un’idea astratta di Ordine che ha dapprima incarnato, ed in tempi recenti sostituito, la figura divina. I nuovi sacerdoti di questa fede sono i grandi tecnocrati, architetti, progettisti, sviluppatori di software intelligenti e mondi virtuali.

E tuttavia l’Ordine umano, freddo e meccanico, si contrappone ai processi caotici propri del mondo naturale, determinando un conflitto permanente per il dominio del pianeta. È chiaro, a questo punto, il motivo per cui non siamo in grado di moderare l’impatto delle attività umane sulla biosfera: da un lato è il ‘pregiudizio antropocentrico’ a suggerire che il nostro agire possa essere unicamente ‘buono e giusto’, dall’altro è l’idea, introiettata nell’arco di innumerevoli generazioni, di un Ordine (a suo modo divino, in quanto frutto di pura astrazione) sempre e comunque preferibile al Caos. (…)

Questa nuova consapevolezza mi mette a disagio, come pure realizzare quanto in profondità sia radicato il bisogno di Ordine nei modi in cui mi relaziono all’esistente. Perfino questo ragionamento, per dire, è espressione di un desiderio di Ordine. Subisco da sempre la fascinazione per le geometrie perfette, le idee astratte, la musica, la tecnologia, per tutto ciò che è regolare, preciso, esatto, prevedibile. Proprio per questo, fatico enormemente ad accogliere la consapevolezza della fallacia e provvisorietà dei successi umani. (…)

E tuttavia resta innegabile l’evidenza del danno progressivo che stiamo producendo sull’ambiente che ci ha generati. In termini di perdita di biodiversità, di distruzione di habitat, di turbamento di equilibri sviluppatisi su un arco temporale di milioni di anni. E in qualche modo altrettanto evidente mi appare il concetto, attribuito ad Albert Einstein, che: “non si può risolvere un problema usando lo stesso tipo di pensiero che lo ha generato”.

In conseguenza di ciò, non possiamo illuderci di poter risolvere un problema generato dalla tecnologia umana per mezzo della tecnologia umana. Non possiamo affrontare un dissesto prodotto dall’idea di Ordine applicando un analogo criterio, solo declinato diversamente. Se vogliamo risolvere il problema causato dalle attività umane all’ambiente possiamo solo sospendere le attività umane. O tenerci il problema, e scommettere su quanto a lungo riusciremo a non farci sopraffare dalle ricadute indesiderate delle nostre azioni. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

14 commenti:

  1. Non ci ho capito quasi niente, tutto troppo complicato. Ma insomma, ma basta, intellettuali del cazzo, filsofanti filosofessi. Ma pensate e parlate per farvi capire, come i grandi filosofi del Settecento - che una persona mediamente colta capiva. Voltaire non è stato un grande filosofo, ma ha avuto lo stesso dei meriti ed era perfettamente comprensibile. Non pensava e non sciriveva in filosofese. Oggi invece tutti, ma veramente tutti - specie gli italiani - vogliono una cosa sola: non passare per fessi presso i colleghi. E all'uopo serve un linguaggio semi o del tutto incomprensibile.
    Ma veniamo al punto. I grandi o cosiddetti grandi dell'antichità - per es. Platone, Aristotele e Cicerone (un minore rispetto ai primi due) non credevano ovviamente più negli dèi dell'Olimpo. Ma i primi due si sono lo stesso creati dei succedanei, degli eterni (come Severino duemilacinquecento anni dopo): le idee eterne di Platone (che bisogna forse immaginarsi come dei "caciocavalli appesi in cielo" in attesa di materializzarsi, come ha osservato un buontempone) e il motore immobile di Aristotele, copiato pari pari da Tommaso d'Aquino, che divenne San Tommaso solo nel XIX secolo). "La filosofia è una preparazione alla morte", diceva Platone. Ma con le idee eterne aveva vinto la morte (tanto che Severino lo chiama il vero "Salvatore" del mondo, non Gesù).
    La morte ha sempre scocciato, soccia anche oggi. Come vincerla? Si dice che Gesù ha vinto la morte (ma anche Platone e Aristotele l'hanno vinta).
    Il cristianesimo ha prospettato la vita eterna che è una continuazione della vita: non è vero che si muore, si scompare, che non resta più niente di noi a parte per breve tempo il ricordo nei familiari e nella comunità se si sono acquisiti dei meriti. Severino, il più radicale ateo dei nostri tempi secondo la Chiesa cattolica (dovette anche abbandonare la Cattolica per questo, ma si riciclò subito a Venezia) si è inventato anche lui un'eternità: tutto è eterno, anche le parole che scrivo qui sono eterne. Mah, chissà, boh!

    Un giovane, anche se ha la sua brava crisi religiosa, non pensa davvero alla morte: è ancora lontana, riguarda gli altri, gli anziani.
    Ma prima o poi anche lui davrà fare i conti con la propria finitudine.
    Come vincere davvero la morte? Operando, combattendo, "etternandosi" (Dante) in opere e imprese degne, lasciando un segno (anche la prole ci fa dimenticare la morte, passiamo il testimone).

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    1. << Il cristianesimo ha prospettato la vita eterna che è una continuazione della vita >>

      Ma non solo: è una seconda vita nella quale - per chi ottiene un giudizio positivo da dio - viene garantita la giustizia, l'eguaglianza, l'assenza di sofferenza e la beatitudine. Per sempre

      Questa è la vera grande trovata del cristianesimo, che ne ha determinato il successo secolare.
      Da un lato dà ai poveracci la forza della speranza, per superare meglio le difficoltà della vita, dall'altro aiuta le elites a tenere buoni ed obbedienti i sudditi, che, con la speranza del paradiso, non hanno più bisogno di fare la rivoluzione in questa vita.

      Dici poco ?
      E' il meccanismo 'sociale' più geniale che sia mai stata inventato.

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  2. Non direi "trovata", penso sia stata una profonda convinzione dei credenti creatasi più o meno spontaneamente per diverse circostanze e poi sfruttata dal potere (statale e clericale). Il binomio trono-altare è durato fino in tempi recenti (e dura in parte tuttora, sia presso i cristiani e ancor più presso gli islamici). Oggi il potere non ha più bisogno della religione per tenere a bada le masse - che si controllano da sole con lo smartphone e i consumi, in attesa del chip che diventerà presto obbligatorio (non immaginavo che la gente l'avrebbe accettato tanto velocemente).

    Bisogna però ammettere che la prospettiva della vita eterna era pur sempre una bella cosa. Si moriva sì, ma la storia continuava ...
    Persino l'ateo Leopardi aveva a volte nostalgia della fede ... (racconta Ranieri). La morte è e resta una realtà difficile da accettare. I primi sapiens non avevano certo il tempo di filosofare, ma col tempo si sono ricavati - purtroppo? - ampi spazi per pensare (Aristotele considerava naturale e utile la schiavitù che permetteva a gente come lui di pensare). Pensando e ripensando abbiamo fatto progressi incredibili (ma a livello psicologico non superiamo i pensatori greci, tanto è vero che troviamo ancora interessanti e quindi attuali le loro cogitazioni).

    Pensa che nel quarto secolo ci fu chi voleva abolire l'inferno (una contraddizione troppo forte con la bontà divina), ma un'imperatrice si oppose: il terrore dell'inferno era utile ...
    Già Origene, grande pensatore cristiano del terzo secolo, aveva messo in dubbio l'eternità delle pene, ma questa credenza si è mantenuta per altri 1500 anni, incredibile. Ancora nel XX secolo un cristiano fanatico come Giovanni Papini (mia passione da ragazzo) aveva avanzato prudentemente l'idea che alla fine anche il diavolo sarebbe stato redento - e rischiò la scomunica!
    Invece oggi Bergoglio ha ammesso che l'inferno non esiste (nelle sue conversazioni con Scalfari). Prima hanno abolito il limbo, adesso persino l'inferno. Resiste stranamente il purgatorio, ma non so fino a quando. A questo punto che ne faremo della Divina Commedia?

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    1. Be', resiste anche il paradiso. Mentre le anime dei dannati si dissolvono, scompaiono (nel Bergoglio-pensiero), i beati godranno in eterno lo spettacolo in technicolor di Dio (ma in che cosa consisterà, non sarà un po' noioso? Che barba "contemplare" in eterno). Più pratici e umani i pellerossa che immaginavano di cacciare in eterno nelle praterie celesti, visto che per loro cacciare era il massimo piacere. Anche le urì islamiche (le settanta vergini che aspettano i kamicase islamici) sono una visione concreta e appagante. Giorgio Bassani a sua volte si immaginava in una poesia il paradiso come un "lungo venire", non male, considerando che l'orgasmo è una delle sensazioni più forti e appaganti (Bassani era un ebreo, ma immagino ateo, come la maggior parte degli ebrei alias israeliti oggi).

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    2. Pardon, volevo dire israeliani.

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    3. Caro Sergio, per mettere in crisi il concetto stesso di paradiso, basta un verso, un unico verso, del nostro grande Leopardi: 'piacer figlio d'affanno'.

      In tanti secoli di pensiero umano, nessuno è mai riuscito a confutare questa affermazione, ed anzi le moderne neuro-scienze, dopo aver analizzato a fondo i nostri meccanismi cerebrali, non hanno potuto far altro che confermarlo.
      Se davvero in paradiso verrà a cessare qualsiasi sofferenza, verrà meno anche ogni possibile piacere.

      Lo stesso piacere sessuale, tanto atteso dagli islamici maschi (forse un po' meno dalle 'uri') non può che essere limitato ad un momento, molto intenso, ma brevissimo.
      Ma trattandosi di speranze inverificabili, per i fedeli va bene tutto, e tanto gli basta.

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  3. "Se davvero in paradiso verrà a cessare qualsiasi sofferenza, verrà meno anche ogni possibile piacere."

    Non avevo presente quel pensiero di Leopardi che calza benissimo per noi mortali. Ma di là valgono altre leggi, noi resuscitiamo con un "corpo trasfigurato" non più soggetto a malanni e corruzione. E magari anche "rimesso a posto" (vedi sotto la trasformazione di zia Domenica in paradiso).

    Tuttavia che il piacere nasca davvero dall'affanno non mi convince. Certo provo soddisfazione e piacere dopo aver patito qualche guaio (fisico o psicologico), ma posso immaginarmi anche uno stato gradevole continuo (come sarebbe appunto quello in paradiso). I patimenti della vita terrena sarebbro solo un lontano ricordo (ammesso che sia possibile ricordarli, probabilmente no). Ma già su questa Terra posso intensamente godere di qualcosa, anche della salute, senza che il godimento sia preceduto dal dolore. Certo l'alternarsi di sofferenza e gioia ci rende più coscienti delle nostre diverse condizioni, ma godersela per sempre senza soffrire non mi sembra una brutta idea.

    "... le ingiustizie e i torti raddrizzati, le menzogne scoperte, le malattie guarite, le pene consolate, le contraddizioni chiarite, gli inquisitori finalmente rei, le vittime riabilitate, la tua povera vita, camminata su larghe pedule, finalmente proposta nel suo valore giusto: e come sarà bello, allora, zia Domenica, mirarti palpitante e splendida, col naso a picchio rimediato, i tuoi calli estirpati per donarti i piedini di una geisha, le tue pupille diventate stelle del coro verginale nella candida rosa del Doré, arpeggiare in eterno le tue ariette metastasiane e sciocche."

    Plinio Martini, Requiem per zia Domenica

    P.S. Zia Domenica era una povera zitella tutta casa e chiesa, religiosissima, in tempi durissimi in cui si faceva la fame in Ticino
    (inizio Novecento, quando i ticinesi emigravano in America e in Australia, ma non da clandestini o finti profughi).

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  4. Poscritto

    "Requiem per zia Domenica" e "Il fondo del sacco" sono due romanzi brevi di Plinio Martini, ticinese, maestro elementare, prematuramente deceduto a soli cinquant'anni per un cancro. Questi due romanzi che ho letto e riletto sono tra i miei libri più cari. Martini era un democristiano che organizzava le processioni, ma poi "si buttò a sinistra" e perse anche la fede. Fu tra i cofondatori del Partito socialista autonomo, alla sinistra dei socialdemocratici, una specie di Rifondazione comunista. Una persona e uno scrittore comunque ammirevole. Ti dirò che oggi trovo I Malavoglia di Verga illeggibili, noiosi, a parte forse le ultime venti pagine. Martini invece mi tocca e commuove profondamente, anche quel mondo che descrive non esiste più (e direi per fortuna). Ma i sentimenti che provava quella povera gente sono gli stessi che proviamo noi ancora oggi. Come la disperazione di Didone tradita.

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  5. << le ingiustizie e i torti raddrizzati, le menzogne scoperte, le malattie guarite, le pene consolate, le contraddizioni chiarite, gli inquisitori finalmente rei, le vittime riabilitate >>

    Caro Sergio, credo che in questa frase di Plinio Martini (un autore che non conoscevo) sia racchiuso a meraviglia tutto il fascino, insuperabile, della fede cristiana.
    Per i poveracci di una volta, che vivevano (e sapevano di vivere) in un mondo terreno senza speranza, quella consolazione era, probabilmente, tutto.

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  6. Aspirazione umana forse, non solo cristiana, di vedere trionfare la giustizia e vivere finalmente bene, come cantava una volta Guccini nel suo Cyrano:
    "Dev'esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto
    dove non soffriremo e tutto sarà giusto."

    Con mio dispiacere vedo però che Guccini ce l'ha ora anche lui col razzismo ... Ormai i crimini del nostro tempo sono il razzismo e la xenofobia, il sessismo, l'omofobia che sono i frutti del "fascismo eterno" inestirpabile (espressione coniata sembra da Eco sul quale sto rivedendo il mio giudizio).

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  7. 'In terra o in cielo', dice Guccini e qui sta tutta la differenza tra il comunismo e la religione.

    Il primo infatti ha fallito (in terra non si è mai visto nulla di simile), mentre la seconda continua a funzionare piuttosto bene (quel che succede nell'aldilà non lo ha ancora raccontato nessuno).

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  8. Vorrei riportare qui un mio vecchio 'pensierino', già pubblicato qualche tempo fa, ma che mi pare pertinente:

    << Si diventa "adulti" quando si comprende che il mondo è profondamente ed irrimediabilmente ingiusto (e la scoperta è così sconvolgente che molti la rifiutano, affidandosi ad una inesistente giustizia divina).
    Si diventa "saggi" quando si impara ad accettarlo. >>

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  9. Nuovo commento di Sergio (inserito da me per motivi tecnici):

    << Oibò, non ci sto. Che essere adulti e saggi significhi accettare la profonda e irrimedialbile ingiustizia del mondo è un pensiero e un atteggiamento ... inammissibili. Difatti da sempre si è cercato di rimediare all'«ingiustizia» della natura - con tante leggi e trucchi che rendono la vita associata tollerabile. Sì, la natura è - dal nostro punto di vista - ingiusta. Ma volere eliminare tutte le ingiustizie - cioè le differenze - significherebbe pure ... bloccare l'evoluzione. È dalla diversità che nasce il nuovo e talora il meglio e che rende questa vita varia e attraente. I comunisti di oggi (ci sono ancora ahimè) trovano ingiusto che ci siano persone più intelligenti e belle e che ne "approfittano" (c'è poco da fare, chi è più bello e intelligente è più attraente, anche per i comunisti). Ma loro vorrebbero che i più intelligenti e più belli mettano queste loro doti al servizio della comunità, per il bene comune (il bene comune è la nuova ossessione, a cominciare dalla Chiesa). A questo punto si potrebbe desiderare una umanità di miliardi di cloni - tutti uguali, che bello. Finite le differenze e le ingiustizie, una sola Terra, una sola umanità di uguali. Basterà poi un virus da niente per eliminare tutti in un colpo. >>

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    1. << Sì, la natura è - dal nostro punto di vista - ingiusta. Ma volere eliminare tutte le ingiustizie - cioè le differenze - significherebbe pure ... bloccare l'evoluzione. >>

      Per l'appunto.
      Tu hai ragione quando dici che " da sempre si è cercato di rimediare all'«ingiustizia» della natura - con tante leggi e trucchi che rendono la vita associata tollerabile ", ma questi sono solo dei palliativi - utilissimi per carità - e non bisogna illudersi (come invece fanno molti, soprattutto a sinistra) che possano cambiare la natura delle cose.

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