Poche
cose hanno scandito l‘evoluzione della civiltà umana come lo
sviluppo delle tecniche di guerra. Si inventava qualcosa per
combattere in modo più efficace, per cercare di vincere la prossima
guerra, ed ecco che quella nuova invenzione trovava applicazioni
anche nella vita civile, aumentando l’efficienza economica della
nazione anche in tempo di pace.
Ma
può avvenire anche l’inverso. Così, per esempio, la scienza dei
sistemi complessi, moderna disciplina che – tra le altre cose - ci
aiuta a comprendere meglio la sostenibilità ambientale, può essere
utilizzata anche in campo bellico, per uno studio innovativo della
struttura degli eserciti.
Quelle
che seguono sono le interessanti riflessioni sul tema di Ugo Bardi,
tratte da Effetto Cassandra.
LUMEN
<<
Lo storico e teorico militare cinese Sun Tzu, nel suo “L’arte
della guerra” (5° secolo a.C.), enfatizzava il concetto di vincere
le battaglie sfruttando la debolezza del nemico piuttosto che la
forza bruta.
È
normale che in guerra il conflitto si concluda con il crollo di una
delle due parti ma, in alcuni casi, il collasso avviene senza grossi
combattimenti o addirittura nessuno. Un esempio particolarmente
rappresentativo è quello del crollo dell’Unione Sovietica nel
1991, arrivato dopo diversi decenni di “Guerra Fredda” che non
era mai sfociata in un conflitto aperto.
Come
aveva già notato Sun Tzu, la capacità di innescare il collasso
della struttura militare o socio-economica del nemico è
probabilmente la strategia di risoluzione dei conflitti più
efficace. Ma come raggiungere questo risultato? La moderna scienza
dei sistemi complessi può dirci molte cose sui fattori coinvolti nel
collasso di tali sistemi, sebbene non possa fornire ricette valide
per tutte le situazioni.
Il
collasso è una caratteristica dei sistemi caratterizzati da una rete
di relazioni interne che comportano un feedback: società, economie,
gruppi, aziende, eserciti ed altro ancora, sistemi che definiamo
appunto “complessi.” Il feedback può smorzare o esaltare
l’effetto delle perturbazioni sui vari elementi del sistema e può
arrivare a generare un tipo di collasso chiamato “Collasso di
Seneca” o “Scogliera di Seneca.” Questo collasso si verifica
quando i diversi elementi del sistema agiscono in sinergia,
intensificando gli effetti di una perturbazione che, alla fine, fa
crollare l’intero sistema.
Dopotutto,
la guerra è principalmente un problema di feedback tra entità
combattenti. Gli eserciti manovrano, si scontrano tra loro, si
ritirano o avanzano, ma il risultato finale è sempre lo stesso: la
lotta termina quando i feedback si accumulano in modo tale che una
delle due parti collassa. A quel punto, la battaglia è finita.
Possiamo
considerare gli eserciti come reti di soldati, ognuno connesso ai
soldati vicini. In uno scontro militare, la perdita di un singolo
nodo, cioè di un singolo soldato, ha di per sé un effetto limitato
sulle prestazioni del sistema. Ma può essere devastante se entra in
azione il mortale meccanismo del feedback. Un soldato scappa, un
altro soldato lo vede correre e fa lo stesso. Altri seguono
l’esempio. Questo potrebbe causare la dissoluzione dell’intero
esercito, un tipico esempio di collasso generato dal feedback e anche
l’incubo dei comandanti militari di tutta la storia.
Certo,
negli eserciti reali le cose non sono così semplici, ma è anche
vero che gli eserciti dell’antichità avevano spesso una catena di
comando mal definita e questo li rendeva particolarmente esposti al
crollo repentino. Ad esempio, nella battaglia di Manzikert, nel 1071
d.C., i Bizantini erano stati sconfitti dai Turchi perché, tra gli
altri fattori, alcuni settori dell’esercito erano stati presi dal
panico e si erano dati alla fuga.
Una
volta che iniziamo a considerare la guerra in termini di sistemi
complessi che interagiscono tra loro, possiamo capire come la
selezione naturale sul campo di battaglia abbia portato gli eserciti
ad evolversi in strutture più resistenti al collasso. Nel 1800, i
Prussiani avevano sviluppato un esercito in cui ogni soldato avrebbe
dovuto continuare a ricaricare e a sparare, indifferente a tutto ciò
che accadeva intorno a lui. Idealmente, avrebbe dovuto continuare a
sparare anche se fosse stato l’ultimo a rimanere in piedi.
In
pratica, i Prussiani avevano interrotto le connessioni orizzontali
della rete dell’esercito, lasciando solo quelle “verticali” che
collegavano i soldati ai loro ufficiali. Era il concetto, attribuito
a Federico il Grande, che i soldati comuni avrebbero dovuto temere i
propri ufficiali più del nemico. Questo aveva reso la rete
resiliente al collasso: perdere un nodo non avrebbe comportato una
valanga di perdite di nodi a causa del feedback.
L’idea
prussiana si era dimostrata vincente ed è ancora il modo in cui sono
organizzati gli eserciti moderni. Ma, se ha reso più difficile il
collasso “dal basso,” ha aumentato le possibilità di un collasso
“dall’alto” verso il basso. Un esercito strutturato
verticalmente è vulnerabile ad un “attacco di decapitazione,” un
concetto già noto a quelli che, molto tempo fa, avevano inventato il
gioco degli scacchi.
Un
caso moderno di questo tipo di collasso si era verificato in Italia
nel settembre del 1943. Dopo l’improvvisa rimozione del carismatico
leader italiano, Benito Mussolini, le forze armate italiane si erano
praticamente disintegrate quando il re d’Italia era fuggito dalla
capitale, Roma, lasciando l’esercito senza comando e senza chiare
istruzioni. (…)
Alcuni
casi di attacchi di decapitazione falliti. Un esempio è il tentativo
di alcuni ufficiali tedeschi di uccidere Adolf Hitler nel 1944. Non
erano riusciti nel loro intento, quindi non sapremo mai che cosa
sarebbe successo se Hitler fosse morto quel giorno. Un altro esempio
è stato l’attacco contro l’Iraq nel 2003, che mirava ad uccidere
la maggior parte dei membri del governo iracheno. Anche quel
tentativo era fallito.
Il
problema insito nell’idea di distruggere una struttura militare per
decapitazione è duplice: il primo è che anche il nemico sa
benissimo che i sui leader sono un obiettivo di valore e quindi fa di
tutto per proteggerli il meglio possibile. Bisogna ricordare qui la
figura del kagemusha, il “guerriero ombra” della storia militare
giapponese, il cui compito era quello di impersonare un leader
militare per indurre il nemico a concentrare i propri sforzi su di
lui, piuttosto che sul vero bersaglio.
E’
anche vero però che in tempi moderni gli eserciti hanno sviluppato
una struttura meno rigida, in cui le piccole unità possono
continuare a combattere anche se perdono il contatto con il loro
centro di comando. È un modo di combattere che era stato introdotto
da Edwin Rommel durante la Prima Guerra Mondiale ed ampiamente
utilizzato da Heinz Guderian durante la Seconda.
Un
altro esempio recente di resilienza in un conflitto armato è stato
lo scontro del 2006 tra Israele ed Hezbollah, in Libano. L’apparato
bellico di Hezbollah è ben lungi dall’essere un esercito
tradizionale: è un sistema altamente resiliente basato su piccole
unità con pochissimi collegamenti tra loro. Alla fine, [questo
sistema] ha avuto la meglio contro un avversario teoricamente molto
più potente.
Dare
un certo grado di libertà alle piccole unità è rischioso, poiché
queste unità potrebbero non comportarsi secondo gli ordini del
comando centrale. Ma sembra essere molto efficace nei tempi moderni,
anche a causa dello sviluppo delle moderne tecniche di propaganda.
Oggi, i soldati normalmente non combattono per denaro, sono
fortemente condizionati dalla propaganda o dalle credenze religiose.
Alla
fine, condurre una guerra è praticamente una questione di comando e
controllo ed esistono molte possibili interpretazioni su come
controllare un esercito in modo da renderlo resistente al collasso.
Fino ad oggi, la propaganda rimane il principale strumento
motivazionale per indurre i soldati a combattere, ma (…) la guerra
moderna sembra affidarsi sempre più ad armi robotizzate,
telecomandate o addirittura autonome.
Un
concetto legato alla nascita dei robot militari è quello del
“Network Centered Warfare” chiamato anche, talvolta, “Effect
based operations.” L’idea è di trasformare un esercito in una
singola arma usando sofisticate tecniche di comunicazione. La
domanda, quindi, è chi controllerebbe quell’arma? Se esiste un
unico sistema di controllo centrale, l’intero sistema diventa
nuovamente vulnerabile ad un attacco per decapitazione. Un attacco al
centro operativo potrebbe renderlo inutile, proprio come i pezzi
sulla scacchiera quando il re è sotto scacco.
Ma
è anche perfettamente possibile organizzare i robot militari in
unità piccole e relativamente indipendenti. Non cambia però la
domanda principale: chi controllerà i robot militari? È una domanda
che, finora, non ha trovato una risposta semplice. Ovviamente, i
robot non sono sensibili alla propaganda, ma i loro controllori sono
ancora esseri umani.
La
propaganda è uno strumento che era stato sviluppato per controllare
i fanti schierati in trincea di fronte al nemico, ora abbiamo bisogno
di strumenti per controllare i controllori dei robot, professionisti
specializzati che operano in sicurezza da postazioni remote. Tecniche
appropriate non sono ancora state sviluppate e non sappiamo quale
forma potrebbero prendere e in che modo influenzerebbero il modo di
condurre una guerra. >>
UGO
BARDI
A proposito di guerra e di modernità, mi viene in mente una frase profetica del grande scienziato francese Luis Pasteur (che scriveva nell'800):
RispondiElimina<< Verrà un giorno in cui la guerra ucciderà la guerra grazie al progresso scientifico che consentirà devastazioni così tremende che ogni conflitto diventerà impossibile >>
E cioè? Niente più guerra perché il mondo sarà diventato comunque una chiavica "grazie" a qualche diabolica invenzione scientifica? Mah, dov'è la profezia?
RispondiEliminaDiceva Fester, uno studioso dei sistemi complessi, che la natura ci ha creati individui invece di creare un solo organismo come certi funghi che si estendono per decine di chilometri. Ma forse - sempre grazie alla tecnologia - questo unico organismo si va realizzando e formando. Presto tutti i miliardi d'individui saranno interconnessi con smartphone e chip obbligatori formando così un unico essere (i singoli individui saranno paragonabili alle cellule del nostro orgnanismo). Il potere o le elite o il sistema immunitario di questo mostruoso essere elimineranno con estrema facilità le cellule cancerogene (gli individui maligni) a tutto beneficio dell'insieme (clic e il Lumen maligno è neutralizzato). Ci saranno comunque cellule (individui) nobili ben collocate (cervello, cuore, stomaco, membro), altre invece avranno compiti e funzioni meno nobili, magari nel colon e nel retto).
È concepibile un mondo vivo senza frizioni, tensioni, conflitti? Forse nel superorganismo descritto sopra. Ma il sussistere di un sistema immunitario necessario significherebbe che sono sempre possibili incidenti, mutazioni, malattie, conflitti.
Forse in paradiso staremo finalmente tutti bene. Ma non ci annoieremo?
<< Presto tutti i miliardi d'individui saranno interconnessi con smartphone e chip obbligatori formando così un unico essere (i singoli individui saranno paragonabili alle cellule del nostro orgnanismo). >>
EliminaCaro Sergio, questo, al momento, non credo che sia possibile.
Negli organismi pluricellulari, infatti, il DNA è unico per tutte le cellule, che quiandi hanno tutto l'interesse a cooperare tra di loro.
Nell'ipotetica super-umanità mondiale, invece, ogni uomo continuerebbe ad avere il suo DNA personale.
E quindi la competizione tra i singoli (per le risorse e la riproduzone) non potrebbe mai cessare.
"Nell'ipotetica super-umanità mondiale, invece, ogni uomo continuerebbe ad avere il suo DNA personale."
EliminaMa la scienza ormai onnipotente eliminerà anche il DNA personale. Finalmente, che bellezza: niente più competizione per le risorse. Finalmente la pace perpetua di Kant (che però non era ingenuo: la pace sarebbe stata garantita dagli eserciti che ogni stato avrebbe conservato).
Mi sembra l'incubo di un film di fantascienza.
EliminaOltretutto, un ipotetico 'DNA unico' porterebbe all'estizione dell'umanità in tempi brevi.
Senza la variabilità del DNA, infatti, nessuna specie può resistere nel tempo.